Hai deciso di andare a vivere a Trento per motivi di studio o per lavoro? O forse perché ne hai sentito parlare bene per via dell’alta qualità della vita? In questo articolo ti racconto la mia esperienza a Trento dopo averci vissuto per un po’. Un racconto alternato a riflessioni e analisi socio-economiche. Questa è la terza parte e ultima di un miniracconto di tre. Dopo aver parlato di ricerca di una casa, ambiente, salute e inquinamento, ora parliamo vita culturale, socialità, sicurezza e decoro urbano.
Segue dalla prima e seconda parte.
La vita culturale a Trento
Trento è una città ricca di librerie. Ce ne sono tante, quasi tutte concentrate tra il centro storico ed il semicentro, di cui alcune specializzate (viaggi, librerie per bambini, libri antichi, librerie religiose, ecc.).
Però se cerchi librerie attive con gruppi di lettura o un cartellone ampio di presentazioni di libri, ti consiglio di frequentare la Libreria Arcadia di Rovereto (ed iscriverti alla loro newsletter).
Ma siccome per me la cultura dev’essere gratis, preferisco frequentare le biblioteche. Sotto questo versante, Trento ha molto da offrire. In particolare sono due le biblioteche che mi piaceva frequentare: la biblioteca comunale (via Roma 55) e la Biblioteca universitaria centrale (BUC) nel quartiere le Albere.
La biblioteca comunale
Sita in pieno centro, ha un catalogo enorme di libri, di vario genere (qui trovi l’archivio digitale). E’ possibile sia chiedere in prestito che consultare i libri, nell’ampia sala lettura.
Ma la cosa più bella è il giardino interno, una vera perla.
Peccato per gli orari, perché è aperta tutti i giorni dalle 8.30 alle 19.30, tranne il sabato, che chiude alle 12.30.
Sono orari molto ampi (più di altre biblioteche in altre città d’Italia), ma per me erano scomodi, lavorando tutti i giorni fino alle 18.00 o giù di lì, non avevo il tempo di godere della biblioteca.
La BUC (Biblioteca Universitaria Centrale)
Altra alternativa è la BUC, l’enorme e moderna biblioteca universitaria, sita nel quartiere delle Albere, il quartiere progettato da Renzo Piano inaugurato nel 2013 e che ospita, in fondo alla strada proprio di fronte alla BUC, il museo delle scienze naturali MUSE.
La BUC, essendo una biblioteca rivolta a studenti, dottorandi, ricercatori e docenti, dispone di un ampio catalogo di testi scientifici (440.384 monografie cartacee e 8.737 titoli di riviste, di cui 753 in abbonamento corrente) delle materie più disparate, dal diritto all’economia, alle scienze naturali e sociali, alla letteratura, musicologia, ecc. Ogni area tematica corrisponde ad un piano (ce ne sono 5) e su ogni piano ci sono ampi tavoli dove studiare e consultare liberamente i testi presenti.
Il servizio di consulenza bibliografica, sito all’ingresso della biblioteca, è sempre disponibile ad aiutarti a trovare i testi che ti occorrono, ma occhio che la biblioteca, pur essendo aperta al pubblico, in alcune ore del giorno è riservata solo agli studenti. A memoria, dalle 8.00 alle 10.00 e dalle 14.00 alle 16.00, ogni giorno (la domenica dalle 14.00 alle 16.00, la mattina è chiusa).
Però di positivo c’è che la biblioteca chiude quasi a mezzanotte, ogni giorno (a parte i piani dal secondo in poi, che chiudono prima).
A differenza di altre biblioteche universitarie in cui ho studiato, questa è piuttosto silenziosa, nonostante sia sempre molto affollata.
Altre biblioteche universitarie si trovano a Mesiano, Povo, Rovereto e in altri punti della città, ma questa è quella più grande e fornita.
Il MUSE e gli altri musei
Dal punto di vista culturale il MUSE, Museo delle Scienze, fa da attrattore, ospitando spesso eventi – scientifici e/o divulgativi – per avvicinare le persone alla conoscenza del mondo della natura, dell’ecologia e della sostenibilità.
Il MUSE ospita anche una interessante serra tropicale, ricca di piante e animali esotici.
Interessanti sono anche le mostre che periodicamente si possono vedere al Palazzo delle Albere, un palazzo storico del XVI secolo, vicinissimo al MUSE.
