La Via degli Dei, che congiunge Bologna a Firenze (o viceversa) attraverso l’Appennino tosco-emiliano, è una di quelle esperienze a tutto tondo, che coniugano fatica, scoperta degli ambienti e dei paesaggi, rispetto per la montagna e tanta umanità lungo il cammino. Un percorso da fare a passo lento, come lento sarà questo racconto, diviso in due parti.

Introduzione

Quello che racconterò è la mia esperienza con la via degli Dei (da non confondere con il sentiero degli dei, sulla costiera amalfitana) che è stato un cammino che mi ha portato ad interrogarmi, per la prima volta, sul rapporto tra essere umano e montagna, tra riscoperta, antropizzazione, qualche nota critica e qualche rivincita delle comunità locali nei confronti del potere. Un racconto complicato, ma allo stesso tempo avvincente, che dimostra come sia possibile rivitalizzare paesi ormai spopolati, ma come sia difficile mantenere un equilibrio tra salvaguardia, fruizione e sviluppo. Soprattutto da quando la via degli Dei ha visto moltiplicarsi le presenze (da 8000 presenze l’anno del 2017 a più di 22000 del 2022).

Dati essenziali della via degli Dei

Qui riporto i dati complessivi del cammino. Per ogni giornata di cammino riporterò i dati del singolo percorso fatto. Partiamo da un dato di base: per fare la via degli Dei, in media, ci impieghi 5 giorni.

C’è chi ce ne mette meno, chi di più. Ma andando a passo lento, con calma, senza strafare, in 5 giorni ce la fai senza problemi.

La lunghezza varia dai 130 ai 150 km, a seconda dei percorsi che fai. Io in un paio di occasioni mi son perso (facendo grandi scoperte e grandi bestemmie) e ho fatto qualche km in più di quelli stimati, ma questo è il range.

Son partito, come tradizione vuole, da Piazza Maggiore a Bologna per arrivare a Piazza della Signoria a Firenze.

C’è chi si ferma a Fiesole e da lì prende il bus per Firenze. Ma ho preferito proseguire a piedi, nonostante l’arrivo del buio e le vesciche ai piedi.

Qualche intoppo c’è stato e qualche incoscienza l’ho avuta (tipo non prenotare mai lungo il cammino e trovare Firenze strapiena di turisti e zero alloggi all’arrivo), ma alla fine è andato tutto bene. Perché se pianifichi troppo, perdi il gusto. Se vai all’avventura, ti trovi nei guai.

Quindi serve un giusto mix tra i due. E comunque alla fine, con un po’ di inventiva, risolvi sempre.

La credenziale me la son fatta spedire qualche settimana prima, proprio per evitare di aspettare l’apertura di Extra Bo, in piazza Maggiore, che apre alle 9.00.

La credenziale della via degli dei è una sorta di ricordino, che ti serve per certificare che hai fatto tutto il percorso (o buona parte), facendoti apporre dei timbri dalle strutture ricettive lungo il percorso. Se ne hai accumulati almeno 5 (o 3 se sei in bici), hai diritto a ricevere un certificato numerato ed una graziosa mappa, all’arrivo (a Firenze, dentro il museo di palazzo della Signoria).

Infine, l’acqua si trova sempre. Anzi, ogni fontanella è sapientemente collocata in zone strategiche e non si rischia mai di restarne senza. Grazie a Santi e Agostini e all’associazione Dû pas e na gran magnè (in dialetto bolognese “due passi e un’abbuffata”), che ha elaborato il primissimo percorso (al fine di trovare luoghi dove mangiare bene sull’Appennino, tra Bologna e Firenze), nonché grazie ai Comuni che ora gestiscono il percorso, le fontanelle sono presenti in abbondanza.

Qui i dati complessivi

5 giorni solo A
145 km
E
17-21.05.2022
Trovi le singole tracce per ogni giorno di cammino
Qualche consiglio di base? Leggi l’articolo!

Ad onor del vero le tracce che ti propongo servono a poco. In rete stanno buttate e c’è anche un’utile App pensata proprio per la Via degli Dei, con tracce, waypoint, navigatore integrato. Però, come di consueto, le propongo per chi vuole perdersi e ritrovarsi, come è capitato a me.

Cosa mi sono portato appresso

Ovviamente il libro di Wu Ming 2, Il sentiero degli dei. Un racconto a piedi tra Bologna e Firenze. Nuova ediz. che ho preso in una libreria a Bologna. L’intenzione era di leggere ogni capitolo (che corrisponde ad un giorno di viaggio) per ogni giorno del mio, di viaggio. A volte ci sono riuscito, a volte no. Perché, vuoi o non vuoi, ti trovi, ad ogni fine tappa, a condividere il tuo tempo libero con altri camminatori. E pure se sei un orso scorbutico come me, giocoforza ti ritrovi, la sera, a ridere scherzare e bere insieme agli altri.

