Quella a Mimmo Lucano è una condanna politica

Mimmo Lucano condannato a 13 anni e 2 mesi dal Tribunale di Locri. Quasi il doppio della richiesta dei pm (7 anni e 11 mesi). L’ex sindaco di Riace ha dichiarato, a caldo, “Sono amareggiato. Non me l’aspettavo. Ho speso la mia vita per rincorrere i miei ideali, contro le mafie. Mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra. Oggi finisce tutto. È una cosa pesantissima. Non so se per i delitti di mafia ci sono sentenze così”.

Questo sarà un articolo breve. Perché della questione Riace e di Mimmo Lucano ne ho parlato abbondantemente su questo blog (Vedi qui, qui, qui e qui). Sarà pure un commento a caldo. Uno di quelli che ho imparato – duramente – a non fare, perché le parole vanno soppesate, riflettute, confrontate, prima di essere dette. Ma qui c’è poco da soppesare. C’è poco da riflettere.

13 anni e 2 mesi!

La sentenza di condanna supera abbondantemente la richiesta dei PM, i quali avevano chiesto 7 anni e 11 mesi. In attesa di leggere le motivazioni e quindi con tutti i se del caso, vien da chiedersi sulla base di quali elementi i giudici del Tribunale di Locri abbiano basato un aumento della condanna a quasi il doppio rispetto alla richiesta.

Del resto lo stesso GIP che rinviò Lucano a giudizio, dott. Domenico Di Croce (da un paio d’anni trasferitosi a Cassino), ridimensionò notevolmente il castello accusatorio costruito dalla Procura. E negò pure l’arresto di Lucano, mutandolo in domiciliari, poi divenuti divieto di dimora. Nel 2019 la Corte di Cassazione, nell’annullare il divieto di dimora, sottolineò la legittimità dei comportamenti di Lucano nel periodo in cui era sindaco di Riace.

Poi, continuiamo. Il testimone chiave della Procura, un commerciante di Riace, fu dichiarato inattendibile più volte, dallo stesso GIP. E, interrogato in aula, durante il processo, si è rimangiato ogni accusa. Tra l’altro la Procura aveva pure archiviato numerose denunce presentate dallo stesso Lucano e da altri imputati, fatte nei confronti del commerciante, perché subivano continue minacce. Tra l’altro in aula è stato ampiamente dimostrato che il commerciante aveva asti personali nei confronti di Lucano, che nulla c’entravano con le accuse.

L’accusa, infine, non è mai riuscita a dimostrare che Lucano si sia intascato un solo euro dai finanziamenti statali destinati ai progetti SPRAR. E, quando non sapeva più che pesci pigliare, si è inventato il movente politico. Lucano, quindi, ha messo in piedi tutto un sistema complesso di integrazione solo per ottenere voti da un paesino di 2000 anime, asini inclusi.

Salvo, però, rifiutare continuamente posti sicuri nelle ONG, che gli sono stati offerti più e più volte. E ha pure rifiutato candidature blindate in Parlamento e nel Parlamento europeo, dove di certo quei 2000 voti faticosamente sudati a suon di corruzioni, avrebbero certo fatto la differenza.

Una sentenza politica

Nulla da eccepire contro i giudici del Tribunale di Locri, ma suona strano che una condanna così pesante e assolutamente non in linea con quanto richiesto dall’accusa, arrivi proprio a tre giorni dal voto alle regionali in Calabria.

Sul piano della legittimità dei tempi del procedimento penale e di pronuncia della sentenza c’è poco da eccepire. Ma sul piano politico c’è da aprire una riflessione su quanto una sentenza del genere possa danneggiare una parte politica e avvantaggiare le altre.

Anche i più sprovveduti sanno che una notizia del genere, che rimbalza su qualsiasi giornale, locale, nazionale ed internazionale, influenza pesantemente l’esito del voto politico.

Del resto il sistema delle influenze psicologiche sull’elettorato – individuali e di massa – è stato chiaramente documentato con il caso di Cambridge Analytica oltre che analizzato ampiamente in modo scientifico.

Appare quindi evidente che una sentenza del genere – che sono certo sarà ribaltata in Appello o in Cassazione – produrrà quantomeno due effetti.

Il primo. Porterà un numero imprecisato di elettori certi della compagine di De Magistris a disertare le urne, scoraggiati dall’impatto mediatico della notizia della condanna di Lucano. Che, lo ricordo, è capolista in tutta la regione.

Il secondo. Porterà gli indecisi, quelli che avrebbero votato per De Magistris, ma non ne erano ancora certi, a disertare oppure a cambiare il proprio voto, scegliendo tra i soliti noti: PD o, peggio, le destre. Che poi, senza peccare di qualunquismo, sono esattamente la stessa cosa.

L’esito dunque appare scontato. Specie se consideriamo che la Calabria è una regione ancora fortemente soggiogata dal potere ‘ndranghetista. Se la condanna dovesse essere ribaltata in appello o in Cassazione, comunque il pregiudizio politico non verrà rimosso e, quindi, il danno ottenuto dalla notizia della condanna produrrà i suoi effetti nel lungo periodo.

L’unica risposta a questa prospettiva, sentimentalistica e un po’ troppo ingenua, è che vi sia un moto di reazione della parte sana del popolo calabrese. Un moto che bypassi l’emotività prodotta dalla notizia e scelga con razionalità e fiducia nei confronti di una persona che per 20 anni si è spesa a favore degli altri: i più deboli, gli indifesi, gli emarginati. E gli ha ridato dignità.

Ma questa prospettiva è fallace. L’unica cosa da fare è continuare a lottare, nelle aule di tribunale e nelle piazze. E, certi che alla fine dei tre gradi di giudizio, Lucano sarà giudicato equamente (ossia sarà prosciolto da ogni accusa), non smettere di costruire quell’ideale di mondo nuovo che lo stesso Lucano ha così egregiamente espresso nel suo libro.

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