Capacità di intendere e volere e influenze culturali dominanti

capacità di intendere e volere cultura egemone edonismo e narcisismo

Quest’articolo vuol essere solo uno spunto di riflessione che parte dall’analisi di un cruento fatto di cronaca – l’assassinio di due giovani fidanzati ad opera di un loro coetaneo – per arrivare a chiedersi cosa sia in effetti la capacità di intendere e volere e quali influenze abbia in ciò la cultura egemone. Il fatto … Leggi tutto

Il Cloud è una nuvola leggera, rischia di cancellare la memoria

cloud nuvola

Cloud vuol dire nuvola. Qualcosa che con un soffio di vento si spazza via. Con quanta disinvoltura mettiamo la nostra vita sul web? Anche gli Stati digitalizzano tutto, eliminando la carta. L’efficienza è un bene, ma che succede se qualche evento imprevisto (o anche no) distrugge tutto? Vite individuali e collettive si perdono nell’oblio. E’ … Leggi tutto

Il bisogno di narrazione, essere ed esserci

la narrazione di enea e la pietas

Il bisogno di narrazione diventa sempre più una necessità. Che provenga da un giornalista, un vip o da un comune frequentatore dei social, oramai pienamente assorbito in quel mondo virtuale, raccontare la propria realtà soggettiva – sempre più attraverso immagini, battute, meme o qualsivoglia altra rappresentazione semplificata – è un bisogno impellente. Si dice che … Leggi tutto

Eroi per 15 minuti

eroi

All’artista Andy Warhol si attribuisce la frase in futuro tutti avranno 15 minuti di fama. Non si sa se sia veramente sua, ma è la frase simbolo di un’intera filosofia artistica e sociale che ha rappresentato l’inizio di un percorso di orizzontalità dell’essere-per-apparire e di liquidità delle sovrastrutture sociali, tanto più evidente oggi che, con i social, ognuno può, con un poco di strategia, un pizzico di fortuna, contenuti tritati, semplicistici e a portata del più becero degli analfabeti funzionali nonché con l’aiuto di qualche esperton-santone di marketing digitale, assurgere alla gloria effimera della fama a tempo determinato.

Poi, siccome i media ci sguazzano con i fenomeni da baraccone del web e con tutti i fenomeni che potenzialmente possono vendere, allora creano una singolare commistione tra il quarto potere (la stampa), il quinto potere (la TV) e quello che oggi definisco il sesto potere (internet e i social in particolare).

Oddio, seguendo la ripartizione classica dei poteri (1, legislativo, 2, esecutivo, 3 giudiziario, 4, stampa e 5, tv) arriviamo ai social come sesto potere, ma seguendo una ripartizione più razionale e storicamente attinente, direi che TV, stampa e social sono diventati, tutti insieme, il primo potere post-mediatico che domina i tre classici poteri, tanto che, s’è visto, ormai la scena politica è influenzata dal sentiment della rete, ossia da quelle reazioni popolari che si evidenziano sui social ma che sono influenzate a loro volta da tutti quei commentatori, opinionisti, giornalisti, ma anche social media manager, markettari ed esperti di comunicazione che appartengono al quarto, quinto e sesto potere.

Quindi le influenze reciproche che si sostanziano in questi strumenti vanno poi a governare le scelte politiche che non sono più liberamente determinate da un’idea, un manifesto, un programma dettato da una visione del mondo, ma da contingenze sempre mutevoli come mutevole è il sentimento di quel popolo tanto idealizzato dalla destra sovranista quanto pericoloso perché (ovviamente) incapace di dettare la linea politica, privo di guida e di strumenti per decodificare il mondo e sempre influenzabile dalle mode e tendenze del momento.

In questo quadro in cui la politica insegue l’elettorato attraverso i social, i media influenzano la gente che poi riversa sui social la mutevole pappa pronta, l’analisi viene sostituita dall’emozione, la discussione cede il passo alla tifoseria, allora il gentismo da social è alla perenne ricerca non più di un’ideale o di una visione alternativa del mondo, ma di un simbolo, che possa guidare (per i 15 minuti simbolici di Warhol) le proprie emozioni individuali e collettive, ed ecco che nascono gli eroi.

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L’eroe non costruito (oggi non si costruisce più nulla, semmai si riprende, svuotando di contenuti) ma riadattato da quello di romanticista memoria, che esce fuori dagli schemi della storia, sente la propria legge morale più forte dell’etica o della legge positiva, si contrappone all’universalismo per difendere l’amor patrio, le proprie tradizioni identitarie, la giustizia naturale.

Dalla falsa riga dell’eroe romantico oggi nasce l’eroe post-mediatico, quello che sfida il potere, smuove le masse e le emozioni (non le coscienze), si fa portatore non tanto e non più di un’ideale, una visione, ma di uno o più temi, spesso di un’antistorica pretesa identitaria.

Richiamando quindi l’eroe romantico, oggi l’Italia conosce l’eroe sovranista, che sfida il potere, cavalca la paura del diverso e difende una presunta identità ormai storicamente superata nonché delle tradizioni abbondantemente distrutte dal modello consumista e che sono solo una teca da museo. Ma alla gente interessa che l’eroe salvi l’Italia dal declino, quel declino in cui lui stesso ci sguazza.

