Immobili vuoti. Ci vuole la requisizione!

Quanti immobili vuoti vediamo ogni giorno nelle nostre città? Da quanti anni nei centri universitari si parla di case sfitte? Non si trova una casa in affitto nelle località turistiche. La legge tutela la proprietà, ma è davvero un diritto assoluto? Ci sono limiti alla proprietà, anche in caso di problemi sociali?

Ogni anno che passa, nel mio paesello, aumenta sempre più il numero di immobili vuoti o con l’immancabile cartello VENDESI. Negli ultimi anni, poi, ho notato una maggiore propensione, da parte dei proprietari di casa a vendere anziché concedere l’immobile in locazione, insomma, ad affittarlo. E così oggi trovo un centro storico quasi disabitato, case invendute e gente che cerca disperatamente una casa da affittare ma non la trova. Questo problema, stando alle fonti, è comune in tutta Italia, con punte nelle città universitarie, nei luoghi turistici e nelle metropoli.

Il problema degli immobili sfitti o abbandonati è dovuto a diverse cause. Di seguito ne ho elencata qualcuna.

  • Eredità. La casa un tempo costruita dai genitori passa in eredità ai figli e questi, quando sono due o più, spesso non riescono a trovare un accordo su che farsene. C’è chi vuole vendere, chi vuole affittare, chi non vorrebbe alienare l’immobile perché ci è affezionato, chi vorrebbe acquistarlo ma non ha risorse, e via discorrendo. Nelle diatribe familiari a farne le spese è l’immobile, che nel frattempo resta chiuso e si deteriora (con pericolo anche per gli immobili adiacenti).
  • Abbandono di fatto. La casa è stata abbandonata perché magari chi l’abitava è emigrato, senza fare più ritorno e non ha eredi a cui destinare l’immobile.
  • Case vacanze. Il fenomeno è molto diffuso nelle zone interessate da flussi turistici. Si preferisce destinare l’immobile a casa vacanza estiva e lasciarlo chiuso durante i periodi di fermo dell’attività turistica.
  • Timore a locare l’immobile. C’è poca fiducia nel mercato delle locazioni, perché molti proprietari credono che prima o poi avranno problemi con gli inquilini e sarà difficile cacciarli via qualora dovesse servire l’immobile.
  • Alzare il costo degli affitti. Questo è un fenomeno molto frequente nelle città universitarie o nelle metropoli in cui si concentrano gli interessi finanziari. Si lascia l’immobile volutamente sfitto perché appartiene ad un grande proprietario (ossia un soggetto che ha più di 10 immobili intestati) e, d’accordo con altri grandi proprietari, lascia alcuni immobili sfitti per alzare il prezzo delle locazioni nel mercato libero.

Un po’ di numeri sugli immobili vuoti

Secondo l’ISTAT, in base ad un censimento degli immobili fatto nel 2011, sono 7 milioni gli immobili vuoti. Di questi alcuni sono affittati in nero o usati come casa vacanze, ma gli immobili veramente vuoti, ossia proprio abbandonati, sono tantissimi: circa 2,7 milioni. Il tutto su circa 35 milioni di abitazioni ad uso civile censite dal catasto. Tra il 2017 e il 2018 ci sono state circa 92 mila unità in più, segno – dunque – che in Italia si continuano a costruire nuovi fabbricati ad uso abitativo (meno che in passato, certo, ma pur sempre tanti).

Per dirla breve, a fronte di un numero elevato di immobili vuoti, c’è una notevole tendenza a costruire nuove case, magari in periferia, anziché recuperare quelle vecchie del centro storico, con conseguente consumo di suolo oltre che sfaldamento del senso di comunità.

Ma perché sono venuti quaggiù 30 anni fa? Si chiedeva Nanni Moretti, in Caro Diario, nel 1993, nel suo giro in vespa a Casalpalocco, periferia di una Roma che, quando nacque il quartiere, era piacevolmente vivibile. La stessa domanda possiamo porcela anche noi, che siamo cresciuti in un periodo in cui andava di moda, almeno dalle mie parti, abbandonare il centro e costruire villette in campagna, in periferia o comunque isolate e lontane dai vicini.

