La prossima crisi economica spiegata semplice

Perché questa crisi economica è diversa dalle altre? Perché in Europa sono nervosi e non sanno come gestire la situazione? Un breve excursus, di facile lettura, per capire come funzionano le crisi, le speculazioni e come la ventura crisi economica sarà cruciale per l’Italia.

Mi scuso sin da subito per la lunghezza del testo, ma ho cercato di parlare come mangio, quindi penso in modo piuttosto elementare, in modo da facilitare la lettura, per arrivare alla conclusione che o si cambia prospettiva, oppure alla prossima crisi economica si muore per davvero. Credo sia necessario distinguere questa crisi economica dalle solite, per la semplice differenza che quelle sono volute, questa no. Quindi ecco perché i leader europei, oltre a Trump, stanno un pochetto nervosi, perché non sanno che pesci pigliare. Ma a pagare la crisi economica, se non ci diamo una svegliata, saremo noi. E sarà dura. Molto peggio delle altre volte.

Le crisi cicliche

E’ evidente che tutte le crisi economiche, dagli inizi del 900 ad oggi, sono cicliche, arrivando a generare pure due conflitti globali. Nessun economista liberista contemporaneo è mai riuscito a definire per tempo la nascita di una crisi o ad identificare elementi in comune, ma se sono cicliche, dipenderà dalla struttura del modo di produzione capitalistico, no? Sennò non avverrebbero ciclicamente e non sempre più di frequente: 1887, 1929, 1973, 1987, 1992, 1999, 2008. Il fatto che avvengono con maggiore frequenza dipende da tanti fattori, ma soprattutto dal fatto che il capitalismo, quando è maturo, tende a più frequenti squilibri endemici.

Secondo Marx, l’origine delle crisi si trova nella caduta del saggio di profitto (qui trovi la spiegazione su cos’è e come funziona) nelle grandi imprese, prima nazionali, poi multinazionali, oggi transnazionali. Quale che sia l’origine, è innegabile che per rimettere a posto le cose e tornare a far profitti, si ottengono questi effetti:

  • riduzione della concorrenza (si eliminano facilmente i piccoli, che non hanno mezzi per affrontare la crisi);
  • aumento della disoccupazione e quindi si abbatte il costo del lavoro;
  • eliminazione delle tutele sul lavoro; manovre lacrime e sangue (te le ricordi, no?)
  • ricerca di nuove fonti di approvvigionamento a pochi soldi (prendi il caso della Puglia);
  • imposizione del debito sulle spalle di lavoratori e pensionati.

Tutti questi debiti sono prodotti dal mercato di matrice capitalistica, che li genera ma li scarica sugli stati, i quali a loro volta li scaricano sui ceti deboli. Ciò avviene perché il capitale controlla o influenza pesantemente le sovrastrutture: politica, nazionale ed internazionale, media, produzione culturale, terzo settore, ecc.

Questa crisi, però, è diversa. Ma prima di analizzarla, vediamo come funziona il sistema del debito.

La morsa del debito

Come tutti sappiamo, quando uno stato ha bisogno di soldi, si rivolge ai mercati. Lo strumento cardine per farlo è l’emissione di titoli (bot, btp, cct, ecc.), che, per dirla semplice, altro non sono che dei pagherò, ai quali corrisponde un certo tasso d’interesse, che lo stato pagherà allo scadere del titolo. Praticamente chi li compra, dà dei soldi allo Stato, che corrispondono al valore del titolo e, alla scadenza, guadagna una certa percentuale (interesse). I principali acquirenti dei titoli di stato sono: banche, nazionali ed internazionali, intermediari finanziari e piccoli risparmiatori. Lo schema seguente ci fa capire con facilità chi detiene il debito pubblico italiano.

In tempi normali il tasso d’interesse è piuttosto basso (ma dipende dal tipo di titolo e dalla durata), perché lo Stato è sicuro di piazzare i propri titoli. In tempi di crisi, però, le cose si complicano. Le banche e gli intermediari non comprano, perché secondo loro lo Stato rischia di non restituire i soldi. In queste vicende un ruolo decisivo è offerto dalle agenzie di rating, che spesso manomettono i dati sulla solvibilità di uno stato per costringerlo ad aumentare i tassi d’interesse. E così avviene: per rassicurare i mercati, lo Stato offre i suoi titoli con interessi maggiori. Ma così facendo, s’indebita ancora di più.

