In ricordo di Renata Fonte

Quarant’anni fa, come oggi, ci lasciava Renata Fonte, uccisa dai suoi stessi compagni di partito per aver tentato di difendere la bellezza dei suoi luoghi. Era la prima donna in politica, in un Salento costellato da figure politiche maschili e tradizionaliste, una donna che aveva un progetto politico chiaro: Lasciare in eredità ai nostri figli e alle generazioni future un mondo degno di essere vissuto.

Foto in copertina presa da qui.

Renata Fonte

Nata a Nardò il 10 marzo del 1951 e morta a Nardò il 31 marzo 1984.

Dopo aver studiato al liceo classico di Nardò, non conseguì il diploma perché si fidanzò con l’uomo che, poi, sarebbe diventato suo marito. Sottoufficiale dell’Aeronautica militare, si spostava di sede in sede e lei decise di seguirlo. Fu così che visse tra la Provincia di Como e la Sardegna.

Il marito venne poi trasferito a Brindisi e lei potè tornare nella sua Nardò, dove ultimò gli studi.

Studiò lingue e letteratura straniera all’Università di Lecce per poi abilitarsi ed insegnare alle Scuole Elementari di Nardò.

Renata Fonte in politica

Nel contempo iniziò la militanza nel Partito Repubblicano, partito in cui si impegnò sin da subito, dimostrando tenacia e una chiara visione politica, dirigendo il Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio.

Nello stesso periodo in cui Peppino Impastato denunciava le speculazioni edilizie nella sua Cinisi, attraverso Radio Aut, lei faceva altrettanto, denunciando i tentativi di lottizzazione del parco di Porto Selvaggio attraverso Radio Nardò Uno.

Fu infatti in grado di influenzare l’opinione pubblica e fermare da sola un piano regolatore che avrebbe sottratto 70 ettari allo splendido parco di Porto Selvaggio per farne un villaggio vacanze.

Progetto, del resto, voluto proprio dai suoi stessi compagni di partito.

Il suo impegno per la causa le permise di opporsi alle speculazioni edilizie promuovendo il procedimento di dichiarazione del Parco naturale regionale, che pose un vincolo assoluto di inedificabilità all’intero bosco di Porto Selvaggio.

Cosa avvenuta con L.R. 21 del 1980.

Renata, forte del risultato ottenuto, si candidò alle elezioni amministrative del 1982 e fu eletta con talmente tanti voti da costringere il suo partito a nominarla assessore, la prima donna assessore di Nardò.

Prima ricevette la delega alle finanze e poi quella alla pubblica istruzione, cultura, sport e spettacolo.

Nello stesso periodo entrò nel direttivo provinciale del partito e divenne anche responsabile per la provincia del settore cultura.

Fu anche una grande attivista dell’UDI (Unione Donne Italiane), in cui si impegnò attivamente per promuovere la parità di genere e a difesa dei diritti delle donne, in un contesto, quale quello salentino degli anni Settanta e Ottanta, dominato da un patriarcato duro a morire, nonostante il prorompere in Italia del femminismo militante.

L’omicidio di Renata Fonte

Nelle elezioni amministrative del 1982 Antonio Giovanni Spagnolo, un collega di partito di Renata Fonte, risultò il primo dei non eletti.

Lui era il personaggio che, insieme ad altri, progettava la lottizzazione di Porto Selvaggio e le speculazioni edilizie da cui, sicuramente, ne avrebbe tratto vantaggio (attraverso tangenti e altre utilità).

Il suo intento, insieme a quello dei palazzinari locali, era di creare una serie di villaggi turistici, alberghi e strutture ricettive proprio nel cuore di Porto Selvaggio. Non solo nel bosco di Porto Selvaggio, ma i progetti coinvolgevano diverse altre località dell’ampia marina di Nardò (che, va ricordato, parte da Santa Maria al Bagno e arriva quasi a lambire i confini con la Provincia di Taranto, escluse le aree di competenza del Comune di Porto Cesareo, che divenne tale solo pochi anni prima).

Una sera del 31 marzo 1984, Renata stava rientrando a casa, finita una seduta del consiglio comunale, passando sotto ai portici di corso Galliano a Nardò.

Due tizi l’avvicinarono, minacciandola di desistere dal continuare la sua battaglia. Non si sa come avvenne il fatto, ma si udirono tre colpi di pistola. Tutti diretti alla testa.

Lasciava così, a 33 anni, due figlie, una di 15 e una di 10 anni.

Il processo

Il 16 marzo del 1987, tre anni dopo l’omicidio, arrivò la prima sentenza della Corte di Assise di Lecce, depositata dal presidente Domenico Angelelli e dal giudice istruttore Luigi de Liguori.

Fu confermato che Renata Fonte fu uccisa per aver ostacolato fattivamente i tentativi di speculazione edilizia di Porto Selvaggio da parte di Antonio Giovanni Spagnolo, condannato all’ergastolo.