Ma l’eroe viene di volta in volta riproposto tra ciò che può avere clamore mediatico, che può vendere emozioni, ma anche generare visite, advertising, funnel e persino gadget. Ecco che il circo post-mediatico ricerca tra gli smartphone sempre connessi, simbolo del sesto potere, le condivisioni, le interazioni e il clamore suscitato dall’eroe del momento, così lo preleva, gli crea un simulacro maginifico intorno, lo stordisce, gli svuota tutti i contenuti lasciando solo il motto (o l’hastag) e lo rigetta nella mischia del gentismo che altro non vuole che riconoscersi in un simbolo, però temporaneo, che possa appagare l’emozione del momento e, come direbbe Bauman, regalare un momento piacevole, sopperire alla recondita paura dell’inadeguatezza con episodici momenti di eroismo altrui, in cui riconoscersi e per cui tifare, che regala una sensazione di rivalsa, un’emozione di subitanea giustizia, uno scuotimento momentaneo dal torpore di chi è invischiato nella melma del consumo, che altro non fa che recidere qualsiasi prospettiva programmatica, qualsiasi visione alternativa ma come contentino regala momentanee sensazioni di appagamento emotivo.

Greta, Simone, Ramy, Samir, che sono stati accomunati in quanto tutti ragazzini e tutti eroi, non sono gli eroi, sono invece diventati un oggetto di consumo del circo post-mediatico e subitaneamente gli opinionisti e i commentatori rappresentanti del gentismo interclassista e servi del modello consumistico e tardocapitalista che vuole che niente cambi ma che si regali l’illusione del cambiamentone hanno tessuto le lodi, additando invece chi, più adulto, è addormentato, incapace di reagire ai soprusi o di scuotere le coscienze. Cosa che invece questi ragazzini, rispettivamente nel proprio ambito d’azione, hanno fatto. 

Le parole più sagge che abbia sentito finora sono state quelle del padre di Simone, 50 anni, ex operaio Almaviva, (…) anche la sinistra non può accontentarsi dell’eroe di turno. Oggi è Simone, ieri era Mimmo Lucano, l’altro ieri era il consigliere di Rocca di Papa. C’è la persona che scalda gli animi per qualche ora, ma non un vero lavoro di organizzazione.

Tra i tanti commenti letti o ascoltati in queste settimane, partendo da Greta per poi giungere a Simone, tale pensiero è il più equilibrato e saggio e sintetizza lo sminuzzamento della dialettica che ci ha condotti a questo punto: liquefatta la società, crollate le ideologie e addormentati come se fossimo in Matrix, la gente acclama l’eroe e la politica si accoda osannante, insegue il sentiment della rete e si fa dominare e manipolare (consapevolmente o no) dal primo potere: il circo post-mediatico.

Da questa vischiosità non se ne esce se non si riannodano i fili con il passato, ossia con il lavoro dialettico di ricostruzione storica e ideale che parta dalle persone di buona volontà e dagli intellettuali, non quelli inutili  finti intellettuali che oggi lodano gli eroi, ma quelli che hanno anche il coraggio di evidenziarne il pericolo. E ce ne sono. Basta vedere quanti sono stati attaccati per aver espresso una voce fuori dal coro. Ricostruire la dialettica, soprattutto per mano degli intellettuali, significa anche avere il coraggio di affrontare il momento antitetico della negazione (ossia avere la gente contro) e di ritornare al momento sintetico dell’affermazione razionale come sintesi delle visioni alternative del mondo.

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Per concludere, lasciatemi approfondire il punto sul confronto tra generazioni.

Chi addita noi, generazione fallita, ossia quella dei nati tra gli anni Settanta e Novanta, dicendo che i giovani di oggi sono attivi, coscienti e lottano, mentre noi siamo addormentati e abbiamo abbandonato la lotta, ricordo che abbiamo vissuto le peggiori fasi del crollo degli ideali, della liquefazione della società, dell’interclassismo, siamo stati picchiati a Genova, dove hanno scientificamente distrutto una generazione, siamo stati annichiliti nell’ideale di ricostruzione di una società che nel frattempo si stava decostruendo, siamo stati beffeggiati e derisi quando parlavamo di antiglobalizzazione e proponevamo un modello solidale, mentre oggi subiamo le conseguenze della globalizzazione e la risposta è diventata il sovranismo (come cura peggiore del male). 

Siamo stati travolti dal consumismo, dall’edonismo voluto da chi, prima di noi, ha coscientemente iniziato il processo di abbandono dell’umanità, delle campagne, delle periferie della civiltà, della cultura popolare, per sposare la causa del benessere, dell’auto nuova, della seconda casa al mare, del cibo spazzatura edulcorato dall’invasiva pubblicità, degli status symbol, dei personaggi cicaleggianti nei talk show (mi perdoni Francesco se gli rubo l’espressione), delle copertine satinate che rappresentano modelli innaturali da perseguire a ogni costo e del conseguente edonismo di massa.

Ero bambino quando sono stato bombardato da un modello che tutti hanno preferito a quello scomodo e poco appetibile del socialismo, della solidarietà. Nei ruggenti anni Ottanta ci hanno insegnato a prevaricare, a far carriera, ad inseguire ideali materialisti, a svincolarci dai lacci e laccetti della morale cattolica o di qualsiasi altra morale, come fosse un macigno inutile al cospetto della leggerezza dell’avere.

Negli anni Novanta tutti plaudivano Prodi quando parlava di smantellare lo Stato sociale, privatizzare tutto ed alleggerire il mostro burocratico e nel frattempo, mentre le prime avvisaglie di una crisi non solo economica ma sociale iniziavano a palesarsi, tutti si sono fatti rimbecillire dal modello tette&culi proposto dalle reti televisive di Berlusconi (quindi dalla mercificazione della donna) e dall’americanizzazione invadente, fatta di armi di distrazione di massa e consumo usa&getta, che oggi vale non solo per le cose, ma anche nei rapporti umani.

