La Via degli Dei, che congiunge Bologna a Firenze (o viceversa) attraverso l’Appennino tosco-emiliano, è una di quelle esperienze a tutto tondo, che coniugano fatica, scoperta degli ambienti e dei paesaggi, rispetto per la montagna e tanta umanità lungo il cammino. Un percorso da fare a passo lento, come lento sarà questo racconto, diviso in due parti.

Introduzione

Questa è la seconda parte del racconto della Via degli Dei secondo me. In questa parte racconterò le esperienze fatte a cavallo tra Emilia Romagna e Toscana, le volte in cui mi sono perso, le scoperte fatte, ma anche l’inquietudine di scelte non proprio felici, ma necessarie. E, infine, l’arrivo a Firenze, a notte fonda, dopo aver tribolato assai per la ricerca di un posto dove dormire.

Qui i dati complessivi

5 giorni solo A
145 km
E
17-21.05.2022
Trovi le singole tracce per ogni giorno di cammino
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19 maggio – Da Madonna dei Fornelli al passo della Futa

Continua dalla prima parte.

5 h A
20 km
E
19.05.2022

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La mappa del percorso

La mattina successiva tutti sono già andati via.

Come al solito mi sveglio e faccio tutto con calma. Scendo per salutare ed Elisa mi dice che mi hanno lasciato un biglietto che conservo ancora nel libro di Wu Ming, a mo’ di segnalibro.

Credevano che non ci saremmo più visti, anche per via del mio essere così poltrone, ma non avevano fatto i conti con il mio passo spedito su quegli ameni sentieri.

via degli Dei

Mi metto in cammino verso il Passo della Futa e incontro finalmente il cartello che indica che lì, in quel punto, è iniziata la storia della via degli Dei.

via degli Dei, dove tutto è iniziato

Lì c’era la cava di pietra da cui è sbucata fuori la moneta romana. Lì è iniziata la via degli Dei.

E’ un’emozione stare lì in quel luogo il giorno appresso aver sentito la storia raccontata da Elisa, di come Santi e Agostini si fossero intestarditi, avessero scavato a lungo, nonostante la Soprintendenza li avesse presi per pazzi visionari, ma alla fine hanno avuto ragione loro.

Hanno contribuito, in modo determinante, a far sì che quel tratto di montagna non fosse preso d’assalto dalla logica speculativa del capitale, che quei camminatori che oggi popolano quella montagna fossero una sorta di scudo di fatto, di presidio civile contro gli sfruttamenti o, peggio, l’abbandono.

Quel ritrovamento ha significato tanto per chi, quella montagna, non l’ha voluta abbandonare e, grazie ai cammini, ha ritrovato una speranza, un modo per poter campare, per avere un futuro.

Come d’incanto, arrivo ad una fontanella e ritrovo tutti gli amici del cammino.

Si chiacchiera per un po’ e si ride e si scherza di aneddoti divertenti lungo il cammino.

Gli altri proseguono e io, come al solito, mi fermo.

Li vedo passare tutti: una coppia di Perugia, un tipo brianzolo che mi racconta dei suoi problemi al ginocchio e un altro, sempre lombardo, che mi parla di un menisco dolorante, ma che non gli impedisce di camminare.

La cosa mi rincuora.

Nemmeno un mese prima ho finito la riabilitazione e le ginocchia mi danno fastidi ad intermittenza. C’è quando riesco a fare 30 km senza problemi a quando, dopo 15 km, il menisco inizia a dolorare, tanto che non riesco a fare una stupidissima discesa.

Del resto, ora che scrivo, ho ancora un po’ di dolori al ginocchio che vanno e vengono, ma non ho smesso né di camminare né di andare in bici.

Anzi, camminando tanto ho scoperto una cosa che mai avrei pensato fosse rilevante: posso camminare anche per giorni consecutivi su sentieri e tratturi su terra battuta o sassosa, senza ripercussioni. Fammi fare anche solo 5 km su asfalto, e le ginocchia iniziano a cedere, come anche i tendini del periostio, che si infiammano. Ne ho dedotto che camminare sulla terra è naturale e che il nostro corpo la riconosce come tale, ma che le infiammazioni sono il segno che il corpo non riconosce l’asfalto e si rifiuta di camminarci a lungo. Almeno ciò vale per me. Quindi non ne traggo una regola generale.