Lo spread

Così il debito pubblico aumenta e aumenta pure lo spread, ossia la differenza tra il tasso di rendimento dei nostri titoli di stato con quello tedesco. Più aumenta lo spread e più la Germania può piazzare i suoi titoli a svantaggio dei nostri. Perché si usa il confronto con i titoli tedeschi? Perché è un paese modello (secondo le regole del mercato) e quindi il confronto si fa, per prassi, con un paese economicamente sostenibile, il quale, nella realtà, non lo è, ma questo poco conta nell’illusione della macro economia che, sostanzialmente, è una gara a chi piscia più lontano.

Prima di vedere perché la Merkel è così nervosa, cerchiamo di capire chi sono gli intermediari. Perché le banche sappiamo – più o meno – che ruolo hanno nell’orientare le politiche economiche di uno stato. Ma gli intermediari?

Chi sono gli intermediari?

Dato che detengono una bella fetta di debito pubblico, vediamo chi sono e che ruolo hanno.

Sono imprese, diverse dalle banche (che pure loro, ovviamente, sono intermediari) che esercitano attività di investimento per conto terzi ed effettuano diverse operazioni: o prestano soldi, ottenendo un certo compenso (fisso o variabile), oppure prestano garanzie o, ancora, facilitano l’incontro tra capitali. Tra queste figure rientrano queste società:

  • Compagnie d’assicurazione;
  • immobiliari, le quali comprano un numero cospicuo di immobili da immettere sul mercato (e incidono, di molto, sul costo delle case);
  • Società di leasing (finanziano privati o imprese per acquisti di beni durevoli) e factoring (una sorta di assicurazione per le imprese. Comprano i crediti delle aziende e li recuperano);
  • Società di credito al consumo (prestano soldi ai consumatori per comprare beni di consumo non durevoli);
  • Società emittenti di carte di credito (che sono diverse dalle banche);
  • finanziarie in genere;
  • Agenti di cambio e intermediari finanziari;
  • Imprese di investimento.

In Italia operano circa 96.000 di queste imprese, ma quelle grosse, ossia con più di 50 dipendenti, sono solo 608 (dati ISTAT, 2018). Alcune di queste imprese, appartengono a grossi gruppi o holding, i quali, in sinergia con le banche, acquistano pezzi di debito pubblico italiano e, con complesse operazioni finanziarie, lo vendono ad aziende estere più grosse, le c.d. aziende transnazionali (industrie, altre società finanziarie, società di servizi, ecc.). Dunque il debito pubblico viene acquistato direttamente dalle banche estere, ma anche attraverso operazioni finanziarie. E così finisce per essere, in parte, nelle mani di Germania, USA, Francia e Cina (e altri paesi, in più piccola parte).

Chiaramente queste società non sono patriottiche, non stanno sul mercato per far grande l’Italia (come retorica dice), ma solo per profitto, quindi è indifferente se si vende ad una società estera un debito pubblico o privato. Mentre alle società estere fa comodo detenere – direttamente o indirettamente – debito pubblico italiano, perché i rispettivi governi possono influenzare le scelte in materia di politica economica in Italia. Specie se sono paesi capitalisti ed europei.

Come funzionava in Europa finora

Detta in termini semplici, da quando l’Italia è entrata in Europa ha promesso di tenere sotto controllo la spesa pubblica e di rispettare i parametri del Trattato di Maastricht (1992), che impone, tra le tante, il rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%, un tasso d’inflazione non superiore all’1,5% rispetto ai paesi più virtuosi oltre ad un disavanzo della bilancia commerciale con l’estero (differenza fra esportazioni e importazioni) non superiore al 4% o un avanzo non superiore al 6% (e altre imposizioni).

La Germania, per dirne una, non ha mai rispettato il parametro relativo all’avanzo della bilancia commerciale e con trucchi contabili fa ridurre il debito pubblico, senza che nessuno in Europa dica niente (perché è il paese trainante e chi si permette di contestarlo se son tutti allineati al pensiero dominante?). Il trucchetto è ben spiegato qui.

Inoltre il divorzio tra Banca d’Italia e tesoro (del 1981), divenuto efficace nello stesso anno del trattato, ha comportato che i tassi d’interesse dei titoli di stato fossero determinati dal mercato e non più dallo Stato. Perché fino ad allora la Banca d’Italia, praticamente, si faceva carico dei titoli invenduti, finanziando lo Stato. Dopo l’ingresso in Europa la BCE (banca centrale europea) ha detto: decide il mercato, io non compro nulla.

