Ovvero un’analisi semiseria su come il fascismo fascista non abbia mai intaccato la cultura di fondo degli italiani, mentre il vero fascismo lo stiamo vivendo da 40 anni.

Negli ultimi mesi leggo continuamente articoli che fanno parallelismi tra l’attuale situazione politica in molti paesi europei e, in particolare, in Italia e il fascismo. Addirittura si arriva a fare paragoni con il nazismo, come nel caso attuale della nave aquarius.
Nel dibattito politico e in molti interventi di svariati intellettuali nostrani il richiamo al pericolo del ritorno del fascismo è sempre in primo piano, tra un commento su Salvini che chiude i porti e un altro sulla libertà d’informazione, sempre in pericolo e sempre in basso nel ranking mondiale. Peccato che il fascimo fascista, come lo avrebbe definito il compianto e sempre poco studiato Pasolini, non è stato tutto sto granché, anzi, non è stato proprio un vero fascismo, semmai la parodia di ciò che doveva rappresentare. Le rigide e classiche categorie sociali non furono scalfite: la civitas continuava a produrre borghesia spiccia e la civiltà contadina continuava a sfornare cafoni, così come prima del fascismo, per secoli, nonostante il mutare degli equilibri politici mondiali o il morire e nascere di nuovi regni.

Semmai il fascismo fascista produsse maschere antropiche utili a fornire ai primi (i borghesi) nuovi strumenti per estendere la propria egemonia e ai secondi (i cafoni) nuove aspettative di trovare un lavoro. Del resto era sufficiente indossare una camicia nera al di sotto della quale tutto restava immutato.

L’omologazione che il fascismo storico provò a compiere si rifranse sugli scogli di una cultura duale talmente radicata da risultare inscalfibile. Gli italiani, del resto, per secoli hanno acquisito la capacità di adattarsi alle profonde mutazioni geo-politiche, tanto che il detto Franza o Spagna purché se magna è la summa dell’italico pensiero: non importa chi governa, l’importante è sopravvivere. Il fascismo fascista non comprese tutto ciò, a differenza del fascismo consumistico, che, usando le parole di Pasolini in Scritti corsari, è “tutto volto alla conquista di mercati: cioè di nazioni allegre, abbastanza libere, abbastanza tolleranti, perfettamente edonistiche, per niente militaristiche e per niente sanfedistiche (tendenze, queste, incompatibili col consumo)”.

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Anche il fascismo democristiano, che ha regnato per decenni, non ha saputo cogliere la distruttiva tendenza edonistica portata avanti dalla società dei consumi e ne è stato travolto. Mani Pulite o qualsivoglia altro fenomeno avrebbero spazzato via un partito che ormai aveva perso qualsiasi connessione con la storia.

Il clerico-fascismo

Anche la Chiesa, nella sua immutabile egemonia culturale, sopravvissuta a qualsiasi sconvolgimento geo-politico, ha dovuto chinare il capo davanti ad un turbo-capitalismo che, nel giro di pochi anni, l’avrebbe spazzata via. Ed è questo il motivo principale per cui Benedetto XVI, fermo sostenitore della dottrina della Chiesa, profondo conoscitore della teologia e risoluto nel propugnare l’insegnamento del magistero in materia di dottrina e di fede, ha dovuto cedere il passo ad un Papa più comunicativo, più trendy e più capace di reggere il soglio pontificio in attesa di una ristrutturazione della Chiesa nell’ottica dell’edonismo imperante. O si fa così oppure la chiesa muore, questo potrebbero aver pensato gli alti prelati poco prima dell’elezione papale di Francesco I. Tutto ciò, come ho avuto modo di dire in altri articoli, è stato perfettamente compreso da un Papa come Paolo VI, che già 40 anni fa si preoccupava delle ripercussioni che il capitalismo avrebbe provocato in seno alla società e alla Chiesa. Dunque il clerico-fascismo, a differenza del fascismo fascista, è sopravvissuto per secoli, ma oggi è – almeno momentaneamente – scomparso e non rappresenta più un pericolo per il fascismo consumistico, anzi, ne è stato integrato.

Il fascismo consumistico

Scriveva Pasolini, circa 40 anni fa: “Milioni di italiani hanno fatto delle scelte (abbastanza schematiche): per esempio molti milioni di italiani hanno scelto il marxismo, o quanto meno il progressismo, altri milioni di italiani hanno scelto il clerico-fascismo. Tali scelte, come sempre avviene, si sono innestate in una cultura. Che è appunto la cultura degli italiani. La quale cultura degli italiani è frattanto, però, completamente cambiata. No, non nelle idee espresse, non nella scuola, non nei valori portati coscientemente. Per esempio, un fascista «modernissimo», cioè manovrato dalla espansione economica italiana e straniera, legge ancora Evola. La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell’esistenziale, nel concreto. Il cambiamento consiste nel fatto che la vecchia cultura di classe (con le sue divisioni nette: cultura della classe dominata, o popolare, cultura della classe dominante, o borghese, cultura delle élites), è stata sostituita da una nuova cultura interclassista: che si esprime attraverso il modo di essere degli italiani, attraverso la loro nuova qualità di vita”.