Ma restiamo sulla via degli dei

Riprendo il cammino e incrocio un altro cartello che racconta che lì ci sono i resti di una delle cave da cui i romani hanno prelevato la pietra arenaria per costruire nel 187 a.c. la strada transappenninica Bologna-Fiesole (Flaminia militare). Foto di rito e si prosegue.

via degli Dei, la cava per l'estrazione della pietra per costruire la via Flaminia militare

Qui la via Flaminia è particolarmente visibile.

via degli Dei, la via Flaminia militare

Mi fermo poco dopo ad immortalare un momento topico della via degli Dei: sono esattamente al confine tra Emilia Romagna e Toscana.

via degli Dei, il confine geografico tra Emilia Romagna e Toscana

Un velo di tristezza sembra accompagnare questo momento: mi sento di essere più vicino alla meta e un po’ mi dispiace.

Lungo la via flaminia e le pietre che, vividamente, ne dimostrano l’esistenza, faccio questi pensieri, in un bosco che rallenta il caldo afoso di questi giorni. Un caldo atipico, eccessivo per un maggio, in montagna, che di solito è fresco. Tant’è che il giubbotto che ho portato è un peso inutile e quasi me ne vorrei disfare, se non fosse che l’ho preso due mesi prima e, soprattutto, mi piace.

Il caldo, per fortuna, purtuttavia, ha fatto evaporare l’acqua delle piogge della settimana prima, ma nelle zone più ombreggiate ci sono ancora molte pozzanghere e un po’ di fango, che si evitano a malapena… pena il portarsi appresso altro peso inutile, cioè il fango sotto le suole.

Ma le evito tutte e le scarpe sono ancora tutto sommato immacolate.

I paesaggi cominciano a diventare più dolci, la montagna cede il passo alla collina e ai laghi che l’abbelliscono e infatti noterò, lungo il percorso, che la Toscana è ricca di fonti d’acqua e quasi l’invidierò pensando alle taniche d’acqua che sono costretto a portare in campagna per annaffiare l’orto.

via degli Dei, vista

Con questi pensieri in testa incrocio un cartello con su scritto “fonte dell’amore” e, accanto, un iconico “illuso”, scritto a pennarello da qualche simpatico viandante.

Nemmeno il tempo di un sorriso e m’imbatto in un altro cartello che mi informa che sono giunto alle Banditacce, il punto più alto della via degli dei, con i suoi 1204 metri, invitando i viandanti a suonare la campana. E lo faccio, ovvio.

Il bosco mi conduce, quasi per mano, dolcemente, verso un’enorme radura, da dove, in lontananza, si vede un cimitero.

Il cimitero germanico della Futa

E’ il famoso cimitero germanico militare della Futa, che si trova nel comune di Firenzuola sulla dorsale appenninica tosco-romagnola, importante via di comunicazione e teatro, durante l’ultimo conflitto mondiale, di feroci scontri. Il cimitero sorge a quota 950 mt slm sulla cima di un rilievo montuoso che si trova nelle immediate vicinanze del passo della Futa. La strada che costeggia il cimitero segue l’andamento delle vallate e dei crinali adagiandosi sulla dorsale appenninica. Il posto mi genera una certa suggestione e appunto sul diario: approfondire meglio la storia del cimitero.

Approfondirò e scoprirò che nel 1955 viene stipulato un accordo fra l’Italia e la Repubblica Federale di Germania, per la sistemazione definitiva delle salme dei soldati tedeschi caduti in guerra in territorio italiano. Secondo tale intesa lo Stato italiano avrebbe dovuto fornire gratuitamente ed in uso perpetuo le aree da destinare a cimiteri di guerra.

Realizzato a partire dal 1961 su progetto dell’architetto tedesco Dieter Oesterlen, viene inaugurato ufficialmente il 28 giugno 1969, e accoglie 30.683 salme, provenienti da 2.069 comuni italiani. Il primo custode del cimitero, Gustav Lorenz, ha provveduto a recuperare i caduti seppelliti in vari sepolcreti temporanei, trasferendoli al nuovo cimitero.

Il paesaggio all’interno è quasi spettrale, con tutti quei nomi incisi fitti fitti nelle lastre in marmo.

All’esterno lo è allo stesso modo, con tutte quelle lapidi che riportano il nome, la data di nascita e quella di morte di giovani, a volte giovanissimi soldati mandati a morire per un’idea balorda, per il potere e per gli imperscrutabili voleri di una storia altrui, come direbbe Carlo Levi, che manda poveracci a combattere con altri poveracci, per favorire il dominio dei pochi a scapito dei molti.

Una storia altrui, è l’espressione che mormoro mentre cammino tra quei luoghi.

Poco prima ho ritrovato di nuovo i compagni di cammino, stesi sul grande prato antistante il cimitero, in attesa di arrivare al campeggio, lo stesso che ho prenotato pure io, sempre su loro invito.

Terminata la visita al cimitero, mi appropinquo pure io ad arrivare al campeggio del Sergente, al Monte di Fo’.

