Il green pass è uno strumento di profilassi? Un aiutino per persuadere la gente a vaccinarsi senza introdurne l’obbligo? Oppure un modo per scaricare le responsabilità verso il basso, nascondendo la disastrosa gestione politico-amministrativa del governo e prendersela con i cosiddetti no-vax?

Prima di iniziare a disquisire di green pass, della sua utilità e delle sue (innumerevoli) criticità di fondo tengo a precisare una cosa.

Ho ricevuto la prima e seconda dose del vaccino, a giugno. Molto prima che il green pass fosse obbligatorio per condizionare le mie scelte su dove andare e cosa fare nel tempo libero. O addirittura farmi temere di perdere il posto di lavoro. L’ho fatto perché andava fatto.

Ma non ne ero convinto.

Ciò per svariatissimi motivi. Tipo, è ancora in fase sperimentale; ci sono state reazioni avverse; ma chi me lo fa fare se pure che prendo il covid non muoio… e tanti altri ragionamenti simili fatti tra me e me. Ma l’ho fatto lo stesso.

Tutto sommato credo nell’utilità dei vaccini e il fatto che anche questi dispositivi siano stati assorbiti dalla logica del profitto e vengano considerati merci anziché mezzi non ne inficia l’utilità.

Sin dalle più antiche civiltà, in ogni parte del mondo, l’uomo ha – empiricamente – sviluppato vaccini contro le malattie contagiose. Come scrive la Treccani

Fin dall’antichità la medicina aveva rilevato che le persone sopravvissute a certe malattie contagiose risultavano resistenti a esse nel caso di un nuovo contatto, tanto che usualmente si occupavano della cura di coloro che le contraevano, come è stato brillantemente descritto da Tucidide in riferimento alla peste che colpì Atene nel V sec. a.C.

Insomma, i vaccini servono ed esistono dall’alba dei tempi. Quindi la critica non va fatta tanto sul vaccino in sé, quanto sulle politiche di vaccinazione. Due concetti ben diversi. Politiche che includono anche l’obbligo di vaccinazione, sia esso di primo o di secondo grado (convincermi a vaccinarmi rendendo obbligatorio il green pass).

Vaccini e politiche di vaccinazione, ovvero pro-vax vs no-vax

Media, politica, padroni&padroncini, virologi divenuti star televisive e, di conseguenza, la massa di gente, influenzata dal dibattito generato da costoro (che possiamo sintetizzare nel concetto di classe egemone, in quanto egemonizza il dibattito, avendone i mezzi) confonde – più o meno volutamente – i concetti di vaccino e politiche di vaccinazione, generando di conseguenza la dicotomia pro-vax e no-vax.

La semplificazione è facile da gestire, perché – come accade spesso – offusca la vista e genera quel noto fenomeno di tifoserie da stadio che manda in vacca qualsiasi tentativo di criticare dialetticamente la gestione politica della pandemia e, come direbbe Hegel dopo un paio di birre, scartare gli aspetti negativi della gestione, salvare quelli positivi e, infine, creare sintesi. Ovvero procedere ad un superamento delle criticità per migliorare le politiche di vaccinazione, la conseguente gestione amministrativa, il dibattito che ne è alla base.

In ultima analisi dare ragione agli uni e agli altri. Anzi, superare proprio la dicotomia, perché – a ben vedere – è raro che il no-vax sia contrario tout court al vaccino, ma mette in discussione la gestione politica sia della pandemia che della campagna di vaccinazione. E pone una critica alla mercificazione del vaccino.

Citando il collettivo Wu-Ming in un articolo che riporterò più volte,

Inutile girarci attorno: nel loro modo sballato e con tutti i bias cognitivi che vogliamo (e che vanno esposti e criticati con durezza), quelli che il mainstream  e la “sinistra” perbene chiamano «no vax» sono tra i pochi a tentare una critica alla scienza medica sul versante della produzione, dei rapporti di proprietà, della non-neutralità della scienza una volta vista dentro tali rapporti ecc. Nel loro confusionismo, alcuni di loro sono istintivamente più “marxisti” di certi eredi del marxismo smarritisi nello scientismo.

Vaccino non è vaccinazione

Venendo alla distinzione tra vaccino e politiche di vaccinazione, cito asceonlus.org, che scrive

va chiaramente distinta la questione dei vaccini da quella della vaccinazione: gli uni sono tecnologie mediche a disposizione per la prevenzione di determinate malattie, l’altra è la politica attraverso cui attivamente si producono, distribuiscono ed inoculano i vaccini. Ridurre la discussione ad una disfida sui vaccini, vuole dire sostanzialmente cancellare dal discorso la questione della vaccinazione, ovvero lo spazio dove interviene la politica, dove si può e si deve esercitare il controllo democratico e il giudizio sulle scelte dell’amministrazione pubblica, dove la fiducia tra cittadini e istituzioni sanitarie assume rilevanza strategica.

Diamo il nome giusto alle cose

Green pass è un nome evocativo, ma non è corretto. Non descrive ciò per cui è stato concepito, ma si serve di un espediente linguistico.

Green. Verde, come le politiche europee di bioeconomia. Dove gli azionisti più grossi sono le compagnie petrolifere. E genera fenomeni di land grabbing. La transizione energetica. Che però si basa su mega impianti in zone rurali, danni all’ecosistema, sottrazione di suolo e… aumento dei costi in bolletta. Insomma, ci siamo capiti, no? Detta in estrema sintesi, si mascherano di green gli stessi rapporti di produzione che hanno generato il black&gray e che non vengono affatto messi in discussione.

Come scrive il collettivo Wu-ming

È lo stesso anglicorum di «Jobs Act», «spending review» e altre nefandezze. È l’inglese usato come dolcificante artificiale, per far sembrare nuovi e “smart” provvedimenti che invece sono abbastanza vecchi da avere un nome nella lingua di Dante. Se il governo Renzi l’avesse chiamata semplicemente «Legge sul lavoro» sarebbe sembrata meno “innovativa”. In effetti, la libertà dei padroni di licenziare in tronco non è poi questa grande innovazione…

Nel caso del «green pass», la parola che già esiste è lasciapassare. Un lasciapassare definito «green», cioè verde, come il semaforo verde, in opposizione alle zone rosse. Ma anche qui l’inglese «green» viene preferito in quanto è l’aggettivo del momento, l’aggettivo che dà un salvacondotto a qualunque politica voglia spacciarsi per ambientalista e quindi al passo coi tempi: è il cosiddetto greenwashing. Tanto per autocitarci: «Nel mondo in cui il vero della devastazione ecologica e climatica diviene un momento del falso del tran tran capitalistico, ogni schifezza va definita “green”, anche provvedimenti come il pass sanitario, che con l’ecologia non ha alcun legame diretto.»

