Global tax: differenze tra Noi e Loro

Banda bassotti e global tax

Una brevissima analisi sulle differenze tra noi e loro. Dove “noi” siamo il popolo dei lavoratori, cui lo Stato porta via, tra tasse, imposte, dirette, indirette, addizionali, contribuzione, bolli e chipiunehapiunemetta, a chi un terzo a chi più della metà del reddito o del salario. “Loro” sono le Società transnazionali, specie del settore digitale, che … Leggi tutto

Sorry we missed You, sfruttamento a cascata e grande rimosso

Adil Belakhdim e sfruttamento a cascata nella logistica

Un sindacalista viene ucciso, durante una manifestazione, da un autista di un’azienda di trasporti. Ma di chi è la responsabilità? Dell’investitore, certo. E poi? Degli sfruttatori del settore della logistica. E basta? Manca il grande rimosso, che si lava la coscienza e non si sente mai tirato in causa. Un moto di rabbia, impotenza e … Leggi tutto

Amazon prime è il male

amazon prime, foto tratta da Il Manifesto

Amazon Prime è il male?! Che esagerazione! Penserà qualcuno. Un titolo così brutto Amazon non se lo merita proprio, perché ci coccola, ci tratta bene e ci offre prodotti a buon prezzo e spedizioni velocissime! Lasciate che vi racconti una storiella per capire il perché di un titolo così forte, provocatorio, ma reale, in quanto … Leggi tutto

Le illusioni dell’economia digitale

economia digitale

Quasi ogni giorno leggo di come l’economia stia cambiando e di come stia prevalendo il sistema economico basato sulla produzione di dati rispetto al vecchio modello basato sulla produzione di merci. Ogni giorno leggo che l’industria 4.0 si sviluppa sempre più e sempre più presto sofisticati macchinari, messi in rete e inteconnessi tra loro, sostituiranno il lavoro manuale, mentre il vero valore verrà prodotto dallo scambio e dalla trasformazione di dati.

I big data sono quindi il vero capitale diffuso nell’economia digitale, di cui ognuno di noi ne detiene una parte e che solo attraverso la loro raccolta, catalogazione, trasformazione, interpretazione, riduzione in sintesi, generano valore, un valore enorme. Già, perché il tuo indirizzo di casa, i tuoi gusti gastronomici, i film che ti piace guardare, i libri che ti piace leggere o la musica che ascolti, persino le conversazioni che fai sui social, vengono raccolti e ti viene creato un profilo che diventa un profilo comune ad altri quando gli stessi gusti coincidono, quindi vieni, appunto, profilato, interpretato e rivenduto agli inserzionisti o alle holding che detengono buona parte delle app che utilizzi.

Di questo ne sei più o meno consapevole e più o meno consapevolmente clicchi su accetto quando, prima di usare il servizio, ti vengono presentate le condizioni d’uso. Chiaramente tu hai bisogno di ordinare su Amazon o di prenotare la pizza su Just Eat, quindi accetti a occhi chiusi, tanto sai che oggi funziona così, che i tuoi dati li raccolgono, e sai anche che tutto ciò non ti crea pregiudizio, anzi, sai benissimo che queste soluzioni tecnologiche fanno bene alla società, perché facilitano la vita.

Ma per rendere facile quel servizio, qualcuno dietro ci deve lavorare: deve scrivere codici, produrre, impacchettare e consegnare la merce. Per rendere sempre più economico ma al contempo di qualità il servizio, l’azienda che lo offre deve pur risparmiare su qualcosa. Su cosa? Sui fornitori e sui lavoratori. E i fornitori, a loro volta, risparmieranno sui propri lavoratori. L’illusione della meccanizzazione e dell’efficienza si basa su un semplice concetto: sfruttare.

Per convincerti ancora di più e per distogliere l’attenzione sullo sfruttamento ti diranno che tutto ciò è un bene, che tu crei valore e fai crescere l’economia, che i lavori faticosi e umilianti presto verranno sostituiti dalle macchine, da sofisticatissimi robot che si occuperanno di tutto: di impacchettare e consegnare merci, di raccogliere pomodori e verdura, o di gestire i tuoi ordini in tempo reale. E credi sia un bot che risponde alle tue mail inviate alle 2 di notte? O credi sia un algoritmo che automaticamente ti fornisce i risultati di ricerca sulla SERP di Google?

Quante volte alla tv hai visto gli esperimenti di Amazon di consegnare i pacchi con i droni? O i tentativi di Google di far guidare le auto da sole? Quante volte ti hanno detto che le sofisticate catene di montaggio non hanno più bisogno di operai? E ti fanno vedere anche come si possono coltivare ettari di terreno solo con un trattore guidato da una sola persona. Figo, no?

Peccato che son tutte cazzate. Tutte.

Nel sottobosco dove pochi coraggiosi s’avventurano, nei degradati bassifondi dove al solo pensiero di imboccarli cambiamo strada, nelle puzzolenti fogne della più tecnologica delle smart city, dove tutto appare perfetto e automatizzato, insomma, nelle periferie della civiltà c’è un umanissimo esercito in carne e ossa di sfruttati dall’economia digitale, tenuti ben nascosti nelle proprie camerette, in magazzini gestiti come caserme, in aperta ma recintata campagna o mischiati tra la chiassosa gente cittadina in sella a bici e scooter, che fanno il lavoro sporco e ci regalano l’illusione dell’automatismo. E quando noi vediamo i rider girare come pazzi in bici, diamo più importanza all’aspetto ambientale e salutistico (non inquinano e si mantengono in forma) più che allo sfruttamento che ci sta dietro.