Entrato nel bosco mi soffermo a guardare delle lapidi lasciate dinanzi ai tronchi degli alberi: si tratta dei principi fondamentali della carta costituzionale scolpiti nella pietra, che mi accompagnano per un pezzo di sentiero.

Ad un certo punto sento come una presenza intorno a me: sono i cinghiali. Li sento e qualcuno lo vedo, non esattamente in lontananza. Qualcuno mi aveva detto che i cinghiali non sono pericolosi, ma se imbrocchi la mamma cinghiala con i cuccioli, è capace che, per difenderli, ti attacca. Un po’ come capita con gli orsi.

Questa volta la tappa è stata più breve ed è ancora pomeriggio.

Esco dal sentiero e prendo la direzione verso un altro sentiero, ma sbaglio via e sono costretto, dopo aver fatto un paio di volte il giro sbagliato ed essere ritornato al punto di partenza, a seguire la statale della futa.

Il giorno appresso scoprirò che c’è un bel sentiero che la costeggia, ma un po’ la stanchezza e un po’ il mio scarso senso dell’orientamento (e della lettura delle mappe… e del rifiuto di seguire le app) me lo fanno perdere.

Ad ogni modo il percorso è breve e, appena giunto nel campeggio, becco gli amici in costume da bagno che prendono il sole a bordo piscina. Non farò in tempo a farlo pure io, perché ho un monte di cose da fare, le solite: bucato, doccia e sistemazione del letto.

Qui scopro un piccolo psicodramma: c’è un compagno di viaggio che ama camminare da solo, come me e che aveva preso un’intera stanza per sé. Ma alla fine s’è ritrovato con 6 compagni di stanza. Tra cui due gran russatori (incluso me). Non l’ha presa benissimissimo.

Ad ogni modo quando rientro in stanza, dopo una buona cena in cui c’era anche lui, è già addormentato, perché il dopocena s’è rivelato alcolico, tra birre, grappe e nonricordopiùcosa. Alla fine, mezzo brillo, mi son ficcato nel sacco a pelo e ho iniziato a russare, talmente forte che, la mattina appresso, una compagna di camerata mi ha chiesto se fossi single.

, le ho risposto.

Immaginavo, ha ribattuto.

Avevo capito l’antifona.

20 maggio – Verso Tagliaferro

7 h 15 m A
35,6 km
E
20.05.2022

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La mappa del percorso

Al solito mi sveglio con calma e infatti sono quasi tutti già partiti.

Mi ritrovo con un altro camminatore, a quanto pare ritardatario come me.

Decidiamo di prendercela calma e di prendere un altro caffè con cornetto. Intanto chiacchiero con il burbero ma simpatico proprietario del campeggio, un toscanaccio tutto ilarità e battute pungenti. Ci spiega, leggendoci una vecchia mappa appesa di fronte al bar, che possiamo fare o la via principale o una deviazione, passando per il lago di Bilancino.

A saperlo che si trattava di un lago artificiale, non avrei preso l’insana decisione di passarci. Perché oggi si rivelerà una giornata campale, una di quelle che, quando la vivi, bestemmi i morti di chi t’ha messo in testa l’idea di camminare, ma poi, quando la racconti, ci ridi sopra, come fosse una leggenda mista a storia che tempra l’anima e la pelle.

Inizia il dramma della via degli Dei (furiosi)

Insomma, iniziamo il sentiero, tornando indietro, però questa volta per il percorso giusto, cioè tra gli alberi e non, come il giorno prima, sulla statale quando, ad un certo punto, mi rendo conto di aver lasciato il bastone al campeggio. Il mio compagno di viaggio sembra disposto ad aspettarmi lì, ma lo esorto a proseguire, un po’ perché voglio restare solo, un po’ perché mi scoccia farlo aspettare lì, dato che mi aspettano almeno 20 minuti tra andata e ritorno.

Torno indietro, prendo il bastone e rifaccio la via verso il passo della Futa. Qui imbrocco quasi subito il sentiero giusto, visto che l’avevo iniziato il giorno prima, quando ho ripetutamente sbagliato strada.

Con questo timore, proseguo mesto e silente, finché non trovo il segnale che mi indica il percorso verso il mio prossimo obiettivo: il passo dell’osteria bruciata, dove la leggenda narra che lì vi fosse un’osteria il cui oste era avvezzo servire ai viandanti la carne di… viandanti che li precedevano, e così via, finché qualcuno non s’è sfavato e ha bruciato tutto.

Lungo il sentiero ritrovo altri camminatori, tra cui l’amica che, la sera prima, ha avuto difficoltà a prendere sonno per le mie russate. Mi offre una barretta di quelle energetiche, che non mi piacciono, ma che accetto per non essere scortese. E proseguiamo per un bel pezzo. Arriviamo ad un sasso e qui decido di fermarmi per riposare, mentre lei prosegue.