Ogni tanto anche l’incantevole castello del Buonconsiglio ospita delle mostre, così come il MART di Rovereto. La rete museale trentina è piuttosto ampia e comprende anche ecomusei, musei etnografici, giardini botanici (come quello alpino di Viote), ecc.
Alcuni sono accessibili a costi contenuti, altri hanno costi piuttosto elevati (11 euro per il MUSE, onestamente, son troppi).
Il mio suggerimento è di sfruttare le domeniche gratuite al museo, ogni prima domenica del mese, ad eccezione del periodo estivo. Tutti i luoghi di cultura del Trentino aderiscono a questa iniziativa.
Il centro culturale Santa Chiara
Il centro per i servizi culturali Santa Chiara è un ente pubblico, interamente finanziato dalla Provincia, con l’obiettivo di programmare e promuovere l’offerta culturale nell’ambito dello spettacolo.
Organizza iniziative in ambito teatrale, musicale o cinematografico.
Onestamente ho partecipato raramente alle iniziative promosse dal Santa Chiara. Le ho trovate sempre poco interessanti. E ultimamente il centro non se la passa bene, stritolato dai debiti per una non proprio felice organizzazione del Music Arena di Trento. Un tentativo di imitare i grossi eventi musicali che, secondo me, poco c’azzeccano con le peculiarità di un territorio vocato, invece, alle iniziative piccole, diffuse e di nicchia. Anche perché se organizzi eventi grossi, aspettandoti tanta gente, poi devi pure avere una città in grado di ospitarli e, abbiam visto nel primo racconto, Trento soffre del problema della mancanza di alloggi.
Quindi l’unica via è di puntare su eventi diffusi, piccoli e, soprattutto, culturali in senso stretto.
La vita sociale a Trento
I trentini stessi ti diranno che Trento non è una città da movida ed è piuttosto noiosa dal punto di vista della nightlife.
In realtà non è così noiosa come la dipingono. Ci sono tantissimi locali in giro per il centro e ogni sera, anche d’inverno, c’è sempre movimento, sia nelle zone più fighette (nei pressi di Piazza Duomo), che nella zona un po’ più multietnica e vagamente più folk, ossia via S. Martino (nei pressi del castello del Buonconsiglio).
Questa era, ovviamente, la zona che preferivo frequentare.
Qui trovi il Barrio, locale easy con buone birre e, soprattutto, il circolo redicoi reversi e policarpi, un posto che, già dal nome, promette bene.
Redicoi sta per ridicoli; reversi – si capisce – significa che qua si fa tutto al contrario (famosa era la pratica di camminare all’incontrario o salutarsi fingendo di non conoscersi) e policarpi è un omaggio a San Policarpo, vescovo di Smirne. Ma anche un santo popolare e folklorico, un po’ come santu Donnu (san Don, un santo un po’ sfigato, celebrato a Nociglia ogni metà di agosto) o Santu Nuddhu (San Nessuno, il più bestemmiato dagli anziani credenti) in Salento.
Un circolo che sembra essere calato direttamente dagli anni Settanta, una specie di casa del popolo, dove di pomeriggio trovi gli anziani che giocano a tressette e la sera, senza soluzione di continuità, il djset di musica elettronica o il concerto rock o blues di gruppi emergenti.
Questo è stato l’unico posto cittadino dove ho trovato un po’ di cultura folklorica trentina, tra detti, storielle, canti popolari e saggezza contadina. Tutto rigorosamente in dialetto.
Essendo un circolo, i prezzi sono molto popolari e aumentano leggermente solo durante le serate (in genere il fine settimana).
Nei pressi c’è anche il circoletto degli anarchici.
Quella della Portela è anche una zona piuttosto multietnica. Qui sorgono diversi negozi etnici e fast food di kebabbari ed è la zona preferita dai ragazzi più giovani. Ne parlerò meglio tra poco, quando affronterò il nodo sicurezza a Trento.
Se d’estate la città si sveglia (come del resto un po’ ovunque in Italia) e fioriscono concerti, festival ed iniziative varie, anche d’inverno c’è sempre qualcosa da fare.
Ti sarà sufficiente, appena arrivi a Trento, farti aggiungere ad un gruppo Whatsapp che si chiama Festival. Non sarà difficile trovare qualcuno che ne fa parte. Al momento ha quasi 1100 iscritti. Qui in pratica condividono tutti gli eventi, grandi e piccoli, che si svolgono in città e in provincia.