Noi clicchiamo su conferma ordine, paghiamo e vediamo il nostro pacco arrivare a casa, senza curarci che nei magazzini di Amazon si consuma lo stesso orrore delle catene di montaggio di fordiana memoria, con persone che hanno i passi e i minuti contati, con algoritmi anonimi che impongono loro determinate performance, con ranking che li collocano in alto o in basso alla classifica in base a quanto sangue e sudore buttano su un pacco e che pregiudicano l’entità del loro stipendio. Lo stesso avviene per le app che consegnano il cibo (Fedora, Just Eat, ecc.), le quali si basano su una larga fetta di lavoratori, spesso assunti con contratti di collaborazione occasionale o con P.IVA il ché permette loro di sfruttarli senza riconoscere i diritti minimi sindacali (salario minimo, ferie, malattia, tredicesima, ecc.) e riconoscendo uno stipendio ancorato al lavoro svolto: più lavori e più ti pago. Insomma, un cottimo, ma 2.0 (per approfondire V. quest’articolo sulla gig economy).

Per addolcire la pillola e farci accettare lo sfruttamento, chiamano questi lavori con un nome evocativo: gig economy, ossia economia dei lavoretti. In pratica vogliono illuderci che si tratta di semplici lavoretti, giusto per arrotondare. Ma dalle parti mie uno arrotonda quando ha già un lavoro e ha bisogno di un’entrata extra, mentre per questi qui è un lavoro a tempo pieno, però pagato come fosse un lavoretto. Qualcosa, quindi, non quadra.

Un lavoro a tempo pieno, ma svolto di nascosto, senza l’ingombro delle tutele sindacali e senza il fastidio del rapporto diretto tra padrone e operaio.

In un mio vecchio articolo questo sistema basato sull’economia digitale l’ho chiamato turco capitalismo, rievocando il turco meccanico, una complessa scacchiera che dava l’illusione di essere automatica, ma in realtà era gestita da un essere umano nascosto al di sotto di essa (approfondisci). Curiosamente questo vecchio modello è stato applicato dai big della rete, tra cui Amazon e Google.

Prendiamo, ad esempio, i lavoratori di Google.

Google ha un esercito di sviluppatori, analisti, segretari, revisori sparsi per il globo, che lavorano da casa. Ti illudono che l’immenso mondo Google sia concentrato nella maestosa sede di Mountain View e che ognuno di loro sia contrattualizzato, ma le cose non stanno così. Da soli non riuscirebbero a gestire tutto quanto, ecco che entrano in scena i turchi meccanici.

Ognuno di questi turchi meccanici ha il compito di analizzare le ricerche che facciamo ogni giorno, adattare i risultati alle ricerche, moderare i contenuti, scrivere codice per migliorare l’algoritmo che gestisce i risultati, gestire la miriade di prodotti creati da Google (maps, calendar, task, drive, ecc.ecc.), il tutto da casa, davanti al proprio PC. E’ un lavoretto? No, è un lavoro vero e proprio che spesso richiede ore, giorni o addirittura mesi di lavoro, ma è pagato pochissimo ed è governato dalla solita legge del ranking: se il tuo lavoro è apprezzato dagli utenti, ti pago, sennò ciccia. Quindi se ti sbatti per 12 ore al giorno davanti a un codice, ma gli utenti valutano male il servizio di Google su cui hai lavorato, addio soldi. E’ chiaramente un pretesto, ma è basato su un ranking e un algoritmo obiettivo, inseriti in una piattaforma digitale con cui lo sviluppatore (o, più in generale, il lavoratore autonomo) s’interfaccia.

Se proprio vogliamo dirla tutta, la nuova frontiera dell’economia digitale non è tanto l’automazione, quanto il rapporto tra l’umano (il lavoratore) e una macchina, un algoritmo, una piattaforma. Se quest’ultima ti dice che non ti paga, perché sei in basso in un ranking impostato automaticamente (ma i cui criteri sono decisi dall’azienda), con chi te la prendi? Almeno una volta ci si interfacciava con il capo reparto o con il quadro, oggi con chi ci si interfaccia? Con il proprio cellulare o PC? Una volta potevi avere il gusto di prendere a sberle il tuo capo, ma oggi non ti conviene prendertela con i tuoi dispositivi: che fai? t’incazzi perché non ti pagano e li sbatti contro a un muro? E poi ti tocca pure ricomprarli.

Ci illudiamo che presto le macchine, nell’economia digitale, sostituiranno il lavoro umano, ma sono solo cazzate. Lo gestiranno, sì, ma non lo sostituiranno mai.

