La fase 2 tra norma e realtà

La cosiddetta fase 2, che consiste nella ripresa di buona parte delle attività, ma rispettando sempre le regole di profilassi sanitaria, è partita stamattina.

Come ha ribadito il premier Conte, non si tratta di un liberi tutti, in quanto la ripresa delle attività lavorative finora chiuse nonché di alcune attività sociali è subordinata al rispetto di queste norme, che ormai tutti conosciamo.

  • Obbligo della mascherina (fino al 3 maggio non era obbligatoria, ora sì);
  • Obbligo di mantenere le distanze sociali ad almeno un metro;
  • Obbligo di portare con sé l’autocertificazione (qui c’è il modello nuovo);
  • Divieto tassativo di assembramenti.

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    Inizio della fase 2 in un bus a Venezia, piazzale Roma

Eppure a vedere quanto avvenuto stamattina a Venezia, nei mezzi pubblici a piazzale Roma, non si direbbe. Problema non solo veneto ma, a quanto mi risulta, anche di  metropoli e diverse piccole e grandi città, in particolare del centro-nord Italia.

Questo è lo stato dei fatti e non poteva avvenire diversamente. Credo che anche il meno navigato degli uomini di Stato, siano essi politici o amministratori o burocrati, sapeva che nella realtà non si sarebbero mai potute tenere le obbligatorie distanze sociali. Era chiaro. Ora, di chi è la colpa? Non certo dei lavoratori, magari impossibilitati a muoversi con l’auto e costretti a servirsi dei mezzi pubblici. Né certamente degli autisti dei mezzi pubblici, che non possono sostituirsi agli agenti di pubblica sicurezza.

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Uscita dalla fermata di Punta Sabbioni a Venezia, lunedì 4 maggio 2020

La colpa, al solito, è di una burocrazia incapace di pianificare anche la più elementare delle strategie, nell’accezione specifica, quella della razionalizzazione dei trasporti pubblici. Eppure di tempo ce n’è stato e le risorse sarebbero state trovate (sono stati promessi miliardi alle aziende, non si riesce a trovare un paio di milioni per il trasporto pubblico?), ma quella che è mancata è stata la capacità di pianificazione. Non la volontà, attenzione, ma la capacità.

Il responsabile di tutto ciò? La burocrazia. Perché investire sul trasporto pubblico, anche in vigenza di una situazione emergenziale in cui viviamo oggi, vuol dire coinvolgere Stato, Regioni ed Enti locali, per definire un piano comune. Dopodiché ridefinire tutti i singoli piani comunali e provinciali dei trasporti, procedere a nuove assunzioni, coinvolgere i sindacati, giunta e consiglio regionale, la provincia, le aziende dei trasporti, che devono ricalcolare ruoli ed orari. Troppo complicato, troppo dispersivo, troppi enti da coinvolgere. Quindi meglio desistere e sperare che la gente, spontaneamente, eviti gli assembramenti.

Ma così non è e non sarà. E il rischio che torni a diffondersi il contagio proverrà proprio da queste lacune non colmate. Oltre, ovviamente, da un sistema produttivo che mette al centro il profitto anziché la salute umana (ma di questo ne ho parlato in altri articoli).

Queste lacune non colmate non sono certo colpa del governo Conte, di Brugnaro, Zaia o di qualsiasi presidente di regione. Sono endemiche ad un sistema politico-economico farraginoso, burocratico, incapace di adattare il proprio agire al mutare dei tempi e delle circostanze. Quest’incapacità non sarà certo risolta dal Salvini o dal Renzi di turno che, profittando del problema, faranno spiccia demagogia gettando fango sull’operato dell’attuale governo. Anche loro sono stati, sono e saranno incapaci di risolvere problemi del genere. Sia per loro incapacità soggettiva che per oggettivi ostacoli burocratici.

Tuttavia queste situazioni fanno comodo al sistema di potere nel suo complesso, perché se da un lato mostrano le debolezze del piano emergenziale sanitario e della relativa normativa, incoerente rispetto alla realtà, dall’altro sono un utile strumento per gettare le responsabilità sull’indefinito italiano indisciplinato nel caso in cui la pandemia dovesse ripresentarsi con maggiore virulenza. In quel caso non si dirà è colpa dell’ordinamento italiano perché non abbiamo pianificato la fase 2 considerando questi banali aspetti, tipo gli assembramenti nei mezzi pubblici. No, affatto. Si dirà è colpa dell’italiano indisciplinato che s’accalca nei bus o nella metro. E così l’irresponsabile classe politico-burocratica getterà il solito fumo negli occhi davanti l’opinione pubblica, scaricando le responsabilità su quegli italiani incoscienti che non rispettano le leggi.

Ma le leggi servono a regolare i rapporti sociali quando è possibile effettuare una scelta. Se davanti a me non ho una scelta ma un bisogno, preferirò rispettare il bisogno anziché la legge. Se il bus passa alle 7.30 e ci impiega mezz’ora per arrivare a destinazione e devo stare alle 8.00 sul posto di lavoro, lo prendo, anche se è strapieno di gente. Posso prendere quello prima, ma se è sempre strapieno, tanto vale prendere quello per me più comodo. Se però prendo quello dopo, il capo mi rimprovera e mi minaccia di licenziarmi qualora arrivassi spesso in ritardo. E allora che faccio? Violo la legge per soddisfare un bisogno. Dovrei essere sanzionato per questo? Lo fanno, perché ho violato la legge, ma è ingiusto. Questa è una contraddizione visibile. Ma ce ne stanno tante altre.

Le istituzioni servono a questo, non solo a normare e punire, ma anche a prevedere, pianificare, risolvere problemi comuni ed eliminare le contraddizioni. La legge, senza libertà, è arbitrio, diviene ingiusta e chi la emana, senza mettere la gente in condizione di rispettarla, soddisfa non un bisogno generale, ma particolare. Ecco che la burocrazia diviene uno strumento in grado di soddisfare bisogni di una classe minoritaria, ma incapace di risolvere problemi collettivi. Questa è la prima, grande, contraddizione, da cui scaturiscono tutte le altre.

La fase 2 sarà caratterizzata da ciò e l’aspetto positivo è che la gente inizia a prendere consapevolezza del fallimento dell’intera struttura che genera una contraddizione dietro l’altra. Perché? Perché di mezzo ci sta la differenza tra vivere e morire.

2 commenti su “La fase 2 tra norma e realtà”

  1. Bell’articolo. Unico appunto è che mi piacerebbe vedere corretto il termine “distanziamento sociale”, che è sempre esistito e sempre esisterà(la lotta di classe non sarà mai eliminata), con il termine “distanziamento interpersonale”.

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    • ciao Fabio, ti ringrazio tantissimo per il prezioso appunto, di cui ne faccio tesoro. Ammetto che il termine “distanziamento sociale” che ho usato nell’articolo è scorretto dal punto di vista concettuale. Tuttavia non lo cambio, perché chi leggerà dopo di te potrà capire l’errore e il senso del tuo giusto commento.

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