Mentre accadeva ciò noi crescevamo, ci indignavamo, protestavamo in piazza e venivamo derisi dagli uni e abbandonati dagli altri, che nel frattempo distruggevano la quasi centenaria esperienza del PC e abbracciavano il riformismo e il modello capitalista. Insomma, lottavamo sia dentro che fuori le mura della politica domestica. E oggi quella stessa gente, unita a sconosciuti opinionisti venuti dal nulla del circo post-mediatico, addita noi e ci propone come modelli dei ragazzini che sì, sono migliori, lo sono sicuramente, ma sono dati in pasto agli squali

A questi ragazzi e a tutti gli adolescenti dico solo: non fatevi fregare anche voi. Quando vedete uno smartphone puntato in faccia, sputate nell’obiettivo. Quando vi additano come modelli o come eroi, spostate il dito da un’altra parte. Se noi venivamo derisi, voi sarete tritati, masticati e sputati nel circo post-mediatico, ad uso e consumo della gente.

Vuoi realizzare un sito web? Ecco come riconoscere un vero professionista

google seo sito web

Oramai oggigiorno se non sei presente in rete non ti conosce nessuno. Questo lo sappiamo più o meno tutti e soprattutto le Aziende. Con un sito web è possibile trasformare una piccola realtà locale in un brand internazionale, anche grazie alla capacità della rete di superare i limiti geografici.

E’ sufficiente, in linea di massima, aprire un sito web e uno o più profili sui tanti canali Social, in breve tempo e soprattutto gratuitamente.

Ma c’è un problema.

Rispetto a 10 anni fa il numero dei siti web presenti in rete è decuplicato. Basti pensare che solo gli e-commerce, dal 2010 a oggi, sono aumentati del 25% mentre i siti vetrina, le landing page e i blog sono aumentati del 78%. La rete offre numerose opportunità, ma per emergere e per farsi conoscere è necessario investire numerose risorse, non solo economiche, ma anche in termini di tempo e di competenze. Inoltre bisogna valutare un altro aspetto essenziale sulla presenza in rete, ossia che gli utenti del web oggigiorno vengono continuamente bombardati da contenuti, spesso commerciali, con conseguente calo di attenzione su contenuti ritenuti poco interessanti o comunque poco influenti, specie se pervenuti da brand poco noti.

In poche parole…

Che tu sia un imprenditore affermato localmente o un hobbysta che vorrebbe trasformare la sua passione in attività imprenditoriale o un artista che vuole far conoscere le sue opere al Mondo, devi per forza investire sulla rete, o con il sito web o con un canale social o, meglio, con entrambi.

Sono cambiati i tempi, è cambiato il mezzo, ma la meccanica resta sempre la stessa: se non investi, soccombi.

La pubblicità ai tempi del Marketing tradizionale

Una volta per far conoscere un’Azienda (o qualsiasi altra attività) occorreva investire un certo budget in pubblicità: dalle inserzioni sui giornali al volantinaggio ai manifesti sparsi per le città per poi passare alla radio, alle TV locali o nazionali, in base al budget e alla strategia di crescita aziendale, c’erano soluzioni di ogni tipo. A occuparsi di ciò ci pensava quasi sempre un’Agenzia specializzata in pubblicità, soprattutto quando l’Azienda si proponeva sul mercato nazionale o internazionale.

Oggi cos’è cambiato? Nulla. Sono cambiate le forme con cui fare pubblicità, ma la filosofia di fondo resta: senza investimenti in marketing non ti conosce nessuno. Oddio, per fortuna con il web è molto più economico – rispetto al passato – fare pubblicità e c’è un’unica, sostanziale, differenza rispetto alle forme di pubblicità di massa tipiche dei media tradizionali: ti puoi rivolgere ad un pubblico specifico (in gergo si dice profilazione), con conseguenti notevoli risparmi in termini economici e maggiore efficacia del ritorno d’investimento (in gergo si chiama ROI).

Il famoso cuggino che fa il sito web con pochi soldi

Per anni si è radicata l’idea che per operare on-line occorre munirsi di un sito web fatto da soli o, al più, dal famoso cuggino informatico che te lo fa per 200 euro, nella becera concezione per cui “tanto basta fare il sito, piazzare due immagini e mettere la mappa per vendere dappertutto”. Già, perché un professionista che ti chiede cifre alte per un sito web sembra un ladro in quanto in Italia c’è l’idea che il lavoro intellettuale non ha un valore economico e va regalato.

La diffusione dei Social, poi, ha amplificato questa concezione, anzi, per molti avere un sito web è sembrato persino inutile: “Tanto vendo su Facebook o su Instagram. Mi apro il profilo, pubblico le foto, i prezzi, faccio un’inserzione ogni tanto e vendo”. In realtà i Social non sono concepiti per vendere (anche se ultimamente si stanno aprendo ai Marketplaces) bensì per far interagire Aziende e utenti, per ampliare la web awarness e la web reputation nonché per attività di remarketing.

I Social, insieme ad una sapiente attività di posizionamento web e di link building, sono un ottimo strumento per far veicolare il brand, ma sono solo un sistema marginale per vendere direttamente. Chiunque pensi che sia sufficiente avere un profilo o una pagina su Facebook, uno su Instagram e un semplice sito web vetrina fatto in modo amatoriale, senza una precisa strategia, senza prevedere investimenti e senza un piano di marketing digitale, prima o poi finirà per dire che su internet non si vende e darà la colpa alla concorrenza, ai cinesi, al sovraffollamento della rete, persino a Google che lo posiziona in ultima pagina, piuttosto che a sé stesso.

Lo stato delle cose al giorno d’oggi

Difatti con l’aumentare della popolazione di siti web diminuisce esponenzialmente la possibilità di emergere, soprattutto oggi che i motori di ricerca filtrano i risultati sulla base di complessi algoritmi che tengono in conto di numerosi fattori tra i quali: la presenza di contenuti originali e in linea con quanto cerca l’utente, la presenza di parole chiave coerenti e omogenee, una struttura del sito fatta bene e che rispetta le regole in relazione al SEO (con tutti gli attributi inseriti), la velocità e la reattività del sito web, la presenza di un codice scritto bene e senza errori o ridondanze, la presenza del protocollo di sicurezza e tanto altro ancora. Sulla base di questo complesso rapporto ecco che alcuni siti web vengono mostrati prima degli altri e, nei casi peggiori, alcuni siti web non compaiono affatto nella SERP di Google.

