Sabato 9 ottobre abbiamo assistito all’abominio della violenza del fascismo in piazza, con l’assalto alla sede della CGIL. Anche i più riottosi a credere che il fascismo sia tornato (è andato mai via?) forse si sono convinti che non è solo folklore o un retaggio del passato.
Non starò qui a cercare parole che non trovo, per dirvi cose vecchie con il vestito nuovo, avrebbe detto Guccini in una canzone (quasi) d’amore. Farò dunque parlare chi, prima di me, ha espresso con grande acume ciò che è accaduto nei giorni scorsi a Roma.
La cosa curiosa è che a commentare il fatto saranno due persone, l’una vissuta ad inizi del Novecento e – ahinoi – ammazzata dal regime fascista. L’altra è scomparsa – sempre ahinoi – di recente, ma quantomeno ha avuto il tempo – a differenza del primo – di produrre con meno fretta. Quindi non sono commenti proprio freschi freschi, di giornata.
Ma dovrebbero insinuarci il dubbio che il fascismo – sia esso neo o tradizionale – risponde alle stesse logiche ed è prodotto e riprodotto dalla stessa classe sociale: la piccola borghesia. La quale è un prodotto dell’attuale assetto di rapporti sociali, cioè il modo di produzione capitalistico.
Quindi esiste diciamo da tanto, solo che nel momento in cui il conflitto è latente, cova nella cenere. E tutti credono che sia scomparso. Quando il conflitto si fa più aspro e la gente – giustamente – scende in piazza, il fascismo riemerge, in apparenza in modo spontaneo, confuso, scoordinato, ma in realtà determinato (non comandato, eh!) dalla classe sociale che lo produce.
Mettere al bando il fascismo per decreto? Mah…
Quindi non stupiamoci se, nel leggere queste citazioni che tra poco vi proporrò, ritroveremo cose comuni a ciò che vediamo oggi. E vedremo domani, almeno finché non prenderemo coscienza che è la stessa classe egemone, negli attuali rapporti sociali, a generare e poi tollerare l’esistenza di merde come Casa Pound e Forza Nuova.
Poi il fatto che si parli di metterle al bando è sì un aspetto positivo, perché quantomeno si genera un dibattito. Si mette luce su un fenomeno che per troppo tempo è stato minimizzato, se non addirittura accettato. Pure da quelli che si professano di sinistra. E che, diciamocelo pure, hanno anche piacere a collaborare con i fasci, perché così dimostrano a se stessi di essere tolleranti, democratici e progressisti. Con un fondo di ipocrisia parrocchiale, però.
Perché – sai – tutti hanno diritto di esprimere il proprio pensiero.
Anche i violenti? I razzisti? Pure quelli che dicono che i morti nel Mediterraneo sono cibo per i pesci?
E chi siamo noi per cacciarli via dalle assemblee? risponderebbero i progressisti da parrocchia.
E poi s’è visto in che situazioni di merda ci troviamo tutte le volte che scendiamo in piazza o ci organizziamo in gruppi per protestare/proporre/discutere qualcosa.
Ma non illudiamoci che – stante la situazione attuale – si possa far fuori il fascismo per decreto. Perché, come direbbe un giurista che tra poco citerò, una cosa sono i fatti del potere, un’altra è il diritto, asservito ai fatti. Se il diritto contraddice i fatti, sono quest’ultimi a prevalere.
L’ipocrisia dell’asu pjatuttu Emiliano
Mi pare grottesco che tra i fermi sostenitori della messa a bando di Casa Pound e Forza Nuova ci sia il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che prima, per ben due volte, fa accordi con la lista dell’attuale sindaco di Nardò, di chiara provenienza fascista (mai abiurata), e poi – sempre a Nardò – va a dare solidarietà alla CGIL locale a pugno chiuso.
Questo dopo che ha espresso – a lungo – simpatie al M5S. Mancano solo accordi con la Lega e FDI per completare l’arco politico.
Ma tempo al tempo, arriveranno.
La cosa non stupisce affatto. Già a suo tempo Lenin dava contro gli opportunismi, di cui Emiliano conosce bene le tattiche, ma lascia un po’ atterriti e disorientati per la sua spudoratezza.
E, a conferma di quanto appena detto, anche il consiglio regionale pugliese ha proposto, con una mozione all’unanimità, lo scioglimento di gruppi neofascisti.
In fondo questo genere di mozioni sono come le prediche del prete la domenica: tutti son d’accordo, annuiscono, applaudono persino, ma nessuno le segue. E lo sanno. Per questo le propongono e passano all’unanimità.