Dunque chiamiamolo per com’è davvero: un lasciapassare. Un nulla osta, un atto amministrativo che, però, non vale solo nei rapporti tra cittadino e Pubblica amministrazione, ma entra nella sfera delle libertà costituzionali. Sicché inizieremo la critica allo strumento del lasciapassare dal suo deficit di fondo.

Dov’è la discussione parlamentare?

L’odierno dicotomico (e dunque errato dalle fondamenta) dibattito tra i favorevoli ed i contrari al green pass mette in campo due teorie contrastanti.

Da un lato le libertà costituzionali che vengono ridotte, oltre alla violazione del diritto di uguaglianza formale e sostanziale di cui all’art. 3 della Carta costituzionale (contrari al green pass). Dall’altro lato il diritto alla salute, ex art. 32 Cost., che essendo non solo un diritto, ma anche un dovere di preservare lo stato di salute degli altri, può imporre trattamenti obbligatori, anche di secondo grado (favorevoli al green pass).

Sono due tesi opposte ed entrambe valide. Ecco perché il dibattito, oggi, è così acceso, non solo sui media, ma anche nei discorsi tra amici, al bar, in famiglia.

Tuttavia non si mette mai bado ad un aspetto che, invece, è costituzionalmente essenziale: la discussione democratica e parlamentare.

E’ vero, la Costituzione, astrattamente, dà ragione agli uni e agli altri. Dice che il diritto alla salute è primario. Come lo è pure quello all’uguaglianza. E non possedere (o non voler usare) il green pass è una forma di discriminazione. Ossia vìola il diritto all’uguaglianza. Oltre che innumerevoli altre libertà individuali (spostamenti, scelte, ecc.).

Però la Costituzione, nel dirimere queste controversie, ancora la scelta alla discussione politica. Non a quella amministrativa. In altre parole, quando dice che le libertà costituzionali si possono restringere, lo si fa solo con un atto di legge. Cioè dopo un lungo ed articolato iter alla cui base vi è un dibattito pluralista, che tenga conto del cosiddetto bilanciamento degli interessi. Cosa che, oggi, non è avvenuta.

Facciamo qualche esempio

Per esempio l’art. 13, quando dice che “la libertà personale è inviolabile e (…) qualsiasi (…) restrizione della libertà personale [può darsi solo] nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

Oppure l’art. 16, che dice che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce il via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

La legge, insomma.

E come si forma la legge?

Il costituente aveva ben chiare le possibili derive autoritarie, sicché ha impostato la Costituzione in modo che lo sviluppo del dibattito e le scelte politiche avvenissero all’interno dell’organo partecipativo e democratico per eccellenza: il Parlamento. Il Governo ha solo un ruolo esecutivo e i suoi atti si muovono all’interno della cornice politico-legislativa dettata dal Parlamento.

Sulla formazione delle leggi il costituente ha dedicato ben dodici articoli, impedendo che con atti diversi dalla legge si possano restringere i diritti fondamentali di individui e formazioni sociali.

Quindi una legge che restringe le libertà personali prima va proposta, poi discussa in un ramo del Parlamento, poi nell’altro (per ottenere una discussione più ampia), poi si può emendare, da parte delle minoranze, poi va ridiscussa, poi approvata e poi promulgata da parte del Presidente della Repubblica, che fa da garante della Costituzione.

Sarà per questo che la Costituzione dice pure che sì, si possono emanare atti aventi forza di legge con provvedimenti di fatto amministrativi (tipo quelli che emana il governo), per far fronte a situazioni urgenti ed emergenziali. Ma poi questi atti vanno comunque discussi in Parlamento, che li può confermare oppure rigettare. E, soprattutto, sono provvisori. E’ il caso dei cosiddetti decreti legge.

Il pluralismo politico

Per la Costituzione il centro del dibattito politico è un organo collegiale, ampiamente rappresentativo delle svariate anime che compongono il Paese, che segue un iter articolato e complesso. Proprio perché i temi oggetto di dibattito parlamentare vanno vagliati a fondo.

Certo, all’epoca in cui la Costituzione fu emanata vi erano molti partiti che rappresentavano la composizione sociale del Paese. Ecco perché si credeva che il Parlamento fosse ampiamente rappresentativo e, dunque, dalla dialettica politica ne sarebbero emersi atti di legge equilibrati, che tenessero conto delle diverse esigenze sociali.

Oggi non è più così. Il dominio di una classe sociale sulle altre, l’emersione del pensiero unico, la scomparsa dei partiti di classe, la polarizzazione politica su base egemonica e tanti altri fenomeni hanno svuotato il Parlamento del suo ruolo.

Tuttavia il suo ruolo resta fondamentale nel decidere i temi più rilevanti e nel vagliare gli interessi contrapposti quando si effettua una scelta politica.

Oggi, però, il Parlamento funge da convertitore di legge di atti che si basano su decisioni prese dal Governo. Basta farsi un giro sulla Gazzetta Ufficiale o su Normattiva per capire che gli atti che regolano la questione pandemica sono principalmente Decreti Legge. Ossia atti del Governo. Poi ratificati dal Parlamento.

decreti legge covid

Oggi, dunque, avviene l’opposto di quanto pensato dal Costituente. I rapporti sociali vengono regolati da un organo amministrativo e l’organo legislativo non fa altro che ratificare – al massimo emendare – un testo già vigente. Con l’ovvio risultato che la discussione è già preimpostata dall’inizio e il terreno della critica si riduce sensibilmente.

La provvisorietà, che fine ha fatto?

Dunque la Costituzione mette al centro il dibattito parlamentare. Cosa che non è affatto avvenuta in quest’anno e mezzo di pandemia e di gestione accentrata da parte del Governo.

Non sarà certo sfuggito che per tutta la gestione pandemica del governo Conte si è andati avanti a botte di DPCM, acronimo che – fino ad allora – solo gli addetti ai lavori conoscevano.

Qualcuno sostenne, all’epoca, la legittimità dello strumento della decretazione monocratica (DPCM sta per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, un atto che emana una sola persona, al massimo dopo averne discusso in seno al CdM), perché la fase emergenziale lo permetteva.

Ma siamo davvero in emergenza? Formalmente sì, fino al 31 dicembre 2021. Ma l’emergenza vera e propria si ebbe ai tempi dell’emersione dei primi focolai nel bergamasco. Dove fu gestita ad minchiam, tanto che si chiuse l’Italia quando era sufficiente chiudere pochi paesi, incluse le aziende. Che sono rimaste aperte, in larga parte, contribuendo alla diffusione del virus, mentre veniva ordinato alle forze di polizia di rincorrere i runners o chi prendeva il sole in solitaria.