E’ evidente che non comparire sui motori di ricerca significa non esistere affatto, con l’ovvia conseguenza che non venderemo mai i nostri cappotti fatti a mano o quell’ebook che abbiamo scritto con tanta passione.

Per ovviare a questo problema ci sono soluzioni a pagamento come la pubblicità pay-per-click, ma siamo sempre punto e a capo: se arrivi al punto di pagare per la pubblicità su Google vuol dire che hai fatto bene tutto il resto. Non attivi la pubblicità a pagamento se non hai una chiara strategia di marketing on-line.

Tempo e competenze o soldi?

Sia chiaro, non è proprio necessario pagare Google, Facebook oppure uno sviluppatore bravo o un’Agenzia di web-marketing per emergere sulla rete.

La rete, per fortuna, offre numerosissime fonti da cui imparare a fare tutto da soli, inoltre ormai ci sono molti servizi che offrono siti web già impacchettati e funzionali. Tuttavia non sempre queste soluzioni sono professionali e non sempre un imprenditore ha il tempo di imparare a fare tutto, anche perché, a dispetto di quanto si pensi, per operare in rete occorrono tantissime competenze in molti campi: dal linguaggio di programmazione (php, css, asp, java, ecc.) alle tecniche per fare buone foto, dalla capacità di scrivere testi leggibili (sia dagli utenti che dai motori di ricerca) all’editing video, dal SEO all’analisi dei dati, e tanto altro ancora.

Fare tutto da soli è possibile?

Si, ma occorre tempo e una buona dose di curiosità e voglia di imparare sempre cose nuove. Se manca il tempo o mancano le competenze (oppure non si riesce ad acquisirle) occorre prevedere un certo investimento in termini di denaro e rivolgersi a un professionista. Anzi, uno non basta, perché più è diventato complesso operare on-line e più si sono sviluppate figure professionali autonome: non è detto che uno sviluppatore di siti web sappia lavorare con il SEO o che un esperto di campagne promozionali su Facebook sia in grado di leggere i dati di Google Analytics (il più importante mezzo per studiare l’efficacia di un sito web). Dunque un solo professionista non basta, occorre rivolgersi a diverse figure.

Come riconoscere un Professionista valido

Per farlo occorre prima chiedersi: cosa voglio ottenere dalla mia presenza in rete?. Voglio più vendite? far veicolare il mio brand? Oppure che la gente scarichi e condivida le foto delle mie opere? Voglio che si iscrivano ad una newsletter per offrire loro le mie conoscenze sul settore in cui opero? O farmi conoscere da un pubblico locale perché ho – chessò – un’autocarrozzeria e voglio ottenere più clienti? Oppure voglio emergere sui mercati internazionali? Senza una chiara strategia sarà molto difficile trovare il professionista giusto e scartare quelli che non servono.

Questo è il primo campanello d’allarme: se trovi qualcuno che ti dice: ok, facciamo tutto noi senza nemmeno avergli spiegato di cosa hai bisogno (perché, forse, non lo sai ancora nemmeno tu…), allora hai di fronte uno dei tanti millantatori che ultimamente si spaccia per un professionista del web. Già, perché un asso piglia tutto che si occupa di sviluppo, grafica, campagne social, SEO-SEM, persino di stampa volantini è, molto probabilmente, solo un povero disperato che ha imparato a fare i siti con WordPress e ti farà solo perdere soldi (che a te sembrano pochi in confronto ad altri professionisti, ma sono solo soldi buttati).

Quindi armati di pazienza, cerca tanto e non ti fermare alla prima agenzia sotto casa che ti chiede poco e ti fa tutto.

Sviluppo sito web

Questo è il primo aspetto da considerare. Oggi troverai migliaia di agenzie o singoli sviluppatori che si occupano di realizzare siti web. Ma come riconoscere quelli migliori? Anzitutto fatti mandare il loro portfolio (cioè i siti che hanno già fatto). Come ti sembrano? Lascia perdere la grafica, concentrati sull’usabilità. Hai provato ad aprire uno dei loro siti con lo smartphone? Il sito è responsive (ossia si adatta alle dimensioni dello schermo)? Se non lo è, scartalo subito. Ancora, hai analizzato la velocità del sito? Con un semplice tool di Google (questo) puoi analizzare la velocità del sito e ricevere un rapporto dettagliato sui problemi da risolvere. Se non ha nemmeno ottimizzato le immagini, salutalo. Non è un professionista. Conosco gente che non si cura nemmeno di cambiare la favicon (ossia l’icona che trovi in alto a sinistra sulla scheda del browser) e mi basta questo per considerarli degli sfigati che si spacciano per professionisti.

Dunque nello sviluppo del sito devi tener presente:

  • velocità e reattività
  • usabilità (anche da mobile)
  • omogeneità strutturale
  • omogeneità grafica

Non importa se lo sviluppatore farà il sito da zero o userà un CMS (tipo Joomla, WordPress, ecc.), l’importante è che faccia un buon lavoro con un codice pulito, prestazioni accettabili e un’usabilità sia in termini di navigazione che di grafica.