Mi ritrovo di nuovo a camminare da solo e noto che, lungo il percorso, i segnali si fanno più confusi e diradati. Sarà stata la distrazione o forse l’attenzione che mettevo più sugli alberi e sul tentativo di riconoscerne le varietà rispetto ai segnali che, ad un certo punto, ho pensato bene di aprire l’app suggeritami un paio di giorni prima, dedicata esclusivamente alla via degli dei, che ti geolocalizza rispetto al percorso, per scoprire che sono parecchio fuori tracciato. Mi trovo praticamente a metà strada tra il tracciato principale ed un altro parallelo che, ad un certo punto, verso Galliano, si ricongiunge al tracciato principale.

E qui faccio una scoperta

Indeciso come sempre, faccio per tornare indietro, poi riprendo il percorso alternativo, poi torno indietro solo per capire dove cazzo mi sono perso, poi però penso che, facendo così, perdo solo tempo, e così decido di fare il percorso alternativo, anche seguendo il “consiglio” di Wu Ming, per cui il bello di questi cammini è anche quello di perdersi e trovare sentieri diversi. Facendo ciò mi fermo ad un trivio e penso: “e mo’ ìndò vado?”

Mi cade l’occhio su un brutto tubo in gomma da cui sgorga però dell’acqua apparentemente fresca. E’ quasi mezzogiorno, ho un panino nella borsa, ancora un paio di mele e un po’ di famina. Massì dai, fermiamoci davanti alla fonte e facciamo merenda.

E’ stata l’esperienza più gratificante dell’intero cammino

Non smetto di bere quell’acqua così fresca, buona, un’acqua meravigliosa che, in vita mia, non avevo mai bevuto.

Mentre mi riposo metto più bado al posto: è davvero bello, tutto quel verde, la staccionata che ti conduce in su, il suono dell’acqua che casca nel ruscelletto e si rifrange sulle pietre levigate, il canto degli uccelli, quel silenzio del bosco che ti sussurra solo parole naturali, il fresco degli alberi che attenua quel caldo torrido, insomma, è un piccolo angolo di paradiso.

Nessuno passa da lì.

Del resto quello non è il tracciato principale e sembra quasi che nessuno, in quelle due ore trascorse lì, conosca l’esistenza di quel posto. Eppure è antropizzato. La staccionata è curata, quel tubo, lì, qualcuno ce l’ha messo. La strada bianca, che va in giù, sembra quasi che mostri i segni dei copertoni delle auto. Insomma, qualcuno ci passerà, eppure in quelle ore sembra quasi che quel posto sia mio, del tutto mio, in estremo equilibrio tra spirito e Natura.

Mi tocca andare

A malincuore è arrivata l’ora di andare via. Dipendesse da me, mi ci accamperei lì, ma non ho la tenda e comunque gli amici mi aspettano a Tagliaferro.

Avrei voluto fermarmi a San Piero a Sieve, ma un’amica ha tanto insistito per fare tappa tutti insieme e non ho saputo dire di no, anche se Tagliaferro mi avrebbe allungato la tappa di 5 km, cioè un’ora e passa di cammino. Ma tant’è.

Insomma, prendo la strada bianca che va in giù e spero che sia quella giusta. Lo è. Lambisco quasi il comune di Panna e, incuriosito dalla strana coincidenza, mi si accende una lampadina: non è che, niente niente, quell’acqua così squisita ha a che fare con l’acqua Panna?

Cerco sul web, che mi dà conferma: l’acqua Panna prende il nome dal paese e quel paese è a due passi da quella meravigliosa fonte. Insomma, ho bevuto litri e litri di acqua Panna, aggratiss.

Passo da La Castellana e lì, a scendere, incrocio una chiesetta, l’oratorio di Santa Maria a Ponte all’Olmo. Fa caldo e sto facendo solo asfalto. Non ci sono gli amici alberi a proteggermi da un solleone agostano, in maggio però.

Mi fermo ai piedi della chiesetta e nel frattempo mi arrivano messaggi su whatsapp per sapere dove diavolo son finito.

Dinanzi ad una chiesa, rispondo.

E dove?

Boh?

La pausa dura poco, giusto il tempo d’una svapata. Mi rimetto in cammino. I paesini sonnecchiano, del resto saranno le due del pomeriggio e fa caldo. Nel silenzio delle strade, lungo quelle quattro case che costeggiano la strada, sento il rumore dell’acqua e il profumo di fiori.

Quanta acqua c’ha la Toscana! Penso mentre continuo ad invidiarli, pensando alla mia Puglia, a rischio desertificazione, dove persino l’acqua dei pozzi artesiani si sta salinizzando.