Quasi tutti gli eventi a Trento e provincia sono a pagamento. Sono davvero pochi gli eventi ad ingresso gratuito. Sono quasi sempre a pagamento anche quelli organizzati dagli enti pubblici.
Quindi metti in conto una spesa rilevante sul tuo budget mensile se sei una persona real social addicted.
Abituati agli esercenti musoni
Se la mattina ti piace fare colazione al bar oppure non puoi rinunciare all’aperitivo post lavoro nel baretto sotto l’ufficio o sotto casa, o se ti piace andare ogni weekend a far shopping, abituati agli esercenti musoni.
Cioè a quei commercianti che a malapena ti salutano quando entri o quando te ne vai o che ti rispondono con un ghigno se tenti di fare una battuta spiritosa.
Non è cosa.
Chiaro, non son tutti così, per fortuna. Ho conosciuto commercianti simpatici e con cui scambi amorevolmente quattro chiacchiere, anche quando magari non compri nulla. Ma c’è una parte molto consistente di gente che, questo mestiere, proprio non lo sa fare.
Il più delle volte mi è capitato, dopo aver fatto un acquisto, di salutare e non ricevere risposta dalla scorbutica cassiera.
Ma questo è il meno
Mi è anche capitato di entrare in un negozio del centro, per fare un acquisto rapido 10 minuti prima della chiusura e di essere stato cacciato via, a malo modo per giunta.
Era un venerdì pomeriggio. Avevo già adocchiato in vetrina cosa prendere. Mi bastava solo indicarlo, pagarlo e andare via. Il titolare non mi ha dato nemmeno il tempo di spiegarmi. Sull’uscio della porta mi ha bloccato l’accesso dicendo solo chiudiamo alle 6, ci vediamo lunedì.
Ma son le sei meno dieci, ho ribattuto. E mi ha chiuso la porta in faccia, girando il chiavistello.
Alla lunga ti abituerai a questi comportamenti. Come ti abituerai agli orari comodi dei negozi. Non sarà inusuale trovarli chiusi alle 9 di mattina e attendere le 10 per l’apertura. Come non ti stupirà più trovare il ristorante chiuso la domenica sera. Anzi, non ti stupirai nemmeno se vedi che fanno due riposi settimanali anziché uno.
Si vede che i soldi non gli mancano.
Mangiare e bere fuori casa a Trento, un lusso per pochi
A proposito di ristoranti. Un’altra delle principali criticità nella vita food outside di Trento è che devi svolgerla con moderazione. Con estrema cautela. Perché sennò non ti basta uno stipendio. La città è piuttosto cara e se è caro fare la spesa, mangiare e bere fuori diventa un lusso per pochi (e per poco).
A grandi linee, girando un po’ di ristoranti e pizzerie del centro (ma nel semicentro o in periferia le cose non cambiano) diciamo che 20 euro a persona, per una banale pizza e birra, quasi non bastano.
Mi son capitate pizzerie dove la margherita costa 10 euro, per una birra media non spendi meno di 7 e si paga pure il coperto, 2,50 euro. Ma siccome con 3-4 euro in più opti per una pizza più farcita di una banale (e carissima) margherita, ecco fatto che arrivi a spendere oltre 20 euro.
Stesso discorso per i famosi ristoranti di sushi con la formula all-you-can-eat. Se in alcune città, specie al Sud, riesci a sfamarti (o rimpinzarti) con una sessantina di euro in due, qui ce ne vogliono almeno ottanta. E non nei sushi più di tendenza, ma in quelli più scrausi.
Anche se ti accontenti di un kebab e una birretta alla Portela, comunque con meno di 10 euro non mangi.
Stesso discorso sul bere. Se nel vicino Veneto lo spritz è un diritto fondamentale quasi consacrato nello statuto regionale, e quindi lo trovi (buono) anche a 3 euro (sia benedetta Treviso), a Trento non lo bevi per meno di 5. E, se va bene, ti ci aggiungono un paio di patatine o qualche stuzzichino.
Qui va molto di moda lo hugo, un intruglio a base di prosecco, sciroppo di fiori di sambuco, seltz e foglie di menta.
Ci ho provato a berlo, ma non è scattato l’ammore. Anzi.