SEO del sito web

Per molti pseudo-professionisti il SEO equivale solo a inguacchiare il sito di molte parole chiave buttate a casaccio nell’idea per cui più parole chiave si mettono e meglio è. In realtà Google e tutti i Big della rete stanno ormai abbandonando gradualmente il concetto di key-word per abbracciare una filosofia che porti a ottenere risultati sempre più vicini alle ricerche dell’utente. In altre parole stanno finendo i tempi in cui scrivevi “rivenditore caldaia Cagliari” e ti comparivano i risultati di negozi o e-commerce che dappertutto stanno meno che a Cagliari. L’esperienza utente è al centro dell’attività di Google e gli spider di Google vengono continuamente aggiornati in modo da premiare i siti con key-word omogenee e penalizzare i furbi. Quindi attenzione a chi tratta con leggerezza il SEO.

Fai una ricerca per immagini su Google e non compaiono i tuoi prodotti? Chiedi spiegazioni a chi ha realizzato il tuo sito e forse scoprirai che non sa nulla di SEO…

Quindi sul SEO devi almeno valutare:

  • tipo di parole chiave usate e coerenza con il testo
  • presenza di contenuti nei tag title, metatag title, metatag keywords, metatag description, alt image e image description
  • densità delle parole chiave all’interno del testo

Un buon professionista spiegherà il senso di tutto ciò e ti darà un sito web con tutti questi attributi compilati in modo coerente.

Social Media

Se ti rivolgi a un’Agenzia per migliorare la tua presenza sui social e ti farà un discorso del genere: “ti promettiamo 10.000 like in 3 mesi al modico prezzo di 1000 euro”, beh, scartala subito. I like o i follower sono importanti, certo, ma non così tanto come pensi. Perché tutto dipende da quella che è la tua strategia. Se a te interessa aumentare le vendite del tuo shop on-line non è detto che molti like faranno al caso tuo. Magari te ne serviranno pochi, ma mirati. Magari per te servirà una strategia di lead generation o di remarketing e non una volta a far conoscere la tua pagina o il tuo profilo.

Quindi se un’Agenzia ti promette tanta popolarità, magari senza ascoltare le tue esigenze, non è seria. Va scaricata. Inoltre fatti dire quante e quali campagne hanno già realizzato. Sai che su Facebook ci sono 11 format pubblicitari? Non esiste solo la sponsorizzazione di un post, ma se fanno solo quella, allora sono degli improvvisati esperti di campagne social. Poi, anche se Facebook è il social più grande in assoluto, non è detto che sia il solo che faccia per te. Ti hanno mai parlato di campagne di successo su Linkedin o su Twitter? Se ti propinano solo campagne Facebook, senza prima analizzare la tua attività e le tue esigenze, allora lo ribadisco: scaricali. Meglio perdere tempo per cercare altri professionisti piuttosto che perdere soldi.

Foto / Video

Se hai un e-commerce avrai sicuramente bisogno di fare le foto ai tuoi prodotti. A dispetto di quanto comunemente si pensi, le foto in still-life di prodotti inanimati sono quelle più difficili da fare. Anche in questo caso puoi fare le foto da te, ma prima pensa alla regola fondamentale di ogni e-commerce: senza una buona foto, non vendi. Non occorre essere Steve McCurry per fare buone foto. Occorre solo:

  • una macchinetta fotografica che abbia le impostazioni programmabili (tempo di esposizione, bilanciamento del bianco, ecc.), quindi anche una semplice compatta va bene. Escluderei l’uso di Smartphone
  • almeno 3 luci con lampadine della stessa temperatura (calde o fredde non importa, tanto con il bilanciamento del bianco s’aggiustano i colori)
  • uno sfondo neutro (anche un tavolino e una parete)
  • un programma di ritocco foto (Photoshop e Gimp sono i migliori)

Se non hai quest’attrezzatura o non hai tempo per fare le foto, devi rivolgerti a un professionista. In questo caso qualsiasi fotografo dovrebbe essere in grado di fare foto da studio fatte bene. Per capire se ha competenze di foto still life, fatti mandare una foto di un oggetto bianco (meglio se lucido) su uno sfondo bianco, che rappresenta la paura più grande di ogni fotografo! Se la foto ti sembra soddisfacente, assumilo pure!

Copywriting Contenuti nel sito web

Mai sottovalutare quest’aspetto. La scrittura di testi sul web è una vera e propria arte. Non si tratta solo di saper scrivere, ma di saper scrivere testi leggibili sia dagli utenti che dagli spider dei motori di ricerca! E’ un’arte che sta tra le capacità di scrittura creativa e le capacità di SEO. Inoltre avere dei contenuti originali sul web equivale a superare ogni forma di concorrenza. Evita il copia-incolla, sia perché se ti sgamano ti possono contestare la violazione del copyright sia perché ogni forma di copiatura può essere segnalata a Google con la punizione di vedersi scendere il sito sulla SERP. E questa è la peggiore delle punizioni!

Trovare un professionista che sappia scrivere dei testi efficaci non è facile, ma la maggior parte delle volte questa figura coincide con l’esperto di SEO-SEM.

In conclusione

Mi auguro che questi semplici suggerimenti possano esserti utili per scegliere con cautela e consapevolezza a chi rivolgerti, perché lavorare sulla rete offre molte opportunità, ma oggigiorno offre anche tante fregature, soprattutto per chi si rivolge con leggerezza all’Agenzia sotto casa, senza una precisa strategia e senza molte conoscenze in materia. Quindi chiediti cosa vuoi ottenere, rifletti su quali sono le tue esigenze, poi cerca sul web e magari scoprirai che puoi fare tutto da te oppure che ti servirà l’aiuto di un professionista, ma quando gli spiegherai con chiarezza le tue esigenze, capirai da te se è un dilettante oppure un esperto e ti stupirai di quanto ti sarà facile intuirlo, perché quando sarai in grado di sapere ciò che ti occorre, sarà una passeggiata capire se chi hai di fronte può soddisfare le tue richieste oppure no.