Prima di partire ho pianificato (quasi) attentamente quello che mi sarebbe servito durante il viaggio. Nello zaino da 40 litri ci ho messo: 3 ricambi (mutande, magliette, calzini), pantaloni di ricambio, un cappello (necessario quando cammini sotto il sole), poncho e giacca a vento, ginocchiera e cavigliera (necessari per me, con problemi alle ginocchia e una caviglia storta da anni e anni), pomata per le articolazioni, torcia frontale (se ti attardi diventa necessaria), coltellino (per sbucciare la frutta), sacco a pelo, cibo a sufficienza per un giorno, power bank, dentifricio e spazzolino, una tavoletta di sapone di marsiglia (buono per lavarsi e per lavare le robe), sandali, asciugamani (doccia e viso), borraccia e camel bag (per un totale di quasi 4 litri), ago e filo, spago, mollette per bucato, kit di pronto soccorso.

Capitolo magliette e calzini

Ho preso al volo, prima di partire, 3 magliette in Poliestere e Elastan, quelle economiche della Decathlon e, a distanza di 2 anni, le uso ancora e son ancora buone.

Se ti è possibile, scegli anche delle mutande con questi materiali. In pratica è un tessuto molto leggero e, rispetto al cotone, asciugano molto molto prima. Utile se dovessi arrivare tardi alla meta e, il giorno dopo, partire presto. A volte, infatti, mi capitava che le magliette le trovassi asciutte al mattino, le mutande invece ancora umidicce.

Sui calzini non fare sconti. Altrimenti le vesciche ti vengono quasi sicuramente. Infatti non ero ancora ferrato sulla materia e ho usato dei calzini normali, in spugna.

Ora, a distanza di anni, non ho più il problema delle vesciche, anche dopo giorni di cammino, da quando ho iniziato ad usare i calzini della Mico o di Cisalfa o quelli artigianali della Oxeego (carissimi, ma buoni).

Ma anche le scarpe fanno la differenza. Per un cammino come quello della via degli Dei bastano un paio di comode scarpe da trekking. Niente scarpe da ginnastica. Ma anche niente scarponi da montagna (non servono). Se vuoi approfondire, vedi qui.

Capitolo nécessaire per le vesciche e per le robe

Ago e filo sono imprescindibili. Se ti vengono le veschiche, prendi l’ago e una quindicina di cm di filo di cotone. Fai un buco alle quattro estremità della vescica e facci passare il filo, a forma di croce. Attenzione a non far fuoriuscire il liquido. Camminandoci, durante il giorno, il liquido uscirà pian piano e non sentirai dolore. Funziona, fidati. L’ho provato svariate volte.

Lo spago invece ti serve per stendere il bucato, sfruttando alberi o paletti appositamente messi nei campeggi, negli ostelli, nei rifugi o nei bivacchi.

Ti servirà anche per riparazioni di fortuna dello zaino o dei vestiti. Oppure per ripari d’emergenza, sotto la pioggia, usando il poncho come telo.

Zaino fatto, in spalla e sono pronto a partire!

16 maggio – In esplorazione

Tutto inizia con un sorriso.

Appena sceso alla stazione di Bologna, dopo un lungo viaggio in treno iniziato alle 8 di mattina, è già superata l’ora di pranzo. Lascio il pesante zaino su una delle tante panche della banchina della stazione e prendo giusto un paio di tramezzini da uno dei distributori automatici.

Con me ho portato anche delle mele, prese all’Eurospin del mio paese, che ho deciso di portarmi appresso.

Una distinta signora bionda mi chiede un po’ di spazio per sedersi e subito sposto lo zaino. Quando mi dice che non occorre, le rispondo che è equo lasciarle un posto, anziché destinarlo allo zaino e, lei, quando me ne vado, ricambia con un sorriso così bello da essermi rimasto impresso in mente. A distanza di due anni, lo ricordo ancora con piacere.

Mi dirigo a piedi verso l’albergo, che non è distante, anzi, è proprio sotto la stazione, ma il mio solito senso dell’orientamento mi fa vagare a vuoto, sotto ad un sole anomalo per la stagione, per una mezz’ora buona, ma finalmente lo trovo (con google maps…).

Un po’ di riposo ora ci vuole.

Lascio le cose, faccio una doccia e mi avventuro per i portici di Bologna, ammaliato dalle sue celebri scritte.