Solo ci illuderanno di farlo, ci diranno che il capitalismo classico sarà sostituito dall’economia digitale, che lo sfruttamento non esisterà più, perché le macchine faranno il lavoro sporco. Ma saranno solo illusioni. Nel sottobosco, nelle fogne della fiorente civiltà degli automatismi, nelle periferie dell’impero tardo capitalista, ci sarà sempre un esercito di lavoratori sfruttati, ma tenuti ben nascosti. Tuttavia, in fondo, si tratta di lavoretti, dai. E se la pizza arriva fredda o il pacco di Amazon arriva rotto e valutiamo negativamente il servizio, chi ci rimetterà i soldi? L’azienda o il lavoratore? Ma in fondo a noi che c’importa? E’ solo un’app e il rapporto umano è limitato ad una consegna. Chi se ne fotte del sottobosco, tanto se il servizio non mi soddisfa, lascio una valutazione negativa. Io la lascio ad un’app, mentre l’algoritmo la scaricherà sul lavoratore. Nessun rapporto diretto, niente di umanamente percepibile. E’ l’approccio perfetto per concretizzare l’alienazione diffusa, per eliminare ogni forma di umano allaccio, per rafforzare il rapporto tra umano e dispositivo e far credere che dietro quel dispositivo ci siano processi di tecnologia avanzata. Sì, ma basati su sangue e sudore.

Che differenza c’è tra destra e sinistra oggi?

Renzi, Di Maio e Salvini destra e sinistra

La differenza tra destra e sinistra in Italia? Nessuna sul piano del reale. Alcune, ma solo sul piano dell’immagine.

Già dagli anni Settanta, con il progressivo imporsi nello Stato italiano (Stato da intendersi non in senso istituzionale ma come complesso di classi, ceti, Istituzioni, organizzazioni, mercato, ecc.) del capitalismo di stampo americano e della società dei consumi, anche grazie alla scelta politica del partito egemone, ossia la DC, di schierarsi con il Patto Atlantico, il PC ha dovuto giocoforza adattare la sua politica ai nuovi scenari. Così ha cercato di mantenere un precario equilibrio tra la fedeltà ad un partito che aveva adottato il modello del socialismo in una sola nazione, sciolto la III internazionale comunista, fatto fuori gli oppositori e instaurato un regime dispotico.

Chiaramente in questo quadro il PC italiano, consapevole del suo ruolo politico in Occidente, non avrebbe mai potuto appoggiare apertamente il regime sovietico e, a causa del proliferarsi al suo interno di correnti moderate e miglioriste (ossia quella che vedeva un adattamento dei principi socialisti e comunisti al capitalismo) cercò di adattarsi ai nuovi scenari, con l’obiettivo – dati i consensi ottenuti – di arrivare al governo.

Cosa che non accadde mai, nonostante il compromesso storico, a causa dell’uccisione di Aldo Moro, che aveva ormai messo a punto il compromesso per arrivare al governo con i comunisti.

Dagli anni Ottanta, soprattutto dopo la morte di Berlinguer, il PC non riuscendo mai a governare, nonostante lo storico (seppur momentaneo) superamento elettorale sulla DC, iniziò a frammentarsi fino alla fatidica svolta della bolognina nel 1990, quando l’allora segretario Achille Occhetto decise di concretizzare quella cosa di cui si parlava da tempo e aderire ai principi del capitalismo e del liberismo in chiave riformista. Fu quindi fondato il PDS (Partito dei democratici di sinistra) che, con D’Alema, divenne DS per poi arrivare, nel 2006, al PD, racchiudendo in sé anche pezzi di ex democristiani (Margherita, ecc.).

I liberisti sono di destra e sinistra!

romano prodi privatizzazioni

Tra l’avvento di Berlusconi (1994) e il suo decennio egemonico (2000-2010 circa, a parte un paio d’anni di governo Prodi dal 2006 al 2008), i DS hanno portato avanti una linea di smantellamento dello Stato sociale a tutto vantaggio del liberismo (ne ho parlato più diffusamente qui), attraverso le privatizzazioni, le liberalizzazioni (volute da D’Alema, Prodi e Bersani) e lo smantellamento delle tutele sul lavoro.

Prodi, D’Alema, Bersani che oggi vengono considerati di sinistra e quindi molti sostenitori del PD storcono il naso ad un loro possibile ingresso sono quelli che hanno privatizzato il paese, liberalizzato i servizi essenziali e fatto guerra all’ex Jugoslavia per fare un favore agli amici imperialisti. Cos’hanno di sinistra se rappresentano gli interessi dell’alta borghesia e del capitalismo e sono i naturali predecessori di Renzi?

Renzi e la destra e sinistra che si fondono

Renzi ha svolto la sua purificazione (o rottamazione, come lui la chiama) del PD solo per questioni di potere, dato che la sua politica è improntata all’ultraliberismo e, quindi, a fare favori ai rappresentanti dell’establishment europeo. Il jobs act è la prosecuzione di un programma, iniziato con Treu negli anni Novanta, per precarizzare sempre più il mondo del lavoro e consentire al capitale di accedere alla forza lavoro a costi più contenuti, di garantire la concorrenza al ribasso tra i lavoratori e di avere un ricambio della forza lavoro sempre maggiore. Il jobs act, unito ad una sempre maggiore debolezza del sindacato (che ha molte colpe, soprattutto nell’aver svenduto la classe lavoratrice per mantenere un brandello di potere) ha portato condizioni di vita peggiore alla classe lavoratrice.

La buona scuola è stato un progetto volto a ridurre sempre più i finanziamenti all’istruzione pubblica a vantaggio di quella privata. Non c’è molta differenza con le politiche del governo Berlusconi che, con le riforme Moratti e Gelmini, ha inteso destrutturare l’istruzione pubblica e rafforzare quella privata, sia nella scuola che nell’Università. La privatizzazione dell’istruzione di ogni ordine e grado, tipica di un sistema liberale e liberista, è un processo che si sta realizzando tutt’oggi e che ha coinvolto tutti i governi, da destra a sinistra.

