L’analisi del voto delle amministrative, come prevedibile, sui media è durato quanto il battito d’ali d’una farfalla. E cosa ci abbiamo trovato? Analisi di sconfitta della destra, con brevi cenni all’astensionismo, e commenti festeggianti ad un ritorno del centrosinistra come protagonista della vita politica del paese. O, quantomeno, nelle città in cui ha vinto ai ballottaggi.

Non so cosa si dica in TV in fatto di astensionismo, perché – nonostante paghi il canone con tutte le bestemmie del caso quando me lo ritrovo in bolletta – non la guardo, se non per guardare i Simpson all’ora di pranzo, oppure vecchi film o serie in DVD all’ora di cena.

Però posso immaginare – stante ormai la mia (quasi) veneranda età – che i commenti siano i soliti. Si parla di alternanza destra / sinistra. Di reazione di pancia degli italiani contro i fatti di Roma. Oppure di effetto Draghi. O commenti del tipo: merito di Letta, che è una persona moderata di cui oggi abbiamo bisogno. Oppure: colpa di Salvini, perché ha spaccato il centrodestra. Oppure, ancora, la gente ha bisogno di normalità e quindi vota i moderati dopo dieci anni di populisti e nazionalisti (letto per davvero sull’huffpost).

La normalità?

A costo di sembrare ripetitivo, non vedo normalità nel voto democratico in cui la scelta si riduce – per citare una vecchia puntata di South Park – tra una peretta gigante e un panino alla merda.

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L’astensionismo di Stan che si rifiuta di votare per una peretta gigante o un panino alla merda è esemplificativo dell’attuale scelta tra borghesi di destra o borghesi di sinistra

La normalità, nella mia forse troppo idealistica visione delle cose, c’è quando la composizione politica rispecchia o quantomeno si sforza di rappresentare quella sociale e di classe. Quindi sarebbe normale se si potesse scegliere tra partiti che aderiscono alla narrazione dominante e partiti che, invece, rappresentano le classi subalterne, che dalla classe dominante prendono solo schiaffoni.

Invece gli elettori sono costretti a scegliere tra una destra ed una sinistra inscatolate nella medesima concezione del mondo. Quella dominante.

E, fino a qualche tempo fa, anche un movimento interclassista – per pochissimo tempo autodefinitosi terzo polo – che rientrava a pieno titolo nella stessa scatola. Solo che, di facciata, si mostrava antisistema.

Quindi l’alternanza tra destra e sinistra – tra PD + M5S e Lega + FdI con M5S a fare da jolly o con PD + Leu + M5S, insomma, con tutte le combinazioni del caso – in un quadro di piena sottomissione al liberismo e di destrutturazione di qualsivoglia politica sociale, non è che cambi molto la sostanza delle cose.

Nemmeno le politiche di accoglienza / respingimento o di welfare / liberalizzazioni sono dirimenti in questo senso. Ricordo, per dirne una, che il gran maestro dei respingimenti fu Minniti (PD), molto prima di Salvini. Oppure che i demonizzati Bossi e Fini furono tra i primi a criminalizzare gli immigrati clandestini, ma quantomeno introdussero il sistema di accoglienza SPRAR.

Oppure va ricordato che sì, è vero, il M5S ha voluto il reddito di cittadinanza, ma come strumento elettorale e senza toccare minimamente i grossi redditi e i capitali. Attingendo, così, dalle risorse pubbliche. Ossia facendo pagare il RdC dagli stessi lavoratori e generando forme di odio sociale all’interno delle classi subalterne, tenendo – invece – indenni quelle dominanti.

Oggi capita la stessa cosa con il caro bollette. Non è che si metta in discussione la speculazione che sta dietro la produzione, il commercio e il trasporto dell’energia. Affatto. Si fa fronte agli aumenti attingendo dalle risorse pubbliche. Insomma, i profitti privati si pagano con le tasse dei lavoratori.

Ha vinto l’astensionismo

Non ha vinto la sinistra a questa tornata. Ha vinto l’astensionismo. E’ vero che – come sostiene qualcuno – i ballottaggi nelle amministrative sono poca roba rispetto alle politiche. Ma le scorse elezioni sono state le prime post-pandemiche e si sono svolte in una fase di forti contestazioni di piazza contro il green pass. E dunque sono da prendere in seria considerazione.