Perlustro il centro, da dove partirò il giorno appresso e faccio una visita alla Decathlon centrale e al Libraccio per gli ultimi acquisti: una maglietta, il sacco a pelo e il libro di Wu Ming, Il sentiero degli dei, che mi auguro di leggere lungo il percorso (ma finirò di leggere solo a cammino concluso, per via delle giornate pienissime).

Ho portato con me il giubbotto, oltre a una maglia termica pesante, ma subito mi accorgo che non servono, perché il caldo è davvero anomalo e anche nel bosco si farà sentire. Pure la sera, quando pensavo che mi sarebbero tornati utili, c’è lo stesso clima del Salento estivo, segno che quest’anno le temperature saranno africane. E difatti è così.

Ritorno in albergo, con gli ultimi acquisti e una spesa fatta in fretta e furia ad una coop in chiusura (la mattina dopo partirò presto e non so se troverò qualche negozio aperto) dove prendo dei biscotti (che mi accompagneranno nei 5 giorni successivi) e qualche tramezzino e ritorno in albergo, dove lascio le cose, mi alleggerisco e vado diritto in una trattoria in via dei Mille dove avevo adocchiato prezzi buoni.

La trattoria in via dei Mille

Infatti con 19 euro prendo un primo di farfalle prosciutto e piselli, un secondo di salsiccia alla griglia molto buona e un contorno di insalata mista, con mezzo litro di vino e una minerale.

L’ambiente è tranquillo, c’è poca gente e, durante la cena, assisto anche alla performance di un tizio mezzo svitato che, sulla strada, urla qualcosa di incomprensibile contro il sistema.

Il titolare della trattoria, un anziano dall’aspetto saggio e di poche parole, racconta che è solito farlo spesso e che è un “tipico” personaggio bolognese.

Nella trattoria lavora anche una giovanissima ragazza orientale, che sembra – non saprei – mezza cinese, mezza giapponese, insomma di quelle parti lì (cit. Borotalco) e che parla diverse lingue, segno che l’ambiente sarà pure retrò e ha l’aspetto di non essere cambiato da quando è stato aperto, ma alcuni aspetti gestionali sono stati upgradati alle esigenze di oggi.

Alla fine della cena chiedo al titolare se in zona c’è una fontanella dell’acqua e lui si offre di riempirla nella sua macchinetta di acqua alla spina. E così l’indomani potrò partire con l’acqua fresca.

17 maggio – Da Piazza Maggiore a Sasso Marconi

6 h A
29,5 km
E
17.05.2022

Download GPX Via degli Dei giorno 1

La mappa del percorso

Alle 7 sono già pronto a partire.

Mi scopro mattiniero, dote che non ho mai avuto.

Alle 7.20 mi faccio immortalare sotto la statua del Nettuno in Piazza Maggiore da una coppia di trevigiani che ho conosciuto proprio lì e che partiranno dopo di me, aspettando che apra l’info point per comprare la credenziale, che io invece mi son fatto spedire dall’info point di Sasso Marconi, insieme alla toppa e alla guida.

E così, seguendo pedissequamente i suggerimenti della guida, passo per la casa di Lucio Dalla in via D’Azeglio.

arrivo con facilità a Porta Saragozza, passando dagli ultimi negozi di frutta e verdura e di alimentari, che ignoro, dato che ho già con me una buona quantità di cibo. Ma sono utili per cui vuole acquistare le ultime derrate, prima di intraprendere la salita.

Da Porta Saragozza imbocco il porticato di San Luca, il più lungo del mondo, con i suoi 666 archi (il diavolo fa i coperchi, in questo caso…e meno male), che arriva serpeggiando verso il Santuario della Madonna di San Luca, il quale, dalla sua altezza, pare simboleggiare la Madonna che schiaccia la testa del serpente demoniaco.

Curiosamente, lungo il porticato, si sprecano le battute contro la chiesa, con l’ormai iconico cloro al clero, – preti + prati e cose così.

La salita è ripida, il caldo afoso.

Consumo già la prima borraccia d’acqua e sogno di conquistare la prima vetta della giornata.

Lungo il cammino incontro un ciclista talmente anziano da sembrarmi semicentenario, eppure pedala con fatica celata lungo una salita che faticherei a fare pure con la mia auto, in prima.

Per un po’ ci accostiamo e cerco di fotografarlo davanti, ma non ci riesco.

Trovo tanti podisti e corridori lungo il porticato e un giovane in pantaloncini che mi supera (che poi sarà un costante compagno di viaggio nei giorni seguenti), il quale mi fa illuminare la lampadina: che cazzo li tengo a fare i pantaloni lunghi quando posso togliere la parte di sotto e farli diventare pantaloncini? E così ne approfitto per la prima sosta.

