Perché schierarsi facilmente con Maduro o con Guaidò è un errore imperdonabile, che può compromettere le sorti di un Paese spaccato in due e dal futuro incerto.
Per capire come nasce la crisi in Venezuela e perché è molto difficile schierarsi occorre fare un salto indietro per capire, a brevi tratti, la storia economico-politica del Venezuela, il sogno della rivoluzione bolivariana e il suo triste epilogo.
Il Venezuela prima di Chavez
Partiamo dalla fine degli anni ottanta, quando governava Carlos Andrés Pérez il quale fu eletto con il 52.9% dei voti alle elezioni del 4 dicembre 1988, grazie soprattutto all’apporto del ceto medio benestante. In questo periodo dominava un neo-liberismo selvaggio, per cui molti venezuelani si arricchirono soprattutto grazie ai commerci con l’Estero (in particolare con gli USA). Dovete sapere che il Venezuela non ha mai investito in modo strutturale sulla produzione interna, preferendo “barattare” la propria materia prima – ossia il petrolio – detenuta in abbondanza, con merci di vario tipo. In questo contesto di neo-liberismo selvaggio, basato essenzialmente sul commercio, i ricchi divennero sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, fino a sfociare in sanguinose proteste di piazza.
La protesta più violenta, chiamata El Caracazo fu del febbraio 1989.
Pérez propose una serie di riforme, appoggiate anche dal Fondo Monetario Internazionale, i cui effetti immediati furono un aumento del 30% del costo dei trasporti pubblici e un aumento del 30% del prezzo della benzina. In un Paese primo produttore dell’America Latina di petrolio ciò fu visto dal popolo come una profonda ingiustizia.
Le proteste coinvolsero numerose città, fino ad estendersi a Caracas, dove in migliaia protestarono, dando vita anche a saccheggi e danneggiamenti (come accade oggi a Parigi con i gilet gialli).
Il governo non fece attendere la repressione e, per giunta, sospese l’applicazione delle garanzie costituzionali, introducendo la legge marziale. I numeri ufficiali parlano di circa 300 morti ma altre fonti non ufficiali stimano le vittime in circa 3000 persone.
La politica di Perez non impedì l’aumentare dell’inflazione e del divario tra ricchi e poveri. Anzi, ne favoriva il proliferarsi, non dando mai importanza alla “pancia” del Paese, il quale ormai mal sopportava i partiti tradizionali (un po’ come è accaduto in Italia con il PD) e chiedeva a gran voce il cambiamento.
Chávez, che nel frattempo aveva tentato un golpe (nel 1992), fallendolo, finì in prigione e, nel 1994, quando fu liberato, iniziò una dura campagna di protesta contro il Governo Perez, diventando ben presto un punto di riferimento per il popolo, tanto che – da sconosciuto qual era fino a pochi anni prima – finì per vincere le elezioni del 1998 con il 56.2% dei suffragi.
Il Governo Chávez
I quattordici anni di governo chavista hanno visto luci e ombre.
Da un lato Chávez ha svolto un importante ruolo di integrazione politico-culturale dell’America Latina, svincolando il suo Paese dal neo-liberismo e introducendo una progetto di trasformazione della società in senso socialista, chiamato revolución bolivariana, un misto ideologico tra marxismo, socialismo terzomondista, sovranismo e populismo. Dall’altro, però, ha sempre ostacolato, anche con modi piuttosto spicci, lo sviluppo industriale del Paese, dando più importanza al commercio (il cui controllo era nelle mani dello Stato) e alla produzione e vendita di greggio, di cui il Venezuela è primo produttore ed esportatore.
La forza di Chávez stava nel prezzo del petrolio, che durante i lunghi anni del suo mandato era alto, con ciò ottenendo risorse economiche per finanziare il suo programma di redistribuzione del reddito e di assistenzialismo, ottenendo risultati tangibili. Ma la mancanza di una politica industriale, la dipendenza dai Paesi esteri per l’acquisto di merci di ogni tipo (in Venezuela, come detto, non si produce niente), unita ad una politica di nazionalizzazione e assistenzialismo, ha portato come conseguenza l’abbandono delle aree produttive e agricole del centro del Paese da parte della popolazione a vantaggio delle città costiere, alti fenomeni di corruzione e, in generale, una politica economica incentrata totalmente sul petrolio.
Il petrolio venezuelano, però, è in mano a compagnie private, sia europee che americane. Nonostante i proclami chavisti volti alla sua nazionalizzazione, ciò non è mai avvenuto. Anzi, Chávez ha sempre conservato ottimi rapporti con le compagnie petrolifere e, di conseguenza, con la Casa Bianca, non nascondendo mai i suoi privilegiati rapporti con i principali antagonisti degli USA, in particolare con Cina, Russia e alcuni stati mediorientali.