Come riporta l’ANSA, ha votato il 43,94%, meno di 1 elettore su 2. E’ l’astensionismo più alto di sempre.

Se è vero che giuridicamente ciò non conta molto, in quanto le elezioni non hanno un quorum e quindi sarebbero valide pure se votassero due elettori, politicamente questo dato è fondamentale. Lo è per capire intanto che:

  • c’è scarsa legittimazione politica. Non c’è, insomma, corrispondenza tra rappresentanti e rappresentati. Chi ha vinto oggi, a Roma (dove ha votato solo il 40,68% dei votanti) come a Trieste o a Torino o a Cosenza, deve fare i conti con un elettorato che ha scelto di non scegliere e che non vuol essere rappresentato da costoro;
  • anche il Governo Draghi non è esente dalla scarsa legittimazione. A parte per l’ovvia considerazione che non è stato eletto. Ma il fatto che riceva il plauso dei commentatori da operetta o che venga magnificato persino da chi fino all’altro ieri si dichiarava comunista, non significa che molta gente non si renda conto, pur istintivamente e priva di lucidità politica, che l’uomo della provvidenza lo è solo nei confronti dei suoi simili. Che non sono certo l’uomo della strada, castrato tra caro vita, bollette alle stelle, ricatti sul posto di lavoro, precarietà, bassi salari e oggi pure da chi lo addita come no-vax e complottista qualora si permettesse di mettere in discussione le politiche di vaccinazione;
  • anche l’astensione è un fatto politico. Non è detto che la democrazia si eserciti solo con il voto. Anzi. La più alta forma di democrazia è la critica – collettiva – del potere classista e delle sue forme di gestione della cosa pubblica in ottica privatistica;
  • come scrive Andrea Olivieri, le piazze contro il greenpass hanno a che vedere col bisogno di partecipazione e la totale delegittimazione e non rappresentatività di tutto il mondo politico, che si definisca di maggioranza o di opposizione. E difatti andrebbe analizzata l’aderenza tra le manifestazioni contro il green pass e l’astensionismo alle amministrative. Chi non vede legami tra le due cose, non capisce il fondamento dei processi partecipativi;
  • esiste un partito, in Italia, che non è ancora tale. E’ il partito che verrà, quello cui molti astensionisti, fumosamente e senza chiarezza, auspicano. E’ il partito che tutela gli interessi delle classi subalterne, povere, lavoratrici, precarie, disoccupate. Ecologista (per davvero), progressista e non sviluppista, umanista, razionalista senza scadere nel tecnicismo, ugualitario, di classe, insomma, un partito di vera sinistra;
  • ridurre l’astensionismo alla svogliatezza degli italiani nei confronti della partecipazione democratica che si estrinseca in un voto è una vera e propria stronzata. Come lo sono gli appelli al voto ricordando che questo diritto proviene dalla resistenza. Vedo molta più affinità alla resistenza antifascista nelle piazze – seppur disordinate ed incoscienti – dei movimenti no-green pass che nell’esprimere un voto tra un borghese radical-chic e uno nazionalista. Ma che entrambi sono accomunati dal difendere gli attuali assetti sociali.

Astensionismo e piazze no green pass

Partiamo subito da due presupposti.

Il primo. Tra i contrari al green pass (che sarebbe più corretto chiamare lasciapassare, nulla osta) ci stanno una marea di vaccinati. Quindi è un bias cognitivo, oltre che una forma di narrazione tossica, associare le piazze no green pass ai no-vax tout court. Eppure i media lo fanno continuamente.

Il secondo. Dire che siccome a Roma i fasci hanno sconquassato la sede della CGIL (fatto gravissimo e che merita un’analisi a parte) o che sono presenti nelle manifestazioni di piazza, non significa che tutti i manifestanti son fascisti. Oppure di destra. O, ancora, son tutti complottisti, sciechimichisti, novaccinisti, idioti, analfabeti funzionali e via discorrendo.