Il ruolo del Parlamento

parlamento

Il parlamento ha la funzione di discutere le leggi e di dettare la linea politica che il Governo ha l’obbligo di realizzare. Più è ampio il Parlamento, più è rappresentativo dell’elettorato e più, in teoria, questa funzione può essere esplicata e i provvedimenti normativi sono adottati nell’interesse della Nazione. Ma se il Parlamento viene esautorato della sua funzione, il ruolo di scrivere le leggi e di adottarle nell’interesse della Nazione chi ce l’ha? Dal Governo Berlusconi ad oggi stiamo assistendo ad una costante e continua azione di esautoramento del Parlamento, il quale oggi è svuotato della sua intima funzione e fa solo da passacarte. Due sono gli strumenti più lampanti:

1. Lo strumento della fiducia. In questo modo il Governo chiede al Parlamento di votare in blocco un provvedimento, senza discussione, senza emendamenti. E’ chiaro che con un Parlamento a vocazione maggioritaria e deframmentato è più facile far passare provvedimenti senza discussioni, senza emendamenti (che, in teoria, servono a migliorare il testo), senza, cioè, far decidere ad una platea ampia e rappresentativa dell’elettorato.

2. Lo strumento della decretazione d’urgenza. I Decreti Legge sono uno strumento che consentono al Governo di adottare provvedimenti urgenti, ma in questi ultimi decenni sono stati massicciamente utilizzati per tutto: finanza, istruzione, lavoro, infrastrutture, ecc., perché consentono l’immediata efficacia ed una successiva ratifica da parte del Parlamento, il quale, di fatto, non fa altro che prendere atto di quanto deciso dal Governo.

Queste tecniche parlamentari unite al tentativo di riforma della legge elettorale e della riduzione del numero dei parlamentari serve a dare maggiore potere al Governo ed eliminare le minoranze scomode.

Destra e sinistra d’accordo per ridurre la rappresentatività popolare

Dunque i tentativi di ridurre il numero dei parlamentari e le leggi elettorali di stampo maggioritario sono esattamente funzionali a quest’obiettivo: rendere inutile il Parlamento, ridurre il numero dei parlamentari, sbarrare l’accesso alle minoranze fastidiose e rendere la maggioranza conforme alla volontà del Governo e, quindi, ai veri sostenitori di destra e sinistra liberisti: le lobby economiche.

La seconda Repubblica, iniziata dopo il crollo della DC e l’ascesa dei partiti populisti (Berlusconi è il padre di tutti i partiti populisti, M5S incluso) è caratterizzata proprio da questa funzione: aumentare il potere del Governo e ridurre il potere del Parlamento, svuotando di fatto il dettato costituzionale che vuole la centralità del Parlamento. Ecco perché Renzi ha voluto la riforma costituzionale, per sacralizzare nel testo una situazione di fatto. Ecco perché oggi il M5S vuole ridurre il numero dei parlamentari: con la scusa che così si risparmia (ma ignorando le spese pazze dei suoi parlamentari), vuole portare a compimento un percorso iniziato con Berlusconi e portato avanti da Renzi.

Il maggioritario unisce destra e sinistra. Altro che proporzionale!

Non appena terminate le elezioni europee, nel caso in cui il Governo dovesse reggere alle elezioni e dopo che il M5S avrà realizzato pienamente qual è la sua forza elettorale, si tornerà a parlare di legge elettorale e scoprirete il vero volto del M5S, che si è sempre detto favorevole al proporzionale, ma cambierà idea, coerentemente con la scelta di ridurre il numero dei parlamentari e di accentrare i processi decisionali nelle mani di pochi (e quei pochi, si sa, sono controllati da un soggetto economico, privato, inserito a pieno titolo nel sistema liberista e capitalista).

Reddito di cittadinanza e salario minimo, due cose che non cambiano la sostanza

Il reddito di cittadinanza è un contentino elettorale che non influisce sul mercato del lavoro e che grava su di esso (viene preso dai redditi dei lavoratori e dal debito pubblico), inoltre piace molto ai fautori della società dei consumi.

L’attuale “battaglia” sul salario minimo è anch’essa un contentino elettorale che però porterà i datori di lavoro ad aumentare il numero di ore di lavoro, diminuire il numero di lavoratori oppure optare per forme di lavoro più flessibili (contratti a tempo determinato, false P.IVA, ecc.).

Già da queste brevi informazioni si può capire che oggi tra Destra e Sinistra (di centro, chiaramente), Lega, M5S (e altri) non c’è alcuna differenza, se non nei toni utilizzati o in sporadici e singoli temi trattati, che però non influenzano minimamente le linee politiche dei rispettivi partiti volte a mantenere lo status quo e impedire ai ceti più poveri della popolazione di progredire.

Sabotare i lavoratori per mantenere lo status quo

La crisi economica del 2007 (che si ripeterà a breve) ha mostrato tutte le debolezze del sistema capitalista attuale, oggi accentrato nelle mani di pochi e che si mantiene vivo grazie alla speculazione finanziaria, che, estremizzata al massimo profitto, ha portato alla crisi economica. Gli scenari futuri, anche considerando il ruolo che la Cina sta giocando nel complesso scacchiere geo-politico, ci riserveranno nuove crisi economiche in quanto l’attuale assetto capitalista non è minimamente scalfito.

