Stai a vedè che mo’ il problema so’ li migranti

Arieccoci. Arriva il governo di destra e, improvvisamente, ritorna l’emergenza sbarchi, con tiggì e talk show che ci martellano la testa, dalla sera alla mattina, con il problema dei migranti, gli sbarchi a josa, le responsabilità dell’UE, gli scontri con la Francia, i monelli delle ONG, gli scafisti criminali e quanto sarebbe bello se li … Leggi tutto

Il fascismo eterno e le mobilitazioni contro il green pass

ur-fascismo

Sabato 9 ottobre abbiamo assistito all’abominio della violenza del fascismo in piazza, con l’assalto alla sede della CGIL. Anche i più riottosi a credere che il fascismo sia tornato (è andato mai via?) forse si sono convinti che non è solo folklore o un retaggio del passato. Non starò qui a cercare parole che non … Leggi tutto

Gramsci, a 129 anni dalla nascita è ancora attuale

Antonio Gramsci egemonia e folklore

129 anni fa nasceva ad Ales, in Sardegna, Antonio Gramsci, uno dei più grandi intellettuali del Novecento e – parer mio – il più attento studioso del marxismo, tale da aver adattato alla realtà italiana le teorie e le prassi marxiste, consapevole che la transizione al socialismo che la teoria marxiana propugnava in un’ottica internazionalista, … Leggi tutto

Hanno fatto bene a licenziare la prof che augurava la morte ai poliziotti

Lavinia Flavia Cassaro poliziotti torino

Lavinia Flavia Cassaro, l’insegnante torinese di 38 anni che il 22 febbraio scorso, durante una manifestazione, ha urlato ai poliziotti “dovete morire” è stata licenziata. Il sindacato che la difende ha ritenuto il provvedimento eccessivo rispetto alla vicenda. In realtà hanno fatto bene a licenziarla, per tanti motivi (non certo perché l’ha chiesto Renzi).

I fatti

il 22 febbraio, durante un corteo di Casapound, Lavinia Flavia Cassaro, la giovane maestra che manifestava contro il corteo, si trovò a scontrarsi con i poliziotti che garantivano l’ordine tra le due manifestazioni. Per puro caso si trovavano lì le telecamere della trasmissione Matrix, che ripresero la scena.

Cassaro augurava la morte agli agenti e, alle obiezioni del giornalista che le ricordava il suo ruolo da insegnante, lei rispondeva: “è triste sì, ma non è sbagliato, perché loro stanno proteggendo i fascisti e un giorno potrei trovarmi fucile in mano a combattere contro questi individui”.

Dopo che il caso mediatico divenne di portata nazionale, la Cassaro ribattè: “Non auguro davvero la morte a nessuno ma ero arrabbiatissima. Ho detto quello che pensavo ma è stato travisato. Mi sento stupida ho dato adito a  costruire un castello mediatico. Se fossi riuscita a mantenere  la lucidità avrei espresso meglio i miei pensieri. Mi sento in  colpa? Nei confronti dei miei compagni”. E continua: “Non avrei dovuto cadere in questi tranelli e farmi travolgere dalla passione e dalla rabbia, ma la nostra Costituzione dichiara che il fascismo è un reato e CasaPound è esplicitamente un partito fascista. Io mi sento profondamente antifascista”.

Fascismo e antifascismo

Qui preme sin da subito porsi qualche domanda di carattere generale: cos’è il fascismo e cos’è l’antifascismo? Che ruolo hanno le forze dell’ordine in tutto ciò? Da queste – apparentemente – semplici domande ne giungono altre, più specifiche e di carattere semiotico: davvero Casapound è un partito di ispirazione fascista? Davvero un appartenente alle forze dell’ordine merita di essere etichettato come difensore del fascismo o servo del sistema?