Facebook vi ruba i dati? Avete scoperto l’acqua calda digitale

facebook acqua calda

Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, fa mea culpa e ammette la responsabilità nel segreto di Pulcinella in riferimento alla conservazione illegale dei dati di 50 milioni di utenti da parte di Cambridge Analytica. Pare brutto dirlo, ma l’avevo detto qualche mese fa, nell’articolo Uscite dai Social. Se decidi di entrare nel meraviglioso mondo di internet … Leggi tutto

Video trash. Come muore la professionalità

direttrice banca san paolo video trash

Il caso della direttrice e degli impiegati della filiale Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere, che hanno pubblicato un video discutibile (ad esser buoni) e dai netti contorni trash è solo l’ennesimo esempio della filosofia che imperversa in rete (e anche fuori), ossia quella della mediocrità e dell’approssimazione.

Cos’è il trash?

Se cerchiamo su qualsiasi dizionario, la definizione di trash è “prodotto di comunicazione di massa televisivo, cinematografico, letterario ecc. che riflette un gusto scadente, volgare, di infima qualità”.

Ecco, appunto, scadente e di infima qualità, oltre che volgare. Sia chiaro, la volgarità nella storia ha sempre attratto. In passato, quando il senso della morale era più elevato e quando la censura oscurava anche un minimo accenno di bacio, la volgarità era relegata nel proibito, nei sogni inconsci e perversi di buona parte della popolazione. Insomma, c’era, solo non era visibile. La morale era una sorta di freno al naturale dilagare del volgare, relegato  – appunto – al vulgus, al popolare, agli strati più umili e dealfabetizzati della società. Poi è ovvio che con la libertà dei costumi, iniziata più o meno negli anni Sessanta, il senso del volgare si è attenuato, entrando pian piano nel costume collettivo e rendendo dapprima tollerabili e poi normali certi atteggiamenti. Oggi un bacio in un film ovviamente non scandalizza nessuno, come non scandalizza nemmeno un nudo o una scena di sesso più o meno velata. Poi i media, accompagnando le richieste dei propri consumatori, hanno alzato sempre di più l’asticella della tolleranza, abituandoci progressivamente al senso del volgare.

Poi è arrivato il web, con la sua filosofia della produzione di contenuti dal basso. Cosa vuoi che ti produca un utente qualunque, sia esso famoso o meno, abituato al volgare e privo di strumenti atti a produrre contenuti di qualità (seppur volgari)? Il trash, ovvio. Perché il trash, va ricordato, non solo è volgare, ma è anche di infima qualità.

I video professionali

Qualsiasi video-maker esperto o qualsiasi professionista di video-marketing ti dirà che esistono determinate regole per produrre video di qualità e che per farlo occorre investire in strumentazioni adeguate (videocamera di buona qualità, luci, fondali, software per la post produzione, ecc.). Ciò comporta che per produrre un video professionale occorre cultura in materia, esperienza e qualche piccolo investimento.

Troppa fatica.

Infatti a che serve rivolgersi a un professionista o spendere soldi e acquisire competenze quando con un semplice smartphone e la rozzezza tipica di un analfabeta funzionale qualunque si possono ottenere risultati di gran lunga più soddisfacenti in termini di visualizzazioni e condivisioni? Ecco che con il dilagare di video trashoni ogni giorno muore la professionalità dei video-maker, ogni giorno muore la possibilità di riprendere quell’asticella e alzare il livello della morale, della professionalità, della qualità.

Saluta Andonio

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Chi non conosce il ragazzino di Saluta Andonio? E’ bastato un video spontaneo, di infima qualità e – quindi – trash per ottenere milioni di visualizzazioni. Oggi si racconta che abbia un giro d’affari rilevante (prende 1.500 euro a serata nelle discoteche) e ha persino realizzato una canzone per l’estate 2017 insieme ad Angelo Jay & Jasper (dal titolo, ovviamente, Saluta Andonio) facendo anche da comparsa nell’ultima clip di Fabio Rovazzi e Gianni Morandi, Volare (manca una “g” nel titolo).

Con questi modelli un qualsiasi utente del web, giovane o adulto, istruito o meno, preferirà farsi il mazzo per acquisire professionalità oppure cercherà in tutti i modi di cadere ancora più in basso per ottenere popolarità? L’ardua sentenza non andrà ai posteri, la domanda è retorica.

Anche in banca…

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A seguito del video virale della filiale di Castiglione, il sindacato dei dipendenti ha pubblicato una nota in cui si dice “Dalle banche ci si aspetta professionalità, competenza, correttezza, sobrietà, ma evidentemente i tempi sono cambiati, e nell’era dello spettacolo e dei social si pensa che un video accattivante o una buona interpretazione possano sopperire ad altre carenze. Auspichiamo che tutti i protagonisti del grande show possano ricevere i meritati riconoscimenti artistici: alla produzione, alla regia e, perché no, all’interpretazione. Ma come Sindacato chiediamo che simili iniziative vengano abbandonate”.

Come dargli torto? Tra l’altro, fossi al posto di un cliente qualunque di quella banca, prenderei i miei soldi e li porterei in un altro Istituto. Perché chi vorrebbe far gestire i propri soldi da gente che tenta di emulare i grandi personaggi del trash e fa self-marketing con approssimazione? Non sarebbe corretto immaginare che ci mettano la stessa approssimazione anche nell’amministrare i soldi altrui? La domanda, in questo caso, non è retorica, ma un po’ si avvicina.