Mangiare nei rifugi
Una volta il rifugio di montagna era sinonimo di buon cibo a prezzi bassi. Oggi non più. Complice il turismo di massa, l’inflazione e gli alti costi di gestione, oggi mangiare in rifugio equivale a mangiare in un ristorante di medio livello.
Tuttavia gli alti costi dipendono talvolta dalla speculazione dei gestori, altre volte da condizioni oggettive.
Ci sono, grossomodo, tre tipi di rifugi.
Rifugi raggiungibili da strade asfaltate
In questo caso gli approvvigionamenti avvengono comodamente, anche con grossi furgoni.
Rifugi che si raggiungono attraverso mulattiere o strade sterrate
Generalmente sono più in quota. Si possono raggiungere in auto, ma non con mezzi più grossi, quindi gli approvvigionamenti devono essere più frequenti.
Rifugi in quota (a 2200, 2500, 3000 mt…)
Si raggiungono esclusivamente a piedi e magari su sentieri tortuosi e scivolosi: in questo caso il gestore lascia l’auto nell’ultimo spiazzo disponibile e prosegue a piedi, portandosi le materie prime deperibili a spalla, tutti i santi giorni. In alcuni casi servendosi di muli.
In questi casi gli approvvigionamenti di materie prime meno deperibili e più pesanti (scatolame, legumi secchi, pasta, ecc.) avvengono in elicottero, 2 o 3 volte l’anno. Anche perché un viaggio in elicottero costa assai e occorre calcolare bene il fabbisogno annuale.
In alcuni casi trovi il rifugio dotato di teleferica, ma pure questo modo di trasporto di beni di prima necessità è costoso e faticoso.
La teleferica al rifugio Tuckett
Dunque se spendi un po’ di più in uno di questi rifugi, ci sta. Ma se spendi tanto in un rifugio più a valle, facilmente raggiungibile in auto, allora c’è qualcosa che non va.
Paradossalmente puoi spendere meno nei rifugi più in quota che in quelli più a valle. Mi è capitato, per esempio, al rifugio del monte Stivo, gestito da un simpatico ragazzo che fa quel lavoro per passione e che ogni giorno lascia il pick-up a valle e si fa 2 ore a piedi, portandosi gli ortaggi, le verdure, la frutta, a spalla. Per non parlare dei frequenti (e costosi) rifornimenti in elicottero. E i prezzi che fa sono onestissimi.
Oppure al rifugio Torre di Pisa, sul Latemar, dove i prezzi non sono proibitivi.
Al rifugio di Punta Penia, sulla Marmolada? I prezzi sono un po’ più alti, ma pure il rifugio lo è, a 3340 metri slm. E c’è chi proprio non lo capisce e si lamenta pure.
In altri rifugi più a valle invece ho visto fare il vin brulè con il vino in brick dell’Eurospin e pagarselo tre euro e cinquanta a bicchiere. Oppure 15 euro un tagliere con due sottili listarelle di formaggi, 3 fette di salame, 3 di speck e 3 di mortadella. Giusto per intenderci.
Differenza tra malga e rifugio
Stando in Trentino sentirete spesso di gente che va a mangiare in rifugio o in malga. Ma quali sono le differenze tra i due?
In sostanza, il rifugio, come dice il nome, è un riparo per gli alpinisti e offre vitto e alloggio. Generalmente si trova in alta montagna, anche se, dicevo, sono sorti rifugi più a valle.
La malga di solito non offre ospitalità (ma a volte sì, dipende da quanto è grande la struttura) ed è caratterizzata dal fatto di essere un’abitazione privata, con stalle annesse e grandi distese di prati, per l’allevamento di bestiame (soprattutto mucche, ma anche capre, pecore, asini, cavalli, conigli, galline, ecc.).
Quindi nella quasi totalità dei casi la malga produce latticini, formaggi freschi e stagionati e ha un ambiente ristorante in cui somministra ciò che produce.
In genere nella malga si producono anche grappe e distillati artigianali, fatti con le erbe di montagna. Di molto buoni ne ho assaggiati a Malga Brigolina, a Candriai.
Vien da sé che nel rifugio non si produce niente, in quanto, essendo in alta montagna, non ci sono le condizioni né per i pascoli né per la coltivazione di ortaggi.
La sicurezza a Trento
Trento è una città piuttosto sicura.
Secondo i dati forniti dal Viminale ed elaborati dal Sole24Ore, Trento si posiziona abbastanza in fondo alla classifica (questo è uno dei casi in cui più stai in basso e meglio è!).