Prima di rispondere a queste domande mi preme sgomberare il campo da una sotto-considerazione che ritengo scontata: non si augura mai la morte a nessuno. Mai. Se quest’espressione, pur partendo dall’impulso e dalla rabbia, viene usata, pare evidente che faccia parte del costrutto mentale di chi l’adopera, se non del suo bagaglio culturale. In altre parole, puoi avere tutta la rabbia in corpo, ma dire “dovete morire” è l’esemplificazione, dettata dall’emotività e dall’eccitazione del momento, di un più profondo odio verso determinate categorie che vengono interpretate come nemici e servi del sistema: i poliziotti e, chiaramente, i fascisti. Già di per sé questa semplificazione derivante da convinzioni di tipo meramente semiotico a compartimenti stagni (e storicamente superata) sarebbe sufficiente ad etichettare come inadeguata all’insegnamento una persona del genere.

I fascisti

Ma ora bisogna rispondere alla prima domanda. Casapound rappresenta un partito fascista? No, affatto. Semmai è la parodia di una parodia. Il fascismo storico, in Italia, non ha mai scalfito la cultura di fondo degli italiani, dunque il loro linguaggio e le loro rappresentazioni della Realtà. Qui l’ho spiegato meglio.

Se andassimo ad analizzare le varie forme di fascismo, sin dal dopoguerra, scopriremmo che le stragi di stato, le strategie della tensione, gli attentati, l’eversione nera e i golpe, tentati e falliti o sommessamente messi in atto, altro non sono che rappresentazioni intrinseche di un potere solo superficialmente connotate da un termine che richiama il ventennio. Insomma, quelli degli anni ’70 erano davvero fascisti, ma non nel senso di eredi del ventennio. Come loro anche i brigatisti lo erano, lo erano anche i ragazzi antagonisti che occupavano (e lo fanno tutt’ora) le scuole e le facoltà.

Oggi, se dovessimo individuare i fascisti, li ritroveremmo in molte realtà, meno che in quelle che nominalisticamente lo sono. Forza Nuova, CasaPound e quei gruppetti che inneggiano in modo quasi romantico al ventennio fascista sono una parodia di una parodia durata vent’anni.

Dunque manifestare contro una parodia è qualcosa di assolutamente antistorico e privo di qualsivoglia analisi della realtà. Anche quest’aspetto fa capire come una docente, semioticamente antifascista ma culturalmente inserita in un contesto fascista, non stia manifestando contro il vero fascismo (cioè quello che le sta intorno), ma contro una parodia. Mi chiedo come faccia a insegnare a dei bambini l’analisi se poi non è consapevole di andare a manifestare contro una parodia. Perché se lo fosse, evidentemente, non ci andrebbe.

I poliziotti

E qui veniamo alla seconda domanda. Davvero un appartenente alle forze dell’ordine merita di essere etichettato come difensore del fascismo o servo del sistema?

Sarei tentato di scomodare Pasolini, quando in una sua poesia del ’68, scrisse: Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Ma poi diventerei qualunquista, dato che quei suoi versi, un po’ ironici, provocatori e “scritti male” (com’ebbe lui stesso a dichiarare), andrebbero letti nell’hic et nunc, anche perché Pasolini stesso dichiarò: “(…) la vera rivoluzione non la faranno mai gli studenti, perché sono figli di borghesi. Al massimo potranno fare una “guerra civile”, in questo caso generazionale, in seno alla borghesia”.

Da questi due versi, dalla precisazione e leggendo tutto ciò nell’ottica dell’attualità, un fondo di verità c’è e va letto con due chiavi. La prima è talmente banale che mi pare scontata: i poliziotti sono persone che fanno un lavoro che prevede il rispetto di ordini. Eh vabbè. Concetto scontato, ma che non sempre lo è (non per gli antifascisti che inveiscono contro o per i ragazzi scemi che scrivono ACAB sui muri). La seconda è che in questo clima così liquido (mi perdoni Bauman per la semplificazione), un poliziotto può essere tanto fascista quanto antifascista e un fascista può essere più antifascista di un fascista. Un antifascista propugna gli stessi temi di un fascista (entrambi sono contro la guerra, o entrambi sono ambientalisti, per esempio) e un poliziotto può avere le stesse idee di un fascista/antifascista. So che sembra di aver detto una marea di banalità, ma il succo del discorso è che cadute le rigide distinzioni sociali e idelogiche, come si può ancora ragionare in termini di buono/cattivo quando si parla di fascismo/antifascismo e di polizia/manifestanti?