Il ruolo dei partiti politici in Italia è stato lineare e trasversale tra essi, ossia quello di sostenere l’alta borghesia a tutto svantaggio delle classi lavoratrici, non solo di quella operaia, ma anche di tutti quei piccoli imprenditori, quelle micro imprese, quei professionisti che oggi soffrono per l’eccesso di offerta, la concorrenza spietata dei grandi gruppi di capitali e per l’erosione del potere d’acquisto, per cui il mercato viene sbarrato e ci si deve accontentare delle briciole.

Iniquità fiscale

Sappiamo tutti quanti che la pressione fiscale in Italia rende difficile ad una micro impresa di crescere. Chiunque, oggi, si immette nel mercato con una propria idea, soprattutto sul web, si trova davanti gli sbarramenti di tasse e imposte, mancanza di infrastrutture (specie al Sud), concorrenza sleale dei big della rete, ecc.

Nonostante la Lega abbia fatto suo il cavallo di battaglia della flat tax, ingraziandosi numerosi piccoli imprenditori e professionisti, questo provvedimento va a tutto vantaggio dell’alta borghesia, ossia di quegli imprenditori e professionisti che guadagnano molto e investono poco, preferendo invece speculare i propri profitti.

Contrariamente a quanto sostiene la Lega, i risparmi derivanti dalla flat tax per le grandi imprese (e i grandi professionisti) non saranno mai reinvestiti per la crescita o per l’occupazione, anzi, saranno investiti in attività speculative.

Quest’ottimo servizio di Milena Gabanelli dimostra, numeri alla mano, quanto la flat tax sia iniqua, soprattutto per i piccoli. Personalmente lo so benissimo, essendo una P.IVA, che la flat tax mi avrebbe penalizzato e infatti non vi ho aderito, nonostante faccia redditi da fame.

L’iniquità fiscale tra piccoli e grandi

Se salto una rata dei contribuiti INPS o un pagamento IVA, lo Stato attende un certo numero di anni (max 5, per evitare la prescrizione) affinché aumentino gli interessi e, con le sanzioni, la mia rata o il mio pagamento raddoppia o triplica. Così vengo strozzato e indotto al fallimento. E poi, per ripagare i debiti fiscali, dovrò accedere al credito, ipotecare la casa e, quando sarò entrato nel vortice del debito, perderò tutto. E’ accaduto così tante volte che è inutile stare qui ad approfondire.

Questa cosa, però, non accade con i big.

Amazon

Amazon realizza utili per 11,2 miliardi di dollari (e un fatturato di 233 miliardi di dollari), ma negli USA non paga un centesimo di tasse.

Dopo una lunga indagine della GdF, dal 2011 al 2015, si è scoperto che Amazon non avrebbe versato un centesimo di tasse nemmeno in Italia, avendo preferito spostare gli utili in Lussemburgo, dove vige una tassazione più favorevole, nonostante avesse in Italia “una stabile organizzazione” che, per il fisco italiano, è sufficiente affinché l’azienda paghi le tasse nel bel paese.

Non sappiamo quanto guadagna Amazon in Italia, perché i suoi fatturati in molti paesi europei sono segreti, ma sappiamo che la sua strategia è quella di aggredire il mercato europeo, operando in perdita, per eliminare ogni forma di concorrenza sia sul web che dei negozi tradizionali, forte dei continui finanziamenti da parte dei suoi azionisti, e sappiamo che nel periodo 2016-2018 il fatturato è aumentato del 71,26% (v. qui), eppure in Italia, dopo il controllo da parte della Finanza, pagherà all’Agenzia delle Entrate solo 100 milioni di euro per gli anni 2011-2015 (ossia 2,5 milioni ad anno, a fronte di un fatturato globale che arriva a 233 miliardi. Fate le giuste proporzioni).

Google

Anche Google ha fatto un accordo accomodante con il fisco italiano. A fronte di un fatturato globale di 67,6 miliardi di dollari nel 2015 (saliti a 82 miliardi nel 2016) pagherà in Italia appena 306 milioni di euro, dopo anni di contenziosi. Anche Google, forte del fatto di avere la sede legale europea in Irlanda (dove la fiscalità è esigua) e forte di essere una multinazionale del web, non ha mai pagato un centesimo di tasse in Italia, dove però offre i suoi servizi di pubblicità e dove, quindi, ha un mercato stabile. Eppure è arrivata ad un accordo che le ha consentito forti risparmi fiscali rispetto alla totalità delle aziende che operano e hanno la sede fisica in Italia.

Apple

Apple è stato il primo big a giungere ad un accordo col Fisco italiano. Nel 2015 ha pagato 318 milioni di euro per sanare una evasione fiscale di 5 anni che sfiora il miliardo di euro.
Apple è quella che ha pagato di più, ma per un semplice motivo: ha numerosissime attività commerciali fisiche nel territorio italiano, a differenza di Amazon che ha solo uno stabilimento a Castel San Giovanni e Google che ha una sola sede in Italia (a Milano).

I colossi pagano piccolissime somme (che arrivano, solo nel caso di Apple, a circa il 30%) per sanare le loro posizioni con il fisco mentre i professionisti, le PMI, le micro imprese e i lavoratori arrivano a pagare oltre il 70% tra fiscalità diretta e indiretta, senza contare i contenziosi e l’enorme burocrazia che blocca gli investimenti.