Al bosco ai frati

via degli Dei, segnaletica a Galliano

Giungo a Galliano e lì, come da guida, rientro nel tracciato. Oddio, non in quello “originale”, ma nell’ufficiale deviazione per quelli che vogliono andare a visitare il convento del bosco ai frati.

Mi fermo in un bar, per un caffè e, giunto in piazza, dove riempio la borraccia alla fontana con un’acqua fetida e calda (del resto mi sono viziato poc’anzi), incontro due amici camminatori, diretti anch’essi al bosco ai frati.

Mi tranquillizzo per due ragioni: uno, c’è gente ancora in giro a quell’ora; due, sto nella direzione giusta! Insieme arriviamo al bosco ai frati, ma il convento sta chiuso, lo ammiriamo solo da fuori.

via degli Dei, convento del bosco ai frati

Qui, dopo una breve pausa, discutiamo insieme del percorso migliore da fare per arrivare a Tagliaferro. Loro sono diretti altrove e così prendiamo due direzioni opposte. Ma il loro consiglio non è sbagliato. Difatti ho due alternative: o tagliare per i monti, passando dal castello del Trebbio, ma allungo di un botto, oppure fare la superstrada e tagliare di parecchio, approfittandone per vedere il lago di Bilancino.

La faccio.

Non l’avessi mai fatto.

E’ stata l’esperienza più terrificante di tutto il percorso. Per capirci. Fare 10 km di bosco è come passeggiare sulle nuvole. Il tempo non lo senti, senti solo il silenzio e i suoni delicati della natura. Fare 500 metri di superstrada, a piedi, sull’asfalto, con le auto che ti sfrecciano davanti, lo smog, la gente che ti guarda, il caldo, il sudore che ti cola e l’asciugamano fradicio, è come se stessi facendo 500 km all’inferno.

Lì mi è toccato farne circa 3,5, fino alla strada bianca che si ricongiunge al percorso “originario” per Tagliaferro. E il lago di Bilancino l’ho visto solo di sguincio.

Ogni passo corrisponde ad una bestemmia. Non vedo l’ora di lasciare l’asfalto e riprendere un percorso più “umano”.

Le auto che sfrecciano, la paura di oltrepassare una rotonda, la gente che ti guarda stupita mentre cammini al centro della rotonda. E poi la statale che, ad un certo punto, diventa – chessò – una provinciale, una comunale, fatto sta che si restringe e le auto te le ritrovi addosso.

A nulla vale camminare sul lato sinistro, dove guardi le auto sopraggiungere e speri che ti evitino o che tu hai modo di farlo. Nisba. Ti evitano all’ultimo istante e tu, sul lato sinistro, hai solo mura o un vecchio e tagliente guardrail, e così speri solo che non ti mettano sotto o che non diventi un’inconsapevole causa di un sinistro stradale.

Sono ormai le 19:00 quando imbocco finalmente la strada bianca verso Tagliaferro. Mi attende una bella salita, ma i paesaggi sono mozzafiato. Mi fermo spesso a fotografare i luoghi, anche se con la fretta di arrivare presto al b&b.

Incrocio, lungo la via, delle opere d’arte in ferro battuto e pure un anziano con cui mi fermo a chiacchierare e che mi dice che Tagliaferro è dietro l’angolo.

via degli Dei, sculture in ferro battuto sulla via per Tagliaferro

Già, arrivo dopo più di un’ora. Ormai sono le 20.30. Sono tutti seduti a tavola e Jacopo, il simpatico “host” mi dice di sbrigarmi, che aspettano solo me (al solito). Faccio una doccia al volo in una scomoda vasca da bagno e mi accorgo solo dopo che, accanto, c’era un comodo box doccia. Lascio la roba nella stanza in cui avrei dormito e finalmente vado a cenare.

Tutta la tavolata è pronta a sentire la mia storia e il racconto della deviazione, dell’acqua Panna, della statale. Faccio un po’ da intrattenitore, mentre i commensali si stupiscono di quanto pepe butto nell’ottima pappa al pomodoro preparata da Jacopo e sua moglie, che ci dilettano, durante la serata, raccontandoci la storia del palazzo, della famiglia di Jacopo, ex possidente terriera in zona, di come hanno rimesso a nuovo la struttura, anche con materiali di riuso e della storia del borgo, che è un’amena località ed in cui sicuramente ci tornerò.

La cena prosegue con l’arista e l’insalata, annaffiata dal buon vino. Mentre tutti vanno a nanna, mi fermo finalmente a riposare in un gradevole salotto, leggendo, dopo aver messo i panni a stendere dinanzi alla finestra.

via degli Dei, il b&b di Tagliaferro

Il libro mi concilia il sonno e, mentre mi stendo, sento già le russate del mio compagno di stanza.