Oggi non viviamo più lo scontro dialettico tra borghesia e potere operaio, tra polizia serva del capitalismo e della repressione di Stato e movimento comunista. Non più, tutto ciò è crollato e tutti, indistintamente, siamo sotto l’egida delle regole di mercato. Il capitalismo ha fatto il suo dovere e ha terminato la sua opera egemonica. E quindi a che serve prendersela con un poliziotto che, allo stato attuale, potrebbe essere – culturalmente – sullo stesso piano di un antifascista?

Gli antifascisti

E qui veniamo agli antifascisti moderni. Se quelli della Resistenza lottavano contro i fascisti storici e l’occupazione nazista, se quelli del ’68 ebbero a lottare contro la borghesia, quelli di oggi cosa rappresentano? A parlare di temi socio-economici o geo-politici, non vedo molta differenza tra gli uni e gli altri. Non è un caso che il M5S abbia fatto del qualunquismo (destra e sinistra non ci sono più) il suo cavallo di battaglia e non è un caso che le accuse di fascismo rivolte a Salvini facciano un buco nell’acqua. Già, perché a sentir parlare gli antifascisti sembra che siano rimasti a Windows 95 mentre oggi si parla di Cloud computing. Su numerosi temi l’antifascismo odierno è diventato mero buonismo (vedi l’accoglienza indiscriminata e anti-analitica delle migrazioni) oppure conservatorismo nominale (opporsi ad una via intitolata ad Almirante o a gadget che richiamano al fascismo storico). Essere legati ancora all’antifascismo nominale è un’operazione che allontana sempre più la gente dalla critica e l’avvicina al populismo.

Non mi pare di aver letto grandi proteste quando Oettinger disse “saranno i mercati a insegnare agli italiani a votare bene”. Eppure questa frase dovrebbe rappresentare, oggi, il leit-motiv dell’antifascismo, ossia l’opposizione a quel nemico (invisibile) che dovrebbe spingere gli antifascisti ad aggiornare il proprio background culturale. E invece quella frase è passata inosservata, quando avrebbe dovuto scatenare le proteste di chi comprende il vero ed essenziale problema che ci attanaglia. Vorrà dire che non è stato ancora capito. Ma lo ha capito bene – udite udite – proprio Bertinotti, quell’ex comunista che è stato tacciato di cattolicismo ciellino ma che, invece, ha colto bene il nocciolo della questione e mi pare più comunista (passatemi il termine) di tanti antifascisti nominali.

Insomma, per concludere e tornando al punto dell’articolo, hanno fatto benissimo a licenziare la maestra. Non perché urlava (e alcuni genitori dei suoi ex allievi sostenevano che urlasse anche contro i bimbi), non perché andava alle manifestazioni. No, perché una persona che, a quanto lasciano trasparire le immagini e le sue dichiarazioni, non sa analizzare la realtà poi non può lavorare nel campo della formazione. Come potrebbe educare i bimbi ad usare il ragionamento se lei stessa è ancorata a vecchie e logore classificazioni che non esistono più e che sono puramente nominalistiche? Qui ci vogliono professori che insegnino ai ragazzi a ragionare, ad analizzare la realtà, insomma, a provare a essere liberi. E quest’esercizio, lo sappiamo bene, va fatto in famiglia e a scuola, sin dalla formazione primaria e senza fermarsi a semplici e indolori operazioni di facciata.