Gli utili idioti neofascisti e gli altri nemici
Prima di dare la parola ai due insigni commentatori, vorrei citare un attimo un ottimo commento del sociologo Niccolò Bertuzzi, comparso su Giap qualche giorno fa e che vi invito a leggere.
Bertuzzi, intanto, opportunamente, precisa che bisogna ricordarsi sempre che il fascismo fa schifo, ma la tecnocrazia sviluppista neoliberale non è il nostro alleato. Ça va sans dire.
Eppure ciò accade così tante volte che rischiamo di abituarci.
Cioè, per capirci, il fatto che l’antieuropeismo, l’ecologismo, persino l’anticapitalismo (preso da un certo punto di vista) siano temi di cui i fasci si sono appropriati negli ultimi vent’anni, non significa che d’un tratto questi temi non sono più di sinistra. Ossia che, per il solo fatto che ci si converge sul tema, poi si debba essere d’accordo su tutto il resto. E quindi, per evitare, si passa su posizioni moderate o ci si tura il naso e si accettano politiche dominanti classiste, securitarie e liberticide. A ciò ha risposto ancora Bertuzzi:
Ricorda molto la terza superiore quando a scuola si sapeva chi era il tuo nemico e, anche se per caso diceva qualcosa su cui eri tendenzialmente d’accordo, gli davi addosso per ipotesi, invece di provare a declinare le sue istanze con registri diversi e migliori dei suoi.
I fasci, in fondo, occupano spazi. Quelli lasciati liberi dalla sinistra radicale smarrita e disorientata. Come dice ancora Bertuzzi, riferendosi alle manifestazioni no green-pass a Milano,
Solo quei compagni che da decenni non escono dal loro orto – che sia la sede di un mini-partito di sinistra, un centro sociale autoreferenziale o qualche altro circolo underground della sinistra – possono seriamente essere convinti che si tratti esclusivamente, o anche solo principalmente, di un mix di fascisti e milanesi imbruttiti.
Lotte contro il green pass e redwashing della sinistra moderatuccia
Insomma, se i fasci sono contro al green pass, non vuol dire che per essere di sinistra bisogna poi appoggiare le tesi della classe dominante. Perché – qua occorre ribadirlo – è la classe dominante che produce i fasci, che poi le vanno contro per… farle un favore. Più facile di così non so come dirla.
Difatti, con grande chiarezza espositiva, Bertuzzi, sempre in quell’articolo che vi invito a leggere, ci mette in guardia dal confondere il legittimo dissenso nei confronti dello strumento del lasciapassare, dalla presenza di reazionari mascherati da rivoluzionari. Confusione che genera il redwashing, ben voluto dalla classe dominante. Ossia il
tentativo di restaurare la facciata di certe strutture – non solo alcuni sindacati, ma anche una certa “sinistra” che di fatto governa da anni con la Lega e coi tecnocrati autoritari – tramite l’uso di argomenti simbolici che rimandino a un passato vagamente “compagno”. Questo, ad esempio, porta alla trasformazione del vile attacco fascista di sabato scorso in un mega-spot della “sinistra” come rappresentante della parte sana del paese.
Nel presentare una certa area come quella dalla parte giusta della Storia, il recupero di alcuni simboli si sposa con il sostanziale appoggio alle politiche della governance neo-liberale. La dinamica è davvero simile a quella del greenwashing: per opporsi ai negazionisti climatici si abbracciano soluzioni sviluppiste, tecnologiche, di mercato, ma apparentemente riferibili al mondo dei buoni. Nuovamente la logica binaria che si impone, nel tentativo di espellere le opzioni di opposizione radicale al modello dominante.
In questo modo anche il sindacato e persino una certa parte di sinistra extraparlamentare possono diventare pedine dell’ecumenica alleanza draghiana.
Antonio Gramsci e l’origine del fascismo
Detto ciò, diamo parola ai due insigni commentatori. Partiamo dal primo.
Riporto qua e là qualche stralcio dell’articolo titolato Il popolo delle scimmie, scritto da Antonio Gramsci sull’Ordine nuovo il 2 gennaio 1921. Cioè poco più di un secolo fa. E a distanza di quasi un anno dalla marcia su Roma. Questo giusto per precisare che i tratti tipici del fascismo, così come la sua genesi, erano chiari sin dall’inizio e restano, oggi, immutati. Perché immutata – seppur oggi più gassosa – è la classe sociale che li genera.
Scriveva Gramsci, a proposito della piccola borghesia, che genera il fascismo,
Il fascismo è stato l’ultima «rappresentazione» offerta dalla piccola borghesia urbana nel teatro della vita politica nazionale.