Semplificare ed appiattire, senza sforzarsi di analizzare la complessità delle piazze, è quanto di più reazionario ci possa essere.

Difatti è complesso cercare di districarsi nel marasma delle manifestazioni di piazza. Come lo è stato, negli anni scorsi, cercare di comprendere le varie forme di dissenso che si sono esternate in istanze frammentate, localistiche, o su temi specifici (es. l’ecologismo, l’opposizione a singole grandi opere, ecc.), oppure in movimenti informi ed effimeri (forconi, popolo viola, sardine, ecc.). Movimenti frammentati e localistici in cui ci sta di tutto, pure i fasci. E come fai a cacciarli se si tratta di movimenti spesso spontanei e trasversali a svariate classi sociali? Senza un coordinamento forte e politicamente orientato?

In un quadro del genere, quello che è avvenuto a Trieste, dove noti fascisti sono stati cacciati dalle assemblee cittadine, ha un ché di straordinario, pur con tutte le criticità che compongono i movimenti spontanei.

Come scrive Guido Viale in quest’articolo,

Dobbiamo renderci conto che decenni di diseducazione politica, a scuola, sui media, sui social e al bar, hanno sortito quest’effetto e la popolazione italiana – ma non solo quella – è anche, e in gran parte, fatta così.

Tutto ciò rende molto variegate, e altrettanto confuse, sia le idee che le pratiche del “popolo” che ha continuato a scendere in piazza – molto numeroso, visti i tempi – sia contro l’obbligo vaccinale che, soprattutto, contro il green pass. Ma rende anche ineludibile l’onere di una interlocuzione con alcune delle sue componenti, che potrebbe anche sortire esiti parzialmente positivi, come si ricava, tra gli altri, dai resoconti delle mobilitazioni sia a Trieste che in altre città; ma che innanzitutto avrebbe il compito di sottrarre alle destre fasciste la rappresentanza, vera o presunta, di questa aggregazione sociale assai complessa.

Dunque sarebbe un errore di valutazione – oltre che estremamente reazionario – da parte di soggetti che si dichiarano di sinistra, considerare le piazze no green pass come fasciste. E, per reazione, aderire tout court alla narrazione dominante, accettando l’obbligo vaccinale di secondo grado senza minimamente mettere in discussione i rapporti di produzione che stanno dietro a siffatto obbligo.

Sarebbe, invece, il caso cercare di comprendere quale malessere spinga la gente a scendere in piazza, pur in modo scoordinato e priva di una corretta lettura della realtà. E sempre tenendo presente che molta di quella gente che è scesa in piazza si è astenuta dal voto.

Green pass e dittatura sanitaria

Molti no green pass associano l’obbligo del lasciapassare al concetto di dittatura sanitaria.

Magari fosse così! Una presunta dittatura sanitaria avrebbe, come presupposto, un fondamento scientifico e politiche pandemiche tutto sommato razionali ed omogenee tra i vari stati. Inoltre i destinatari sarebbero, indistintamente, tutti. Aziende e lavoratori. Cinema e supermercati. Ricchi e poveri.

Invece il presupposto scientifico fa solo da sfondo alle politiche pandemiche. Dunque sarebbe il caso di distinguere tra scienza e scientismo.

A tal proposito cito da questo blog,

La differenza principale tra scienza e scientismo è che la scienza è lo studio della natura e del comportamento delle cose naturali e della conoscenza ottenuta attraverso di esse, mentre lo scientismo è l’opinione che solo la scienza può rendere la verità sul mondo e sulla realtà.

La scienza, inserita in determinati rapporti di produzione e, di conseguenza, sociali, non può dirsi mai oggettiva in quanto risente degli influssi (o, peggio, dei determinismi) esterni ed interni ad essa. Da qui proviene la critica, seppur confusa, dei no-vax contro i big pharma. Critica sul mezzo del vaccino – inteso come merce – che trova un fondamento, anche se non una spiegazione chiara, nel rapporto tra scienza e capitalismo. E nella sussunzione della scienza al capitale.

In questo senso non si riesce a distinguere in modo chiaro il vaccino in sé (utile per contenere gli effetti pandemici) dai rapporti di produzione che ne sono alla base. E, di conseguenza, ad attuare una critica chiara e sensata al modo di produzione capitalistico.