Finalmente al Santuario di San Luca!

Arrivo finalmente al Santuario da dove godo del paesaggio privilegiato, stando in altura.

Mi fiondo prima a bere, a riempire la borraccia e poi in chiesa, dove la trovo curiosamente deserta. Lì appongo il primo timbro sulla credenziale, simbolo della prima fatica superata e mi seggo su una panca a godere di un fresco inaspettato.

La chiesa è austera, grande, con una navata principale tutta affrescata e un altare in marmo bianco e nero imponente. Fotografo quella che per me è l’effigie della Madonna di San Luca e torno fuori, nella calura del mattino.

Son ancora le 9.00, ma sembra mezzogiorno e mi viene pure un certo appetito.

Giusto il tempo di un altro rifornimento d’acqua, di un paio di chiacchiere con altri camminatori e subito mi rimetto in cammino, per il sentiero dei Bregoli, che porta al Parco Talon a Casalecchio di Reno.

Leggo sul libro di Wu Ming che per riportarlo aperto ai camminatori ci son voluti 20 anni di battaglie legali, perché il sentiero era stato inglobato in una villa privata e, per gentile concessione, la via degli dei era stata deviata lungo un altro percorso.

Se vuoi approfondire la questione, la trovi qui, dove è spiegata passo passo una storia legale che ha visto contrapporsi un combattivo comitato contro proprietari sordi e istituzioni che facevano da muro di gomma, ma alla fine ha vinto il comitato per la riapertura del sentiero dei Bregoli. Senza di loro la via degli Dei non sarebbe stata la stessa.

Le trasformazioni del territorio

Non ne sarò ancora consapevole, ma lungo tutta la via passerò da zone smembrate, soprattutto a causa dei lavori dell’alta velocità e da paesi privati dell’acqua, sempre a causa dei cantieri e di “ripristini ambientali” mai attuati, il tutto per favorire una connessione ferroviaria veloce tra due città, lungo una zona che, invece, è a vocazione lenta, come il camminare.

Leggo sul libro di Wu-Ming 2 che mi sono portato appresso:

L’aereo risolve il problema volando, a diecimila metri dal suolo e dalla sua crosta irregolare. Il treno ad alta velocità, invece, prende la logica dell’aereo e la porta sulla terra. Bologna e Firenze si avvicinano, come i due capolinea di una metro, ma quel che ci sta in mezzo si allontana, in un crepuscolo senza nome. Il tempo si mangia lo spazio e i luoghi svaniscono, svuotati come gallerie dalla corsa del treno. Invece di attraversare l’Appennino, o di scavalcarlo, il Frecciarossa lo buca come un solido qualsiasi, una massa di roccia senza significato.
Ferro e cemento diventano il simbolo di un’utopia negativa (un’atopia, come la chiama qualcuno): territorio senza pae­saggio.
Una terra da perforare senza che nulla ti resti appiccicato addosso, nemmeno un ruscello intravisto dal finestrino.
Dicono che i centri commerciali, le stazioni, i treni e gli autogrill sono tutti nonluoghi, spazi anonimi attraversati solo da clienti. Eppure, pensa Gerolamo, sono anche luoghi desiderati e vissuti, mentre i boschi, le piazze dei paesi e le montagne perdono significato, diventano strutture di servizio, riserve di aria buona e selvaggina per il fine settimana, piedistalli per mulini a vento, metri cubi di roccia da trasformare in calcestruzzo.
Il supertreno ha già fatto molte vittime, ancor prima di partire. Morti ammazzati sul lavoro, torrenti a secco, sorgenti sparite, soldi bruciati. Tutti crimini che rimandano a un crimine più vasto: il tentato assassinio di una differenza. Quella che distingue un luogo da un ammasso di terra, un fiume da una sede autostradale, una strada di tutti dall’ingresso di una villa, un uomo dalla sua forza lavoro. Una differenza che ancora resiste, ma che potrebbe essere la prossima, l’ultima vittima.

Maledette zanzare!

Il sentiero è meraviglioso, ma pieno di zanzare, segno che è zona umida, del resto non è distante dal fiume Reno.

In poco tempo raggiungo Casalecchio, dopo essermi fermato a fotografare i bunker dove la popolazione locale si rifugiava durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Quasi tutta la via degli dei passerà lungo la linea gotica, che segnava il confine tra l’Italia settentrionale ancora in mano nazi-fascista e quella meridionale, liberata dagli alleati.