Ebbene, il fascismo consumistico non tollera le classi, perché per ogni classe è costretto ad utilizzare un linguaggio diverso, proveniente da una cultura diversa. Il fascismo consumistico è interclassista, preferibilmente omologante e globalista, così è più facile promuovere con pochi click la cultura del benessere e dell’edonismo. Il fascismo consumistico non reprime più i diritti individuali, anzi, li propugna. Reprime, però, i diritti sociali e collettivi, perché rappresentano un pericolo per la tenuta del sistema.

il fascismo consumistico mette in risalto la sfarzosa ricchezza di personaggi famosi e vi instilla nella mente che quelli sono miti da adorare, non da combattere, anzi, vi esorta a diventare come loro e vi propone gli strumenti per farlo: lotterie, soldi facili e false speranze della new-economy. Se non riuscite a raggiungere il sogno della ricchezza non è colpa del sistema, ma siete voi gli incapaci e sfortunati, costretti a vivere nel disagio di una vita normale e nella sempre più crescente depressione sociale.

Il fascismo consumistico ha logorato la classe media, perché è implicitamente votato a produrre squilibri. Non è colpa dell’euro né dell’incapacità dei politici né della pressione fiscale. La responsabilità è del fascismo consumistico, che attraverso la creazione di nuovi bisogni e il principio di scarsità (e quindi di valore), fa di voi degli schiavi, costretti a fare la spesa al discount, comprando porcherie, mentre propone a chi ha i mezzi il lusso di mangiar sano (cosa assolutamente normale nella Civiltà contadina). Perché il fascismo consumistico tende alla massimizzazione del profitto e all’abbattimento dei costi. La classe dirigente, che dovrebbe salvaguardare la salute pubblica, è invece uno strumento nelle mani del fascismo consumistico, il quale, mentre vi convince che il benessere è l’unico obiettivo e che l’aspettativa di vita cresce, minimizza il fatto che ciò che ingurgitiamo tutti i giorni lentamente ci fa ammalare, a spese di un servizio sanitario nazionale che, però, diventa sempre più privato. Il fascismo consumistico, quindi, è per la salute privata, non pubblica, perché il diritto alla salute è solo per chi può permetterselo.

Il fascismo consumistico, poi, mentre s’installa nei territori da cui trae le materie prime per poter sopravvivere, impone ai suoi abitanti di fuggire via e di ripopolare quell’Occidente che ha bisogno di forza lavoro per poter alimentare il fascismo consumistico, perché se si dovesse riconoscere il giusto salario a tutti i lavoratori, il sistema salterebbe. Quindi occorre sempre trovare nuove risorse da impiegare per restare competitivi sul mercato e ricattare quei pochi lavoratori che, invece, parlano ancora di diritti collettivi da tutelare. Quei diritti che, ricordo, sono temuti dal fascismo consumistico e oggi sono derisi, come sono derisi quei sindacati che ancora resistono (mentre altri sono entrati a piè pari nel fascismo consumistico).

Dunque il fascismo consumistico aleggia intorno a noi, rappresenta la vita che viviamo ogni giorno. Se vogliamo trovare un responsabile, costui è diffuso, si trova ovunque: nelle Aziende, nelle multinazionali (spauracchio degli antifascisti ma fascisti anch’essi), nella finanza internazionale ed europea, nella politica (strumento, a volte inconsapevole a volte no, del fascismo consumistico), in noi stessi che, nel nome del benessere, abbiamo abiurato i cattivi fantasmi del passato, fatti di fame, miseria e civiltà da seppellire nel rifiuto di una cultura borghese e proto-clericale che, beh, ha fatto anche lei i suoi danni.

Insomma, quando sento parlare di fascismo riferito ad un ventennio che poco ha influenzato la cultura italiana e i codici comportamentali, non posso che sorridere, ma si tratta di un sorriso amaro, perché ciò vuol dire che, in fondo, non abbiamo capito proprio niente del vero fascismo, che ci è piombato addosso e che pervade ormai le nostre vite. Quindi quei richiami al fascismo fascista per me rappresentano solo una proiezione storica falsata e, quindi, mero folklore.

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