(…) La piccola borghesia perde ogni importanza e scade da ogni funzione vitale nel campo della produzione, con lo sviluppo della grande industria e del capitale finanziario: essa diventa pura classe politica e si specializza nel «cretinismo parlamentare». (…)
La piccola borghesia si incrosta nell’istituto parlamentare: da organismo di controllo della borghesia capitalistica (…) sull’amministrazione pubblica, il Parlamento diviene una bottega di chiacchiere e di scandali, diviene un mezzo al parassitismo. (ricorda qualcosa? ndr) Corrotto fino alle midolla, asservito completamente al potere governativo, il Parlamento perde ogni prestigio presso le masse popolari. Le masse popolari si persuadono che l’unico strumento di controllo e di opposizione agli arbítri del potere amministrativo è l’azione diretta, è la pressione dall’esterno.
L’obiezione tipica a questo ragionamento è, più o meno, la seguente: sì, ok, se agli inizi del Novecento il parlamento era una chiavica e lo è pure oggi è perché è sempre stato così. I politici sono ladri, incompetenti e blablabla.
Non è così. Il Parlamento, così come la classe politica che lo popola, è stato – in alcune fasi storiche – perno del progresso sociale. Perché rappresentava le istanze della lotta di classe. E così, dal conflitto tra diverse – opposte – visioni del mondo, generava sintesi. Lo è stato, per esempio, su numerosi temi come i servizi pubblici, l’assistenza sanitaria universale, la scuola pubblica, ecc. ecc.
Fosse stato per la borghesia – senza la lotta di classe – tutto sarebbe stato privato e privatizzato. E difatti, oggi, stiamo seguendo quella deriva. Perché? Perché la lotta di classe non c’è. O, quantomeno, c’è ma è declinata in mille rivoli e priva di una visione d’insieme. Perché spesso questa visione è offuscata dalle narrazioni tossiche.
Poi, ancora, scrive Gramsci
(…) La piccola borghesia, che ha definitivamente perduto ogni speranza di riacquistare una funzione produttiva (…) cerca in ogni modo di conservare una posizione di iniziativa storica: essa scimmieggia la classe operaia, scende in piazza.
Questa nuova tattica si attua nei modi e nelle forme consentiti a una classe di chiacchieroni, di scettici, di corrotti: lo svolgimento dei fatti che hanno preso il nome di «radiose giornate di maggio», con tutti i loro riflessi giornalistici, oratori, teatrali, piazzaioli durante la guerra, è come la proiezione nella realtà di una novella della jungla del Kipling: la novella del Bandar-Log, del popolo delle scimmie, il quale crede di essere superiore a tutti gli altri popoli della jungla, di possedere tutta l’intelligenza, tutta l’intuizione storica, tutto lo spirito rivoluzionario, tutta la sapienza di governo, ecc. ecc.
Era avvenuto questo: la piccola borghesia, che si era asservita al potere governativo attraverso la corruzione parlamentare, muta la forma della sua prestazione d’opera, diventa antiparlamentare e cerca di corrompere la piazza.
E’ esattamente quanto è accaduto a Roma sabato 9 ottobre. Se vogliamo è proprio ciò che è accaduto a Genova, nel 2001, quando il movimento No-Global ha subito la sua mazzata più violenta e devastante (e quel mondo è stato messo a tacere, per il ventennio successivo). E’ accaduto in ogni singolo movimento ambientalista, nelle fabbriche, ovunque – insomma – sorgessero istanze dal basso. Ciò in un quadro di svuotamento del potere parlamentare e di progressivo rafforzamento delle tecnocrazie governative.
La genesi del fascismo
Parallelamente alla situazione odierna e con tutti i distinguo del caso (anche se non troppi), Gramsci tratteggia la genesi del fascismo
Nel periodo della guerra il Parlamento decade completamente. La piccola borghesia cerca di consolidare la sua nuova posizione e si illude di aver realmente raggiunto questo fine, si illude di aver realmente ucciso la lotta di classe, di aver preso la direzione della classe operaia e contadina, di aver sostituito l’idea socialista, immanente nelle masse, con uno strano e bislacco miscuglio ideologico di imperialismo nazionalista, di «vero rivoluzionarismo», di «sindacalismo nazionale».
La azione diretta delle masse nei giorni 2-3 dicembre, dopo le violenze verificatesi a Roma da parte degli ufficiali contro i deputati socialisti, pone un freno all’attività politica della piccola borghesia, che da quel momento cerca di organizzarsi e di sistemarsi intorno a padroni più ricchi e più sicuri che non sia il potere di Stato ufficiale, indebolito ed esaurito dalla guerra.