Favorire i grandi, penalizzare i piccoli

Ogni governo che si è succeduto in questi anni ha adottato la medesima politica di favore nei confronti dei big e non ha mai messo mano né alla fiscalità né al mercato del lavoro per correggere le numerose storture che coinvolgono sia gli imprenditori che i lavoratori.

In conclusione, per sintetizzare quanto detto finora, ritengo che la discussione tra destra e sinistra, oggi, in Italia, sia solo un mero esercizio stilistico, sia formalismo linguistico che non trova alcuna corrispondenza con la realtà.

Tutti, da destra a sinistra, sono rappresentanti di poteri forti (attenzione a non fraintendere e considerare quest’espressione di mero complottismo. Tutt’altro), solo di diversa natura: se il PD è naturalmente orientato a preservare i rapporti con l’establishment europeo, mentre il M5S cerca altri “padroni”, la Lega è orientata a rappresentare l’alta borghesia interna. Ma si tratta sempre di poteri, più o meno forti, che però sono accomunati da un unico intento: preservare il capitale, gli interessi economici, i rapporti di forza nel mercato.

Mercato e profitto

Nel mercato, si sa, si fa tutto secondo la logica del profitto: ci si scambia favori, ci si fonde, si fa concorrenza, si creano e disfano alleanze, sempre in nome del denaro. E in questi giochi la politica italiana fa gli interessi del mercato, non della Nazione. In altre parole, se Confindustria si schiererà con i cinesi, anche la Lega sarà a favore della Via della Seta (qui un approfondimento sul tema), così come il PD cambierà padrone se l’Europa e la BCE dovessero crollare nei nuovi rapporti di forza che s’ingenereranno tra Occidente e Oriente.

Detto in estrema sintesi: la politica di oggi è lo specchio del mercato, non del popolo. Il concetto di popolo è solo uno specchietto per le allodole per confondere le acque, convincere la gente che l’interclassismo ha sostituito il conflitto tra le classi e tenersi buoni gli strati più umili della popolazione, quelli che si sentono oggi rappresentati principalmente da Lega e M5S ma che da loro prendono solo calci nel sedere.

Destra e sinistra?

Se vogliamo invertire la rotta e ridare dignità a chi lavora, a chi è sfruttato (siano essi lavoratori, imprenditori, giovani professionisti, P.IVA, ecc.) bisogna lasciar perdere la diatriba tra destra e sinistra e ricostruire un socialismo di fatto che parta dagli ultimi, dai territori e che disegni un manifesto politico in grado di scalfire un sistema capitalistico ormai allo sbando, che si sta mostrando sempre più aggressivo e sempre più squilibrato (alla prossima crisi, imminente, mi darete ragione). Un soggetto che faccia comprendere la realtà nella sua razionalità, nella sua necessità, ovvero in modo scientifico e crei concetti e azioni che possano razionalizzare l’esistente. Pare difficile, ma non lo è. Lo sarà quando tutte quelle persone “di buona volontà”, anziché farsi la guerra sui particolari, metteranno insieme le proprie forze per un obiettivo unico. Stoico, se vogliamo, ma non impossibile.

Il turco capitalismo

turco_scacchi

Gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, per quanto complessi, sono però il frutto del lavoro umano, in particolare di milioni di persone invisibili che vengono sfruttate dal turco capitalismo, nell’ottica di un’automazione spesso illusoria. A margine di queste brevi considerazioni, un commento alla proposta di L.R. Lazio “Norme per la tutela e la sicurezza dei lavoratori … Leggi tutto

Gig economy, chi sono i big che comandano il mercato del food

gig economy

Per molti la Gig economy è un’opportunità e un’innovazione, per altri, come il Ministro Di Maio, un settore da regolamentare con contratti collettivi o concertazioni con le Aziende. In realtà è solo una nuova veste di un modello che punta allo sfruttamento e che porterà l’economia reale alla stagnazione e a nuovi e sempre maggiori … Leggi tutto

Non aprire quella partita IVA

steve jobs partita IVA

Steve Jobs, il fondatore di Apple, in un discorso all’Università di Stanford nel 2005 disse la storica frase: “siate affamati, siate folli”, rivolgendosi agli studenti laureandi, per invogliarli a crescere e a creare idee e imprese.

E ci credo. Negli USA sta frase ha un senso, in Italia ne ha un altro, soprattutto per le Partita IVA.

“Siate affamati”

Tra INPS, IVA, anticipi IVA, irpef, commercialista, tenuta dei libri contabili, diritti camerali, fornitori, luce, acqua, gas, tasse comunali sull’immondizia, l’insegna, il suolo pubblico, oltre a tante altre spese quali commissioni sui bonifici, sulle transazioni, spese di C/C, corrieri, merce danneggiata, assicurazioni, spese pubblicitarie, costo carburante, affitti e registrazione del contratto (all’Agenzia delle entrate da corrispondere ogni anno) e altre spesucce varie, a chi ha una Partita IVA la fame viene davvero, ma non nel senso prospettato da Jobs.

“Siate folli”

Si, perché per aprire una Partita IVA, in Italia, devi essere davvero folle.

Anzi, non folle, devi essere proprio scemo.