 

iPhone X e le nuove frontiere del controllo sociale

iPhone-X

Mi chiedo se gli utenti Apple che acquisteranno il nuovo iPhone X sappiano quanto è paradossale spendere tra 1189,00 e 1359,00 € (questo è il range di prezzo imposto da Apple) per comprare un telefono che ha installato una tecnologia per il riconoscimento facciale. Detto in altri termini, davvero ci sarà gente che spenderà uno stipendio mensile (per alcuni anche lo stipendio di 2 mesi…) per dare la possibilità ai giganti dei Big Data di farsi controllare meglio?

Vediamo se così riesco a spiegarmi meglio.

Tutti ormai sappiamo che molte agenzie private o governative e quasi tutti gli hacker più talentuosi possono accedere con molta semplicità ai nostri smartphone e controllare praticamente tutto: gli accessi, i siti visitati, le app utilizzate e tutte le conversazioni fatte, la rubrica, l’agenda degli appuntamenti, le foto e i video e possono persino accedere alla nostra fotocamera e usarla come una sorta di “mezzo di intercettazione ambientale”.

Del resto le Iene, nel 2015 e nel 2016, hanno fatto quest’esperimento e hanno scoperto che è molto facile farsi “infettare” il telefono, anche tramite un messaggino innocuo (o uno script facilmente scaricabile se si visitano siti pericolosi o app non certificate) per cui il telefono può essere controllato senza che noi ce ne accorgessimo.

Sappiamo anche un’altra cosa. Se è vero che normalmente la Magistratura attua forme di intercettazione solo in caso di notizie di reato e in fase di indagini (con tutte le garanzie imposte dalla Legge) è anche vero che le agenzie di sicurezza governative non hanno questi limiti e che le Società di Big Data e gli hacker ne hanno ancor meno. Ognuno ha diverse finalità: i Governi (teoricamente) agiscono per sicurezza nazionale, le aziende di Big Data lo fanno (prevalentemente) per scopi commerciali (anche se ultimamente si stanno orientando verso forme di monitoraggio e controllo sociale…) e gli hacker? Beh, alcuni per finalità politiche, altri, invece, per vera e propria criminalità organizzata, se non peggio (il terrorismo, per esempio, oggi sta inseguendo queste nuove frontiere di controllo). Quindi è evidente che gli smartphone – quegli oggetti in cui ormai abbiamo messo tutta la nostra vita sotto forma di foto e video, contatti, applicazioni, conversazioni – rappresentano l’oro per tutti quei soggetti che – con le finalità più disparate – vogliono accedervi, controllare e, perché no, manipolare.

Ma finora c’è stato un limite. Non era possibile associare un nome e una storia (quella contenuta in ciascuno dei nostri dispositivi) ad un volto. Ora, con il nuovo iPhone X, ciò è possibile.

E’ vero che i vertici Apple hanno dichiarato che FaceId (la tecnologia per il riconoscimento facciale) non conserverà in un database i volti e che l’app, secondo Edward Snowden è robusta, ma è lo stesso Snowden che in un tweet, ha dichiarato che questa tecnologia sarà oggetto di abusi.

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Edward Snowden

Edward Snowden era tecnico della Cia e di recente ha pubblicato tutte le tecniche e i programmi di sorveglianza di massa che il governo americano e quello britannico attuavano all’insaputa di milioni di cittadini. Lui, per aver ricondotto questa tematica nell’alveo democratico, è stato costretto ad esiliare in Russia, in attesa di conoscere il proprio destino.

Sembra anche irrisorio il concetto per cui la tecnologia è robusta e non sarà preda facile di attacchi informatici. E’ scontato dire che l’informatica non è una scienza esatta né perfetta e che le falle si trovano sempre. Anche i sistemi più impenetrabili nascondono, nel proprio codice sorgente, qualche bug. Del resto l’informatica è un’attività umana e come tale non è mai esente da rischi.

Tanto non ho nulla da nascondere

Questa è la frase che sento dire più spesso quando parlo di Big Data, privacy e controllo sociale.

In effetti è vero. Queste tecnologie sono utili per finalità di sicurezza, per prevenire e contrastare i crimini o le attività terroristiche. Del resto una tecnologia simile, unita alla tecnologia di riconoscimento delle impronte digitali (e presto vedremo queste due tecnologie su tutti i dispositivi in commercio) è davvero utile per finalità di pubblica sicurezza. Ma dovremmo avere davvero il prosciutto sugli occhi se non dovessimo riconoscere che in questa materia ci sono Società gigantesche e lontane dalle regole democratiche che ne approfittano per mere finalità commerciali e per attuare esperimenti sociali di massa. E’ il caso di Facebook (qui ne ho parlato), di Google e di circa una trentina di altre Società che sfruttano i Big Data per riconoscere le persone, delineare i loro gusti e attuare pratiche commerciali volte a vendere. Ma non solo. Anche a orientare, persino manipolare.

E poi, diciamoci la verità, davvero ci fa piacere sapere che qualcuno di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza ci spia, ci profila, ci controlla e ci manipola? Davvero siamo impassibili davanti all’ipotesi che qualcuno conosca le nostre più intime faccende e le colleghi a un volto? Non parlo solo di banali scappatelle o litigi tra amici e familiari su WhatsApp o su Messenger di Facebook, ma sul nostro stato di salute, sulle nostre conversazioni che riteniamo intime, sui nostri desideri che non confessiamo, sulle nostre inibizioni che riteniamo di custodire nella sfera privata e su tutto ciò che fa parte della nostra interiorità.

Pensa a come questa tecnologia possa rendere facile la vita a un possibile regime dispotico e antidemocratico. Pensa a quanto sarà facile monitorare, associare delle conversazioni a un nome e un volto e poi imbavagliare con i modi più disparati le opinioni diverse dalla “cultura dominante”, pensa a quanto sarà facile controllare le comunità locali che magari lottano contro le decisioni del governo per la tutela del proprio ambiente e della propria salute, pensa a quanto sarà facile egemonizzare le diversità culturali, sociali, individuali, non solo da parte dei governi, ma soprattutto della cultura globalista.