Fu teatro delle ultime battaglie e della liberazione d’Italia, specie grazie alla resistenza partigiana, che divenne sempre più efficace man mano che l’offensiva alleata si faceva più coraggiosa e le truppe nazi-fasciste divenivano più repressive, per paura più che per forza.

Superato il rifugio e proseguendo lungo il percorso, incontro una coppia di veneziani, che poi saranno compagni di viaggio ad intermittenza fino alla fine, che mi mostrano alcune orme a terra.

Io non ci avrei fatto caso e qui scopro l’importanza di osservare l’ambiente circostante, in ogni lato, anche per terra, perché i segni ti aiutano non solo ad orientarti, ma anche a decifrare le cose della Natura.

Pensiamo siano orme di lupo, in realtà, dopo una breve ricerca web, scopro che sono orme di cane.

Ha piovuto molto nei giorni passati.

Ma siamo stati fortunati. Il terreno si è asciugato quasi completamente e solo in alcuni tratti ombreggiati risulterà fangoso, ma non così tanto. Se fossi partito solo un paio di giorni prima, avrei trovato fango lungo tutto il percorso e camminare sarebbe stato molto più faticoso.

Incontro la prima strada asfaltata e, così, i primi ciclisti. Sono in tanti a fare la via degli dei in bici e penso che prima o poi ci riproverò pure io, in bici. Certo, ci sono un bel po’ di salite, ma è fattibile.

E’ quasi l’ora di pranzo, non è nemmeno l’una, ma camminare ti fa anticipare i tempi e la fame si fa sentire in abbondanza.

E, per fortuna, incontro la prima (e forse l’unica, con queste caratteristiche) area di sosta.

Una sosta obbligata dal maialino osè

E’ il terreno privato di un signore, che lì ci tiene l’orto, un piccolo frutteto e un capanno con i mezzi agricoli, che ha deciso di mettere qualche panca, qualche sedia e un lavabo con acqua di pozzo, fresca, per dissetarsi e lavarsi. C’è anche un punto dove lavare le scarpe.

Uno dei tavoli è proprio sotto un ciliegio.

Le ciliegie non sono ancora mature, ma si possono mangiare.

Sul tavolo grande ci sta un maialino in posa osé, dove metto giusto qualche spiccio, per ringraziarlo dell’ospitalità. Il posto è così ameno che ci resto a lungo, un’ora e mezza, godendo del fresco dell’ombra, delle ciliegie e dell’acqua fresca.

Ha piantato i pomodori e altri ortaggi.

Do’ un’occhiata in giro e vedo che il tipo ci sa fare con l’agricoltura. Del resto il clima mediterraneo che una volta era tipico del Sud oggi è una caratteristica del centro Nord, mentre noi diventiamo pian piano deserto.

E così ci credo che pure qui in Emilia crescono bene pomodori (ma quelli crescono ovunque), zucchine, melanzane, peperoni, peperoncini… insomma, roba che vuole tanto sole (e tanta acqua).

La mitica vecchietta

Nemmeno il tempo di riprendere il percorso che intravedo da lontano un’anziana signora che si rivolge ai camminatori che mi precedono di qualche decina di metri.

Penso che si conoscano o che abbiano chiesto informazioni. Invece è la mitologica signora di cui ho letto su google maps: la vecchia ristoratrice che, chiuso il ristorante per morte del marito e disinteresse della figlia, e per evitare di pagar tasse, s’è ricreata un’attività, grazie alla via degli Dei: offre caffè, succhi, acqua ai viandanti in cambio di un’offerta.

La sua gentile offerta, giunta da una sedia in plastica proprio sotto l’uscio di casa, arriva inaspettata come una bella notizia in una triste giornata.

Un caffè, dopo un pranzo e una pennichella è quello che ci vuole per riprendere il cammino con rinnovato entusiasmo.

E così mi fermo di nuovo, seduto su una seggiola in plastica, poggiato sul tavolino cui presto ospiterà il caffè, a rimirare quel popo’ di paesaggio che offre la terrazza sul Reno.

Un paesaggio che non ti stancheresti mai di ammirare e che quasi t’invoglia a proporre alla vecchietta di riaprire il ristorante, che un cameriere l’ha già trovato.

Lì reincontro la coppia veneziana, con cui scambiamo qualche chiacchiera, ma l’anziana signora tiene le redini della conversazione e, tra un’invettiva contro gli immigrati e risentimenti contro il vicino che la lascia sempre sola, ci racconta la storia della sua vita, che è semplice e corta: lavoro al ristorante per 60 anni, marito morto, figlia che ha deciso di andar a vivere a Bologna e lei rimasta sola, in quella casa enorme, dove ha deciso di reinventarsi, non senza sottolineare i suoi continui risentimenti contro la figlia.