Perché oltre alle spese devi sorbirti mille impegni, non hai nessuna garanzia sindacale, nessun tipo di ferie pagate, se ti ammali sono cazzi tuoi e, per racimolare qualche soldo in più, lavori anche con la febbre e anche durante le “ferie”.

Poi mettici i clienti assurdi, che ti chiedono le cose più disparate che, se non hai o non puoi avere, ci restano male e “ti cambiano”, poi – in questo quadro roseo – mettici anche la concorrenza cinese, Amazon, la Tunisia, la Spagna e tutti i paesi Extra-UE che, tramite simpatici accordi, fanno entrare roba (alimentare e non) a basso costo e ad alti profitti.

Mentre tu, piccolo imprenditore, ti smanetti ogni giorno per cercare di ridurre i costi, aumentare la produttività, ottimizzare i processi produttivi e cercare di restare a galla, riducendo sempre più il tuo guadagno netto (che, tranquillo, andrà via tra tasse, imposte, spese varie e i figli che ti chiedono l’ultimo Smartphone alla moda da 800 euro, dopo poco meno di 6 mesi dalle ultime 800 euro spese per lo Smartphone che è passato di moda).

Se questo non è essere folli…

La verità è che quello parlava facile, in America

Già, perché negli USA non esiste l’obbligo di avere un commercialista. Oddio, nemmeno in Italia, ma qui è così complesso il sistema fiscale che il commercialista è la prima cosa che devi cercare quando apri una Partita IVA.

Negli USA no. E’ solo un consulente, che ti aiuta, ma non è necessario. Poi, negli USA tu dichiari il tuo reddito il 15 aprile (e hai tempo per farlo entro il 15 ottobre, senza ravvedimenti onerosi, come in Italia…) e loro si fidano di quello che dici (a meno di eventuali controlli, e allora so’ cazzi, se menti).

Paghi più o meno il 15% di tasse (se sei ricco arrivi al 10%) e non hai a che fare con mille enti diversi (INPS, Agenzia delle Entrate, CCIAA, Comune, Provincia, Ente Nazionale per la fessadimammata, ecc.) e diecimila scadenze (ogni 3 mesi l’INPS, poi le scadenze di IVA e quelle degli anticipi IVA, poi la scadenza della spazzatura, della registrazione del contratto di affitto, della CCIAA e tante altre piccole e grandi scadenze).

Insomma, è facile dire “siate affamati, siate folli” in un paese che ti fa pagare una cippa di tasse e la dichiarazione la può fare un fesso qualunque.

La pressione fiscale al 70% per chi ha una Partita IVA

Se Steve Jobs fosse nato in Italia avrebbe mandato a quel paese l’Apple, lo sviluppo, la conoscenza e non avrebbe mai proferito simili parole agli studenti dell’Università di Camerino. Anzi, gli avrebbe detto: “siate raccomandati, siate nipoti (se potete), altrimenti emigrate e andate a fare i camerieri a Tenerife”.

Perché in Italia, anche se hai una buona idea, il fisco ti salassa. Arrivi a pagare fino al 70% di tasse e imposte e, di quello che ti resta, devi pagare affitto, luce, acqua, telefono, internet, arredi, merce e tutto l’occorrente per far campare l’impresa.

E attenzione, perché luce e telefono hanno costi più alti. Essì, solo in Italia funziona così: costano di più perché tanto “puoi scaricarti i costi”. Ma che mi significa? Io pago circa il 25% in più di energia elettrica e di telefono e ADSL solo perché posso scaricare i costi (neanche integralmente). E se mi trovo nel regime forfettario? M’attacco.

Oltre alla pressione fiscale, pure la concorrenza

Già, perché se hai un’attività che produce o commercializza prodotti agroalimentari, devi fare i conti con la concorrenza tunisina, spagnola, marocchina, che esporta nel bel paese le stesse cose che vendi tu, ma alla metà del prezzo.

E tu, per restare sul mercato, devi abbassare i prezzi. Ah, giusto, vuoi vendere prodotti di qualità e puntare su un mercato di nicchia? Giusto, si. Ma quanto ti costa in pubblicità? Quanto in packaging e hai fatto due conti su quanto ti costa l’internazionalizzazione? Per non parlare della merce che il corriere – chiaramente – ti danneggerà e dei costi di trasporto che una piccola impresa non riesce a sopportare.

Ah, vero, ci sono le associazioni di categoria che ti supportano nei processi di innovazione e internazionalizzazione…ah, no. Scusa, lasciamo perdere!

Hai un’e-commerce? Bene. Peccato che realtà come Amazon ormai monopolizzano il mercato e offrono prezzi bassi e spese di spedizione gratuite. Come fanno? Semplice, sfruttano i dipendenti.

Tu non lo puoi fare, sennò l’Ispettorato del lavoro ti fa un culo così, per non parlare del dipendente, che con una vertenza ti fa chiudere e si piglia pure le tue mutande.

Quindi devi abbassare i prezzi, essere concorrenziale, ridurre i tuoi guadagni. Per di più devi essere veloce nelle consegne, fornire un packaging all’altezza, il reso gratuito e forme sempre migliori di assistenza post vendita. Come? Non ce la fai? E allora t’attacchi.

Sei un piccolo commerciante? Eh, lo so, a pochi km dal tuo negozio hanno aperto un nuovo Hong Kong dove vendono di tutto a prezzi stracciati e la tua clientela, anche quella più fedele, ti ha mollato e ti ha tradito, affascinata dagli occhi a mandorla e dalle tenui cadenze cinesi dei dipendenti del mega negozio.