Fascismo storico e fascismo consumistico

fascismo fascista e fascismo consumistico

Ovvero un’analisi semiseria su come il fascismo fascista non abbia mai intaccato la cultura di fondo degli italiani, mentre il vero fascismo lo stiamo vivendo da 40 anni. Negli ultimi mesi leggo continuamente articoli che fanno parallelismi tra l’attuale situazione politica in molti paesi europei e, in particolare, in Italia e il fascismo. Addirittura si … Leggi tutto

Ecco perché Salvini è il politico più capace

salvini e fedriga

Il risultato elettorale in Friuli, che vede Massimiliano Fedriga con il 57% delle preferenze, non ci stupisce affatto. E non stupisce nemmeno il crollo del Movimento 5 Stelle che ha perso, in Friuli, quasi 15 punti percentuale rispetto alle scorse politiche. Non stupisce non perché, come qualcuno dice, ormai il M5S ha perso appeal tra l’elettorato. No, affatto. Il motivo è, banalmente quanto squisitamente, dipendente dall’ambito geografico, dal bacino elettorale nonché dal tipo di legge elettorale, ma soprattutto dal candidato, Fedriga, che rispecchia perfettamente la filosofia di fondo della Lega Nord di Salvini e ne ha assunto la capacità di linguaggio divulgativo e la lucida analisi della complessa (seppur schematicamente semplice) congerie culturale italiana d’oggi giorno.

E’ da questa capacità di analisi che parte il mio apprezzamento nei confronti di Matteo Salvini come figura politica e di tutti gli altri esponenti della Lega che, in questi anni, hanno saputo perfettamente leggere la realtà e trasformarla in slogan politici d’alto impatto. Sicuramente molti dei miei (pochi) lettori a questo punto staranno storcendo il naso oppure avranno già abbandonato la lettura. Poco importa. Chi avrà l’ardire di continuare capirà che personalmente non stimo né Salvini né la Lega Nord, che non li ho votati né credo che lo farei e, soprattutto, che la figura del politico che sa interpretare la realtà è molto distante dalla figura del politico che amministra un Paese. Da qui ne discende che occorre tener ben distinti i ruoli: non sempre la figura del politico analista e divulgatore coincide con la figura del politico amministratore. Quando avviene siamo di fronte allo Statista. Ma attualmente non credo ci siano figure tanto autorevoli nel panorama politico italiano.

Detto ciò e augurandomi di aver saputo comunicare la distinzione tra i due ruoli, non posso esimermi dal considerare Salvini un attento analista della realtà attuale. Chiunque voglia sconfiggerlo sul piano dialettico o affrontare l’ondata d’urto che la Lega prima o poi porterà nel tessuto sociale italiano dovrà anzitutto non minimizzare né demonizzare l’operato di Salvini, altrimenti ne uscirebbe sconfitto. Chi gli dà del fascista o del populista commette un ingenuo errore di valutazione.

Fermiamoci un attimo ad osservare com’è cambiata la realtà negli ultimi 40 anni.

Il mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà … tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento. Così commentava Paolo VI già nel 1974 e, in una lucida analisi della realtà, si rendeva conto di come la Chiesa, ferma e rigida nei suoi immutabili dogmi, si allontanava sempre più dai propri fedeli, ormai ammaliati dai richiami edonistici del consumismo e chiusi nel proprio individualismo feroce. Sono proprio queste le chiavi di lettura che ci possono portare a scandagliare la realtà attuale e a capirne l’intima essenza: consumismo e individualismo. Il primo, giunto ormai a maturazione e figlio legittimo del pensiero unico capitalista, è la religione di tutte le religioni, è il mostro sacro per cui sono sparite – nel giro di 40 anni – intere civiltà. La Civiltà contadina, con i suoi miti e le sue regole sociali attentamente analizzati da De Martino, è stata sepolta e dalle sue ceneri è sorta un’Araba Fenice composta da un nuovo modello comportamentale: la divinazione del consumo.