Purtroppo la dobbiam salutare

La salutiamo e continuiamo insieme il percorso, per un tratto. Poi proseguo da solo, passando dal passo del Monte del Frate, a 530 metri slm.

Mentre ero in treno avevo iniziato le chiamate per prenotare la prima struttura.

Avevo deciso di partire così, all’avventura, senza prenotare, ma un po’ su suggerimento di una passeggera e un po’ leggendo la guida, mi son convinto a prenotare almeno la prima notte.

Scopro che una struttura ha chiuso e un’altra è piena e così, colpito un po’ dall’ansia che cerco di dominare, continuo la ricerca, cambiando un po’ l’itinerario.

L’obiettivo era di arrivare al Monte Adone, ma sono costretto a fermarmi un po’ prima, in un B&B che si chiama, appunto, “sulla via degli dei” e che, in realtà, è un ostello, con poche camere doppie e due ampie camerate da 9 “posti sacco a pelo”, cioè con a terra un solo materassino, dove dormi col sacco a pelo.

Quando ho chiamato era rimasto libero solo un posto, proprio sotto al tetto spiovente, dove, per lasciare e prendere le cose sul materassino, dovevo piegarmi assai, col timore di far crack al ginocchio che, in questi giorni, però, si è comportato bene.

Con gran fatica riesco ad organizzarmi in questo spazio così angusto e a fare doccia e bucato.

La svolta

E’ qui che conosco quelli che saranno gli immancabili compagni di viaggio (ad intermittenza) dei successivi 4 giorni e che mi aiuteranno un sacco nella ricerca dei posti dove dormire.

Appena arrivato all’ostello vedo sul tavolino fuori una marea di bottiglie di birra (dell’Eurospin) e non vedo l’ora di berne una pure io.

Ma, come dicevo, mi attendono prima i doveri ed inizia a far buio.

Così, finita doccia e bucato, finalmente mi concedo una birra (a “sole” 3 euro), ma è già ora di cena.

Una lunga tavolata suggella la conoscenza con i compagni di viaggio e mi intrattengo a parlare in uno stentatissimo inglese con una ragazza che fa la giornalista freelance e che è qui per documentare la via degli dei e scriverci un articolo per un blog di viaggi del suo paese.

La cena è povera ma costosa. Un piatto di fusilli con le zucchine (ma sarà stagione?) e un’insalata per sole 15 euro.

Almeno il vino non manca, ma finisce presto.

Son tutti stanchi e, in men che non si dica, vanno tutti in branda. Io mi soffermo un po’ a godere del fresco della serata in veranda, con un simpatico gatto che sonnecchia sul divano accanto, e faccio giusto il primo resoconto della giornata.

Vado a dormire in sacco a pelo, ma la stanza puzza di chiuso e non riesco a prendere sonno. Forse starò dormendo da un paio d’ore, quando il gatto amicone s’aggira tra i sacchi a pelo e s’infila in quello della vicina. Quasi spero s’infili nel mio, per giocarci e coccolarlo.

18 maggio – Da Sasso Marconi a Madonna dei Fornelli

6 h A
28 km
E
18.05.2022

Download GPX Via degli Dei giorno 2

Qualche consiglio di base? Leggi l’articolo!

La mappa del percorso

Sveglia relativamente presto, tipo alle 7 e qualcosa, svegliato anche dal rumore dei camminatori che iniziano a frequentare il bagno.

Mi riscopro nuovamente mattiniero, ma, appena sceso in cucina per fare colazione, scopro che i nuovi compagni di viaggio sono già belli pronti per partire.

Eccheccazzo!

Me la prendo calma, faccio una doppia colazione e mi accomodo nel patio, in compagnia del gatto, accompagnato dalla fedele sigaretta elettronica.

Devo ancora fare la cacca e aspetto che il bagno si liberi.

Tra i ritardatari come me ci sono un paio di compagni di viaggio, conosciuti la sera prima e con cui partiamo alla volta del Monte Adone.

Una lunga passeggiata in salita ci porta sulla vetta del monte, dove svetta una non proprio bellissima croce in ferro, abbellita però dagli adesivi, le firme e i pittogrammi dei vari viaggiatori arrivati sulla vetta.

Scendiamo verso il tragitto che ci conduce alla prossima tappa.

Madonna dei fornelli

Anche questa non l’ho prenotata. Ma ci pensano due amiche conosciute ieri a prenotare un posto per me all’albergo dei romani, promettendomi una cena con storia!