Poi c’è il secondo aspetto. La differenza tra il vaccino in sé e le politiche di vaccinazione.

Ogni paese, specie quelli occidentali, sta adottando politiche diverse e, spesso, in antitesi tra loro. Tutte, però, basate su presunti fondamenti scientifici. Ma che non sono tali, in quanto altrimenti sarebbero omogenei. Invece sarebbe più corretto dire che si fondano su presupposti di ricerca scientifica, modellata, però, sui rapporti di produzione esistenti in quel determinato paese.

Da qui la spiegazione per cui ogni paese segue regole diverse.

Quindi se in Italia il green pass non esime comunque dall’uso della mascherina, in Inghilterra questa è stata ormai abolita da tempo. Se in Danimarca il green pass non è richiesto, perché ormai l’80% della popolazione vaccinabile è già stata vaccinata, in Italia gli stessi numeri di vaccinati non ha impedito, invece, l’obbligo esteso a praticamente ogni aspetto della vita di un individuo.

Quindi parlare di dittatura sanitaria è scorretto. Altrimenti vi sarebbero – alla base – motivi sanitari tutto sommato oggettivi.

A rafforzare questa considerazione v’è anche l’ovvia discriminazione che sta dietro il green pass. Serve per lavorare, ma non per accedere a centri commerciali, supermercati, grandi catene del consumo, dove la gente si ammassa molto più che al lavoro. Serve per le consumazioni al tavolo, al chiuso, nei ristoranti, ma non al bancone. Dove, notoriamente, la gente s’ammassa. Non viene richiesto negli alberghi, ma se ci vai da fuori per mangiare, sì.

Istintivamente, queste discriminazioni illogiche creano tra la gente la considerazione che si tratti di una dittatura. Ad istinto ci arrivano a quelle che i Wu-Ming chiamano nuclei di verità, ma le conclusioni sono errate.

Green pass e ricatti sul luogo di lavoro

Cito ancora Guido Viale, nello stesso articolo linkato sopra,

Con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori i licenziamenti senza giusta causa sono aumentati molto meno del previsto mentre sono cresciuti a dismisura gli incidenti e le morti sul lavoro.

Perché per non essere licenziati i lavoratori e le lavoratrici si vedono costretti e costrette a lavorare nelle condizioni di sicurezza sempre più precarie imposte dai loro padroni/datori di lavoro. È il ricatto del posto di lavoro. Con esso il governo italiano – unico al mondo – ha deciso di costringere i lavoratori renitenti al vaccino, e solo loro, a ”immunizzarsi”.

Lo ha fatto “a fin di bene”, per salvaguardare i loro compagni di lavoro, cosa che non aveva fatto allo scoppio dell’epidemia, quando aveva costretto milioni di lavoratori ad andare a infettarsi persino nelle fabbriche di armi rimaste aperte? Liberi di pensarlo.

Ma non si può sottovalutare la possibilità che, visto che, almeno in parte, questo ricatto sta funzionando, esso possa costituire un precedente di misure da adottare anche in altre circostanze. Non dimentichiamo, solo per fare un esempio, che tutti i cantieri delle Grandi opere aperti o da aprire sono stati dichiarati “Siti di interesse nazionale”. Scioperare lì, o nei servizi pubblici, potrebbe diventare molto più difficile di quanto già non sia ora. E questo è sicuramente un timore molto più concreto della paura fisica che, a detta dei media, terrebbe tanta gente lontana da questo vaccino.

Dunque le politiche di vaccinazione – di cui il lasciapassare rappresenta l’aspetto più forte – sono inscindibilmente legate ai rapporti tra capitale e lavoro. Un paese come l’Italia, in cui per svariate ragioni è difficile investire da parte dei capitali finanziari globali, ha bisogno di rassicurare i mercati – interni ed esteri – che qui da noi, nonostante i costi del lavoro più alti rispetto ai paesi in via di sviluppo, ci sono competenze, know how, alta maestria, ecc. ecc. Ma ciò non basta. Occorre garantire che qui è facile licenziare (v. jobs act), costringere i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro precarie, dure e insalubri, e ridurre i costi della sicurezza. Infine, addomesticare i più riottosi e sindacalizzati da scioperi e richieste di condizioni di lavoro e salariali sicure e dignitose.