21 maggio – Meh, ci tocca arrivare a Firenze

8 h A
32 km
E
21.05.2022

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La mappa del percorso

Mi sveglio relativamente tardi, dopo un sonno rigeneratore e, con la coda dell’occhio, ancora mezzo addormentato, vedo il mio compagno di stanza che fa i bagagli, pronto a partire.

Mi alzo poco dopo e, mentre vado in bagno, ritrovo tutta la combriccola che già sta facendo colazione. Li saluto, vado in bagno e, dopo essere uscito, son già tutti andati via.

Vado a fare colazione, con calma e, prima di fare lo zaino, cerco un momento di relax che mi concili la cacca, osservando, fuori dalla finestra, il meraviglioso paesaggio.

Senza l’ansia di partire presto, arriva. Con l’ansia, si blocca tutto. Ecco perché cerco di assecondare i ritmi del mio corpo e di fare tutto con gran rilassatezza. Pazienza che arriverò anche oggi tardi alla meta. Ma non avrei ancora saputo che ci sarei arrivato molto più tardi del previsto.

Qual è la meta di oggi? Firenze, ovvio. Eggià, è finito il cammino. Ma, come si dice dalle mie parti, la cuta è cchiù forte a scurciare. Quando arrivi alla fine, incontri sempre delle difficoltà.

La difficoltà di oggi qual è? Che non c’è un posto per dormire a Firenze, manco a pagarlo oro. Già, ci sta la partita tra la Fiorentina e la Juve e tutte le strutture sono piene.

Le faccende domestiche

Come l’ho scoperto? Andiamo con ordine.

Uscito dal bagno, sento la voce di Jacopo provenire dalla cucina, inalberata e bestemmiante. Mi avvicino e gli chiedo cosa sia successo. Lui mi indica i tavoli pieni di piatti e bicchieri sporchi, di immondizia e disordine e mi chiede se questo è modo di lasciare una cucina dopo averla usata.

Sottolinea che, in tanti anni di attività, non ha mai visto nulla di così sudicio e che dai camminatori si aspetterebbe un comportamento più maturo e rispettoso verso chi li ospita.

Non me la sento né di dargli ragione né di dare ragione a chi ha lasciato i tavoli così. Per mia educazione e ideologia, ho sempre cercato di lasciare un’impronta quanto più labile possibile del mio passaggio: produrre meno rifiuti possibile, usare roba riutilizzabile, lavare quello che ho sporcato, rimettere a posto quello che ho usato.

A volte, anzi, spesso, l’ho anche fatto per gli altri, perché una tavola sudicia mi dà il voltastomaco e mi incita ad agire per sistemare tutto. I problemi non vanno evidenziati, ma risolti.

Seguendo questo spirito, mi sono subito offerto di aiutarlo nel sistemare la cucina. Grazie a ciò, dopo un po’ di tempo si è calmato e, iniziando a chiacchierare amorevolmente, mi ha chiesto informazioni sull’ultima tappa.

La ricerca disperata

Gli dico che avrei cercato un alloggio lungo il percorso, ma lui, gentilmente, si offre di indicarmi qualche struttura che conosce e, per giunta, di chiamare lui stesso. Man mano che si avvicendavano le telefonate, realizziamo che Firenze è piena.

Erano pieni gli ostelli, gli alberghi, persino i campeggi più remoti. Persino in provincia era tutto pieno. Booking confermava tutto ciò e restituiva, nelle strutture libere, dei prezzi sopra ogni portata. 200 euro per un ostello o 500 euro per una camera privata. Roba folle.

Su suo suggerimento, ho anche tentato la strada dei santuari, ossia chiamare qualche santuario o monastero a Firenze o in zona per chiedere ospitalità.

Uno soltanto si è offerto di offrirmi uno spazio nel loggione del santuario, con la disponibilità del bagno pubblico, sul Monte Senario. Per la disperazione ho accettato e il monaco all’altro capo della linea, sembrava stranito per la mia richiesta. Ci siamo lasciati promettendoci di risentirci nel pomeriggio o per conferma o per disdire la… prenotazione.

Nella disperazione non avevo calcolato che il santuario fosse il Santuario Madonna delle Grazie al Sasso che si trova molto distante dal tracciato, da Fiesole e, chiaramente, da Firenze e questo avrebbe comportato un giorno in più di cammino.

Tuttavia avevo tempo. A Vetta le croci avrei dovuto scegliere: o proseguire o deviare per il santuario. Magari, nel frattempo, avrei trovato qualcosa.

Alle 10 passate lascio la struttura, saluto Jacopo e la sua compagna e mi dirigo verso il percorso. Ma, al solito, mi ricordo di aver lasciato qualcosa nel b&b. Era la maglietta, a cui tenevo tanto.

