Chi è Papa Galeazzo?

Don Galeazzo Domenico, detto volgarmente Papa Galeazzo (in dialetto salentino Papa CaliazzuCajazzu o Cagliazzu, a seconda dell’area dialettale), fu parroco di Lucugnano, frazione di Tricase, nel capo di Leuca. Si dice fosse vissuto tra il 1500 e il 1600 e i suoi racconti si tramandano oralmente da tempi remoti. Solo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 i racconti furono trascritti e pubblicati in un libro intitolato Il breviario di Papa Galeazzo, ristampato periodicamente fino al decennio passato. Simbolo che i racconti di Papa Galeazzo sopravvivono tutt’oggi.

E’ davvero esistito?

Ma è vissuto veramente un prete di cui si raccontano cunti e culacchi (brevi racconti divertenti) a volte di dubbia fede religiosa? Beh, secondo alcuni approfonditi studi di storiografi locali, non è mai esistito. Non sappiamo come sia nata la sua figura. Probabilmente è stata introdotta durante la dominazione spagnola che ha diffuso il romanzo picaresco, in cui i protagonisti hanno tratti simili a quelli del prelato.

Sappiamo però che è stato tenuto vivo per secoli nella cultura folklorica della civiltà contadina. Il prete è vissuto così in ogni paese del Salento e, nel corso del tempo, molte sue storie sono state tramandate, rielaborate ed inventate, come passatempo durante i momenti di convivialità familiare o sociale.

Papa Cagliazzu può essere considerato un picaro, una sorta di brigante in precario equilibrio tra nobili e cafoni. Le sue origini, stando all’interpretazione dei racconti giunti fino a noi, sono popolari, ma la sua condizione di prelato lo porta a frequentare i ceti più elevati, che spesso beffeggia.

Difatti in molti racconti si cela una velata critica al potere dominante, ai ricchi e ai nobili che predicano bene e razzolano male. Papa Galeazzo è consapevole di stare nel mezzo, per questo il suo motto è: fanne comu dicu e no fare comu fazzu (fai come dico e non fare come faccio).

Leggiamo qualche racconto.


Mo la caccia!

-Figliuoli! – tuonava un giorno Papa Galeazzo dal pergamo, recitando l’omelia domenicale. – Perché tanti peccati? Qual è mai la causa dell’ira celeste, che come nembo sinistro si addensa sul nostro capo? Tutto questo per un pezzettino di carne! Sì, un pezzetto! Per un pezzettino di carne gli omicidi, le vane vendette, i tradimenti! I peccati di falso, di lussuria; tutto per tal pezzettino!…Volete vederlo? Sì, io ve lo mostrerò! Esso non ha osso e rompe l’osso; esso è lungo, sottile e pungente come un ago; è la parte più scostumata, più sozza del corpo umano! Volete constatare la verità? Io ve lo voglio mostrare! è il demonio in persona, figliuoli, eccolo, guardatelo!… –

Un movimento convulso, intanto, aveva invaso l’uditorio, che aveva frainteso l’allusione dell’Arciprete; le donnicciuole, scandalizzate, si agitavano e, quando intesero che l’Arciprete insisteva di mostrare davvero il tanto famoso pezzettino di carne, chiudendo gli occhi per non vedere, inorridite, gridarono a coro: mo lo caccia!

E Papa Galeazzo la cacciò col fatto, la lingua, fra lo stupore generale, conchiudendo come quel pezzettino di carne, sede della maldicenza era la causa di tutti i mali. All’uscita della chiesa, molti furono i commenti e le donne serbarono per gran tempo l’ostentato timore, immaginando chi sa quale cosa di grave avrebbero dovuto vedere dell’Arciprete!


Oh mia Santa Liberata!

Na fiata la Marchesa te Alessanu sta fijava, ma ibbe cumplicazioni allu partu e tutti stiane cu la paura ca putia murire te paru allu piccinnu. Allora lu Marchese figge inire Papa Cagliazzu cu ssiste la cristiana alle doje te lu fijare e cu dica na prechiera pe l’intercessione te li santi. Papa Cagliazzu se ssittau te coste alla Marchesa, ca se sta sintia murire e circau cu la conforta, ma le cose sta sciane fiacche. Allora, nu sapennu ccè fare, ausau l’uecchi an cielu e esclamau na prechiera alla santa:

“O mia Santa Liberata,
fa che dolce sia l’uscita
come dolce fu l’entrata
o mia Santa Liberata!” 