Scesi alla prima tappa fontanella, lascio che gli altri proseguino per staccarmi e procedere da solo. Ma per poco. Mi fermo alla fontanella a lungo e incrocio un po’ di viandanti.

Passano anche un paio di ragazze che avevo incrociato il giorno prima, che saluto mentre mando messaggi vocali agli amici per raccontare come sta andando il viaggio.

Nel frattempo tento di trovare un bastone che sia all’altezza dell’arduo compito di sorreggere il mio peso. Mi sono sempre rifiutato di comprare i bastoncini da trekking (sbagliando!).

Proseguo, finalmente, verso il tragitto e incrocio un altro pellegrino, solo come me. Insieme ci perdiamo e insieme ritroviamo la via, fino a Vado, dove, come un’oasi nel deserto, troviamo un bar che ricorda il classico bar di paese delle mie zone: tavolini e sedie in plastica fuori e arredamento stile bar anni ‘80.

Nel frattempo ho trovato il bastone dei miei sogni: una sezione di circa 5/6 cm, alto circa 1,5 metri e solido. Mi sorreggerà per tutti i giorni a venire, fino a Firenze.

Il barista è un po’ freddo, ma poi si apre quando gli chiedo informazioni sul bosco, dove dice che ama passeggiare. Lì incrociamo anche la coppia di trevigiani, con cui condividiamo una birra e qualche chiacchiera. Manco il tempo di riprendere il cammino e arriviamo a Monzuno, un paese un po’ più grande con un bel bar che sembra un pub, dove sostiamo a lungo per rifocillarci… di nuovo.

Qui incrociamo un bel po’ di camminatori che sostano prima di riprendere il cammino. Li vediamo tutti passare, mentre, seduti fuori, al tavolino, divoriamo un panino e un paio di birre. Mezzi brilli riprendiamo il percorso, dove conosciamo una coppia di bolognesi, molto esperti della zona ed intenditori di toponomastica.

Ci indicano tutti i monti lì presenti, incluso il Corno alle scale, di cui ho letto nel blog di Wu Ming qualche tempo prima sulla scellerata politica di investire su strutture sciistiche, un po’ come accade in Trentino.

La via Flaminia militare

Insieme percorriamo la famosa via Flaminia militare e ci perdiamo nei paesaggi di una montagna “minore” ma non per questo meno affascinante di quelle più blasonate. Poi, del resto, per me è la prima volta in montagna, da adulto e con una consapevolezza diversa da quando la frequentavo nei campi scuola, da bambino.

Ad un certo punto, lungo il percorso, incrocio un villaggio molto particolare, che però non avrò il tempo di visitare, perché vado un po’ di fretta. Qui trovo altri camminatori che si son fermati per una lunga pausa. Peccato, perché solo dopo scoprirò che si tratta dell’Ecovillaggio Meraki. Il loro obiettivo è nobile: mettere assieme esperienze, interessi e sogni di chi ha a cuore la relazione tra le persone, con l’ambiente e con le comunità locali. Adottano pratiche agricole tradizionali e sostenibili, oltre a pratiche volte alla cura e al benessere psicofisico della persona. Mi riprometto di ritornarci prima o poi.

Mentre si chiacchiera amorevolmente lungo il cammino, mi rendo conto che è arrivato l’imbrunire e devo arrivare a Madonna dei Fornelli in tempo per la cena. Lungo la via da dove svettano le orribili pale eoliche – di cui leggerò meglio nel libro di Wu Ming – stacco i compagni di viaggio e accelero il passo.

All’ostello ai Romani

Arrivo ai Romani e lì incontro i compagni di viaggio lasciati la mattina a Sasso Marconi. Tra cui spiccano delle attempate ma graziose viandanti inglesi. Ci chiacchiero un po’, come da etichetta, ma il mio programma è più stoico che flirtare con le compagne di viaggio: fare il bucato, la doccia e, magari, anche la cacca, visto che la mattina non ci sono proprio riuscito (è il mio tallone d’Achille…).

Riesco a far tutto, anche grazie alla presenza di un locale lavanderia e del fatto che tutti sono lì fuori, in cortile, impegnati a chiacchierare. La camera da letto è un camerone con numerosi posti e chissà le bestemmie che avrò ricevuto durante la notte, quando le mie russate avranno disturbato i sonni di molta gente.

L’accoglienza di Elisa, la ragazza che gestisce il posto, è prorompente e perentoria, che mi ricorda un po’ i modi burberi e amorevoli dei montanari rac-cantati da Guccini.