Pesce grosso mangia pesce piccolo

Quando una nazione non riesce ad esportare più di quanto importa allora s’indebita. La bilancia commerciale va in rosso, con tutto ciò che ne comporta (più soldi che escono e meno che entrano, meno introiti fiscali, meno lavoratori, maggiore spesa sociale, ecc.). In questo caso il debito privato delle aziende si somma a quello pubblico ed aziende o risparmiatori non possono comprare il debito, perché non c’hanno soldi.

In passato lo Stato poteva mettere mano a questo genere di problemi, incidendo sull’inflazione. Roba delicata, certo, ma così le merci divengono più appetibili sul mercato e si può tornare a produrre. Ovvio, ciò causa problemi ai salari, al potere d’acquisto di famiglie e imprese, ma con una buona pianificazione economica se ne esce. Ciò avviene, per esempio, in Giappone, paese indebitatissimo, ma sovrano, quindi capace di pianificare l’economia ed essere solido sul mercato.

In Europa queste manovre non sono più possibili. E così gli stati con un buon manifatturiero (come l’Italia) ma con alti costi e limiti europei (che, s’è visto, in Germania non valgono), non reggono la concorrenza.

Si finisce, così, in un circolo vizioso senza fine, per cui per far quadrare i conti s’aumentano le tasse, si tagliano gli investimenti, si taglia la spesa sociale e ci si impoverisce ancora di più, regalando forza lavoro e intellettuali ai paesi più ricchi, con le emigrazioni forzose verso i paesi che offrono prospettive lavorative. Del resto una delle regole dell’economia capitalistica è che devono esistere per forza sfruttati e sfruttatori, un Nord e un Sud, un paese ricco e uno povero. Senza questa dicotomia non esiste capitalismo. Ma capitalismo non vuol dire economia.

Il Quantitative easing

Dopo la crisi del 2008 e su pressione dei paesi europei economicamente più deboli, la BCE si è accorta che la crisi stava producendo squilibri e comunque il metodo della Troika (formata da FMI, BCE ed UE) stava facendo effetto in Grecia. Quindi per controbilanciare una crisi pianificata, ma di certo più grave del previsto, ha introdotto un rimedio, chiamato Quantitative easing.

Cos’è? Sostanzialmente un ritorno al passato, quando la Banca nazionale comprava i titoli del tesoro. La BCE poteva, quindi, permettere alle banche nazionali di comprare i titoli e finanziare lo Stato, incidendo sul valore degli interessi. Questo strumento è andato in soffitta l’anno scorso, ma la BCE sta pensando di riutilizzarlo per fronteggiare la crisi dovuta al blocco dell’economia a causa del covid-19, però accanto ad un altro strumento.

Il MES, una troika potenziata

Nel 2011, dopo l’esperienza della Troika in Grecia, fu deciso dall’Europa di istituire il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), un’istituzione mista pubblico-privato che gestisce il cosiddetto fondo salva stati. Negli ultimi mesi è in discussione una sua riforma. Peggiorativa, però.

Possono accedere al fondo tutti gli stati in crisi, ma a certe condizioni. Il fondo non è solidaristico, cioè non si aiuta per davvero gli stati dando soldi a fondo perduto, ma è una vera e propria banca, che presta i soldi a titolo di mutuo. Se i soldi non vengono restituiti, il MES ha facoltà di espropriare i beni dello Stato, tra cui infrastrutture, asset strategici, patrimonio, ecc. Ma non solo. Vige pure un sistema sanzionatorio: se lo stato non si adegua ai parametri di Maastricht allora il MES può entrare nelle scelte di politica economica e guidarle. In altre parole un soggetto ibrido (principalmente privato) può entrare nei poteri dello Stato e guidarli.

la paura dello spread che cala

Il coronavirus ha mischiato le carte in tavola e ha mostrato il vero volto del capitale. Da gennaio lo spread era in netto calo, fino a febbraio, segno che gli investitori stavano scommettendo sull’Italia. Poi le misure restrittive per il coronavirus lo hanno fatto rialzare, ma era inevitabile.

Vedi lo spread che è calato per quasi tutto febbraio? E quel picco lo vedi? Quello è del 12 marzo, quando la Lagarde, presidentessa della BCE, ha detto che il ruolo della BCE non è quello di controllare gli spread. Quelle parole, da molti definiti una gaffe, hanno scatenato il panico nei mercati. I titoli di stato italiani sono stati venduti in massa e la borsa è crollata, scatenando pure le dure reazioni del pacifico Mattarella.