Non è un caso che il 2021 abbia registrato il più alto dato di morti sul lavoro dal 2019. E l’anno non è ancora passato. Come non è un caso che i lavoratori più politicamente coscienti e sindacalizzati siano quelli che scendono in piazza contro il green pass. E rappresentano un pericolo per i datori di lavoro, in quanto – appunto – coscienti della propria condizione sociale.

Dunque è nel rapporto tra capitale e lavoro che va ricercata la ragione dell’introduzione del green pass. E non solo.

Scaricare le responsabilità verso il basso

Istintivamente, i contrari al green pass si accorgono di un altro fatto. Durante la piena pandemia – nella fase dei vari lockdown – una fetta consistente di lavoratori ha continuato a farlo, priva di protezioni individuali e con il rischio, tutti i giorni, di venire contagiati. In una fase – va ricordato – in cui non si sapeva nulla del Covid ed eravamo tutti terrorizzati dalla possibilità di morire. O avere invalidate alcune funzioni del nostro organismo. Dubbio che permane anche oggi, per ovvie ragioni.

In quella fase quante aziende – specie le più grosse – hanno vigilato sul mantenimento delle distanze di sicurezza? Quante hanno fornito mascherine e gel disinfettante? Quante disinfettavano bagni e strumenti di lavoro? Non ci sono mai arrivate notizie in questo senso. Anzi, ci arrivavano notizie di lavoratori infettati e che venivano messi in malattia. Non che gli venisse riconosciuto l’infortunio sul luogo di lavoro. In malattia. Il ché vuol dire che il datore di lavoro non è obbligato ad informare l’INAIL né si assume la responsabilità del contagio. La malattia è un fatto privato, che coinvolge solo il dipendente.

Oggi agli stessi lavoratori si dice che per accedere agli stessi luoghi di lavoro debbono possedere il green pass.

Quindi la protesta – in molti casi – non è contro il vaccino in sé, ma contro i tentativi di attribuire le responsabilità della disastrosa gestione pandemica ai lavoratori e, più in generale, alle persone.

Da qui la seconda considerazione.

Come sappiamo, anche se si introducesse un obbligo vaccinale vero e proprio, ci sarà sempre gente che, pur rischiando una sanzione amministrativa o, addirittura, penale, si rifiuterà di farlo. Per ovvie ragioni, personali, di salute, paura, motivi psico-somatici, presenza di patologie non riconosciute dalla scienza medica, ecc.

Non dimentichiamo che ci sono casi di persone che non possono fare il vaccino, per motivi di salute, pur non rientrando nei casi di esenzione previsti dal governo. Questo è l’ennesimo esempio di quanto sia debole ed inefficace l’azione amministrativa quando manca una preventiva discussione politico-costituzionale su temi così delicati. Detta in altri termini: quattro tecnocrati non saranno mai in grado di vagliare tutte le possibili esenzioni al vaccino, se prima non si appronta una discussione politica ampia, che vagli tutte le possibili casistiche.

Il green pass è la garanzia che – nella convinzione che non si raggiungerà mai il 100% di vaccinati – se dovesse ritornare la pandemia, se dovessero aumentare i contagi, le responsabilità saranno scaricate verso il basso. E la classe politica e dirigente ne resterà esente. Si darà la colpa ai no-vax, alla movida notturna, agli incoscienti, a chi passeggia al mare o prende l’aperitivo con gli amici, a tutti. Meno a chi ha gestito la pandemia e a chi gestisce il potere economico.

Gente che, grazie al green pass, potrà continuare a sfruttare persone e ambiente per perpetrare la devastazione capitalistica. E, se si continua così, a produrre ulteriori pandemie. Visto che quella di oggi è proprio il frutto dello sfruttamento capitalistico dell’ambiente.

E poi si lamentano che la gente non va a votare. Ma sciatavinne affanculo, panini alla merda e perette giganti!

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