L’individualismo, invece, che vede l’essere umano come monade isolata e come destinatario unico degli interessi della società del consumo, ha soppiantato le rigide e classiche forme sociali: la Civiltà contadina, come ho detto, è morta, com’è anche stata annichilita la borghesia, il ceto medio. Le classi sociali storicamente ben irreggimentate nelle loro concezioni della vita e della storia sono scomparse e al loro posto ha prevalso l’Ego. E’ chiaro che in questa liquidità della società (per usare un termine baumiano) è facile adeguarsi al conformismo di matrice capitalista, mosso dai costumi calati dall’alto, da efficaci quanto suadenti strategie di marketing (tradizionali e digitali) e improntato sulla regola aurea che muove ormai il mondo: vendere. In questo contesto la televisione, il mondo della musica, della cinematografia, i big della rete (Facebook e Google in primis che possono vantare anche l’arma della profilazione) persino lo sport sono fautori della religione delle religioni, in quanto propongono, anzi, persuadono gli utenti (non più persone) a fare del consumo un modello di vita. Da ciò ne discende che i comportamenti collettivi di massa altro non sono che forme nuove di interclassismo.

Apro una breve parentesi per spiegare meglio il concetto. Non è un caso che l’UNESCO, in questi ultimi 30 anni, abbia lanciato numerosi allarmi circa la scomparsa delle diversità culturali, ritenendo che la globalizzazione abbia disgregato il complesso coacervo culturale mondiale. La diversità culturale, minacciata dalla globalizzazione, è importante per l’Umanità quanto la biodiversità è importante in Natura. L’omologazione dei consumi, quindi, annienta le diversità e depaupera i gruppi sociali dei propri valori di riferimento, delle proprie millenarie credenze, dei miti e riti stratificati e trasmessi oralmente, delle convinzioni, della propria visione del mondo.

Inoltre non è un caso che Facebook, periodicamente, effettui esperimenti sociali per capire quante persone si conformano ad un certo richiamo. L’ho spiegato in quest’articolo. Questo lo fa periodicamente e in occasione di grandi eventi o eventi straordinari per capire quanto siano efficaci e pregnanti le proprie strategie ed, eventualmente, nell’ottica del miglioramento continuo, per modificarne i parametri.

La nuova cultura interclassista – o liquida sempre usando l’intuizione geniale di Bauman – si è quindi ormai imperniata sul modello consumista, tanto da aver naturalmente abiurato tutte le forme sociali del passato. In altre parole ha scelto il benessere, la qualità di vita migliore, l’automobile, il telefonino, il week-end al mare, i viaggi, la sicurezza del proprio patrimonio e della propria casa, insomma, il proprio modello di vita che potremmo definire liberal-consumistico. Che differenza c’è tra chi ha i mezzi per poter avere una vita agiata e chi invece non li ha? Una volta questo era un elemento del conflitto di classe, oggi invece il conflitto è sparito ed è stato soppiantato dal sogno di ottenere quei mezzi, a tutti i costi. Non più dal lavoro (non c’è) né dal sacrificio né tantomeno dal merito. Il merito viene allineato da una scuola nozionistica, in continua riforma (verso il basso) e con docenti svogliati, impreparati e impauriti, il sacrificio (o, come si diceva in passato, la gavetta) viene confuso con lo sfruttamento (e spesso mischiato) e il conflitto non può esistere se non esistono due (o più) classi con visioni diverse del mondo e della storia. Ecco che, magicamente, si spiega il perché l’unico Dio per tanti è il sogno di vincere al gratta e vinci o al superenalotto o perché tanti figli uccidono i propri genitori per ottenerne l’eredità o, peggio, qualche spicciolo oppure perché molti preferiscono lo spaccio, attività più redditizia del lavoro. Non è certo questa l’unica spiegazione, ma va vista come una chiave di lettura.

Ecco perché, infine, per molti (è inutile nascondersi dietro un dito) il reddito di cittadinanza, o d’inclusione o comunque lo si voglia chiamare, è il leit-motiv che spinge a votare, per raggiungere il tanto sognato benessere.

Cosa c’entra tutto questo con Salvini?