E infatti siamo così convinti che rischiando di mostrare il nostro Io tramite un dispositivo non saremo poi preda dell’omologazione delle nostre individualità? Del resto l’omologazione culturale parte proprio dalla conoscenza delle diversità sociali e individuali e dalla loro lenta erosione. L’erosione che parte proprio da quel dispositivo con cui, forse, starai leggendo quest’articolo.

Lercio e gli anti-vax

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Non ho mai voluto prendere posizione sulla diatriba pro-vax / anti-vax, anche perché ritengo l’obbligo vaccinale un’imposizione eccessiva e, sotto certi versi, ingiustificata, ma la tematica è stata affrontata in modo forzoso dal Governo in una sorta di risposta di pancia alle sempre più eccessive reticenze, da parte di numerosi genitori, nell’assolvere al dovere di vaccinare i propri figli, per evitare l’insorgenza di malattie che ritenevamo superate da tempo.

Insomma, su questo tema tutti hanno torto e tutti l’hanno affrontato nel peggiore dei modi. Il Governo perché impone con legge un dovere igienico-sanitario che spetterebbe ai genitori e che, fino ad oggi, è stato assolto in modo pressoché sistematico senza grosse ripercussioni; i cosiddetti anti-vaccinisti perché, spesso preda di false notizie, complottismi da quattro soldi, pareri di pseudo-scienziati e leggende metropolitane, mettono in serio rischio la salute pubblica, evitando ai propri figli anche le vaccinazioni minime.

Pro-vax e anti-vax, in questi mesi, se le danno di santa ragione a suon di post, commenti, condivisioni, tweet e dibattiti televisivi e digitali, in una sorta di epopea in cui soprattutto i no-vax muovono accuse, allarmi, urla e insulti variopinti, prospettano oscure trame ordite tra Governo e grandi Aziende farmaceutiche per fare affari d’oro sulle spalle dei poveri italiani e propongono dissertazioni scientifiche – fatte rigorosamente sui social – basate su tanti proclami ma pochi contenuti tecnici. Del resto se un medico no-vax o pro-vax spiegasse scientificamente l’utilità o meno dei vaccini, con (doveroso) linguaggio tecnico e con grafici, dati, analisi, chi li capirebbe? Nessuno, nemmeno un medico generico forse riuscirebbe a districarsi tra i meandri di esposizioni scientifiche così complesse. Ed è per questo che – fino ad oggi – la gente tendeva a fidarsi della Scienza.

Ma ora, soprattutto a causa del dilagare, su internet, di informazioni di basso profilo, facile comprensione e spesso di dubbia provenienza, e grazie alla nota propensione dell’italiano medio a imboccarsi qualsiasi cosa (ricordo che siamo il Paese con il primato assoluto in materia di analfabetismo funzionale), può capitare che persino un articolo web proveniente da un notissimo giornale di satira venga scambiato per vero e dia origine a centinaia di condivisioni la cui lettura è uno spasso nel delineare l’archetipo dell’analfabeta funzionale (e pure strutturale).

Tutto è iniziato con la condivisione di quest’articolo del Lercio, intitolato “La figlia di Roberto Burioni rifiutata dalla scuola: non è vaccinata”, da parte di un noto no-vax, un certo Salvatore Morelli, di professione logopedista (una specializzazione chiaramente votata alla profonda conoscenza dei vaccini), che – a suo dire – lo avrebbe condiviso per scherzo per sfottere il collega Burioni.

Qualunque sia stata la sua intenzione, il risultato è che l’articolo è stato ricondiviso da centinaia di persone, tutte che credevano alla bontà della notizia. Di seguito alcuni esempi

Ora, un paio di riflessioni.

Da quel che ne so, se uno vuol fare dell’ironia, lo lascia intendere. In questo caso il prode Morelli ha sì commentato la notizia con una frase vagamente ironica (Prof Roberto Burioni mai mi sarei aspettato questo da te, accompagnata da una faccina sorridente), ma non ha specificato la cosa essenziale: che l’articolo del Lercio era evidentemente un articolo di satira. Se lui l’avesse capito o meno non è dato saperlo, visto che il dott. Morelli non ha dimostrato di saper sottolineare l’ironia della faccenda.

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Il post del dott. Morelli

Ciò detto, va evidenziata un’altra cosa, che più mi rattrista e mi diverte allo stesso tempo.

Lercio esiste da diversi anni e tutti sanno che fa satira. Ma vabbè, facciamo conto che non tutti lo sanno.
L’articolo parte con “Epidemi (CO)“, notissimo paese in provincia di Como, gemellato con “Presiden (TA)“, paese d’origine della Boldrini (lei, chissà perché, non è stata citata dai no-vax). Ma vabbè, sta finezza non l’hanno colta tutti.
Cita un certo “Libero Di Scelta”, autore del famosissimo sito web “www.AMeNonMiFregate.it”. Ma vabbè, facciamo finta che non tutti hanno dimestichezza con nomi e domini.
Però – per dio(gene) detto il cane – sull’“analisi dell’ascendente ematoencefalico” e sulla cura “con i fiori di Bach o al limite con le palle di Mozart” poteva sorgere, tra i lettori, il seppur minimo sospetto che si tratta di satira, ma facciamo pure facile ironia o supercazzola? No, eh? Proprio nulla? Quindi questa è l’ennesima dimostrazione che la gente non capisce ciò che legge oppure condivide i contenuti e si fa un’opinione solo leggendo un titolo. E, dunque, potrei mai aderire alle teorie propugnate da questa gente? Non so, devo informarmi meglio sul tema vaccini. Quasi quasi interpello un fitopatologo vegetale, un nutrizionista o un veterinario.