La Marchesa, sentennu sta prechiera, se cripau te risi e fora tanti li risi, ca nasciu lu piccinnu e se sarvau…

Una volta la Marchesa di Alessano stava partorendo, ma ebbe delle complicazioni nel parto, tanto che tutti ebbero paura che morisse, insieme al bambino. Allora il Marchese fece chiamare Don Galeazzo per assistere la povera donna e per dire una preghiera per intercessione dei santi. Don Galeazzo si sedette accanto a lei, che stava per morire, e provò a confortarla, ma le cose andavano di male in peggio. Allora, non sapendo che fare, alzò gli occhi al cielo ed esclamò una preghiera alla santa:

“O mia Santa Liberata,
fa che dolce sia l’uscita
come dolce fu l’entrata
o mia Santa Liberata!”

La Marchesa, sentendo questa preghiera, si mise a ridere così forte che il bimbo nacque, e si salvò…


La fimmina è comu lu cafè

Nu giurnu, Bonsignore retàu Papa Caliazzu percè nu ìa ncora persu lu izziu cu cerca la cumpagnia te le fimmene. Iddhu, allora ù, carmu e pracetu ni rispuse:

Ce bbò nci faci Eccellenza! La fimmena è comu lu cafè. Puru quandu nu llu puei bbiere, ca te face male, ne ami l’andore.

Un giorno il Monsignore rimproverò Papa Cagliazzo perché non aveva ancora perso il vizio di cercare la compagnia delle donne. Egli, allora, con calma gli rispose:

Che posso fare, Eccellenza! La donna è come il caffè. Anche quando non lo puoi bere, perché ti fa male, ne ami il profumo.


Giuseppe li disse alla Madonna…

Inne puru pe Papa Cagliazzu la prima missa e, te conseguenza, la prima pretica. Era nu prete giovane e mutu emozionatu cu parla alli fedeli.
Era la festa te la Sacra Famiglia e Papa Cagliazzu se confitau allu Priore:
– Priore mia, iou no sacciu se mi fitu cu fazzu la pretica
– no te preoccupare – tisse lu Priore – ca te jutu iou.
E cussì tecise cu se minte sutta ll’anche te Papa Cagliazzu, scusu intra lu purpetu.
Durante la pretica, Papa Cagliazzu, sentennu li suggerimenti te lu Priore, ncignau cu dica:
– Frati mei carissimi, e intantu stringia l’anche pe la paura, propriu a mmienzu alla capu te lu Priore;
Lu Priore se sintia stringere, ma continuau:
– dinne cussì: Giuseppe tisse a Maria
e Papa Cagliazzu, subitu tisse:
– Fratelli carissimi, Giuseppe tisse a Maria…
E ‘ntorna stringia l’anche, tantu ca lu Priore sta soffocaa e nu se fitava cu ne llea la capu te mmienzu l’anche te lu prete
Tantu era la pressa, ca nci tisse:
– Apri l’anche, sennò comu facimu?!
Papa Cagliazzu, sentennu ste parole, tisse alli fedeli:
– Fratelli carissimi, Giuseppe disse a Maria: apri l’anche, sinnò comu facimu?!

 

Venne anche per Don Galeazzo la prima messa e, di conseguenza, la prima omelia. Era un prete giovane e molto emozionato di parlare ai fedeli.
Era la festa della Sacra Famiglia e Don Galeazzo si confidò al Priore:
– Priore caro, io non so se riuscirò a dire l’omelia
– non ti preoccupare – disse il Priore – ti aiuto io
E così decise di mettersi tra le gambe di Don Galeazzo, nascosto sotto il pulpito.
Durante l’omelia Don Galezzo, sentendo i suggerimenti del Priore, disse:
– Fratelli miei carissimi, ma nel frattempo stringeva le gambe per la paura, proprio in mezzo alla testa del Priore;
Questi si senteva la testa stringere, ma continuò:
– dì così: “Giuseppe disse a Maria…”
e Don Galeazzo subito disse:
– Fratelli carissimi, Giuseppe disse a Maria…
E ancora stringeva le gambe, tanto che il Priore stava soffocando e non riusciva a togliere la testa dalle gambe del prete
Tanto fu la pressione che gli disse:
– Apri le gambe, altrimenti come facciamo?!
Don Galeazzo, sentendo queste parole, disse ai fedeli:
– Fratelli carissimi, Giuseppe disse a Maria: apri le gambe, sennò come facciamo?