Torno, così, indietro, ma Jacopo non risponde né al telefono né al citofono. Aspetto e un po’ mi dispero per tutto il tempo perso. Finalmente mi apre e, presa la maglietta, mi offre un altro caffè, che bevo velocemente sull’uscio della struttura. Li ringrazio nuovamente e, nemmeno il tempo di voltare l’angolo, incrocio un tizio che abita lì e ci mettiamo a chiacchierare. Mentre parliamo vedo arrivare i due amici trevigiani e facciamo insieme un pezzo di percorso.

Si riparte, verso Monte Senario

Mentre cammino mi cade l’occhio su un cartello affisso su un albero. E’ un annuncio di una certa Sonia, che offre ospitalità a casa sua, offrendo fino a 6 posti, comfort e pure la meditazione!

La chiamo subitissimo, certo che avrei trovato finalmente accoglienza, lungo il percorso. Pazienza che non è Firenze, ma una cosa è arrivarci vicino, un’altra è fare 3 ore di deviazione e dormire in un loggione di un santuario!

La mia solita fortuna vuole che la casa di Sonia sia tutta occupata. La prego di trovarmi uno spazio, anche piccolo. Del resto, le dico, ho bisogno di poco: uno spazio dove mettere il sacco a pelo e un bagno. Nulla di più. Lei è in difficoltà, vorrebbe aiutarmi, ma è piena. Ci salutiamo promettendoci di risentirci più tardi e vedere come risolvere la faccenda.

Arrivo, dopo una bella salitella, alla Badia del Buonsollazzo, che però non vedo perché sono ancora alle prese con le telefonate e le ricerche web per cercare l’alloggio.

Ad un certo punto, mentre sono seduto a terra, appoggiato su una colonna che segna la via per la badia del Buonsollazzo, mi si accende una lampadina: ho un amico che abita a Firenze e potrebbe ospitarmi. Perché non ci ho pensato prima?

Lo chiamo e si rende disponibile ad ospitarmi. A cuor più leggero, riprendo il cammino e arrivo, tranquillo e beato, al convento di Montesenario.

via degli Dei, Monte Senario

La sosta è lunga (bagno, caffè), ma il posto è troppo trafficato per i miei gusti. Come ogni luogo simbolico che si raggiunge comodamente in auto, è preso d’assalto dalle famigliole e dal turismo di massa. Dopo il silenzio rigenerante di questi giorni, proprio non mi va il vociare chiassoso della gente.

E così riprendo il cammino, sotto un sole caldo.

La passeggiata verso Fiesole è resa gradevole da un paio di tavolini dove qualcuno del posto mette vivande a disposizione dei camminatori in cambio di un’offerta libera. Un bel pensiero, non c’è che dire. Ci fermiamo a vedere cos’è rimasto (poco, a dire il vero. Chi prima arriva, meglio mangia) e scambiamo due chiacchiere con i camminatori che si son fermati lì.

Tra scorci incantevoli e tratti nei boschi, arriviamo a Vetta le Croci, a 518 mt slm, segno che si sta scendendo.

Ma, inaspettatamente, si sale ancora, su un terreno piuttosto sassoso, verso Poggio Pratone.

Qui, lungo prati fioriti, ci sta la lapide del poeta e drammaturgo Bruno Cicognani, dove ogni camminatore pone una pietra, alcune con dedica.

Firenze inizia ad intravedersi da lontano e, tra una parola e qualche silenzio, arriviamo a Fiesole, praticamente quasi tutto su strada asfaltata.

Giunti in paese incrociamo subito una casa del popolo. Mi si apre il cuore quando leggo quell’insegna e mi ci fiondo subito dentro. Il locale ha una terrazza magnifica che dà sui monti di Firenze e il paesaggio concilia il riposo, accompagnato da un paio di birre.

via degli Dei, la casa del popolo di Fiesole

Il tempo passa, manca ancora un bel po’ per Firenze e gli altri decidono di proseguire. Ma devo visitare Fiesole, che non ho mai visto, anche se inizia a calare il crepuscolo.

Faccio un giro per il paese, davvero affascinante, ma con un leggero velo di tristezza che non so se dipenda dal fatto che sono rimasto da solo o che ormai s’è fatto buio e arriverò a Firenze a notte tarda.

Tutti i compagni di viaggio che ho conosciuto in questi giorni sono arrivati da un botto di tempo a Firenze. Già alle 18.00 s’erano immortalati in una foto che li ritraeva in un bar vicino a Piazza della Signoria, a festeggiare il “traguardo”. Qua, invece, sono le 21.00 e sto ancora a Fiesole.

Mancano solo 6 km, ma saranno i più pesanti della giornata. Quasi come quelli fatti sulla statale alla Futa.