(…) appare subito evidente che la base solida dell’organizzazione è la diretta difesa della proprietà industriale e agricola dagli assalti della classe rivoluzionaria degli operai e dei contadini poveri. Questa attività della piccola borghesia, divenuta ufficialmente «il fascismo», non è senza conseguenza per la compagine dello Stato.
Oggi diremmo che la piccola borghesia si trincera dietro Confindustria e difende a spada tratta le illogiche politiche pandemiche. Una tra tutte, l’aver additato come responsabili dell’aumento dei contagi – l’anno scorso – i runners o i vecchietti seduti al parco, nascondendo ciò che avveniva nelle fabbriche, veri focolai del virus. O, oggi, difendere lo strumento del green pass perché utile a farci tornare alla normalità, additando tutti gli scettici e i critici dello strumento come no-vax (anche se vaccinati).
Qui Gramsci spiega le contraddizioni insite al fascismo e al suo rapporto con lo Stato
Dopo aver corrotto e rovinato l’istituto parlamentare, la piccola borghesia corrompe e rovina anche gli altri istituti, i fondamentali sostegni dello Stato: l’esercito, la polizia, la magistratura.
Corruzione e rovina condotte in pura perdita, senza alcun fine preciso (l’unico fine preciso avrebbe dovuto essere la creazione di un nuovo Stato: ma il «popolo delle scimmie» è caratterizzato appunto dall’incapacità organica a darsi una legge, a fondare uno Stato): il proprietario, per difendersi, finanzia e sorregge una organizzazione privata, la quale, per mascherare la sua reale natura, deve assumere atteggiamenti politici «rivoluzionari» e disgregare la più potente difesa della proprietà, lo Stato.
La classe proprietaria ripete, nei riguardi del potere esecutivo, lo stesso errore che aveva commesso nei riguardi del Parlamento. Crede di potersi meglio difendere dagli assalti della classe rivoluzionaria, abbandonando gli istituti del suo Stato ai capricci isterici del «popolo delle scimmie», della piccola borghesia.
Sviluppandosi, il fascismo si irrigidisce intorno al suo nucleo primordiale, non riesce più a nascondere la sua vera natura.
(…) Quanto più forti sono diventati i «fasci», quanto meglio inquadrati sono i loro effettivi, quanto più audaci e aggressivi essi si dimostrano contro le Camere del lavoro e i comuni socialisti, tanto più caratteristicamente espressivo è stato il loro atteggiamento verso il D’Annunzio invocante l’insurrezione e le barricate.
Quando il diritto lascia il posto al potere del fatto
Per spiegare quanto affermava Gramsci in quest’ultimo passaggio, cito un ottimo articolo che ho avuto modo di leggere mentre preparavo l’articolo.
Firmato dal prof. Luca Perfetti, ordinario di diritto amministrativo, spiega con parole chiare quanto i fatti di Roma siano l’esito di un processo di violenza del potere che ha superato – coi fatti – i confini del costituzionalmente garantito. E racconta quanto siano intimamente connessi alle politiche di respingimento e all’intrusione del potere nel gestire i corpi.
Scrive Perfetti,
Ma il potere, se si esprime in modi diversi dal confronto razionale con i diritti, dal rispetto della loro dimensione incomprimibile e dal bilanciamento di ciò che incomprimibile non è, è esso stesso violenza.
In questi anni di emergenza, ma più ancora nei decenni che li hanno preceduti, la forma di espressione del potere è divenuta sempre più securitaria, sempre più l’affermazione del potere come fatto.
L’espressione del potere, quindi, non è più il razionale bilanciamento tra diritti delle persone. È un fatto. Un fatto che riguarda i corpi, perché li confina al di là di un muro, perché li scheda, vaccina, controlla, amministra, sempre evocando una necessità superiore al diritto: emergenziale, necessaria; protegge dalla paura, amministra la sicurezza, l’ordine, la salute – tutti e sempre pubblici.
Quel che conta è che il comando dell’autorità si pone come fatto, come necessità senza alternative e poco conta se i diritti della persona siano compressi in modo accettabile o meno e se le fonti costituzionali del diritto siano rispettate – il green-pass, ad esempio, è disciplinato da un atto del Governo, un decreto legge, e la sua applicazione interviene con un controllo parlamentare ex post, l’eventuale legge di conversione, che non potrà mancare perché ormai la misura è consumata dal fatto.
E’ questa la corruzione dello Stato di cui parlava Gramsci.