La mille lire

Se cunta a Galàtune ca ‘na fiata papa Cagliazzu spicciàu na matina cu ddica na messa te suffragiu e sse buscau le mille lire ca ne spettavanu. Cu lli sordi mposcia, essiu te la chiesa cu ttorna ccasa, quandu, pe’ la strata, ne vinne cu schiatta te pisciare. Truandusi a nnanzi lla villa comunale, cce ffice? Nna! trasiu, se azau la tonaca e sse mise ppisciare contru a nn arberu te la villa. Addhai ca se ddunau ‘na cuardia te la Comune. Ca ne tisse:

– Papa Cagliazzu, sei in contramizione: nu’ sse pote pisciare intra llu sciardinu comunale.

– Ah!, e quantu aggiu ppajare?, tisse papa Cagliazzu.

– Mille lire, ne rispuse la cuardia.

– Nna!, àggiu tittu messa pe’ llu cazzu!, tisse tuttu giratu te capu papa Cagliazzu.

Si racconta a Galàtone che, papa Galeazzo finì una mattina di celebrare una messa di suffragio e intascò le mille lire che gli spettavano. Con i soldi in tasca, uscì di chiesa per tornarsene a casa, quando, per strada, gli venne un impellente bisogno di pisciare. Trovandosi nei pressi del giardino comunale, che fece?: entrò, s’alzò la tonaca e si mise a pisciare contro un albero del giardino. Lì venne avvistato da una guardia comunale che gli disse: «Papa Galeazzo, sei in contravvenzione: è vietato pisciare nel giardino pubblico!» «Ah!, e quanto devo pagare?» disse papa Galeazzo. «Mille lire» rispose la guardia. «Na!, ho detto messa per il cazzo!» fece tutto girato di testa papa Galeazzo.


Cosa c’entra il culo con le quattro tempora?

Papa Galeazzo aveva seco una bella e giovane servetta la quale amoreggiava col sacrestano. Una notte, mentre la canonica era assorta in un sonno profondo, il sacrestano, per stare all’appuntamento con la bella servetta, penetrato nella casa dell’Arciprete, infilò le stanze. Non mancava la praticità della casa al sacrestano, ma siccome Don Galeazzo, il giorno innanzi, pel sospetto che aveva concepito sull’amorazzo dei due suoi inservienti, aveva spostato l’ordine dei letti. Il mal capitato si trovò di fronte ad un letto che credette fosse quello della bella sua, e tosto stese le mani, si pose a brancicare le natiche dell’arciprete.

“Chi è?” Gridò Don Galeazzo, svegliandosi di soprassalto.

Il sacrestano si accorse subito dell’errore e senza smarrirsi disse: “Reverendo, sono io che vengo a domandare se domani ricorre il giorno delle Quattro tempora, per annunziarlo ai fedeli”.

“Il diavolo ti porti!” gridò Papa Galeazzo “Cosa c’entra il mio culo con le Quattro tempora?!”


Secundum Lu C…

Na duminica Papa Cagliazzu sta liggia lu Vangelu, ma nu sta truaa le pagine, e ggirava, e ggirava le paggine te lu missale, tuttu stizzatu.
– Secundum, secundum…continuava a dicire, e intantu utava li paggine…
Nnà bizzoca ca stia sutta l’artare figge cu lu juta e ncignau cu lu suggerisce:
– secundum Luca, Arciprete!
– ccene? disse Papa Cagliazzu, ca votava li paggine stizzatu
– secundum Luca, ripetiu la bizzoca
– Secundum…secundum…
– Arciprè! Secundum Luca, tisse ritannu la bizzoca
– secundum Lu cazzu! figge te botta Papa Cagliazzu.

Una domenica Don Galeazzo stava leggendo il Vangelo, ma non riusciva a trovare le pagine, e girava, girava le pagine del Vangelo, tutto arrabbiato.
– Secundum, secundum…continuava a dire, e intanto girava le pagine…
Una bizzoca (ossia un’assidua frequentatrice della chiesa), che si trovava sotto l’altare, per cercare di aiutarlo, iniziò a suggerirgli:
– secundum Luca, Arciprete!
Cosa? disse Don Galeazzo, e intanto girava le pagine sempre più arrabbiato
– secundum Luca, ridisse la bizzoca
– Secundum…secundum…
– Arciprè! Secundum Luca, disse gridando la bizzoca
– secundum Lu Cazzu! disse di botta don Galeazzo.