Il diritto di proprietà

immobili vuoti

E’ innegabile che uno dei problemi principali per cui molte case restano vuote è la comunione forzosa dell’immobile. Le norme del Codice Civile tutelano il diritto di proprietà come inalienabile e imprescrittibile (ad eccezione dei casi di non esercizio del diritto, regolate dalle norme sull’usucapione), per cui la proprietà del bene immobile non si perde, se non in eccezionali casi stabiliti dalla legge (come, per esempio, l’espropriazione per pubblica utilità). Le norme sulla successione, poi, dispongono che il bene passi agli eredi in caso di morte del proprietario, secondo precise e complesse norme e quote di legittima in base al legame parentale tra il de cuius e gli eredi.

Così può capitare che un immobile divenga di proprietà del coniuge superstite e dei figli, ognuno dei quali possiede una quota.

Che succede in questi casi?

Se i proprietari, indipendentemente dalle quote possedute, non trovano un accordo sulla destinazione dell’immobile, questi, praticamente, resta chiuso. Se Tizia vuole vendere, Caio vuole affittare e Sempronio vuole tenerlo per sé, nessuno dei proprietari ne avrà la meglio. Solo nel caso in cui l’immobile vuoto, per la sua natura, può essere diviso, si potrà attribuire una porzione di esso a ciascun comproprietario in base alle rispettive quote. Ma se uno dei proprietari non partecipa alle spese di divisione? Si torna punto e a capo.

In questi casi la legge dispone che ogni comproprietario ha facoltà di godimento della cosa comune nella sua interezza, purché non ne alteri la destinazione d’uso e non impedisca agli altri di usare l’immobile secondo il proprio diritto. Nella gestione dell’immobile vige la regola maggioritaria: la maggioranza delle quote decide e la minoranza deve adeguarsi, quindi per la manutenzione o tutte le gestioni comuni, vale la regola maggioritaria, mentre per gli atti di disposizione (tipo vendere) vale il principio dell’unanimità, perché prevale sempre la tutela delle ragioni del proprietario. Insomma, si può alienare (o dare in garanzia) solo la propria quota, non tutto l’immobile.

Chiaramente più passa il tempo, più aumentano i comproprietari (quando, per esempio, una quota passa in eredità ai successivi eredi), più è difficile trovare un accordo unanime. La legge dispone che uno dei comproprietari possa sciogliere la comunione e rivolgersi al giudice, ma questi non ha facoltà di disporre dell’immobile in caso di opposizione da parte degli altri comproprietari.

L’abbandono di fatto

Un altro fenomeno, prevalente soprattutto al Sud, è quello dell’abbandono di fatto dell’immobile. Con le emigrazioni di massa, che dagli inizi del Novecento non si sono mai interrotte, molte case sono state abbandonate e non sempre sono passate in eredità, per numerose ragioni (persona priva di eredi conosciuti, eredi che rifiutano l’eredità, ecc.). Per mantenere la certezza giuridica sui beni immobili la legge prevede che questi si possano usucapire se ricorrono due condizioni: il possesso continuato e non interrotto e il decorso di un certo lasso di tempo (20 anni o 10 anni in caso di buona fede, un titolo valido e la trascrizione del titolo). Ora, i casi di usucapione non sono così frequenti, perché sono in pochi quelli che si assumono il rischio di andare ad abitare in una casa, renderla abitabile, farci dei lavori per poi vedersi, un giorno, rivendicare l’immobile da parte del vecchio proprietario.

L’abbandono di fatto, ovviamente, è stata anche una necessità a seguito di fenomeni quali terremoti o altri eventi naturali che hanno reso inagibili gli immobili.

Le case vacanze

casa vacanza

Un altro fenomeno che rende più problematica la disponibilità di immobili è quello di trasformare una casa del centro storico in casa vacanza, da destinare ai turisti. Questo fenomeno è molto diffuso nelle zone ad alta densità turistica e sta diventando sempre più ampio negli ultimi anni, a seguito dell’aumento del turismo di massa.

E’ vero che questa pratica ha l’indubbio vantaggio di costringere i proprietari a manutenere l’immobile del centro e ad evitare che si deteriori, ma porta con sé lo svantaggio di tenerlo aperto solo in brevi periodi dell’anno e di aumentare di conseguenza il costo dell’affitto. Difatti spesso capita che, impossibilitata a trovare una casa da affittare a tempo indeterminato, molta gente sia costretta a prendere in locazione una casa vacanza, a costi più alti, e a doverla lasciare prima dell’arrivo dei turisti, solitamente intorno a maggio-giugno, salvo poi poter tornare intorno a settembre ottobre. Questo fenomeno, ovviamente, crea forme di precarietà abitativa e contribuisce all’aumento dei costi di una casa.