Mi invita in modo simpatico e sbrigativo a prendere posto, dato che tutti aspettavano me prima di iniziare la cena-racconto. La sala da pranzo è gremita di gente e mi metto al tavolo con gli amici camminatori. Scambio qualche saluto con altri commensali e mi sento un po’ ubriaco.

Non ricorderò tutti i volti, a maggior ragione i nomi.

La mattina, per esempio, ho incrociato una coppia che si è presentata e mi ha detto che ci saremmo ritrovati ai Romani, ma, nella confusione, non li riconosco e forse ci saranno rimasti male perché non li ho salutati. Ma questa cosa mi capita sin da bambino quando, gradualmente, conoscevo le persone e non ne ricordavo i nomi. Figurati adesso, in cui ne ho conosciute tante in così poco tempo.

La cena è appetitosa, fatta di prodotti locali bio e cucinati con maestria da Elisa e le sue colleghe.

Ricordo una salsiccia squisita, delle crepes, delle cipolle fritte e una torta fatta con farina di castagne. Non ricordo esattamente tutto, ma ricordo che ho divorato tutto e avevo ancora fame. Camminare in montagna ti apre lo stomaco.

La cena racconto

Il racconto di Elisa è denso di suggestioni. Si vede l’emozione che prova ogni volta mentre racconta della scoperta della via degli Dei da parte di due persone tenaci e cocciute, ma oggi quasi dimenticate. Cesare Agostini e Franco Santi, originari di Castel dell’Alpi.

Leggo sul libro di Wu-Ming 2

Franco di mestiere fa lo scalpellino, spacca le rocce d’arenaria per costruirci i caminetti, e un giorno, mentre lavora in una vecchia cava, dalla fessura di un masso vede saltar fuori una moneta, con la Lupa che allatta i gemelli e la scritta Roma sull’altra faccia.
Ne parla con l’amico Cesare e così, nell’estate 1977, i due passano le ferie a cercare, scavare, rimuovere strati di foglie, battere il crinale palmo a palmo. A Castel dell’Alpi, intanto, la loro avventura archeologica fa parlare di sé: «è una perdita di tempo» dicono i più. «Forse cercano qualcos’altro» malignano i maligni, ma alla terza estate di fatica, i due portano alla luce un tratto di strada lastricata sulle pendici di Monte Bastione. La larghezza della carreggiata li fa ben sperare: mentre le mulattiere medievali sono piuttosto strette, questa raggiunge i due metri e mezzo, cioè gli otto piedi, una misura che i Romani consideravano perfetta per le strade di lunga percorrenza.
Dopo i brindisi meritati, “alla faccia di chi ci vuole male”, Franco e Cesare riescono a convocare nel bosco due storici dell’Università di Bologna, ma l’incontro non è incoraggiante. Il professor Alfieri esclude che quei dieci metri di basolato possano essere l’antica Via Flaminia minore, perché in proposito ha già dato alle stampe una sua ipotesi, basata sui toponimi di un crinale più a est, quello tra le valli dell’Idice e del Sillaro. Secondo le sue ricerche, la strada saliva da Ozzano Emilia (l’antica Claterna, fondata proprio nel 187 a.C.) e raggiungeva Arezzo attraverso il Passo della Raticosa e il Giogo di Scarperia.
I due archeologi dilettanti non si perdono d’animo. Lo studio di Alfieri, dopotutto, poggia soltanto su nomi, mentre loro hanno trovato qualcosa.
Ed è soltanto l’inizio.

Elisa la racconta con lo stesso pathos e la stessa dovizia di particolari. Racconta di due persone convinte di ciò che sostenevano e di una comunità scientifica che, quando gli andava bene, li deridevano. Ma alla lunga hanno vinto, con grandi sforzi e profonda passione.

Una passione che Santi trasmetteva, in prima persona, ad Elisa, proprio lì, al rifugio dei Romani, a Madonna dei Fornelli. Fino alla fine. Finché ha avuto vita.

Ti sembra quasi di sentirlo parlare, nella voce di Elisa, e ti pare che sia seduto lì, accanto a te, ad annuire ad ogni variazione di tono del racconto di Elisa. Già, ti pare proprio di catapultarti in quel passato, appena passato, mentre quei due combattevano da soli contro un mondo che li prendeva per folli. E hanno dato il via ad uno dei percorsi più belli d’Italia.

Se la via degli Dei è quello che è, è tutto merito loro.

Finita la storia, con le emozioni che mi vibrano ancora dentro, non riesco a prender sonno. Mi siedo in giardino, su una delle tante panche, per rilassarmi e metabolizzare quanto ho appena sentito (e letto). E quasi mi addormento, cullato dal sereno che cala dalle stelle.

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