Il quadro in chiesa

Un giorno Papa Cagliazzo chiamò un noto artista del luogo per commissionargli un quadro della Madonna. “Mi raccomando – disse Papa Cagliazzo all’artista – dev’essere pronto per la festa della Madonna!”. “Certo”, rispose l’artista, e iniziò a lavorarci sopra.

Ogni tanto Papa Cagliazzu si recava dall’artista per vedere a che punto fossero i lavori e per sollecitarlo, visto che la festa si avvicinava. “Dammi tempo”, rispondeva sempre l’artista, presto sarà pronto un vero e proprio capolavoro!”.

Passò il tempo ma il quadro tardava ad arrivare e così Papa Cagliazzu si recò nuovamente dall’artista. “Mena! – gli disse – che la festa sta per arrivare!”. “Dammi qualche altro giorno – ribattè l’artista – sta uscendo un capolavoro!”.

E così qualche giorno dopo l’artista portò il quadro in chiesa, ma prima di scoprirlo disse a Papa Cagliazzu: “fai attenzione, perché questo quadro lo sanno riconoscere solo le persone oneste, i farabutti, i criminali e i fessi non vedranno nulla”, e così dicendo scoprì il quadro. Papa Cagliazzo non vide nulla. Il quadro era bianco! Ma per non passare per un fesso, un farabutto o un criminale, disse: “bellissimo, è davvero un’opera d’arte!”. Il giorno della festa, con la chiesa gremita di gente, Papa Cagliazzo invitò tutti a vedere il quadro, scoprendolo. Quando udì il mormorio della gente, disse: ”qua le cose sono due, o siamo tutti farabutti, criminali e fessi, o il pittore ci ha preso per fessi!”.


Bonum facisti

La canonica te l’arciprete te Lucugnanu stia propriu ttaccata alla chiesa matre, tantu ca te subbra l’artare maggiore lu prete putia itire lu barconcinu te la casa canonica.
Nzomma, na matina papa Cagliazzu se ne issiu te la canonica senza cu descia ordini alla Porsia, la serva sua, su quiddhru ca s’era mangiare a menzatia e di comu s’era cucinare.
Se figge tardu e la Porsia ncora non bera ‘ncignatu a cucinare. A stu puntu decise te sula. Intra la dispensa ‘ncera sulu nu mienzu aucieddhru crutu rimastu te lu ggiurnu prima; tannu lu figge all’umidu, e osce comu l’era fare?
Papa Cagliazzu sta dicia la missa te le undici, quindi stia na nnà cu spiccia. La serva se nfacciau te lu barconcinu e, quannu lu prete se sta girava te facce cu dicia “Dominus vobiscum”, iddhra subitu nci figge segnu cu se ne dduna. Quannu se ne ddunau, iddhra nci mmusciau lu mienzu aucieddhru, cu ne face capire: “comu l’aggiu fare?”.
Allu secondu “Oremus” papa Cagliazzu capiu subitu; allu terzu, ausannu la uce a mmodu cu pozza sentere la coca, cantau:

“Dominus vobiscum…Oremus:
Bonum facisti, Porsia,
l’agnellum ad fenesciam:
fallum illum coctum mienzum mbrotu,
mienzum arrostu.
Àmmen et cusì sia!”

La canonica dell’arciprete di Lucugnano era proprio attaccata alla chiesa madre, tanto che dall’altare maggiore il sacerdote poteva guardare il balconcino della canonica.
Insomma, una mattina Papa Galeazzo uscì dalla canonica senza dare ordini a Porzia, la sua serva, su quello che avrebbe mangiato a pranzo e di come prepararlo.
Si fece tardi e Porzia non aveva ancora iniziato a cucinare. A questo punto decise da sola. Dentro la dispensa c’era solo un mezzo uccello crudo, rimasto dal giorno prima, quando lo preparò in umido. Ma oggi come lo avrebbe preparato?
Don Galeazzo celebrava la messa delle undici, quindi era quasi alla fine. La serva si affacciò dal balconcino e, quando il prete si stava girando nella sua direzione dicendo “Dominus vobiscum”, lei subito fece segno, affinché si accorgesse di lei. Quando se ne accorse, gli mostrò il mezzo uccello, per fargli capire: “come lo devo preparare?”.
Al secondo “Oremus”, don Galeazzo capì subito; al terzo, alzando la voce in modo che la cuoca potesse sentirlo, cantò:

“Dominus vobiscum…Oremus:
Benes facesti Porzia,
l’agnellum a fenestram:
fallum quellum cottum menzum a brodum,
menzum arrostum.
Amen e così sia!”