Il virus è diffuso in tutto il mondo. Son passati quasi due anni dall’inizio della pandemia. Non siamo in emergenza. Se lo siamo è perché lo dice il governo. Ma facciamo finta che, nonostante la vaccinazione di massa e il notevole calo dei ricoveri, siamo ancora in emergenza.

Perché nel dibattito pubblico sul green pass non si parla mai di provvisorietà dello strumento? Nessuno ha mai detto, finora, che lo si potrà usare fino al 31 dicembre, data della (presunta) fine dello stato emergenziale. Nessuno parla di ancorarlo ai ricoveri o ad un indice di contagio o mortalità.

Non si discute minimamente di una sua applicazione transitoria.

Non lo si fa perché il lasciapassare non è stato concepito come uno strumento provvisorio. Entrerà di forza, con un atto amministrativo, nelle vite della gente. E qui entriamo nel merito dello strumento e vediamo perché è dannoso, oltre che inutile.

Il green pass è inutile

Torno a citare il collettivo Wu-Ming

Quando abbiamo cominciato a scrivere questo post (…) risultava completamente vaccinato – due dosi + monodose + dose unica per i guariti – il 61,6% della popolazione totale. In attesa di seconda dose – «parzialmente protetto» – era l’8,7% della popolazione totale, corrispondente al 9,6% della popolazione vaccinabile. Il che significa che potevamo già dare per acquisito il 70,3% della popolazione totale, corrispondente al 78% della popolazione vaccinabile. Alla data in cui terminiamo l’impaginazione, 1 settembre, risulta vaccinato il 71,9% della popolazione vaccinabile e «parzialmente protetto» il 79,8%. E ricordiamo che stiamo approssimando la popolazione vaccinabile per eccesso: la percentuale reale è certamente già di alcuni punti sopra l’80%. Insomma, la stragrande maggioranza dei vaccinabili è già vaccinata.

Dice: ma forse dopo il 6 agosto il lasciapassare ha avuto un effetto benefico. In realtà ad agosto il flusso delle somministrazioni è calato drasticamente. Dalle oltre 500.000 al giorno di fine luglio si è arrivati alle 50.000 di Ferragosto. È successo per vari motivi ricostruiti qui, il punto è che
1) la stragrande maggioranza dei vaccinati di oggi lo era già prima dell’introduzione del lasciapassare;
2) chi parla di un «effetto green pass» non sa quel che dice oppure ciurla nel manico. Anche senza la presunta “spintarella”, la campagna andava spedita.

Difatti il grosso delle vaccinazioni (prima e seconda dose) è avvenuto nel periodo maggio-luglio, come si può agevolmente vedere in questo grafico. Che – tra l’altro – dimostra come a più di un mese dall’introduzione del green pass, non sia seguito un aumento delle vaccinazioni. Anche calcolando un periodo di differimento tra prenotazione e vaccinazione, inclusi i capricci distributivi delle aziende produttrici, al 18 settembre la vaccinazione è in calo.

grafico tendenza vaccinazione al 18 settembre 2021

Perché?

Perché il grosso della popolazione vaccinabile è già stata vaccinata. Dal sito da dove ho preso il grafico si evince chiaramente non solo che il 70% della popolazione intera ha ricevuto almeno la prima dose. E il grosso è avvenuto prima di agosto. Ma che questa è stata somministrata al 94,3% del personale scolastico e al 98% di quello sanitario. Ossia quelle categorie che i media annoverano tra i no-vax. E che il vaccino l’hanno ricevuto molto prima dell’introduzione del green pass. Già questo dato ci dovrebbe far riflettere sulla differenza tra realtà e narrazione mediatica. Ma andiamo avanti.

Dunque il green pass come strumento di profilassi è inutile, perché la gente ha accettato – in massa – il vaccino anche senza il bastone del lasciapassare, preferendo la carota dell’immunizzazione volontaria, pur con mille dubbi.

Insomma, il concetto di o ti mangi questa minestra o ti butti dalla finestra è valso anche senza l’uso del green pass. Perché non c’era altra scelta. Dopo il trauma del confinamento (chiamato, guardacaso, con un altro inglesismo, lockdown, sempre per addolcire la pillola), la gente sapeva benissimo che il vaccino, anche se potenzialmente pericoloso, era sempre meglio del confinamento ad libitum. Tornare a vivere con il rischio (potenziale) di morire a causa di un vaccino ancora in fase sperimentale era meglio del non-vivere chiusi in casa o privi di relazioni sociali.

Mi vaccino volontariamente per uscire dal paradosso di una gestione pandemica discriminatoria (questo sì!) che manda la gente in fabbrica, anche senza DPI ma rincorre il vecchietto seduto sulla panchina all’aria aperta, da solo.

Lo faccio per dimostrare al Governo che sì, sto facendo tutto ciò che è in mio potere per contribuire a risolvere la questione Covid.

E’ stato questo il senso di responsabilità del popolo italiano che è ben lontano da quanto, ogni giorno, ci propinano giornali, telegiornali, e talk show, parlando di emergenza no-vax.

Il green pass è illogico

Se il lasciapassare è davvero uno strumento di profilassi, dovrebbe essere applicato in ogni luogo, giusto? Ovvero in ogni posto in cui – anche solo potenzialmente – la gente si può aggregare. Posti al chiuso, ovvio, perché è ormai risaputo che all’aperto il rischio di contagio è minimo. Eppure il green pass è richiesto per eventi che si svolgono all’aperto, ma non nei centri commerciali, dove il fine settimana c’è un delirio di gente.

Non è richiesto in chiesa, per assistere alle funzioni religiose. Ma è richiesto per accedere nei luoghi di cultura (musei, librerie, cinema, teatri, ecc.). E’ richiesto sui treni a lunga percorrenza, ma non su quelli locali. Citando ancora Wu-Ming,

Peccato che i primi siano usati da una piccola minoranza di viaggiatori, mentre sui secondi si ammassa ogni giorno la gente che va a lavorare. Secondo il Rapporto Pendolaria 2021, nel 2019 «il numero di coloro che ogni giorno prendevano il treno per spostarsi su collegamenti nazionali era di circa 50mila persone sugli Intercity e 170mila sull’alta velocità, [mentre] sui treni regionali e metropolitani […] superano i 6 milioni ogni giorno».