Il vero volto del fascismo (e neo-fascismo)
Conclude Gramsci,
La piccola borghesia, anche in questa sua ultima incarnazione politica del «fascismo», si è definitivamente mostrata nella sua vera natura di serva del capitalismo e della proprietà terriera, di agente della controrivoluzione.
Ma ha anche dimostrato di essere fondamentalmente incapace a svolgere un qualsiasi compito storico: il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nel giornale, non offre materiali per scrivere libri.
La piccola borghesia, dopo aver rovinato il parlamento, sta rovinando lo Stato borghese: essa sostituisce, in sempre più larga scala, la violenza privata all’«autorità» della legge, esercita (e non può fare altrimenti) questa violenza caoticamente, brutalmente (…).
Questa brutalità è ciò che oggi viviamo nell’insensibilità di massa nei confronti dei migranti, di chi muore in mare, di chi viene fermato da muri costruiti per proteggere i confini, persino di fronte alla morte dei nostri cari.
Oppure quando vediamo aumentare i casi di giustizia-fai-da-te. Caso eclatante, giusto per ricordare l’ultimo in ordine di tempo, è quello dell’assessore leghista che ha ammazzato un uomo, per legittima difesa. Che, tra l’altro, è stata rimaneggiata con la riforma del 2019, ampliandone i limiti.
E’ questo il vero volto del fascismo: accentrare il potere, tra misure emergenziali sempre più frequenti, e ridurre il campo del diritto, a vantaggio dell’incertezza. Alimentato da una narrazione mediatica tossica. Tutto ciò induce sempre più gente a procurarsi un’arma.
Umberto Eco e il fascismo eterno
Arriviamo finalmente al secondo commentatore dei fatti di Roma. Parlo del mai troppo a vanvera citato Umberto Eco.
In un suo intervento alla Columbia University del 25 aprile 1995 – poi confluito in un libello intitolato Il fascismo eterno – Eco tratteggia le caratteristiche tipiche del fascismo e, con grande sforzo interpretativo, lo storicizza. Cioè gli toglie quell’aura di idealismo e lo inserisce in una storia. Che è la sua, di 25 anni fa. Come la nostra, di oggi.
A proposito della capacità del fascismo di adattarsi ai tempi, alle trasformazioni socio-economiche e tecnologiche, Eco scrive
Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori, che si aspettavano una controrivoluzione.
Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un “duce” di tirare avanti sottobraccio a un “re” cui offerse anche il titolo di “imperatore”.
Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica “sociale”, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
Il termine fascismo si adatta a tutto
Scrive ancora Eco, nel suo Il fascismo eterno,
Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar. Togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola.
L’ur-fascismo o il fascismo eterno
E così Eco si sforza di isolare alcune caratteristiche tipiche del fascismo eterno. Non le riporterò tutte, è meglio leggersi il suo libro (son solo 50 pagine e costa poco).
Spiega Eco che è sufficiente che esista una sola di queste caratteristiche per far coagulare una nebulosa fascista.
La prima è il culto della tradizione, come reazione al razionalismo e al principio dialettico (aggiungo, pure, al principio della discussione collettiva). Per cui, spiega Eco,
tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza. Quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.
Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare ad interpretare il suo oscuro messaggio.
Il tradizionalismo, continua Eco, implica il rifiuto del modernismo.
Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico. Ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’età della ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna.
E poi, chiaramente, la cultura è sospetta, per il fascismo.
(…) l’uso frequente di espressioni quali “porci intellettuali”, “teste d’uovo”, “snob radicali”, “le università sono un covo di comunisti”, il sospetto verso il mondo intellettuale è sempre stato un sintomo di Ur-Fascismo.
Eco continua, nel suo libretto, a snocciolare le caratteristiche tipiche del fascismo eterno. Tra cui il rifiuto della critica, l’interclassismo, l’ossessione del complotto e tante altre caratteristiche che qui, oggi, compongono il fascismo. Che i media – volutamente o con grave ignoranza – attribuiscono invece al variegato mondo di chi, in nuce, esprime una critica che viene subito degradata dall’azione violenta dei fasci. Non solo quelli di Casa Pound e Forza Nuova. Loro sono solo il braccio violento. La testa, s’è visto, sta altrove.
ad integrazione della citazione di Eco mi permetto di suggerire quest’articolo che riporta le 14 caratteristiche del fascismo, in modo completo. Sono però d’accordo con te che è meglio leggersi il libro. Ciao!
https://www.sulromanzo.it/blog/le-14-caratteristiche-del-fascismo-secondo-umberto-eco