Mascherine a 50 centesimi? Siamo sulla buona strada, ma…

Stamattina sono andato in ferramenta, dove avevano affisso un cartello con su scritto mascherine UNI EN 14683 disponibili. “Finalmente – ho pensato – ora ne prendo un paio“. Siccome non mi fido particolarmente dei proclami governativi, prima di acquistarle ho chiesto il prezzo.

“Scusi, quanto costano?”

“10 euro”

“pellamiseria! 10 euro l’una?”

“no, 10 euro tutte e due”

“ma Conte non ha detto che devono costare non più di 50 centesimi?”

“vuol dire che lui c’ha un fornitore migliore del mio”

Se non fosse che mi fidassi del mio ferramenta, che ha sempre praticato prezzi onesti, non gli avrei creduto e l’avrei preso per un vile speculatore.

E così, mosso da curiosità e spirito d’approfondimento, mi sono recato in farmacia, casomai in questa fase l’obbligo di vendita delle mascherine a 50 centesimi dovesse valere solo per loro. Questa considerazione è partita dal fatto che molte testate giornalistiche, tra ieri e oggi, hanno parlato di accordi tra Governo, Ordine dei farmacisti, Federfarma e Assofarm. Anche se l’ordinanza del commissario straordinario n. 11/2020, che dispone il prezzo massimo di vendita al consumo delle mascherine, vale per tutti.

“Vabbè, proviamo” ho pensato mentre attendevo fuori dalla farmacia, a distanza di sicurezza da una signora che aveva fatto indossare la mascherina pure al cane.

Arrivato il mio turno, chiedo esplicitamente una mascherina idonea di cui alle norme tecniche UNI EN 14683. La farmacista, gentilmente, me ne porge una, bella imbustata e con il marchio CE in vista.

“Quanto costa?”

“4 euro l’una” mi risponde con estrema gentilezza.

“ma non c’è l’ordinanza che impone il tetto massimo a 50 centesimi il pezzo?”

“noi queste le abbiamo pagate molto più di 50 centesimi” mi risponde, questa volta con malcelata gentilezza.

E niente, non l’ho presa, anche perché da disoccupato e con remote possibilità di tornare presto a lavorare, 4 euro mi appaiono un capitale da preservare. Mi sa che l’attuale mascherina dovrà durarmi più a lungo del previsto.

La situazione oggi

Stando alla cronaca, Confcommercio si è rifiutata di persuadere i propri associati a conformarsi alla norma. Piuttosto preferiscono sospendere le vendite. Mentre varie associazioni di categoria e territoriali rappresentanti dei farmacisti, in un primo momento hanno alzato una barricata, salvo poi firmare gli accordi con lo Stato dopo la promessa che quest’ultimo rimborserà la differenza di prezzo delle mascherine già acquistate.

Vediamo se ho capito la situazione. Lo Stato impone per ordinanza un prezzo massimo di vendita. Salvo poi specificare che sono state contattate 108 aziende italiane che dovranno produrre le mascherine a prezzi bassi, da immettere poi sul mercato al prezzo imposto per legge.

Ma per adesso l’intervento statale si è limitato ad incidere sulla parte finale della filiera (il dettagliante), ossia su una parte in cui il prezzo è stato già definito dai passaggi precedenti. Per ovviare a questo problema, gli accordi con i farmacisti prevedono un rimborso dell’eccedenza, ossia della differenza tra il prezzo netto praticato al pubblico (50 centesimi) e il prezzo netto d’acquisto. Quindi se il commerciante le ha pagate 2 euro l’una e le dovrà vendere a 50 centesimi, lo Stato rimborserà 1 euro e 50. Con gli altri operatori commerciali non si sa se ci saranno specifici accordi.

Aspetti negativi della tattica governativa

Un primo aspetto critico è che l’ordinanza non è stata emanata dopo aver esteso gli accordi con tutti i commercianti di mascherine, ma al momento solo con i farmacisti e non in tutta Italia. Però la norma vale per tutti, quindi è, di fatto, iniqua.

Un secondo aspetto critico, che balza subito agli occhi, è che alla fine della fiera saremo sempre noi a pagare, perché nella fase attuale lo Stato rimborserà, con soldi pubblici, solo i firmatari di specifici accordi. Quindi non andrà ad incidere sulle speculazioni avvenute durante i passaggi delle mascherine nella filiera.