Già, perché è notte, è calato il buio ed è sabato. Le macchine sfrecciano lungo la via, la gente, vestita bene, inizia a frequentare i locali ed io, tutto sudato, cammino lungo una provinciale che non so se è il percorso giusto.

Certo, lo è. In lontananza vedo la cupola di Santa Maria del fiore, sento distintamente le urla e il vociare dello stadio, con la voce dello speaker che rimbomba nel quieto cielo privo di nuvole.

Eppure la sento così lontana e sento che sto sbagliando strada.

Faccio più e più volte quella provinciale, avanti e indietro, alla ricerca del sentiero che, stando alla mappa, dovrebbe essere lì.

Sbaglio più volte e mi inerpico in un sentiero ricco di rovi, che porta ad una via senza uscita. Comincio a bestemmiare finché non trovo, finalmente, il sentiero giusto, una strada bianca che, dall’uscita di Fiesole, arriva all’ingresso di Coverciano.

Mi rassereno lungo quel sentiero pacifico e silente.

Ma appena giunto in città, torna quella brutta sensazione. Arrivo a lambire lo stadio Artemio Franchi.

La partita è appena finita e la città si popola di tifosi, auto, moto e mezzi pubblici affogano di smog la via e mi decido a fermarmi in una paninoteca a mangiare qualcosa. Le prime avvisaglie di tendinite mi fanno capire che dovrei fermarmi, ma devo proseguire. Ancora non so cosa significhi la sindrome da stress tibiale mediale, ma lo scoprirò l’indomani.

L’amico che mi ospiterà mi chiama dicendo che è fuori Firenze e che tornerà dopo mezzanotte. Ci accordiamo per trovarci in piazza della Signoria e faccio tutto con calma, dicendogli di fare altrettanto. Non ho fretta. Non manca tanto alla mezzanotte, ma mancano ancora un paio di km per il centro.

Riprendo lentamente il cammino ed ogni passo è un dolore.

Arrivo strascicando quasi in centro e vedo dei ragazzini che mi guardano con l’aria tra lo schifato e il beffeggiante. La città è piena zeppa di gente: turiste inglesi o americane sgallettate ridono sguaiatamente e danno l’impressione di essere ubriache ciuche; fiumi di gente popolano santa Croce mentre mi dirigo verso la Signoria. Ci arrivo all’una meno dieci e mi siedo, stremato, sotto le statue del loggione a fotografare, per l’ennesima volta in vita mia, il palazzo de’ Medici.

Poco dopo arriva il mio amico, scusandosi per il ritardo, e ci dirigiamo verso un locale dove prendiamo una birra. Sono io a scusarmi con lui per quell’irruzione, ma almeno è un buon modo per rivedere un vecchio amico che non vedo mai. Sto quasi per addormentarmi sul gradino di una casa, accanto al locale. La birra ha fatto effetto e la stanchezza si fa prepotente. Ci dirigiamo verso casa sua dove, su un materasso di fortuna, in una stanza vuota, srotolo il sacco a pelo e non faccio in tempo ad infilarmici dentro che già arriva il sonno.

Post racconto

La mia via degli Dei finisce qui.

Anzi, no.

La mattina appresso mi reco a palazzo Vecchio, dove devo ultimare gli aspetti burocratici del cammino. Apporre l’ultimo timbro sulla credenziale.

Ora sì che la via degli Dei finisce.

via degli Dei, la credenziale

Impressioni finali

Un cammino, lungo o breve che sia, non è mai bello. Nemmeno brutto. E’ un’esperienza e, come tale, ha risvolti positivi e negativi. Mentre cammini ti può capitare di tutto. Tra cui sbagliare strada o farti male. Può succedere, va messo in conto.

Questo percorso mi ha fatto mettere in gioco con i miei limiti fisici, sociali e caratteriali. Mi sono riscoperto socievole ma solitario allo stesso tempo. Capace di fare lunghi km, ma fragile. Le gambe hanno retto, ma poi hanno ceduto per un’infiammazione dei muscoli della tibia. A distanza di tempo sono guarito, ma ogni tanto qualcosa cede. Oggi il ginocchio, domani la caviglia, dopodomani il menisco. E’ l’età e bisogna farci i conti.

La via degli Dei mi ha restituito sentimenti contrastanti. E’ un percorso ormai celebre, preso d’assalto da migliaia di camminatori e ciclisti e, se non governato con saggezza, rischia di diventare un prodotto commerciale, un po’ come accade per certe montagne in Trentino (non tutte, per fortuna).

Ad ogni modo va fatto. Con l’umiltà ed il rispetto che la montagna – ogni tipo di montagna – merita. E con l’idea che camminare significa scoprire lentamente i luoghi. E ciò favorisce il rispetto e la memoria.

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