La liberalizzazione degli affitti e il problema del caro prezzi nelle città universitarie

L’aumento dei costi degli affitti è anche dovuto alla generalizzata liberalizzazione del mercato delle locazioni posta in essere dalla legge n. 431/1998 che ha abrogato l’equo canone e ha permesso che il libero mercato entrasse anche nella delicata materia delle locazioni, basato su accordi territoriali e su un intervento minimo da parte degli Enti pubblici, provocando così un indiscriminato aumento dei prezzi, soprattutto nelle zone ad alta domanda, quali metropoli o città universitarie.

A seguito delle liberalizzazioni sono aumentati non solo i costi, ma anche gli sfratti. Solo nel 2018 sono stati emessi 56.000 sfratti per morosità e in media ce ne sono 153 al giorno.

Roma è la prima città d’Italia, con 6113 sfatti, sempre nel 2018. La contraddizione tra numero di sfratti e numero di immobili abbandonati è evidente proprio a Roma, dove si contano circa 200.000 case vuote.

Ma il problema non riguarda solo Roma. Un po’ in tutte le grandi città e principalmente nelle città universitarie si registra lo stesso fenomeno. A Pisa, per esempio, è da almeno 20 anni che si discute sugli immobili sfitti, che sono circa 1.500, idem a Pavia e a Verona, con più di 9.000 immobili vuoti, mentre a Bologna il censimento del 2011 (di cui abbiamo parlato prima) registrava addirittura 14.000 immobili vuoti, dato che non ha preoccupato il Sindaco, il quale riduce il problema a motivi individuali dei singoli proprietari.

Eppure se il fenomeno è così diffuso, soprattutto in certe aree, il problema non può essere solo individuale. E’ vero, come abbiamo visto, molte case sono vuote perché i proprietari non riescono a mettersi d’accordo, ma è sempre questo il motivo? Non è un caso che con la liberalizzazione le associazioni di categoria (quali, per esempio, UPPI e Confedilizia) si siano rafforzate e abbiano avuto man forte negli accordi territoriali, in cui – fuori dal controllo normativo – ha prevalso la forza sociale che tiene il coltello dalla parte del manico. Tra l’altro non è certo da escludersi che molti grossi proprietari di immobili, aderenti alle relative associazioni di categoria, decidano volontariamente di tenerne chiusi alcuni per alzare il prezzo degli affitti nel libero mercato, secondo l’elementare regola di mercato per cui l’aumento della domanda e la riduzione dell’offerta provocano l’aumento del prezzo.

Qualunque siano le motivazioni che spinge un piccolo o grande proprietario a tenere le proprie case chiuse, resta un problema oggettivo quello degli immobili vuoti, sfitti, abbandonati. Un problema che non trova soluzione, stando all’attuale principio per cui il diritto di proprietà è un diritto assoluto, consacrato in norme che tutelano la proprietà, anche davanti ad un’emergenza abitativa e ad un libero mercato che snatura la funzione primaria di una casa.

La Costituzione

Eppure la Costituzione, all’art. 42 comma 2, non dice che il diritto di proprietà è assoluto, ma dice:

la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Con i termini limiti, funzione sociale e accessibile, la Costituzione detta i requisiti per superare la classica visione assolutistica del diritto di proprietà e darle un ruolo di godimento sociale, non solo un mezzo per creare profitto.

Le forme di tutela dell’unità immobiliare e di funzione sociale

masi chiusi

Nonostante gli impedimenti normativi e con i limitati poteri amministrativi a disposizione, ci sono stati casi, di recente, di sindaci che hanno posto un argine al fenomeno degli abbandoni, come il comune di Tarsia (CS), che, a seguito di un censimento degli immobili abbandonati, ha stilato un regolamento per acquisirli al patrimonio comunale e concederli al prezzo simbolico di 1 euro. Lo stesso è avvenuto a Gangi (PA), a Montieri (GR) e in diversi altri comuni d’Italia.

Oppure il progetto di ripopolamento del centro storico di Riace (RC), realizzato dal Sindaco Domenico Lucano che, sfruttando i progetti SPRAR (oggi ridimensionati dall’ex Ministro dell’Interno Salvini), ha concesso le case abbandonate ai migranti o le ha trasformate in case d’accoglienza per pellegrini e turisti.

Un’altra interessante forma di tutela dell’unità immobiliare, che supera le problematiche legate alla successione e alla frammentazione ideale della proprietà, è quella dei masi chiusi e del diritto di maggiorasco. E’ un istituto giuridico di origine medievale, attivo solo nella Provincia autonoma di Bolzano (l’unico, in Europa, ad averlo mantenuto).