Non è stata una gaffe. La Merkel ha paura del calo dello spread, perché così la Germania perderebbe il controllo sui mercati.

Oggi è uscita la vera faccia del capitale

In un primo momento i paesi imperialisti (Germania e Francia in testa) hanno sospeso l’esportazione di materiale di prima necessità per l’Italia (mascherine e respiratori, che qui non si trovavano manco a pagarli oro e per cui il mercato ci ha speculato), poi la Germania ha predisposto un piano di 550 miliardi senza manco consultarsi con la Commissione europea. E poi?

I progetti dell’UE

E poi peppino Conte, il leader improvvisato, anziché sbattere i piedi, è andato – in punta di piedi – in Europa a dire: facciamo emettere dalla BCE i corona bond. Cosa sono questi corona bond? Soldi in prestito, ma a tassi bassi. Anziché chiedere all’Europa soldi a fondo perduto (visto quanto contribuiamo e quanto invece la Germania sta facendo, senza chiedere niente a nessuno), si chiede un prestito, dicendo pure scusate, per favore. E’ come se la vittima, davanti all’aguzzino, invece di dire: non uccidermi, coglione, dicesse: ok, ammazzami, ma senza farmi troppo male.

Neanche davanti a questa blanda richiesta l’UE ha detto si. Anzi, ha rimandato la riunione tra un paio di settimane, ma nel frattempo Germania, Olanda, Finlandia ed altri paesi hanno detto: niente corona bond, se volete ci sta il MES. E abbiamo visto cosa significa chiedere i soldi al MES: ci entrano in casa, ci pigliano tutto e ci fanno pure da padroni.

Il progetto Draghi

Poi ci sta il progetto Draghi, di cui ho parlato qui. Per chi non vuole impicciarsi a leggere un altro articolo (è più breve di questo, giuro!), basta sapere che Draghi dice che per far ripartire l’economia basterà aumentare il debito pubblico e usare quei soldi da dare alle banche. Non direttamente alle imprese, o alle famiglie. No, alle banche. Per essere esatti, le banche presteranno i soldi alle imprese, ma siccome queste non potranno ripagare il debito, ci penserà lo Stato.

E c’è pure chi applaude a Draghi e lo vorrebbe come premier! Già, perché la retorica dell’unità nazionale, diffusa dal pensiero unico capitalistico, vuole che la politica si unisca nei momenti di crisi e si arrocchi intorno all’uomo della provvidenza. Ieri era Monti, domani sarà Draghi. E abbiamo visto com’è andata con Monti. Con Draghi sarà pure peggio.

La recessione economica e gli acquisti in Italia

Mi auguro che da questo lungo scritto si sia capito almeno un po’ come funziona il modello capitalista sia nell’economia reale che nella speculazione finanziaria. Se passa il modello che l’Europa sta delineando in questo periodo, sarà la fine dell’Italia come stato sovrano e si concretizzerà il sogno della Germania: prendersi il Nord produttivo e sganciare il resto d’Italia, che diverrà sostanzialmente il bacino da cui prelevare forza lavoro a quattro soldi.

Se dopo la pandemia si tornerà a parlare di regionalismo differenziato, sapremo il perché.

L’Italia, stretta nella morsa del debito, non potrà più finanziare la spesa pubblica, tra cui istruzione, sanità, giustizia, che diverranno totalmente privati.

Oggi, però, molte persone hanno iniziato a capire chi davvero sta dalla nostra parte e chi invece vuole speculare sull’Italia e farla diventare una colonia.

Gli aiuti umanitari dei paesi socialisti

Se l’Europa specula e ci sbatte le porte in faccia, gli unici paesi che ci stanno dando materialmente una mano, senza pretendere nulla in cambio, sono i paesi socialisti. Ma guarda un po’. La Cina ci ha mandato tonnellate di merci, medici, infermieri, lo stesso ha fatto Cuba, mandando i suoi migliori medici, mentre il Vietnam – paese lodato per aver limitato in maniera esemplare i contagi – ci sta aiutando fornendo materiale sanitario, tra cui gli introvabili tamponi.

Non è che per caso il lato umano dell’economia e della politica sta nel socialismo? Le ultime vicende ci dicono proprio che è così.

Lascia un commento