La politica economica di Chávez
La politica economica e i programmi sociali portati avanti durante gli anni di Chávez, come anticipato, hanno portato buoni risultati, sia in termini di calo della disoccupazione che di calo dell’analfabetismo. Nel 1999, per esempio, il 50% della popolazione venezuelana viveva in condizioni di povertà e il 19.9% in condizioni di estrema povertà. Alla morte di Chávez i venezuelani in condizioni di povertà ammontavano al 27% circa, quelli in condizioni di estrema povertà a poco più dell’8%. Il tasso di disoccupazione passò dal 14.5% nel 1999 al 7.8% nel 2011. Merito soprattutto dell’ingigantimento dell’apparato burocratico statale.
La popolarità di Chávez era tanlmente forte che nel 2002 sfuggì, grazie al popolo, ad un colpo di stato militare – si dice – voluto dagli Stati Uniti.
Dopo soli tre giorni Chávez tornò al potere, sostenuto da una straordinaria partecipazione del popolo venezuelano che partecipò con massicce manifestazioni. Nel 2004, poi nel 2006 e nel 2012 Chávez venne riconfermato presidente con larghe percentuali.
Finché il prezzo del petrolio è stato alto, Chávez finanziava le sue politiche assistenzialiste non solo ai poveri venezuelani (suoi elettori) ma anche ai paesi limitrofi, “regalando” petrolio a Cuba, Suriname, Bahamas, Nicaragua, Antigua, Giamaica, ecc. Controllava poi le importazioni di beni di consumo favorendo la distribuzione da parte dello Stato e osteggiando gli importatori privati, in modo da tenere sotto controllo la distribuzione e i prezzi.
La Costituente e l’esautorazione dell’Assemblea Nazionale
L’idea di Chávez era quella di controllare direttamente l’organo legislativo, pertanto nel 1999 venne indetto un referendum sull’elezione di un’Assemblea Costituente approvato con il 92.4% dei voti.
Il 25 luglio furono indette le elezioni per l’Assemblea Costituente e la coalizione chavista ottenne una maggioranza schiacciante. Il 15 dicembre si tenne un altro referendum per approvare la Costituzione redatta dall’Assemblea Costituente: il 71.8% votò a favore, con ciò dimostrando che il popolo venezuelano voleva voltare pagina e dare estrema fiducia al suo leader.
Le elezioni presidenziali e parlamentari del 2000 (le prime che si tennero con la nuova Costituzione) riconfermarono le forze chaviste. La nuova Costituzione rinominò il Venezuela República Bolivariana de Venezuela, una “modifica” mai però avvallata a livello internazionale.
L’epoca Maduro
Con la morte di Chavez, avvenuta nel 2013, Maduro ha preso il suo posto, portando avanti la tradizione chavista. Però, per uno sfortunato susseguirsi di eventi interni e internazionali, tra cui il crollo del prezzo del greggio, Maduro ha avuto vita difficile nel finanziare l’ingente sistema assistenzialista improntato dal suo predecessore. E’ per questo che le sue politiche hanno portato a colpire la classe media (storicamente antichavista), la quale, in breve tempo, si è ribellata.
A farne le spese sono state però le fette più povere della popolazione, perché con pochi soldi e con una corruzione dilagante, i beni di prima necessità hanno iniziato a scarseggiare: niente medicine, lunghissime fine ai centri di distribuzione, masse di persone fuggite dal Venezuela verso la Colombia o il Perù, niente derrate alimentari complice anche l’embargo voluto dagli USA, per non parlare dell’inflazione che si stima arriverà a 10 milioni percento, con ciò svuotando del tutto il valore della moneta interna. In poche parole con uno stipendio mensile oggi si può acquistare al massimo un pacco di pasta e una sigaretta vale quanto 166 litri di benzina. Ma domani chissà, potrà andare anche peggio.
Già, perché secondo la logica economica posta in essere da Maduro, la benzina in Venezuela costa pochissimo, ma dato che non esiste un sistema produttivo interno, tutto dipende dalle importazioni e se le importazioni – oggi – sono in mano a pochi privati e ad uno Stato ormai al collasso, che non sa gestire la corruzione dilagante e l’imponente macchina burocratica, ciò si ripercuote sulla redistribuzione delle derrate e sul prezzo al pubblico dei prodotti di prima necessità, che cambia giorno per giorno, lasciando i commercianti nel dubbio e nella disperazione. In altre parole non si sa cosa arriva, quanto costa e quanto vale al cambio. La scelta di Maduro di tagliare di 5 zeri la moneta interna (per tentare di bloccare l’inflazione) ha peggiorato le cose, dato che non c’è certezza né sui prezzi né sul valore del bolivar.
Colpa degli USA?
Per alcuni buona parte della responsabilità è da attribuire agli USA.