C’è da chiedersi come abbia fatto un personaggio a portare un partito prettamente territorialista, fermo al 4%, ad un partito ormai di fatto nazionalista che vanta il 18% di consensi, con un buon bacino elettorale persino al Sud. La risposta appare semplice quanto scontata. Ha saputo anzitutto dialogare con la gente, sia al Nord che al Sud e ha capito che le distinzioni di classe o le distinzioni territoriali sono ormai dei meri sfottò privi di qualsiasi substrato culturale, quindi è riuscito – in pochi anni – ad entrare nella pancia delle persone parlando un linguaggio comune e intercettando i desideri e le paure della gente.

Ammettiamolo pure candidamente. E’ stato l’unico, oggi, a capire che le distinzioni tra fascismo e comunismo sono ormai evidenti solo sul piano letterale e in nostalgici e sbiaditi ricordi della storia e che anch’esse si sono liquefatte e mischiate nella realtà di tutti i giorni.

Tutti sappiamo che, statisticamente, i reati commessi da italiani sono di gran lunga superiori ai reati commessi da stranieri, eppur nessuno può obiettare che la lotta all’immigrazione sia uno dei capisaldi della Lega e sia generalmente sentita come una necessità da parte di larghe fette della popolazione.

Nella storia abbiamo sempre assistito a scontri sociali. La comunità diventa compatta e coesa quando ha un nemico comune. Dai vecchi campanilismi (le lotte tra paesi) tipiche del Medioevo (e che ci siamo portati finora come retaggio) alle lotte di classe di Sessantottiana memoria, fino a giungere agli scontri Nord-Sud, nella dialettica politica degli anni Ottanta e Novanta, oggi, con una società interclassista, il nemico da combattere viene dal mare, ha un colore di pelle diverso, parla una lingua diversa e, preso dalla disperazione e dalla dicotomia tra la cultura d’appartenenza e il nuovo modello sociale d’approdo, fa – statisticamente in misura inferiore – quello che farebbe un qualsiasi ragazzo italiano alla ricerca disperata di soldi: delinque. Ne ho parlato brevemente in un vecchio articolo sullo Ius Soli.

Individuare un nemico comune, parlare un linguaggio semplice e comprensibile, stare tra la gente e capirne bisogni e desideri, questo è ciò che Salvini ha fatto, in modo talmente semplice da essere rivoluzionario. Perché mentre gli altri partiti (e persino la Chiesa, fino al 2013) ancora non avevano ben chiara la portata rivoluzionaria del modello capitalista, che ha sfalciato via le classi sociali, la Lega di Salvini, con un certosino lavoro sui territori, ha ben capito tutto ciò e l’ha tradotto in propaganda politica.

Da parte sua anche il Movimento 5 Stelle ha fatto altrettanto, solo con un grossolano errore di valutazione: non ha dato importanza alle istanze dei territori, si è affidata quasi esclusivamente alla rete come termometro sociale, quando invece la rete spesso si è dimostrata fuorviante per capire i bisogni e i desideri della gente. Le sedi territoriali della Lega, invece, a differenza dei MeetUp dei 5 Stelle, hanno rappresentato il vero termometro sociale grazie al quale Salvini ha ottenuto quei dati che, come dicono tutti gli esperti di marketing digitale, rappresentano l’unico vero strumento per operare precise strategie di marketing. E la Lega, anche rispetto al M5S, ha saputo leggere e interpretare i dati per poi offrire alla gente un prodotto appetibile e altamente profilato.

Ora vedremo se la Lega avrà (prima o poi) le stesse capacità nel gestire le Istituzioni in cui siederà. Ad ogni modo mi auguro che questo contributo non sia preso come un mero elogio alla Lega ma per quello che è: l’analisi di chi le analisi le sa fare.

Legge Fiano, ovvero curare un tumore con l’aspirina

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E’ passata alla Camera dei Deputati la c.d. Proposta di legge FIANO (ed altri): “Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista”. Scritta male e pensata peggio.

Cosa dice questa proposta di legge?

Introduce un nuovo articolo nel codice penale, il 293-bis, rubricato Propaganda del regime fascista e nazifascista.

“Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

Detto in soldoni, questa sarà (se passerà anche in Senato) una legge anti-gruppi-facebook e anti-gadget. Infatti la proposta di legge mira a punire, oltre alla diffusione di video o immagini, anche il commercio di gadget e prodotti che raffigurano personaggi o simboli dei regimi fascista e nazista.

E’ una proposta di legge fatta male. Perché?

Per varie ragioni, formali e sostanziali. Partiamo dalla ragione sostanziale, la più importante.

Come il titolo – provocatoriamente – descrive, questa proposta di legge – a differenza delle vigenti Leggi Scelba del 1952 e Mancino del 1993 (su cui ci tornerò a breve) – introduce una sorta di reato d’opinione che mal si confà in un sistema che vuol definirsi democratico. Ma, ancor peggio, mira ad eliminare le conseguenze e non le cause del problema. Infatti, esattamente come fa un qualsiasi tizio di ridotte capacità cognitive che tenta di curare un tumore con l’aspirina, così questa proposta di legge cerca di eliminare i sintomi e non il malanno.

Giusto per fare qualche esempio, il proponente, nelle sue intenzioni (leggile qui) non si pone l’obiettivo di educare e formare i giovani e i meno giovani alla cultura democratica (non antifascista. Tutti gli anti sono sempre periocolosi), non tenta di analizzare le cause del dilagare di gruppi e organizzazioni di ispirazione violenta e antidemocratica (non solo fasciste, ma anche di altro genere…), non si pone nemmeno una domanda su qual è l’humus culturale in cui si formano queste persone che inneggiano al fascismo e alla violenza. No. Punisce il commercio. Punisce chi ostenta i simboli. Punisce, insomma. Opera senza diagnosi. Cura senza anamnesi.

Secoli di giusnaturalismo vengono, con questa proposta di legge, buttati nel cesso. Fior di filosofi del diritto e giuristi illuminati hanno sempre parlato della sanzione penale come extrema ratio. Qui invece di colpo si ritorna al positivismo di cinquecentesca memoria. Il reato si confonde con il peccato, la giustizia diventa repressione, le streghe vengono bruciate e gli eretici vengono torturati e giustiziati. Solo per aver espresso opinioni discordanti da quelle del Sovrano. Il reato d’opinione è un terreno minato e prima che diventi tale occorre aver esperito tutti i tentativi – extragiuridici – per impedire di doverlo utilizzare.

Ma il problema di questa legge è anche formale. E’ scritta male anche perché assurge a termini di legge fenomeni storici come “fascismo” e “nazismo”, gettando fumo negli occhi alla gente che invece, oggi, subisce nuove e più insidiose forme di regimi mascherati. Elevare un concetto storico a forma di Legge, come fosse ontologico e universale, equivale a trattare quello legislativo come uno strumento temporaneo e preda della volontà del Sovrano, non come dovrebbe essere: lo strumento principale di uno Stato di Diritto, quello che, secondo N. Bobbio, è lo Stato dei Cittadini.

Le Leggi Scelba e Mancino basterebbero per arginare il fenomeno

La Legge Scelba (1952), ancora in vigore, vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista e l’apologia del fascismo. Secondo Fiano, tale legge non basta per arginare il fenomeno del “braccio teso” o del commercio di prodotti di stampo fascista.

Mi dispiace appurare che il deputato Fiano non abbia ben chiaro il concetto di interpretazione della legge, perché solo leggendo il testo della Legge Scelba, si capisce facilmente che viene punito il tentativo di riorganizzare il partito fascista, il quale ricomprende anche tutte le attività volte “alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito”, inclusemanifestazioni esteriori di carattere fascista” (art. 1). Più chiaro di così? A cosa serve una nuova fattispecie di reato quando quella esistente può essere applicata? Non sarebbe stato sufficiente aggiornare la Legge Scelba? No, perché non sarebbe stata mediaticamente efficace.

Inoltre, cosa di non poco conto, la Legge Scelba si pone la finalità di “far conoscere in forma obbiettiva ai cittadini e particolarmente ai giovani delle scuole, per i quali dovranno compilarsi apposite pubblicazioni da adottare per l’insegnamento, l’attività antidemocratica del fascismo” (art. 9).