Il maso chiuso è un’azienda agricola, con annessa abitazione, indivisibile; il diritto di maggiorasco prevede che questi si trasmetta in eredità ad un solo figlio maschio (oggi, con una recente sentenza della Corte Costituzionale, il diritto è esteso anche alla figlia femmina), concedendo agli altri figli un indennizzo.

L’istituto, come si capisce, ha un’origine feudale, ma è stato fermamente tenuto in vita anche oggi perché è evidente che la suddivisione in quote legata alla successione è la causa principale del blocco di ogni attività inerente gli immobili e nella Provincia di Bolzano ne sono consapevoli. Con i dovuti correttivi, quest’istituto, esteso agli immobili ad uso civile, permetterebbe di superare il problema del loro inutilizzo, spesso legato a dissidi familiari.

Ma non basta

Il problema degli immobili vuoti non è legato solo all’abbandono o a dissidi familiari, ma anche alla speculazione finanziaria. Ecco perché è necessario aprire un dibattito sull’utilità di porre in essere pratiche di social housing orizzontale anche in Italia, che non si possono realizzare se lasciate al libero mercato.

L’unica soluzione è di requisire gli immobili vuoti, dopo attento censimento e dopo aver tentato una mediazione con i relativi proprietari, gestirli pubblicamente (creando apposite agenzie pubbliche) e immetterli sul mercato a prezzi calmierati. In questo modo si contribuisce ad aumentare gli alloggi popolari, non solo destinati alle fasce più deboli, ma anche a tutte quelle famiglie che non possono permettersi un affitto a prezzi di mercato ma hanno redditi che non consentono loro di accedere ad un alloggio popolare. Una sorta di equo canone, ma con contorni social, in cui il pubblico fa solo da mediatore a valle, mentre a monte costringe il proprietario a dare in concessione l’immobile, per un periodo di tempo limitato, ma sufficiente affinché si possa creare un mercato parallelo a quello privato.

Perché, si sa, il mercato è dominato dalle forze e chi ha il potere economico detta legge. Per riequilibrare le forze del mercato libero (che libero non è), occorre una forza pubblica, collettiva, capace di correggerne le storture.

In fondo uno come Domenico Lucano ci ha insegnato che con pochi poteri è possibile ripopolare un paese quasi disabitato. Immaginate cosa potrebbe fare un Presidente di Regione (che ha i poteri per farlo) o il governo nazionale.

L’unico problema è che l’attuale classe politica non rappresenta gli interessi della popolazione, ma (anche) di quei grossi proprietari che hanno tutto l’interesse a lasciare sfitti i propri immobili. E siamo punto e a capo. Almeno finché non ci renderemo conto di votare contro i nostri interessi.

8 commenti su “Immobili vuoti. Ci vuole la requisizione!”

  1. Guarda, ti rispondo io. Mai e poi mai affitterei casa mia. Troppi problemi legali, rinnovi o disdette. Alla fine gli inquilini diventano proprietari, possono anche fare a meno di pagare che tanto nessuno li schioda. La colpa è anche delle leggi che difendono i disonesti, e dello Stato che fa la prostituta col deretano dei proprietari, pretendendo che siano i privati a mantenere i “poveri” che magari i soldi per le sigarette, la parrucchiera, il rossetto e il tatuaggio li trovano, eccome! Sto cercando un monolocale da acquistare per mio figlio in città, dove andrà a studiare tra qualche anno. Ovviamente mutuo, oltre a quello che pago per il miniappartamento dove abitiamo lui e io adesso (sono mamma single e dunque siamo una famiglia monoreddito). La banche erogano mutui. Lo fanno per mestiere. Quindi non è vero che non danno mutui. NOn li danno per cifre non adeguate al reddito, non li danno per più di un terzo del valore. Io presi casa 11 anni fa, da sola e senza garanti, con uno stipendio di 1.100 euro al mese. Ovviamente prima dedicavo i fine settimana, oltre che allo studio, a fare un secondo e un terzo lavoro per mettere da parte i soldi per l’anticipo e le spese notarili. Logicamente chi preferisce trascorrere i fine settimana ad abbronzarsi in spiaggia o a fare shopping al centro commerciale, o a farsi depilare e ungulare dall’estetista… difficilmente potrà mettere da parte quei 15.000 euro necessari per l’anticipo per un immobile .E io stessa quella gente non la metterei a vivere sotto il mio tetto! E ti dirò un segreto: la maggior parte dei proprietari sono persone normalissime che si sono comperate una casa col mutuo e hanno ereditato la casa dai genitori defunti, o sono coloro che hanno investito nell’acquisto di un altro appartamento per darlo poi ai figli quando si sposeranno. Facendo debiti su debiti, pagando tasse su tasse. Prova a guardare chi abita nelle case popolari… finti poveri con tinte alla moda, scarpe firmate, un pacchetto di sigarette per ogni persona con più di 15 anni in famiglia, tatuaggi, unghie col gel, trucco da passeggiatrice, giornate intere passate al bar e bere birra e giocare soldi alle macchinette. Strano, in quelle case non dovrebbero abitare disabili gravi, mamme single, o persone molto povere senza possibilità alcuna di trovarsi un lavoro da mille euro al mese con cui chiedere 300 euro di mutuo?

