Il decreto liquidità a saldo zero e col rischio default

In questi giorni una domanda ricorrente mi balzava per la testa, in modo ossessivo: come ha fatto Conte a promettere 400 miliardi di euro alle imprese quando il braccio di ferro con l’Europa è ad un punto morto? E attenzione, 400 miliardi son tanti e, soprattutto, non ce l’abbiamo. Da qualche parte devono entrare, per poter uscire.

Giusto per capirci, una finanziaria regolare, cioè una manovra economica statale, in un anno vale circa 10-20 miliardi di euro. E di solito il ministro dell’economia di turno, anzi, diciamo pro tempore (così suona più figo), deve fare i salti mortali, per mesi, per trovare i soldi da destinare alle misure inserite nella finanziaria. Deve tagliare qua e là, deve emettere titoli, deve contare su nuove entrate (reali o presunte), insomma, deve sperare che quei soldi stanziati entrino nelle casse dello Stato.

In tempi normali, quando si vara una finanziaria, si effettuano dei piccoli trucchi contabili per mettere a bilancio le risorse destinate nella manovra. Per esempio, si scommette sulla crescita economica e quindi su maggiori introiti derivanti dall’IVA, dall’IRPEF, dalla contribuzione e da altre entrate tributarie, oppure si piazzano i titoli di Stato, certi che saranno venduti.

Oggi però è diverso. Oggi stiamo in una situazione di blocco quasi totale. Il fermo di buona parte dell’industria, dei servizi e del commercio ovviamente ha bloccato le entrate tributarie. Inoltre le magniloquenti dichiarazioni di Conte sullo stanziamento di risorse così ingenti farà sì che il mercato finanziario speculi sull’emissione di titoli di Stato.

La BCE, come sappiamo, non vuole darci una mano e l’Eurogruppo, proprio l’altro ieri, ha deciso che si deve andare avanti con il Mes, con fondi comuni, per aiutare i paesi in difficoltà. Chiaramente la Germania non aderirà al Mes, perché ha già un suo piano di aiuti autonomo. Il Mes servirà solo a finanziare, oggi, i paesi economicamente e politicamente più deboli per poi, controllarne, domani, la spesa pubblica e le decisioni sovrane in materia economica e sociale.

Decreto liquidità e piano Draghi

Qualche giorno fa Draghi, in un’intervista, ha detto che l’unico modo per uscire dalla crisi prodotta dal covid-19 è quello di garantire liquidità alle imprese. Manco l’ha detto, che subito il governo Conte l’ha fatto. Con tutti i rischi che ho già evidenziato in quest’articolo. L’Italia è caduta nella trappola, una trappola che si poteva facilmente riconoscere. Perché per promettere aiuti cospicui alle aziende, con soldi pubblici, devi avere o tante entrate oppure i poteri forti che ti coprono le spalle. Se non ce l’hai, hai due alternative: ti fai prestare i soldi a strozzo. Oppure temporeggi e lasci che a pagare siano gli altri, in futuro. Al momento il governo ha scelto di temporeggiare, ma dovrà scegliere. O aderisce al Mes o emette titoli di Stato sovrani, da vendere a interessi altissimi. Entrambe le scelte saranno dolorose, lasciandoci in balia dei mercati.

Il decreto liquidità a saldo zero

Dunque il governo Conte, dopo aver acconsentito al piano Draghi, ha detto alle imprese: tranquilli, ci stiamo qua noi. Vi promettiamo 400 miliardi, oltre ai 350 miliardi già messi in campo. In totale abbiamo 750 miliardi a disposizione. Per non parlare dei 30 miliardi promessi con il prossimo Decreto Aprile (che, dice Conte, uscirà subito dopo queste feste). E arriviamo a quasi 800 miliardi (il debito pubblico è di poco più di 2000 miliardi, giusto per intenderci). Tutto molto bello, ma dove si trovano i soldi?

Leggendo il cosiddetto decreto liquidità (qui il testo) si scopre il trucco: il decreto è a saldo zero. In poche parole dei 400 miliardi promessi, lo Stato ne ha messo solo uno (vedi l’art. 1 comma 14), mentre per gli altri si deve aspettare. Il Ministro dell’Economia Gualtieri dice che con il varo del decreto Aprile si definiranno le coperture finanziarie.

La verità è che Conte non lo sa. Nemmeno Gualtieri lo sa. Sperano di poter racimolare qualche altro miliardo piazzando i titoli di stato sul mercato. Ma per venderli dovranno aumentare gli interessi oppure, come detto, accedere al Mes. Altre vie ci sarebbero, ma i paesi imperialisti come Francia e Germania hanno già in mente come andrà a finire e quindi sono irremovibili.

La speculazione sulla speculazione

Come funzionano i prestiti alle aziende? L’attuale decreto liquidità prevede che saranno le banche a prestare i soldi alle aziende in difficoltà, senza nemmeno troppi controlli sulla solvibilità dell’azienda. In altre parole i soldi arriveranno per tutti, pure per quelli che finora non hanno pagato i debiti pregressi alle banche. Lo Stato garantirà, a seconda del tipo di impresa, dal 90 al 100% dell’importo prestato (sul sito del MISE è spiegato in modo semplice), oltre ad interessi, spese e commissioni.

