Negli USA pure il Covid-19 è razzista con gli afroamericani

Stando agli ultimi dati diffusi in USA, il numero dei contagiati supera quota 985.000 persone, mentre i decessi sono oltre 55.000. Tra i contagiati, il 30% riguarda gli afroamericani, anche se questi rappresentano solo il 13% della popolazione americana.

In particolare in Louisiana il 32% della popolazione è afroamericana, ma i decessi collegati al Covid-19 contano il 70%. Nel Michigan il 40% di decessi sono di afroamericani anche se la minoranza rappresenta solo il 13% della popolazione.

A New York, dove la pandemia è più diffusa, il coronavirus sta uccidendo afroamericani e latinoamericani con una frequenza doppia rispetto ai bianchi, secondo i primi dati forniti dallo Stato.

Qualcosa non quadra. Come mai su una popolazione così ristretta si concentra un alto tasso di contagi e di decessi?

Emergono così, in modo chiaro, le disuguaglianze sociali e la mancanza di uno Stato sociale, che contribuiscono pesantemente a spostare l’ago della bilancia a sfavore di una fetta di popolazione priva di assistenza e di mezzi di sopravvivenza. Nonché costretta a lavorare in piena pandemia, priva di dispositivi di sicurezza.

Stando alle fonti giornalistiche e alla struttura socio-economica statunitense le cause principali sono tre.

La sanità privata

Negli USA la sanità è privata. Senza un’assicurazione le persone non hanno accesso alle cure. Se non lavorano, non possono pagare la polizza e spesso anche chi lavora non può permetterselo, perché percepisce redditi talmente bassi da riuscire a soddisfare solo i bisogni primari. Quindi chi si ammala di Covid-19 e non ha le risorse economiche, è costretto a non curarsi oppure ad affidarsi a cure alternative, spesso pseudo-scientifiche e di basso costo.

Costretti a lavorare privi di dispositivi di sicurezza

cassiera afroamericana
foto inviata alla BBC da una cassiera afroamericana in un supermarket

Gli afroamericani, negli USA, sono quelli che lavorano in settori affollati, come l’industria e in quelli a maggiore contatto con il pubblico come la grande distribuzione, la vendita al dettaglio, i trasporti e la somministrazione di cibo. I datori di lavoro non forniscono loro alcun dispositivo di sicurezza (mascherine, gel per le mani, guanti), che devono comprarsi di tasca propria. Il problema, però, è che in alcuni settori i datori di lavoro impediscono loro di usare tali dispositivi, perché danno un’immagine negativa dell’azienda e allontanano il pubblico. E così sono i primi ad entrare in contatto con tantissima gente e, dunque, ad esporsi maggiormente all’infezione. Anche se si ammalano, sono costretti dall’azienda a lavorare, altrimenti vengono licenziati.

Idem per quelli che lavorano nelle industrie o nei trasporti. Questi lavorano spesso a stretto contatto e quindi sono più soggetti ad ammalarsi. Se si ammalano, non possono smettere di lavorare, pena il licenziamento.

Con più di 26 milioni di disoccupati negli USA a causa del Covid-19, non possono permetterselo. Perché al rischio di morire per il virus si aggiunge pure il rischio di morire di fame.

Costretti a vivere in quartieri e case fatiscenti

Gli afroamericani, ma più in generale i ceti più deboli e a basso reddito, vivono spesso nelle periferie delle città, in quartieri degradati, del tutto trascurati dalle istituzioni pubbliche, in case fatiscenti e ad alta densità abitativa. Queste rappresentano un veicolo eccezionale del virus, sia all’interno del nucleo familiare che nei rapporti di vicinato.

In queste condizioni e considerando la strategia di Trump nel gestire la pandemia, che ha chiamato Opening Up America Again, la prospettiva è che gli USA saranno il primo paese al mondo per decessi da Covid-19. E questi riguarderanno principalmente i poveri, gli esclusi, i disoccupati e i ceti deboli. Perché non si muore solo di virus, ma anche di disuguaglianze.

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