Se, per esempio, lo Stato predisponesse una patrimoniale sui redditi più elevati o un’imposta sulle speculazioni finanziarie, allora potremmo dire che i soldi che dà ai dettaglianti li prende dagli speculatori. Ma senza questi interventi, i soldi li prenderà dal debito pubblico oppure dalle solite entrate. Però queste oggi sono scarse. E quindi, di fatto, a pagare saranno i soliti: lavoratori, pensionati, ceti deboli (perché si taglierà la spesa pubblica).

Un altro aspetto critico è che non è detto che l’economia reale si adeguerà alla norma. Quanto mi è capitato stamattina (e che sicuramente capita in molte altre realtà) è la prova che non si può incidere sul mercato a botte di decreti e ordinanze. Altrimenti la gente dirà (giustamente) che questa è pura propaganda.

Tra l’altro l’ordinanza si configura come una norma senza sanzione, perché impone di mantenere un certo prezzo, ma non dispone conseguenze giuridiche in caso di inosservanza della stessa. Quindi è inefficace. Ma se prevedesse una sanzione, sarebbe iniqua.

Aspetti positivi della tattica governativa

Un aspetto positivo da considerare è che il mercato reagisce ad ogni minimo stimolo, sia pubblico che privato. Oggi i prezzi delle mascherine, sul mercato on-line, si sono attestati dai 30/40 centesimi ad un euro al pezzo, anche se in molti casi si tratta di prodotti di scarsa qualità. Però rispetto ad un mesetto fa, quando addirittura si è arrivati a 30 euro al pezzo, ce ne passa. Nel frattempo sono cambiate le condizioni, cioè sono state immesse sul mercato mascherine in quantità idonea, nonché sono state distribuite gratuitamente dalla Protezione Civile in numerosi comuni, contribuendo così alla riduzione dei prezzi.

Anche se la tattica di imporre un prezzo calmierato non dovesse funzionare su larga scala, sicuramente contribuirà alla riduzione dei prezzi. S’innescherà difatti un circuito positivo di influenze dal basso (cioè dai destinatari della misura) e dall’alto (direttamente dallo Stato), in un’ottica di presa di coscienza dell’importanza che riveste un bene considerato di prima necessità.

Controllare il mercato

Ampliando questo ragionamento su più larga scala, sorgono due semplici considerazioni. Anzitutto che il liberismo selvaggio – a cui siamo stati abituati finora – è un totale fallimento. E’ chiaro. Lo abbiamo provato sulla nostra pelle quando s’è speculato pure sulle mascherine, sull’alcool denaturato o sull’amuchina. Lasciare che sia il mercato ad autoregolarsi è un regalo agli speculatori e alle grandi aziende globali, che s’arricchiscono a scapito della povera gente. Da qui ne discende che è necessario che lo Stato si riappropri quantomeno del potere di intervento in economia, se non addirittura di pianificazione.

L’intervento atto a controllare i prezzi delle mascherine va nella giusta direzione. Ma non basta.

Occorre intanto estendere questo tipo di interventi almeno a tutti i beni di prima necessità, per limitare le speculazioni che si verificano sia a causa di fattori imponderabili sia per volontarie scelte strategiche operate dal mercato. Inoltre si deve agire a monte e non a valle, quando ormai il prezzo è definito, altrimenti a pagare saranno i soggetti più deboli della filiera, nonché, in ultima analisi, i contribuenti e i ceti più deboli.

E’ ovvio che nel modello economico attuale tutto ciò non è fattibile, perché comporterebbe che lo Stato debba mettere in discussione i modelli di governance di aziende private, i suoi margini, i suoi profitti, le sue filiere, le sue scelte strategiche. Inoltre l’apparato burocratico dello Stato è finalizzato a proteggere gli interessi dell’alta borghesia, che detiene i mezzi di produzione e i capitali finanziari. Dunque è difficile ipotizzare, allo stato attuale, quantomeno un controllo generalizzato sui processi produttivi e di distribuzione. Però in questa fase, punto di partenza per ripensare collettivamente tutto il sistema produttivo e i conseguenti rapporti sociali, mettere bocca sui prezzi è un bel modo per mettere sull’attenti gli speculatori. E già sarebbe un primo risultato.

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