Però lo Stato non lo farà direttamente, ma attraverso due strumenti: il Fondo di garanzia per le Pmi e SACE S.p.A.

Quando il fondo di garanzia per le Pmi finirà i soldi, allora subentrerà SACE S.p.A.

SACE S.p.A. è una società per azioni interamente controllata del gruppo CDP (Cassa Depositi e Prestiti) ed opera nel settore assicurativo-finanziario. Essendo una Società per azioni, non opererà di certo in perdita, anzi, i suoi profitti derivano dalle speculazioni finanziarie, ossia dall’ottenere commissioni sugli strumenti finanziari prestati.

Quindi le banche prestano i soldi agli imprenditori, per poi rifarsi sul fondo di garanzia. Dopodiché SACE farà da garante e lo Stato assicurerà liquidità a SACE attraverso CDP. Ognuna di queste operazioni avrà un costo, che ricadrà sul bilancio dello Stato. In altre parole, oggi il Governo si salva, perché nel breve periodo i soldi verranno dalle banche, dal fondo e poi da SACE. Ma poi arriverà il momento in cui lo Stato dovrà pagare le garanzie prestate da SACE e allora i prossimi Governi dovranno giocarsi la patata bollente e predisporre le peggiori manovre lacrime e sangue della storia della Repubblica.

Perché tutta questa generosità nei confronti delle banche?

Non è un caso che 400 miliardi di euro sia esattamente la cifra del debito pubblico detenuto dalle banche italiane. La Germania spinge da anni affinché queste si liberino dei titoli di stato, onde evitare che un loro possibile deterioramento possa pesare sui mercati finanziari e, in particolare, sui capitali investiti dalle sue aziende. Oggi, più che mai, la Germania, unitamente a BCE e Commissione Europea, sta spingendo affinché s’indebiti lo Stato italiano, salvando però le banche, le quali, con le liquidità ottenute dallo Stato, potranno sbarazzarsi dei relativi titoli senza perdere nulla.

Questo, ovviamente, produrrà il default e i peggiori attacchi speculativi, dal 1992 a oggi.

Ribadisco che il governo Conte è caduto in una trappola mortale, ma non se ne cura più di tanto, perché questi meccanismi verranno alla luce allo scadere delle garanzie prestate dal fondo di garanzia e da SACE, ossia tra diversi anni.

Gli obiettivi del capitale: controllare e privatizzare

Nel frattempo i soggetti che prestano i soldi alle imprese (banca + SACE) sono libere di richiedere alle stesse ulteriori condizioni per la ricostruzione e per il rafforzamento dell’internazionalizzazione. Tra queste condizioni ci potrà essere anche l’ingerenza societaria, ossia pressioni affinché l’azienda entri in gruppi o holding o il cui CdA sia controllato, direttamente o indirettamente, da aziende estere.

In altre parole le banche e gli operatori finanziari potranno aprire le porte a controlli societari da parte di aziende forti, in particolare tedesche. E sappiamo che la Germania da decenni punta a controllare il tessuto produttivo del Nord Italia. Oggi potrà farlo senza problemi, con il supporto delle banche e a costo zero. Perché il costo ricadrà sul debito pubblico italiano.

Qui sta il meccanismo diabolico del progetto Draghi e delle aspirazioni totalitariste della Merkel. Acquisire il controllo del Nord produttivo, grazie a prestiti a pioggia, e far ricadere i costi sulla collettività.

Il default è certo, è solo questione di tempo

Conte è stato talmente ingenuo da cascare nelle trappole del capitale e da affidare la delicata fase della ricostruzione economica a soggetti privati i cui interessi non sono affatto patriottici: banche, intermediari finanziari, società per azioni.

Tanto domani ci sarà un altro al governo a dire agli italiani: dobbiamo tirare la cinghia. Come ha fatto Monti nel 2012. Anzi, peggio. L’illusione che Conte regala oggi agli imprenditori italiani, la pagheremo domani noi dipendenti, pensionati, partite IVA. L’Italia andrà in default. Gli speculatori finanziari (banche, società finanziarie, ecc.) ne approfitteranno e l’Italia sarà costretta a privatizzare completamente i pochi settori ancora pubblici, come la sanità, l’istruzione, i beni culturali, la previdenza sociale, le infrastrutture. Il ché comporterà la scomparsa dello Stato sociale. Ciò produrrà l’insostenibilità delle spese primarie per i ceti più deboli (che dovranno pagare di tasca propria l’accesso alla sanità e all’istruzione, giusto per dirne un paio), una maggiore precarietà del lavoro, minori salari, maggiori oneri tributari. E questo è lo scenario più favorevole. Quello meno favorevole è meglio non dirlo. Anzi, basta vedere com’è stata ridotta la Grecia e immaginarci pure peggio.

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