In effetti girando anche di notte in città, non percepisci un senso di insicurezza e spesso si vedono ragazze, anche molto giovani, che girano da sole in totale tranquillità.
Eppure, a parlare con diversi trentini, non solo anziani, senti nei loro racconti una sorta di inquietudine quando parlano della città, come se fosse un sobborgo di Los Angeles.
Cosa alimentata dai media, che ci sguazzano su queste cose, per questioni di audience. Come successo, di recente, con la trasmissione di rete4 “fuori dal coro”, che ha dipinto Trento come una città allo sbando. Ma, come sa bene chi vive nel mondo reale e non si fa infinocchiare dalla tivù, queste son solo cazzate. Un modo per ingigantire un fenomeno che c’è (quello dello spaccio, dei tossici, del degrado in alcune zone e ore del giorno), ma è infinitesimale rispetto ad un contesto sociale sano.
Una volta mi ero fermato in una malga a bere qualcosa, durante un trekking in montagna. Ero fuori a sorseggiare un grappino quando un anziano, che era lì a mangiare con la famiglia, esce fuori a fumare. Attacca bottone e inizia a raccontarmi della sua scelta di andare a vivere a Sopramonte perché la città ormai non è più sicura, troppa criminalità, troppi vandali. E inizia a sciorinare una serie di ai miei tempi non era così da far impallidire i peggiori meme che circolano su facebook.
Piccola digressione
Pure dalle mie parti c’è un sacco di gente che ti rimbambisce con una volta si stava meglio. Ma, guarda caso, sono quasi sempre quelli nati nel baby boom (detti boomers dai ggiovanidoggi) che, quei tempi, non li hanno mai vissuti. Anzi, hanno vissuto in una sorta di bambagia in cui i racconti dei genitori e dei nonni sono stati man mano edulcorati e privati di ogni nota critica, creando così un passato bucolico da cartolina, del tutto sconnesso dalla realtà storica.
Già se parli con un ottanta/novantenne che, quei tempi, li ha vissuti davvero, ti dirà che oggi si sta meglio. Perché una volta la gente moriva per un raffreddore, l’aspettativa di vita era più bassa, il cibo scarseggiava, si lavorava sfruttati come bestie, sin da piccolissimi, da prima dell’alba fino al tramonto e non c’erano certo i diritti sociali e civili che ci sono oggi (che li stiamo perdendo man mano, questa è un’altra storia).
Anche il Trentino è stato terra di emigrazione di massa, tra il 1870 e il 1970, vista l’estrema povertà delle valli. E molti trentini, esattamente come i meridionali (ma anche veneti, friulani…), emigravano verso Nord o in Brasile, America, Australia. Tutto il mondo (povero) era paese, all’epoca.
Non c’era criminalità a Trento?
Le fonti storiche ci raccontano tutt’altro, dalla presenza della ‘ndrangheta nel settore del porfido in Trentino già dagli anni Ottanta, ai movimenti terroristici (eversivi) sviluppatisi come devianza dei movimenti di protesta degli anni Settanta.
Per non parlare della delinquenza comune, analizzata nel primo rapporto sulla sicurezza nel Trentino del 1998, che, con uno sguardo sui passati 20 anni di criminalità in zona (dal 1978 in poi), mostrava una realtà ben diversa da quella raccontata oggi da certa gente, che vede la Trento di oggi meno sicura rispetto al passato. Cazzate, insomma.
Dunque, paradossalmente, Trento è una città più sicura oggi rispetto ai decenni scorsi. Bastano un paio di numeri per provarlo.
Nel 1985 il totale dei delitti denunciati è stato di 2833 (per 100.000 abitanti). Nel 2023? 2695 (per 100.000 abitanti). Quindi un netto calo rispetto a quasi 40 anni fa.
Se prendiamo il reato di violenze sessuali, leggiamo il dato di 11,4 denunce su 100.000 abitanti nel 2023. E nel rapporto del 1998?
Le denunce per questi fatti registrano, purtroppo, in Trentino un considerevole aumento, poiché la violenza carnale e gli atti di libidine violenti, ora appunto accorpati nelle “Violenze sessuali”, passano da 17 casi denunciati del 1978 ai 52 del 1996 (con un incremento nell’arco di tempo considerato di ben il 206% e con un andamento in crescita costante) e, in termini di tassi per 100.000 abitanti, da 4 a 11.