Dunque è illogico discriminare l’uso di uno strumento di profilassi in base ai luoghi. Sarebbe logico se come criterio si usasse quello dell’affollamento di un luogo (reale o anche solo potenziale), ma se fosse così, dovrebbe essere richiesto nei centri commerciali o nei supermercati.

Qualcuno mi dirà: in questi luoghi il numero di accessi è contingentato. E sti cazzi? Anche nei musei, o nelle librerie. Nei cinema la capienza è stata ridotta al punto tale che tra me e il mio vicino ci passano 5 poltrone. Negli eventi di piazza le sedie vengono distanziate così tanto che in mezzo ci passa un trattore.

Eppure il lasciapassare viene richiesto.

Il centro commerciale più vicino a casa mia, domenica scorsa, aveva il parcheggio pieno e nessun controllo all’accesso. Solo i negozi interni richiedono gli accessi contingentati. Ma gli spazi comuni pullulavano di gente. E (quasi) tutti avevano la mascherina abbassata sotto al naso.

Il punto, dunque, è che il green pass non deve interferire con il ciclo del consumo. Già da questa semplice considerazione deriva la sua inutilità come strumento di profilassi.

Green pass e patente

Spesso s’è sentito dire, anche da insigni giuristi (tipo Zagrebelsky) che sul piano giuridico il green pass non è un obbligo, ma un onere, cioè una condizione per poter fare qualcosa, come la patente per guidare.

A queste considerazioni illogiche sul piano giuridico ha risposto Livio Pepino (prendo la citazione sempre dal blog di Wu-Ming):

«l’abilitazione alla guida (così come quella all’esercizio di una professione) riguarda l’esistenza o la mancanza dei requisiti tecnico-professionali per svolgere una specifica attività e pone una differenza di trattamento solo con riferimento a quella attività e non a una generalità (potenzialmente indeterminata) di situazioni.»

Il paradosso che un non vaccinato è meno contagioso di un vaccinato

Con il green pass si è abbassata la guardia. Lo vediamo tutti i giorni, non tanto all’aperto (dove la mascherina è inutile), ma nei bar, nei centri commerciali, in ogni luogo in cui non mi si impone di indossarla, non la indosso.

Tanto ho il green pass. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Come se rappresentasse la certezza di non contagiarsi né contagiare.

Del resto l’insano dibattito politico sul green pass ha generato questa convinzione: chi è vaccinato si salva, chi non lo è rischia di morire.

narrazioni mediatiche no vax

Giorni fa, parlando con un’amica non vaccinata, per ragioni di salute, mi faceva notare – in termini di probabilità – che un non vaccinato può essere, in certi contesti, più sicuro di un vaccinato.

Poniamo – mi diceva – che io, da non vaccinata, per andare al ristorante debba effettuare il tampone. Al netto dei falsi negativi, comunque il tampone garantisce che io non ho il virus. Ora, mettiamo che accanto a me ci sia, invece, uno che ha il green pass e che, non essendosi più controllato dalla data del vaccino e, dunque, non avendo più fatto alcun tampone, se lo sia beccato e sia asintomatico. Insomma, è un portatore sano del virus. Il vaccino gli garantisce che non si ammali, ma non certo che non trasmetta il virus.

Ora, molto probabilmente, al chiuso e accanto a me, il vaccinato mi trasmetterà il virus. A cosa è servito il green pass?

Tra l’altro, paradossalmente io, da non vaccinata ma tamponata, ho più probabilità di non trasmettere il virus rispetto a lui.

Obbligo di green pass ed esenzioni

Dunque dal 15 ottobre 2021 il lasciapassare sarà obbligatorio, oltre che per accedere ad un numero indefinito di situazioni, anche per andare al lavoro. Varrà per lavoratori pubblici e privati.

Chi è esentato? Vediamo.

  • Bambini sotto i 12 anni (in caso di viaggio all’estero il tampone molecolare o antigenico rapido è richiesto anche per i bambini con più di 6 anni);
  • Soggetti esenti per motivi di salute dalla vaccinazione sulla base di idonea certificazione medica;
  • Coloro che hanno avuto una reazione allergica grave dopo una dose di vaccino o a qualsiasi componente del vaccino;
  • Donne in gravidanza; il vaccino non è controindicato ma la diretta interessata può farsi rilasciare dal medico un certificato di esenzione temporanea dalla vaccinazione. Non rappresenta una controindicazione alla vaccinazione nemmeno l’allattamento e alla donna che allatta non viene rilasciato alcun certificato di esenzione;
  • Coloro che hanno avuto una manifestazione della sindrome di Guillain-Barrè nelle 6 settimane successive dalla somministrazione del vaccino anti-Covid. In questo caso si può sempre considerare l’utilizzo di un diverso vaccino;
  • Coloro che hanno fatto registrare casi di miocardite o pericardite dopo la vaccinazione con Pfizer o con Moderna (anche qui di concerto con un esperto si può considerare di completare il ciclo sottoponendosi per la seconda dose ad un diverso tipo di vaccino).

Come già detto poc’anzi, la mancanza di un dibattito ampio, pluralista e dialettico, ha impedito di vagliare tutte le possibili fattispecie di esenzione, generando così la conseguenza che chi oggettivamente non può vaccinarsi, non può accedere all’esenzione dal vaccino. Con ciò discriminandoli e restringendo le loro libertà costituzionali.

Penso, per esempio, a chi – per motivi psicosomatici o per cause ancora ignote alla scienza medica – soffrono di intolleranze a diversi tipi di farmaci, a determinati principi attivi o a semplici componenti del vaccino (qui gli ingredienti di cui è composto il vaccino Pfizer).

Dato che non vi sono evidenze scientifiche alla base delle intolleranze, la scelta di rilasciare l’idonea certificazione medica è, di fatto, stabilita discrezionalmente dal medico di base o dall’ASL di competenza. Ciò produce, ovviamente, forme di discriminazione.

Il green pass come forma di deresponsabilizzazione politica

In realtà il lasciapassare sembra servire sostanzialmente a scaricare le responsabilità verso il basso. L’obiettivo del Governo e di quella scienza medica star televisiva è di vaccinare il 100% della popolazione italiana. Convincendoci che quando avverrà, si risolverà il problema.

Ma ciò non avverrà.

Per due semplici ragioni

La prima. E’ impossibile vaccinare il 100% della popolazione. Se togliamo i bambini sotto i 12 anni, gli esenti per motivi di salute e gli altri casi di esenzione, la popolazione vaccinabile è tendenzialmente pari a quella già vaccinata, al netto di chi non vuole vaccinarsi, che rappresenta una percentuale molto più bassa di quella lasciata intendere dai media.