Cosa che a Fiano e al PD non passa manco per l’anticamera del cervello. Formare? Informare? No, punire.

Il problema è che l’attuale classe politica soffre della sindrome da legge, per cui ogni elemento contingente dev’essere regolato da una specifica legge, senza magari curarsi di interpretare e applicare quelle esistenti che, specialmente se più vecchie, sono scritte bene e si pongono l’obiettivo di essere quanto più universali possibile.

La Legge Mancino (1993), poi, completa il quadro, in quanto punisce chiunque faccia propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Le due leggi, insieme, di per sé basterebbero ad arginare il fenomeno. Ma Fiano guarda la punta del proprio naso e non vede oltre. Non vede che le due leggi sono sufficienti, che sono scritte meglio della sua proposta, che punire non è sempre la soluzione migliore e, soprattutto, che questi fenomeni vanno analizzati, compresi e curati alla radice, con terapie adeguate e non con una semplice aspirina, che magari leva i sintomi, giusto per un po’, ma la malattia è ancora lì, e avanza inesorabile.

Punta canna, l’ultimo discorso del Duce

lido Punta canna

Sensazionale discorso fatto dal gestore…ops! Dal Duce del lido di Punta Canna, Gianni Scarpa, poco prima del blitz della Digos. Qui in anteprima per voi, miei cari 3 lettori.
Bagnanti di terra, di mare, dell’aria.
Slippini neri della rivoluzione e delle legioni.
Uomini, donne e pure gay d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.
Ascoltate!
Un’ora, segnata dal destino, batte nel mare della nostra patria.
L’ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata ai vicini di stabilimento di lido Punta della Maiala (di tu mà).
Scendiamo in campo contro i bocciatori reazionari dell’Occidente, che, l’anno scorso, hanno ostacolato la vittoria a bocce dei nostri valorosi anziani e spesso insidiato l’esistenza medesima dei nostrani giocatori di racchettoni prestanti e di fascio vigore!
Questo è l’anno della vittoria a bocce sotto al sole cocente di Chioggia e il vile boccino sarà sbocciato dalle virili bocce di italica stirpe romana!
Questo lido, proletario e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiero e compatto come non mai contro i bolscevichi dello stabilimento qua accanto.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti.
Essa già trasvola ed accende i cuori da Jesolo all’italica Fiume: vincere!
E vinceremo, per avere finalmente la rivincita e gongolarci con le loro sovietiche donne perizomate e scostumate, attratte dai nostri falli cotonati e dai muscoli flosci e tatuati.
Terry Manfrin!
Corri ai fornelli, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore, mio prode piddino e fedele cuoco!


P.S. il discorso di punta canna è vero, ho solo cambiato due-tre parole (giuro).
P.P.S. oggi volevo scrivere qualcosa, una cazzata, giusto per passare il tempo. Niente di serio, dunque.
P.P.P.S. L’aspetto più divertente della storia del “lido nostalgico” è che nelle cucine, secondo il Gazzettino di Venezia, ci lavorava il segretario PD di Chioggia, tale Terry Manfrin. Ora, a parte che – come dicevano i romani – omen nomen, ogni nome ha il suo destino, e questo se si chiama “Manfrin” è sicuramente un malandrino, ma poi devo essere io a dirvi che nel PD la gente ci entra solo per trovare un lavoro, pure sottopagato, pure umiliante, basta che sia un lavoro? E quello del segretario locale del PD è un lavoro, tipico dei lacchè di quart’ordine. Quindi nulla di cui stupirsi.
Ah, se non si fosse capito, il discorso originale è quello fatto da Mussolini il 10 giugno 1940 in cui dichiarava guerra a Gran Bretagna e Francia. Ma sono sicuro che se li avesse davvero sfidati a bocce, avremmo vinto la guerra. Eja eja jamme jà!

https://www.youtube.com/watch?v=Zd2hyly9Skw