Provi a fare i saldi? Dovresti vendere i tuoi prodotti al 50% e andare sotto prezzo di costo, ma vabbè, pur di vendere…Peccato che nel tuo piccolo negozietto la gente non può passeggiare con i carrelli e non hai nemmeno l’aria condizionata e il wi-fi gratuito. Quindi che li fai a fare i saldi?

La verità è che siamo fottuti

C’è chi parla di “resilienza” come capacità di resistere agli urti della vita e chi parla di “innovazione” come capacità di aggiornare i processi produttivi e di vendita per adeguarsi ai cambiamenti del mercato, ma la realtà è una sola: la gente vuole la qualità, si, ma a prezzi cinesi.

La gente è tendenzialmente e generalmente stupida e se ne frega che tu offri prodotti di qualità, sei cortese e sei sul mercato dal 1921. Se ne sbattono. Vogliono la roba buona a pochi soldi. Tu non puoi offrirla (chiaramente), loro non possono averla (logicamente) e quindi tendono ad acquistare cagate a pochi soldi.

Puoi anche fare i salti mortali e dire alla gente che tu hai “la roba meglio”, ma non c’è molto da fare: la gente vuol spendere poco. Allora tu che fai? Ti butti sul mercato del lusso e di nicchia? Certo, puoi farlo, ma per entrare in mercati simili devi spendere tanto (più di quanto vale la tua casa già ipotecata o la tua macchina scassata che non vede ombra di meccanico dal 1999) e devi fare tanta attività di lobbying, cosa che tu non farai mai perché non riuscirai mai ad entrare nei “giri che contano”.

E allora rassegnati e cerca di sopravvivere finché…boh? Allora che fai? Entri in concorrenza con i cinesi? Peccato che i tuoi fornitori ti offrono la stessa merce a costi più elevati, i corrieri ti offrono gli stessi servizi a costi più elevati (e ti rimborsano 1 € al kg se rompono la merce…), il costo del dipendente è 10 volte tanto rispetto a un cinese e non puoi vendere a nero, perché il cliente (stronzo) ti chiederà lo scontrino con la faccia indignata (lo stesso cliente che dai cinesi non osa nemmeno chiedere un reso…).

La crisi…

Non è colpa tua che hai commesso l’insano gesto di aprire una Partita IVA, come non è colpa dei clienti o della “gente”.

Il fatto è che in questi ultimi 20 anni la classe media è scomparsa. Lo leggi su tutti i giornali e lo ascolti in televisione. Tutti lo dicono, ma tu lo stai vivendo sulla tua pelle: la classe media non c’è più.

E qual è la classe media? Erano quelli che non erano né ricchi né poveri, erano quelli che avevano uno stipendio discreto e si potevano permettere di togliersi qualche sfizio. Erano quelli che durante il finesettimana andavano a fare shopping e spendevano un po’ di soldini nei negozi del centro, durante la passeggiata e prima di andarsi a fare una pizza. Erano quelli che non dovevano spulciare i volantini del discount per trovare le offerte migliori, ma andavano all’alimentari sotto casa a fare la spesa senza badare ai prezzi. Semplicemente compravano quello che gli serviva.

Erano quelli che “il mio negoziante di fiducia non lo cambio, perché oltre ai prodotti mi fornisce assistenza, e poi è così gentile…”. Quella stessa gente oggi va a fare la spesa ai discount (solo quando ci sono le offerte), compra dai cinesi e se ne sbatte dell’assistenza e della gentilezza, al centro ci va sempre a fare le passeggiate, ma si limita a guardare le vetrine e a commentare con toni sbigottiti i prezzi (come se i commercianti fossero dei ladri) per poi prendere un kebab a 3 euro o, al massimo, una pizzetta, prima di tornare a casa.

E tu? Ti deprimi dentro al negozio vuoto d’inverno oppure metti la sedia fuori d’estate e guardi, sconsolato, il via-vai di gente che guarda distrattamente il tuo negozio, ma di entrare non gli passa manco per la testa.

Per concludere

Quindi, caro commerciante, piccolo imprenditore e mia cara Partita IVA, la colpa non è la tua. Semplicemente hai sbagliato periodo e paese in cui nascere e operare.

Tu fai tutto il possibile, ma non c’è rimedio a questa realtà. E lascia perdere gli articoli fake che ti parlano del tizio che non vuole pagare le tasse. Se lo fai tu, ti arrivano cartelle, ingiunzioni di pagamento, ufficiali giudiziari che – levati – te li toglierai di torno solo dopo 40 anni di trafile giudiziarie.

Lascia perdere pure le cazzate di escapologia fiscale propinate da trasmissioni del cazzo come Le iene. Sono cazzate, fumo negli occhi, inutili tentativi di prenderti in giro. Ma tu sei furbo e intelligente e lo sai, l’unica è chiudere o emigrare oppure sfruttare il sistema.

Ora parlo a te, giovane pieno di speranze e di talento. Vuoi aprire una Partita IVA in Italia? Sicuro? Se sei ancora sicuro, fallo. Sappi solo che ti aspettano piccole soddisfazioni e grandi sofferenze. Se ti piace soffrire, allora aprila. Non dire però che non te l’ho detto.