Nel delirante tentativo di arrivare al 100%, si parla pure di vaccini ai bambini sotto i 12 anni, sin da novembre e, persino, ai neonati. Questa è pura follia.

La seconda ragione è che in una cornice pandemica, il delirante progetto di vaccinare tutti gli italiani naufraga se, svoltato l’angolo appenninico o fatte due bracciate in mare, non si vaccinano i vicini e lontani.

Detta meglio, da Wu-Ming,

Poiché quella in corso è una pandemia, è logico che se parliamo di immunità collettiva da raggiungere mediante vaccinazione la popolazione di riferimento è quella mondiale. Se ci tocca parlare della percentuale nazionale di vaccinati è perché un lasciapassare sanitario agganciato alla campagna vaccinale è stato introdotto in pochissimi paesi oltre al nostro, e con queste caratteristiche c’è solo da noi.

In un sistema iperconnesso e globale come il nostro, parlare di vaccinazione di massa in-un-solo-paese trascurando completamente la scarsità di vaccini nei paesi più poveri (in cui si viaggia, si va, si viene, si entra in contatto, ecc.), è completamente inutile.

Solo l’1,3% degli abitanti dei paesi in via di sviluppo ha ricevuto il vaccino, mentre qui si parla di terza dose e di vaccinare pure le pietre. Un rischio inutile, oltre che uno spreco di denaro, se la questione non viene affrontata sul piano internazionale, superando le disuguaglianze e mettendo in discussione la proprietà intellettuale dei vaccini.

Dagli all’untore no-vax

Insomma, in vista del fallimento della gestione pandemica da parte di uno Stato liberista come il nostro, che sperpera soldi pubblici per comprare terze dosi di vaccini inutili (peraltro, toh! aumentati…), non curandosi – insieme a tutti gli stati occidentali, pure loro liberisti – di diffondere i vaccini sul piano globale, è bene introdurre il green pass obbligatorio. Consci che tanto non tutti potranno usarlo. E così a chi si darà la colpa? Al modello liberista? Ad una gestione pandemica centralizzata e irrazionale?

No, al no-vax, a quelle persone che, soggettivamente o oggettivamente, non si vaccineranno. E verranno additate come uniche responsabili della mancata scomparsa del virus.

Un virus che, tanto, non si potrà più eradicare. Occorre conviverci.

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4 Commenti

  1. Massimo Barrella

    Caro, le tue considerazioni sono condivisibili al 50-60%. Ciò perchè:
    – è vero che i vaccinati possono contagiarsi e trasmettere l’infezione, però ciò avviene in misura molto meno ampia rispetto alla capacità di trasmissione dei non vaccinati (Jin P, Li J, Pan H, Wu Y, Zhu F. Immunological surrogate endpoints of COVID-2019 vaccines: the evidence we have versus the evidence we need. Signal Transduct Target Ther. 2021 Feb 2;6(1):48. doi: 10.1038/s41392-021-00481-y. PMID: 33531462; PMCID: PMC7851657.) Quindi non si possono “tout court” paragonare i vaccinati con i non vaccinati rispetto al rischio socio-sanitario che questi ultimi rappresentano.
    – se ti fai un tampone 24 ore prima di entrare in un ristorante al chiuso c’è una probabilità di esserti infettato nel frattempo, quindi il tampone offre una protezione anch’essa relativa. Teoricamente sarebbe meglio fare il tampone un attimo prima di entrare nel ristorante, ma puoi immaginare che casino succederebbe sul piano dell’ordine pubblico.
    – sono d’accordo sulla sostanziale ambiguità e scorrettezza del “green pass”, così come è stato concepito. Ma questo non è originato da chissà quale complotto supercapitalista, bensì dal fatto che giuridicamente lo Stato non ha il coraggio di imporre un “semplice” obbligo vaccinale che lo esporrebbe a milioni di euro di risarcimenti anche per le febbricole ed i dolori al braccio. Questo casomai è frutto della tartuferia degli attuali regimi “democratici” (spesso “di sinistra”) che fanno proclami ipocriti e usano mezzucci per non scontentare nessuno.

    Comunque rinnovo la mia stima per te e per il blog, che trovo sempre interessante e stimolante.
    Massimo Barrella

    • Il Barbuto

      ciao Massimo, grazie del tuo prezioso contributo al dibattito. Hai ragione sulla differenza di rischio di contagi tra vaccinati e non. A me interessava premere sul fatto che il green pass non è quello strumento che offre una sicurezza al 100% come il dibattito pubblico lascia intendere. L’esempio, fatto in termini di probabilità, voleva solo dimostrare che un tampone ogni 2 giorni offre maggiori garanzie rispetto al vaccino, che ti copre, ma ti permette di contagiare.
      Sulla questione dell’obbligo vaccinale non credo che dietro la scelta di non effettuarlo ci sia solo una questione finanziaria. E’ vero e più voci, anche di insigni giuristi, avevano considerato quest’aspetto (V. https://www.protocollodelpopolo.it/2021/08/10/sul-dovere-costituzionale-e-comunitario-di-disapplicazione-del-cd-decreto-green-pass/). Ma intanto a ciò osta l’OMS, che spinge i paesi ad aumentare il numero di vaccinazioni, raccomandando di non introdurne l’obbligo (https://www.msn.com/it-it/salute/other/vaccini-covid-oms-obbligo-non-%C3%A8-prima-scelta/ar-AAMuzpr), come pure il parere del Consiglio d’Europa, che ha votato una risoluzione in tal senso (V. https://www.filodiritto.com/obbligo-vaccinale-il-no-del-consiglio-deuropa-al-tempo-delle-fake-news). Ad ogni modo questi sono pareri e gli stati sono liberi di determinare se obbligare o meno alla vaccinazione. Perché l’Italia non lo fa? Posto che qualsiasi obbligo, in materia sanitaria (e in numerose altre materie sensibili) va analizzato a fondo, discusso, ne vanno bilanciati gli interessi, nelle sedi opportune, con ampi dibattiti politici e non solo scientifici, non si è scelta questa strada perché fa sempre comodo avere un nemico a cui appioppare le responsabilità in caso di fallimento delle attuali politiche di vaccinazione.
      Quindi non c’è alcun complotto capitalistico né occorre scomodare teorie cospirazionistiche affascinanti quanto prodotto di diversivi allo stesso livello del green pass.
      La ragione è che tutti sanno benissimo che è impossibile far vaccinare il 100% della popolazione. Ma mettiamo per assurdo che lo si riesca a fare. La gente comunque si muove, si sposta, va oltre confine, entra in contatto con gente non vaccinata, varianti del virus, note e non. Insomma, il virus non si riuscirà ad eradicare. Quindi nel torbido gioco da social del governo (parafrasando Wolf Bukowski, molto più bravo di me a spiegare queste dinamiche: https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/08/governare-nel-torbido/) l’obbligo di secondo grado è una carta nel taschino, un modo per dire “non è colpa nostra”, prendetevela con i no vax, chessò, i migranti, quelli che vanno in vacanze all’estero, o qualsiasi altra categoria di volta in volta utile a mascherare i fallimenti di una gestione che – questo è innegabile – è stata demenziale.