L’uomo fu definito dai giudici come

capace dunque di passare – letteralmente! – sul cadavere del suo avversario pur di raggiungere un obiettivo; è il trait d’union più idoneo anche per quella ignobile fauna di pseudo industriali, possidenti, imprenditori edili, “benestanti” che attraverso di lui cercano di realizzare sempre più grandi profitti. (fonte Repubblica, 1987)

Antonio Giovanni Spagnolo era il principale soggetto che poteva trarre profitto da quella vicenda. Difatti, dopo la morte di Renata Fonte, subentrò in Consiglio comunale e ne ereditò l’assessorato.

Tra l’altro, per inciso, lo Spagnolo era originario di Veglie (LE), dove aveva anche diversi possedimenti. E’ morto nel 2022, a 92 anni, nella sua casa e nel paese non v’è nemmeno una targa che onori la memoria di Renata Fonte. Cosa non dovuta, di più, anche per lanciare un segnale che il paese sa da che parte stare. Invece, ad oggi, nonostante numerosi solleciti da parte dei cittadini più solerti, le varie amministrazioni locali che si sono succedute non hanno avuto interesse a farlo. Semplice disinteresse oppure sintomo di una malattia che affligge la memoria storica?

Torniamo, appunto, alla storia. I giudici leccesi dichiararono che vi erano altri mandanti. Mandanti che cospiravano nell’ombra ma non vennero mai identificati.

Oltre al mandante, Spagnolo, i giudici condannarono i cosiddetti mandanti di secondo livello (cioè il tramite tra il mandante principale e gli esecutori). Nonché gli esecutori materiali.

Giuseppe Durante e Marcello My furono condannati come esecutori materiali.

Mario Cesari e Pantaleo Sequestro furono condannati come mandanti di secondo livello.

La Corte d’appello, con Sentenza del 5 febbraio 1988 confermò il primo grado. La Corte di Cassazione, con Sentenza del 8 novembre 1988 confermò quella di secondo grado.

Era mafia o non era mafia?

Si è discusso molto sul fatto se quello di Renata Fonte fosse un omicidio di mafia o meno. Tecnicamente non lo era, perché non pare, dalla verità giudiziaria, che siano stati coinvolti soggetti appartenenti a cosche mafiose.

Tuttavia il codice penale, nel 1982, quindi due anni prima dell’omicidio di Renata Fonte, ha introdotto l’art. 416 bis, che recita

L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Dunque sì, l’omicidio di Renata Fonte è configurabile come “di stampo mafioso”, il ché non significa “di mafia”, ma vuol dire che chi l’ha uccisa ha usato gli stessi metodi che usa la mafia classica. Cioè il vincolo associativo, per ottenere il controllo di autorizzazioni al fine di ottenere vantaggi ingiusti.

Tuttavia, nonostante fosse chiaro e lampante che uccisero Renata Fonte usando un metodo mafioso, solo nel 2002 la Commissione del Dipartimento Affari Civili del Ministero dell’ Interno ha riconosciuto il carattere di vittima di criminalità mafiosa alla donna.

Il suo sacrificio è stato inutile?

Grazie a Renata Fonte oggi è possibile godere di un angolo di paradiso a due passi dalle marine di Nardò e infatti Porto Selvaggio è meta di numerosi turisti che godono della bellezza di un bosco incontaminato vicino a un mare cristallino ed un pezzo di scogliera di struggente bellezza (e culla della civiltà uluzziana, va detto).

Tuttavia il suo sacrificio potrebbe essere stato vano se non ci si oppone a nuove forme di speculazione, oggi in atto. Il sacrificio di una donna non ha solo valore simbolico. Il simbolo, se non viene riattualizzato, muore, diventa solo sterile ricordo e preda facile di revisionismi.

Oggi numerose aziende stanno premendo per distruggere la bellezza del Salento. Dall’eolico selvaggio (di cui ne ho parlato qui), all’ampliamento della pista Porsche di Nardò (di cui ne ho parlato qui).

E, sia detto, il sindaco di estrema destra Pippi Mellone, che ogni anno pone i fiori sul monumento a Renata Fonte, o che approva i murales a suo ricordo, è lo stesso che ha approvato, senza battere ciglio, il disboscamento del bosco dell’Arneo.

Una scelta politica che stride con le dichiarazioni di facciata che ogni anno il sindaco fa in suo ricordo, tipo

Oggi come ieri e forse più di ieri – dicono il sindaco Pippi Mellone e il presidente Andrea Giuranna – Renata è un patrimonio di valori che non bisogna disperdere. Il suo impegno politico e sociale, il suo sacrificio personale, il suo esempio di donna-baluardo a difesa del territorio, sono bussole dell’agire quotidiano per ognuno di noi. Con orgoglio onoriamo la sua memoria

Come fai ad onorare la memoria di una donna che ha speso la sua vita per difendere un bosco se poi approvi la distruzione di un altro bosco, nel tuo territorio?

E con questo interrogativo vi lascio onorare una memoria. Con l’augurio che possa riattualizzarsi.

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