L’America, infatti, è un partner commerciale privilegiato del Venezuela, insieme a Cina, India e alcuni paesi europei. Ma i rapporti politici forti tra Venezuela, Cina, Russia, Turchia e Iran fanno immaginare che, nonostante gli USA adorino il petrolio venezuelano (e quindi non vogliano cessare ogni rapporto) stanno facendo pressioni sugli esportatori per vietare la vendita di beni di prima necessità, con ciò accentuando la crisi venezuelana, per evidenti questioni geopolitiche. Ma non abbiamo fonti certe che ciò stia avvenendo, nonostante la Russia abbia denunciato l’embargo.
Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale
Vi ricordate la Costituente? Fu voluta da Chavez ma non fu mai riconosciuta a livello internazionale, nonostante nel Paese il “vero” parlamento sia l’Assemblea Nazionale. E’ in questa confusione che, di punto in bianco, è arrivato Guaidò, alcuni dicono messo lì dagli USA (dove si è formato), a presiedere l’Assemblea Nazionale sostenendo che ciò è possibile quando ci sia il sospetto che le elezioni siano state truccate e che, quindi, il presidente Maduro sia illegittimamente stato eletto. Difatti secondo Guaidò e tutta l’opposizione, Maduro ha truccato le ultime elezioni. Anche su questo non ci sono fonti certe.
A ciò si aggiunga che l’Assemblea Nazionale sta per essere sciolta da Maduro, il quale ha anche messo in atto una vera e propria persecuzione contro i suoi oppositori che siedono nei posti chiave dell’Amministrazione pubblica e della Magistratura. Insomma, è una vera e propria situazione d’empasse, da cui non si esce facilmente.
I tentativi di dialogo andati a vuoto
In questi giorni si sta delineando un quadro di paesi pro e contro Maduro o Guaidò. Alcuni si sono schierati per l’uno e per l’altro, altri, come l’Italia, hanno avuto un ruolo ambiguo, in quanto parte del Governo è pro Maduro e non ha sostenuto la risoluzione europea per l’appoggio a Guaidò, sostenendo la tesi della non ingerenza, mentre altra parte appoggia Guaidò e il suo tentativo di arrivare a nuove elezioni. In questo quadro l’unico Stato che ha assunto un ruolo diplomatico è lo Stato Vaticano che, tramite il Nunzio Apostolico, ha iniziato un dialogo con le forze di governo e di opposizione, tavolo poi fatto saltare dall’opposizione, la quale ritiene che lo Stato Vaticano voglia dare troppo peso a Maduro. Ma proprio oggi è arrivato un appello al Papa proprio da parte di Guaidò, che gli chiede aiuto.
Perché non appoggiare Maduro
Perché la politica assistenzialista e priva di una seria politica industriale ha portato un Paese ricchissimo sull’orlo della disperazione. Perché ogni intervento fatto da Maduro non ha fatto altro che accentuare le diseguaglianze e la povertà, con un aumento esponenziale della criminalità, che imperversa nel Paese.
Il socialismo sovranista di stampo chavista, in un quadro economico globale e in un’ottica di disincentivazione dell’imprenditoria privata, è un fallimento se non si creano i presupposti per una politica industriale seria.
Una politica economica basata solo sull’estrazione di Petrolio e sulla dipendenza dall’Estero per ciò che riguarda praticamente tutto, unita ad un assistenzialismo indiscriminato ha portato il popolo a preferire i sussidi rispetto al lavoro, l’assistenza rispetto alla produzione. A ciò si aggiunga la proliferazione del mostro burocratico che ha aumentato la corruzione a dismisura.
Perché non appoggiare Guaidò
Perché attualmente Maduro ha il controllo dell’esercito, il quale, in larga parte, gli è ancora fedele e un appoggio ad un leader autoproclamato potrebbe scatenare la reazione dei militari, con conseguenze ancora più gravi sulla tenuta del Paese. Oltretutto Maduro ha ancora l’appoggio di buona parte della popolazione, nonostante si pensi che ciò non sia vero. Molta gente, infatti, ricorda ancora l’epoca d’oro di Chavez e ritiene che l’attuale crisi venezuelana sia eterodiretta e sia un tentativo di svilire la rivoluzione bolivariana, la quale ha comunque dato i suoi frutti, anche se per poco.
Inoltre va evidenziato che molti venezuelani diffidano dell’opposizione a Maduro, la quale è in larga parte composta dal ceto medio e da quegli ex capitalisti che vorrebbero ritornare al periodo pre-chavista, ossia al neo-liberismo, e ciò spaventa i ceti più poveri della popolazione.
Insomma, la partita è aperta e si prospettano ancora molte sorprese. Non sappiamo come andrà a finire anche se non è cauto, in questo momento, schierarsi con l’uno o con l’altro. Però va detta una cosa: il Venezuela può contare su risorse ingenti di petrolio e su un territorio molto vasto e fertile. Con una buona politica incentrata sulla produzione e sull’industrializzazione interna, può farcela a uscire dalla crisi. Staremo a vedere.