  2. Giovanni Remondini

    In Italia la discussione su Greenpass e vaccini sta toccando un malsano surrealismo. La divisione culturale sembra artefatta da una pressione mediatica di un altro livello rispetto al recente passato. Il che porterebbe a pensare che vi sia un tornaconto molto preciso. Di fatto, gli interessi in gioco sono tanti. La possibilità che l’Unione Europea dal 2022 abbandoni i preparati a vettore virale a favore di quelli a mRna come Pfizer o Moderna, è molto concreta. In un mercato di tale dimensione si può quantomento presupporre una competizione di mercato fatta anche di pressioni interne ed esterne ai palazzi.
    In l’Italia la campagna vaccinale è andata tutto sommato bene.

    Se da una parte gli avversi al vaccino si identificano ancor di più in certe derive (Il canale Telegram #BastaDittatura potrebbe darvi un’idea della deriva di cui sto parlando – dall’altra esiste un’area maggioritaria della società che segue acriticamente un settarismo di tipo laico-scientifico, il quale sino a pochi anni prima non godeva certo di grande attenzione e gradimento.

    Oggi, di colpo, chi non si uniforma ad esso viene istantaneamente tacciato di essere una minaccia per la salute pubblica.

    Ora: pure papa Francesco critica le omelie che durano più di 10 minuti perchè confondono il fedele, e si straccia le vesti sul negazionismo sul virus di certi cardinali finiti intubati. Oggi, pare che pure la chiesa – in uno stato laico per modo di dire – si debba conformare allo stato delle cose.

    Scienziati ed esperti, sono diventati i portatori di un’etica che si è messa ul pulpito, e che il governo trasforma puntualmente in regole di controllo. Il tutto con modalità che non trovano riscontro in Europa.

    Questa pressione avviene probabilmente non per la fiducia in decenni di ricerche, le quali hanno portato ad indiscutibili risultati. Piuttosto per il fatto che il 2020 ha creato il vuoto pneumatico nel portafoglio di molti. Per pochi altri invece, lo ha ben gonfiato. Per la cronaca: nel 2022/23 Von der Leyen ha annunciato un negoziato per acquisto di 1,8 miliardi di dosi Pfizer. Spiccioli nelle tasche di bigpharma, tanto paga pantalone, giusto?

    La volontà europea sarebbe quella di ripartire. “Ripartiamo insieme” è anche il mantra trainante di numerosi slogan e payoff per advertising e campagne promozionali di prodotti e servizi. La voglia di ripartire ovviamente c’è, ma anche la paura di ricadere in quello stesso buco nero chiamato lockdown.

    Non ci ricadremo, non ci sono le basi di due anni fa. ma neanche ne usciremo indenni. Su questa paura si scatena l’attuale moralismo surreale in atto. Per essere liberi, e per poter “ripartire”, bisogna partecipare a pratiche e politiche collettive, e soprattutto essere riconosciuti e accettati. Per il bene di tutti, dicono.

    Con il Greenpass, assistiamo quindi ad un allestimento verace di macchine burocratiche dedite ai monitoraggi delle nostre libertà. E’ un fatto indiscutibile. Vuoi recarti in poste, in banca, in comune, alla sagra di paese? Sai già come ti devi presentare. Alla faccia di quel che invece si cita nella costituzione. Chi anche solo si limita a discuture sulle eventuali criticità viene tacciato di essere un no-vax.

    Ora, proviamo a ragionare in termini di futuro, e parlo dei prossimi 3-5 anni in Italia. Un arco di tempo per il quale è possibile solamente iniziare a pensare ad un effettiva immunità di gregge. Tutto ciò significa una sostanziale trasformazione del concetto di libertà per i più giovani ed i giovanissimi.

    Forse servirebbe chiarire al meglio che cosa significa disporre di un Greenpass, sulla base dei fatti. Avere tale certificazione significa avere completato il ciclo vaccinale, salvo il fatto che è anch’esso è temporaneo data la natura del virus stesso, di per sè tendente a mutare come un qualsiasi virus influenzale.

    Già si parla di terza dose e di campagne vaccinali a base mRna per gli anni successivi, e di vaccini under12. Non avere il Greenpass in tasca significa essere impossibilitato per motivi di salute, oppure aver contratto l’infezione e aver fatto solo la prima dose. Un’altra possibilità è quella di essersi vaccinati in un altro paese e non essere riusciti a farsi registrare in Italia. Infine, la più infamante delle possibilità è quella di non essersi vaccinati per scelta.ù

    Ammettiamolo: non avere il Greenpass in Italia espone il cittadino ad una etichettatura facile, ad un pregiudizio ed una pressione evidenti. E sulla base di questa pressione psicologica si sta facendo una discriminazione sulla base del possesso di un documento: chi ce l’ha gode di maggiori libertà, di fatto comunque nominali. Un decreto legge dermina che ci sono cittadini di serie A e di cittadini di serie B.

    Ok: quelli di serie B sono una evidente minoranza, e sono anche cittadini di serie B per scelta. Molti di loro sono evidentemente annebbiati da fake news e corbellerie da social network. Comunque qualcosa non torna.
    Il governo non ha attivato alcun TSO, lo sta facendo per gradi senza chiamarlo con il suo nome, bypassando lo strumento stesso. La strategia è evidente. Far digerire un rospo che, se infilato in gola in un colpo solo, sarebbe davvero troppo .
    Nel frattempo la misura della certificazione verde non sembra rendere sicuri i luoghi pubblici dove è in vigore, dato che si devono comunque tenere distanze e le mascherine. Il tutto equivale a presenze diradate per i locali ed i servizi, il che non fa comunque bene all’economia. Questo aspetto non cambierà in futuro. La paura dei vaccinati che trasmettono l’infezione è evidente, ed è anche un dato di fatto ( sta accadendo in UK dove per gli over 50, dove l’89% dei contagiati Covid sono vaccinati). La misura del Greenpass italiano dovrebbe essere un incentivo per convincere esitanti e no-vax a vaccinarsi. Invece sta avendo un effetto percepittivo opposto.