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    • Ciao Marta, ti ringrazio per aver raccontato la tua testimonianza. Ogni punto di vista sulla questione è importante per capirne la complessità.

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  2. Carissimo Barbuto la penso come te, ma il dibattito sembra non interessare lo Stato al momento. Dobbiamo dirci la verità, e che quindi un immobile vuoto che si deteriora fa male alla società. Tu proprietario non hai il diritto di abbandonare e non utilizzare il bene, quando c’è una emergenza abitativa ed economica forte. Aggiungo un altro contributo: vogliamo indagare quanti immobili ci sono intestati a defunti o comunque senza intestazione valida, che quindi non pagano nemmeno tasse? Io stato ti darei un limite: o mi chiarisci di chi è quel bene entro 2 mesi, o viene acquisito al patrimonio dello Stato. E ancora, vogliamo rendere pubblici i dati sull’IMU raccolta dai Comuni e sanzionare quelli con alta percentuale di evasione? Cari saluti

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    • ciao Dani, credo che siamo davvero in pochi ad essere interessati a questi temi. Allo Stato non interessa perché le persone che compongono lo Stato sono quelle a cui interessa preservare la proprietà, specularci sopra, trarne profitto, ecc. ecc.
      Oggi lo Stato, le Regioni e gli enti locali hanno tutti gli strumenti per analizzare lo stato giuridico degli immobili e intervenire per sanarne le storture, ma non lo fanno perché la linea politica generale segue la filosofia delle liberalizzazioni e, anzi, direi che il retaggio costituzionale e civile delle limitazioni alla proprietà verrà presto superato a tutto vantaggio della libera circolazione dei beni immobili.
      Poi però, come ben sappiamo, l’alta borghesia che occupa le poltrone nella burocrazia dello Stato e nelle grandi corporazioni, si farà in quattro – mediaticamente – per tentare di risolvere il problema abitativo, quando – ciclicamente – si ripresenterà il problema. Sia chiaro, il problema c’è da tanto tempo e continua ad esserci, ma oggi mediaticamente non vende, perché vende il Covid, ma domani tornerà in auge e il politico di turno fornirà la sua ricetta, che puntualmente non troverà applicazione perché nessuna soluzione è efficace se non si affronta alla radice il problema del neo-liberismo, cosa che nessun uomo di potere, oggi, vuole affrontare.

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  3. Quando vivevo in Italia, avevo un appartamento e non ho voluto affittarlo, ma l’ho venduto, perchè avrei avuto paura che gli inquilini non mi pagassero l’affitto (piaga che so essersi aggravata negli anni successivi). Però, avrei dovuto continuare a pagare le spese condominiali che sfioravano i 500 Euro al mese; ciò mi avrebbe creato dei problemi economici, oltre al timore di non sapere quando sarei tornato ad usufruire della mia casa e in quali condizioni l’ avrei trovata. Cordiali saluti.

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    • Ciao Alberto, la tua è una obiezione correttissima e condivisibile. Diciamo che l’articolo si rivolge non tanto agli immobili di piccoli proprietari, come te, me e tante altre persone che, magari, si ritrovano una casa in eredità e, per i costi alti, il timore che gli inquilini non paghino l’affitto e tante altre ragioni, preferiscono venderla (a volte svenderla) anziché vederla rovinarsi. L’articolo si rivolge ai grandi proprietari (persone fisiche e, spessissimo, società finanziarie, holding, gruppi imprenditoriali) che tengono volutamente le case vuote per speculare sui prezzi degli affitti. Cosa che si verifica nelle grandi città o nelle città universitarie o, in genere, nei posti dove c’è molta domanda.

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