La prima comunione

Una volta un vecchio massaro di nome Pippi venne rimproverato dalla moglie, perché erano ormai molti anni che non si confessava e non prendeva la comunione. “Se mai sia muori – gli disse – mi farai vivere con lo scrupolo che non ti sei avvicinato a Gesù e che brucerai all’inferno con i dannati!”.

Ogni giorno gli ripeteva sta tiritera, fino a quando il marito, esausto, non decise di dar retta alla moglie.

Andò da Papa Cagliazzu e si confessò, e la domenica successiva finalmente si presentò a messa.

Durante la celebrazione Papa Cagliazzu fu colto da un irrefrenabile attacco di diarrea e dovette, suo malgrado, allontanarsi momentaneamente dalla funzione, perché proprio non ce la faceva a trattenersi!

Stava facendo tardi e, terminati i bisogni, non si curò di lavarsi le mani. Rientrò dunque in chiesa e continuò la celebrazione da dove l’ aveva interrotta.

Al ché distribuì la Comunione e fra i primi, quasi fosse la prima volta, c’era il massaro, timido e ansioso proprio come i piccoli che per la prima volta ricevono Gesù.

Tornato al suo posto il massaro avvertiva in bocca un sapore disgustoso, quasi repellente, che continuava ad accentuarsi.
Si rivolse allora alla vicina di banco, la tipica bizzoca, anche lei come tanti altri in raccoglimento:

“commare, toglimi un dubbio!”

“si, dimmi”

“ma che sapore ha l’ostia che abbiamo preso?”

e quella, con aria di superiorità:

“ma non può avere sapore! è il Corpo di Cristo”

e lui:

“propriu a mie doveva capitare lu culu?!”


Natale e Pasqua

Francesco Natale, giovane figulo di Lucugnano un giorno si presentò all’Arciprete per chiedere lo stato libero dovendo sposarsi con Pasqua Baltoni di Giurdignano.

“Matrimonio di malaugurio!” osservò Papa Cagliazzu. “Tra Natale e Pasqua quattro giorni di carnevale e una lunga quaresima!”


Ho visto la luna

Mentre usciva di chiesa la processione, una bella e giovane ragazza, nel cadere per terra esclamò:

“Dio mio che dolore! Ho visto le stelle!”

“Ed io ho visto la luna!” esclamò Papa Cagliazzu, il quale si era accorto della posizione sconcia in cui era rimasta cadendo…


Le bbestie

No chiuia te mutu tiempi; la campagna stia arsa e le bbestie sta muriane te site, allora lu Barone priau l’Arciprete cu fazza na preghiera a Santu Martinu.

– Papa Cagliazzu, aqquai stamu fiacchi cumbinati, le bbestie sta morenu senza acqua, tisse lu Barone;

– Statte tranquillu, Barone – tisse Papa Cagliazzu – mo preu Santu Martinu cu te sparagna a Signuria…

Non pioveva da tanto tempo; le campagne erano arse e le bestie morivano di sete, allora il Barone pregò l’Arciprete affinché pregasse San Martino.

– Don Galeazzo, qui stiamo messi male, le bestie muoiono senza acqua, disse il Barone;

– può stare tranquillo, Barone – disse Don Galeazzo – pregherò San Martino affinché risparmi almeno lei…


Morto avvelenato

C’era un vecchio signore in Alessano tanto mordace e maldicente che lo chiamavano “la lingua avvelenata”.

Udendo, un giorno, Papa Cagliazzu, che il maldicente era morto avvelenato, per assorbimento:

– Poveretto – disse – si sarà morsicato la lingua!


I seni e i merli

Un caldissimo giorno d’estate una signora di Lecce tornava a casa dal Capo di Leuca, ma siccome il viaggio era lungo e il sole picchiava forte, decise di sostare a Lucugnano. Chiese in giro se vi fosse una locanda, ma la gente del posto le rispondeva che l’unica casa libera era quella del prelato. Papa Cagliazzu, appresa la notizia, fu felice di accogliere la donna in casa sua. Le disse di mettersi comoda e lei, per il troppo caldo, si sbottonò la camicetta, mostrando un poco il seno. Papa Cagliazzu, allo spettacol che gli si presentò d’avanti, esclamò:

Parte appar delle mamme acerbe e crude

Parte altrui ne ricopre invida veste

Invida, ma se agli occhi il varco chiude

L’amoroso pensier già non si arresta,

Che non ben pago di bellezze esterne

Negli occulti sentieri anco s’interna.