    Si avrebbe un effetto più convincente sugli italiani esitanti se fosse stato messo come una precondizione per riaprire attività e servizi tornando esattamente alla vita di prima, e senza mascherine e distanziamento, come avviene in UK, Invece è stato fatto percepire come una privazione. Uno stato che comunica ai suoi cittadini come se fossero bambini dell’asilo. Le persone che si sono vaccinate per prima volevano ripristinare in sicurezza la loro vita. Ma la vita non è più quella di prima, che sia disponga di Greenpass o no. Per questo motivo nessuno al mondo usa incentivi malsani verso i cittadini tipo: “se non ti vaccini non ti lascio andare al concerto, in discoteca, al ristorante”. Si crea nella mente del giovanissimo cittadino (ma anche del cittadino più adulto) un concetto di cittadinanza distopica, ma che egli riterrà in ogni caso normale e non lo è affatto. Si può addirittura supporre che tal metodo sia il frutto di una volontà di controllo particolarmente precisa.

    C’è poi un fatto divertente. Chi in Italia segue più acriticamente questa linea di cambiamento, è sicuramente la fascia più anziana della popolazione, quella che quando si vota ha la maggioranza, quella che ha la pensione assicurata. Quella che di fatto aveva contribuito a generare tutta una serie di diritti. La stessa fascia che oggi se ne frega se un trentenne riuscirà o meno ad arrivare alla pensione. Questa fascia di popolazione sembra fare spallucce se vengono a sapere che un ragazzino di 12 anni può andare con famiglia non vaccinata all’Ikea o in qualsiasi centro commerciale senza esibire alcunchè. Tuttavia, per entrare in una biblioteca deve disporre del Greenpass. Lo dice il decreto legge. All’Ikea si, nei luoghi di cultura no. Grandi applausi. Che visione di insieme. Devàessere davvero il governo dei migliori. In biblioteca la mascherina e distanziamento non funzionerebbero. In un ristorante al chiuso, in un centro commerciale o durante la parata della vittoria a Roma per la vittoria agli europei di calcio invece sì. Sembra proprio che la fascia più anziana della popolazione italiana sia disposta a tutto pur di preservarsi. Anche a mettere da parte i valori di una vita. Eppure il paese, e soprattutto la fascia più giovane, ha mostrato grande disponibilità e fiducia verso la ricerca, nonostante lo stato abbia attivato una comunicazione ambigua, scivolosa, completamente a danno della cittadinanza più giovane.

    Qualche numero e qualche dato a supporto di questa tesi: i tentativi di suicidio tra i ragazzi sotto i 16 anni a causa della pandemia sono raddoppiati: nel mese di aprile 2020 il 61% delle consulenze neuropsichiatriche ha riguardato «fenomeni di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio», con un aumento quasi doppio rispetto al 36% dell’aprile 2019. L’Italia è l’unica nazione europea dove per andare a scuola serve il Greenpass, compresi i genitori, se vogliono entrare e andare a prendere il bimbo che non sta bene. In inghilterra e Danimarca stanno togliendo la certificazione, noi invece la innalziamo. Sulle vaccinazioni non si trovano garanzie né informazioni precise, nessuno che si prenda responsabilità precise, si deve firmare per vaccinarsi.

    Ora io mi chiedo. Ma davvero? Se un lavoratore, pubblico o privato, che si è già ammalato e che è già guarito, viene di fatto obbligato a fare il vaccino lo stesso, sennò perde il lavoro ed i soldi dello stipendio, e deve pure acconsentire e firmare nel caso ( remotissimo? Chissà. 1 caso su 30.000) di reazione avversa? In pratica teniamo per le palle una generazione. O ti vaccini o ti licenzio. Miele e musica per le orecchie di confindustria, non vi pare?

    I rischi sono minori rispetto a benefici, questo ti dicono. E sia ben chiaro, ci crediamo: si evita la malattia in forma grave oltre una certa età, ed i numeri lo confermano. Eppure le responsabilità in caso avverso se le prende il cittadino, non di certo lo stato o il medico di turno. Sei una donna in stato di gravidanza di questi tempi? Auguri: due donne in gravidanza su tre non hanno assunto il vaccino anti-Covid per paura di possibili eventi avversi sul bambino. D’altronde in questo caso I medici non si assumono alcuna responsabilità, nè vogliono prendersela. Non solo aumentano i ricoveri di future mamme, ma da quando è scoppiata la pandemia è raddoppiato il numero di nati prematuri.

    E ancora: Il TAR dà ragione al Comitato per l’accesso ai documenti Aifa, relativamente la negazione di accesso agli atti, relativamente a una riunione tenutasi nell’autunno del 2020 tra Aifa e la società Eli Lilly, produttrice di anticorpi monoclonali, che aveva proposto una sperimentazione gratuita all’Italia che fu invece rifiutata. Viene naturale, senza per forza essere dei complottisti no-vax, chiedersi perchè mai è stata rifiutata.

    Secondo Klaus Stöhr, virologo ed epidemiologo tedesco che per 15 anni ha lavorato per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), fra l’altro come coordinatore della ricerca sulla Sars ), non ha senso vaccinare gli adolescenti contro il Covid, perché il rischio che corrono con la malattia è molto basso e il preparato che viene inoculato non è ancora da tempo sufficiente in circolazione per scartare la possibilità di conseguenze gravi. Si, ma in Italia chissenefrega. Qualche genio ha addirittura ipotizzato la dismissione della mascherina per classi di alunni tutti completamente vaccinate. Una follia imbarazzante.
    E non è finita, ci sarebbero altre centinaia di criticità rispetto il Greenpass e vaccini che riguardano la scuola, categorie di lavoratori che in mensa no, ma che al lavoro stanno gomito a gomito, verifiche ambigue del Greenpass per le persone trans. Ogni criticità evidenziata, ogni possibile alternativa, viene tacciata come ignoranza no-vax, con una pressione mediatica senza precedenti. Seriamente, io lo ritengo del tutto inaccettabile.