La signora s’accorse che il prete era entrato in estasi e, per cercare di cambiare discorso, disse:

– arciprete, a cosa pensate?

– ammiro, mia signora – disse papa Cagliazzu, le forme stupende del vostro seno e mi chiedo perché sia così bianco!

– Eh! – disse lei – è bianco perché è sempre coperto dai vestiti!

– Pure io – disse papa Cagliazzu – ho due bei merli in gabbia, sempre al coperto, ma sono più neri della mia sottana!


La traduzione

Papa Cagliazzu insegnava latino ad Alessano e uno dei suoi libri preferiti erano le Bucoliche di Virgilio. Un giorno si trovò ad assegnare come compito la traduzione di un canto pastorale: Titire tu patulae recubans sub tegmine fagi, che nessuno degli studenti riuscì a tradurre.

Al ché Papa Cagliazzu esclamò:

– Ciucci! Non sapete tradurre un verso così semplice? Titire si rifugiò sotto la pentola dei fagioli!


Ho 25 anni

Papa Cagliazzu aveva una sorella di quarant’anni che però non svelava mai la sua età in pubblico. Anzi, ripeteva a tutti di averne soltanto 25. Un giorno si parlava dell’età della donna e lei, con fare tranquillo, chiese il parere del fratello.

– Vero, vero – rispose Papa Cagliazzu – sono 15 anni che ripete di averne 25!


Il bacio della pace

Doveva prendere possesso della parrocchia di Lucugnano e Papa Galeazzo, festante, si presentò al popolo di Lucugnano nel giorno della Santa Pasqua. Dalla baronessa, Donna Ermenegilda Alfarano-Capece, al più modesto cittadino, nessuno mancò d’intervenire alla funzione liturgica. Papa Galeazzo, cantata la messa, al Vangelo rivolse al popolo la sua prima omelia, nella quale raccomandò che si doveva risorgere a vita novella: che, deponendo le ire ed i rancori, tutti dovessero amarsi come fratelli.

Con così calde ed ispirate parole Galeazzo riuscì a commuovere i suoi fedeli, tanti che li spinse ad abbracciarsi e baciarsi l’un l’altro, imponendo spettacolo…!

Uomini e donne, vecchi e bambini, senza badare al sesso e all’età, tutti s’abbracciarono e si scambiarono il segno della pace.

Quietatasi la scena, Don Galeazzo, che aveva notato come alla sola Baronessa nessuno si era accostato per abbracciarla e baciarla, riprese il discorso, per rimproverare la grave omissione ed incitare quei buoni vassalli a suggellare la pace anche con la illustre loro feudataria.

Tutti trovarono giusto il rimprovero, ma chi si azzardava osar tanto? Chi si poteva arrischiare di toccare un lembo solo della veste baronale? Malgrado i ripetuti incitamenti, l’enorme differenza sociale tratteneva ciascheduno e allora Papa Galeazzo, persuaso al fine della modestia dei suoi fedeli, risolvendo il problema scese dall’altare ed esclamò: “Ho capito! Questo boccone spetta a me!”. Il popolo gli fece largo e l’arciprete, in cappa magna, si portò presso la Baronessa, se la strinse forte al seno e le scoccò il fronte un sonoro bacio: il bacio della pace!


Il Settimo comandamento

Papa Galeazzo, nello spiegare al popolo il settimo comandamento, per meglio dimostrare come il peccato della carne fosse il maggiore di tutti i peccati, disse:

“Un uomo solo può commettere, in un momento, mille peccati! Bestemmiare, rubare, assassinare, e via e via dicendo. Ma il peccato della carne è così grande che, per commetterlo, bisogna essere in due!”


Per precauzione

Un giorno Papa Galeazzo portò al suo Vescovo due mele primaticcie, primo frutto di un alberello che si teneva caro nel suo orto. Monsignore, contentissimo, per mostrare il suo gradimento, ne prese una e cominciò ad assaporarla, mentre offrì a Papa Galeazzo l’altra mela, il quale, preso il coltello dalla tasca, iniziò a sbucciarla.

“Ma come, Padre!” esclamò il Monsignore “non sai che il frutto sbucciato perde di gusto?”.

“Questo lo sapevo” rintuzzò Papa Galeazzo “ma siccome per la strada me ne cadde una per terra, proprio sopra uno sputo di un anziano, non sapendo quale delle due sia quella, così, nel dubbio, preferisco sbucciarla!”

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