    Come ultimo dato, ma non meno importante, vorrei citare l’interrogazione al parlamento europeo del 25 agosto 2021 con oggetto “ritiro autorizzazione dei vaccini ” disponibile a questo link https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/P-9-2021-003960_IT.html (e salvato in formato PDF per memoria storica in caso di successiva cancellazione)
    “ L’UE ha autorizzato i vaccini per il COVID-19 per uso di emergenza, in via condizionata, con revisione di 6 settimane dei dati di sicurezza post-vaccinazione(1). Ad oggi, EUDRAVIGILANCE ha ricevuto circa 20mila segnalazioni di decessi probabilmente correlati ai vaccini e circa 700mila di reazioni avverse, il 9% delle quali gravi, dati sottostimati rispetto all’entità reale degli effetti avversi vista l’assenza di sorveglianza attiva. Di recente, l’EMA ha aggiornato la lista di reazioni avverse ai vaccini con nuove patologie(2). Inoltre, l’andamento dei contagi fra soggetti vaccinati in Paesi come Israele e Regno Unito dimostra come gli stessi vaccini non siano efficaci contro le varianti oggi prevalenti. Rimangono ignote le possibili reazioni a lungo termine ai vaccini a mRNA, mai autorizzati prima per gli umani(3). Ciò premesso, può la Commissione far sapere se intende: 1. revocare o sospendere l’autorizzazione all’utilizzo di tali vaccini per assenza dei requisiti di sicurezza e di efficacia nel prevenire infezioni e contagi dal virus Sars-Cov2; 2. autorizzare l’utilizzo dei farmaci dimostratisi efficaci nella cura del COVID-19 come l’Ivermectina e di protocolli di terapia domiciliare precoce su larga scala; “
    La risposta a queste domande dovrebbe essere imminente. Personalmente, la attendo con grandissimo fervore.

    • Il Barbuto

      Ciao Giovanni, grazie per il tuo chiaro e sostanzioso contributo. In effetti lo abbiamo notato in molti (molti tra i pochi) che l’asticella della comunicazione-degrado main stream (che tocca punte da fake-news) si è alzata parecchio. Ciò va di pari passo con la ormai pluridecennale tendenza governativa a marginalizzare il pluralismo politico-istituzionale (pensiamo, per fare un esempio, a come sono state trattate le politiche regionali in fase pandemica, nonostante la “recente” riforma costituzionale che, invece, devolve – anche in materia sanitaria – competenze alle regioni e funzioni ai comuni) e ad accentrare. Il tentativo di riforma costituzionale renziano andava in questa direzione. Poi, con la questione covid (e, in questi anni, con tutte le svariate “emergenze”) ci si è resi conto che è più facile accentrare di fatto, senza istituzionalizzare, affidandosi a presunti comitati tecnico-scientifici (emblematico è l’esempio della gestione emergenziale della questione xylella in Puglia) che, però, sono guidati a loro volta da decisioni politiche, ingenerando – appunto grazie alla comunicazione mediatica – nella popolazione l’idea che quelle scelte sono supportate da una presunta “scienza” e portando numerosi intellettuali di sinistra ad aderire ad uno scientismo senza un minimo di critica di fondo.
      In questo quadro si accettano come “razionali” anche provvedimenti che, come ben dici, hanno un fondo di irrazionalità e discriminazione: il lasciapassare serve per accedere ai luoghi di cultura ma non a quelli di consumo. In entrambe le situazioni, comunque ci vado distanziato e con la mascherina addosso. Se questi due requisiti – prima del vaccino – bastavano per ridurre sensibilmente i rischi di contagio (rischi che, all’aperto, si riducono ancora di più), oggi non bastano più: occorre un ulteriore requisito, il vaccino. Ma chi glielo spiega ad un non vaccinato che oggi non è più sufficiente portare la mascherina e tenersi distanziato? Chiaramente ti risponderà che se questo valeva fino a qualche mese fa, cos’è cambiato oggi? Anzi, oggi dovrebbe avere più senso “accettare” una piccola sacca di non vaccinati, perché il grosso comunque è protetto. No. Non basta.
      Giorni fa parlavo proprio di questo con una persona che, sin da giovane, ha sviluppato forme di intolleranza a diversi tipi di farmaci. Mi raccontava che ogni cura che le propinavano per svariate patologie di cui soffre era un pericolo: partiva da sudorazioni fredde, febbre, capogiri, sbalzi di pressione, insomma, stava una chiavica. In numerosissime visite mediche le dicevano che sì, le allergie più o meno si possono individuare (non tutte, non sempre, con risultati spesso sballati), ma le intolleranze no. Non ci sono gli strumenti per individuarle, anche perché entrano in scena processi psicologici la cui interazione è difficile da interpretare.
      Morale della favola: a questa persona nessun medico rilascerà mai un certificato che dimostri il suo stato di “intollerante ai farmaci”. Di conseguenza nessuna esenzione dal vaccino è contemplata.
      Non ci troviamo davanti ad un no-vax che, per svariati motivi, rifiuta il vaccino.
      Questa è una persona perfettamente integrata (nell’accezione data da Eco tra “apocalittici” e “integrati”), ma oggi vive in una zona grigia e inizia a porsi dei dubbi sulla razionalità delle politiche di vaccinazione.
      Spiegargli che questa irrazionalità è sistemica, ha un’origine economico-culturale nell’ideologia borghese e neo-liberista è complesso. Ti risponderà seguendo proprio quegli schemi che quell’ideologia ha prodotto nelle masse: se i no-vax in salute si vaccinano e si arriva ad una % elevata di vaccinati, io non corro rischi e il green pass lo tolgono, così ritorno alla vita normale.
      Ciò riflette sostanzialmente il discorso che fai sull’egotismo degli anziani/pensionati/quella generazione che ha reso possibile ottenere maggiori diritti, con la lotta di classe, ma poi ha aderito acriticamente al richiamo del consumo, come lo spiegava magistralmente Pasolini nel suo articolo sui capelloni o nella strutturazione della dicotomia fascismo / fascismo consumistico (una mia riflessione sul punto: https://www.ilbarbuto.blog/2018/06/14/fascismo-storico-e-fascismo-consumistico/)
      Queste persone si sono lasciate ammaliare dal consumo. Rispetto ai giovanissimi, che sono nati in questo mondo e non hanno esperienze di “altri mondi possibili”, hanno una responsabilità in più: quei mondi possibili li conoscevano. Anzi, sono scesi in piazza per ottenerli.
      Questo processo feticista ha sviluppato un’accelerazione con il covid e personalmente questi elementi di politica vaccinale (gp, lockdown generalizzato, mascherine all’aperto, ecc.) li interpreto come cretinate sparate lì a cazzo, poi vediamo che succede. Una sorta di grande esperimento sociale – sulla falsariga di quelli effettuati dai gestori dei social network – per alzare sempre più l’asticella dell’erosione dei diritti e della manipolazione dei comportamenti di massa. Gli esperimenti che trovano più riscontro sono quelli destinati poi a durare nel tempo e, come ogni erosione che si rispetti, consumano gradualmente l’area dei diritti, fino ad arrivare all’osso.
      Oggi, in sempre minor tempo rispetto al passato. Anche grazie ai social.

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