Il dato dei furti è emblematico. Si legge sempre nel rapporto del 1998:
Per quanto riguarda i furti, innanzitutto, in Trentino si verificano migliaia di casi ogni anno fin dal 1978; i tassi per 100.000 abitanti quasi sempre superano le mille unità.
Nel rapporto del 2023 invece si registra il dato di 935,9 denunce su 100.000 abitanti.
Dunque il numero assoluto di denunce è diminuito, alcuni dati sono stabili e altri in netto calo.
Eppure la città è cresciuta demograficamente rispetto ad allora. Quindi, in termini percentuali, oggi la città ha meno criminalità rispetto agli anni Ottanta!
Il sistema di video e audio sorveglianza con l’intelligenza artificiale
Nonostante Trento sia una città piuttosto sicura e non ci siano condizioni sociali tali da giustificare un eccesso di controllo, il Comune ha dato il via – insieme alla fondazione Bruno Kessler – ad un mastodontico progetto di controllo della città mediante l’installazione di numerose telecamere smart in grado di analizzare i dati biometrici delle persone e alcune delle quali dotate di microfono.
La sede della FBK (Fondazione Bruno Kessler)
In questo modo acquisiscono una serie di dati che associano volti, conformazione fisica, voce e contenuto delle conversazioni.
Questa mole di dati viene poi elaborata dall’intelligenza artificiale che restituisce un ranking di pericolosità dei soggetti analizzati e consente di attuare strategie preventive di sicurezza pubblica, un po’ come raccontato nel film Minority report.
Attualmente questi dati non sono disponibili alle forze dell’ordine, ma solo ai partner del progetto, che li stanno utilizzando a scopi di test.
Quest’informazione ci serve per capire meglio le obiezioni sollevate dal Garante della Privacy, che vedremo tra poco.
Le telecamere agli incroci
Oltre a ciò il Comune ha installato numerose telecamere che controllano le intersezioni, i semafori, le aree pedonali, in modo da consentire alle forze di polizia di sanzionare le eventuali violazioni, tra cui – cosa che non sapevo – anche il mancato obbligo di dare la precedenza ai pedoni sulle strisce pedonali.
Noterete, infatti, che a Trento quest’obbligo è rispettato dalla gran parte degli automobilisti, ma ho percepito che ciò, a volte, è dovuto più alla paura di essere sanzionati che ad un diffuso senso civico.
Infatti se in centro, dove le telecamere sono massicciamente presenti, su 10 automobilisti, 10 si fermano a darti la precedenza sulle strisce, in alcune zone periferiche, dove non ci sono telecamere, su 10 automobilisti, se ne fermano 7.
Una media piuttosto alta, certo.
Rispetto a Cosenza, dove su 10 automobilisti, se ne ferma uno (provato sulla mia pelle), è una gran bella media.
Ma non è sempre questione di senso civico diffuso, come comunemente si pensa quando si parla del Trentino.
Quindi occhio ad attraversare con la certezza che si fermano. Prima guardate se ci sono telecamere in giro.
Il Garante della Privacy sanziona il Comune di Trento
A gennaio 2024 il Garante della Privacy ha sanzionato il Comune di Trento per illecita acquisizione e utilizzo di dati personali, ottenuti sulla pubblica via, tra cui dati biometrici e, persino, registrazioni vocali dei discorsi fatti dalla gente.
Tra l’altro non è stato in grado di dimostrare che, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, quei dati sarebbero stati anonimizzati.
Si legge sul portale del Garante:
No del Garante al trattamento dei dati personali nel Comune di Trento nell’ambito dei progetti di ricerca scientifica Marvel e Protector: diritti a rischio in assenza dei necessari presupposti di liceità. Il Comune dovrà pagare una sanzione di 50.000 euro e cancellare i dati trattati in violazione di legge.
I progetti, finanziati con fondi europei, hanno come obiettivo lo sviluppo di soluzioni tecnologiche volte a migliorare la sicurezza in ambito urbano, secondo il paradigma delle “città intelligenti” (smart cities).
Così continua il Garante:
Il Comune di Trento, che non annovera la ricerca scientifica tra le proprie finalità istituzionali, non ha comprovato la sussistenza di alcun quadro giuridico idoneo a giustificare i trattamenti dei dati personali – relativi anche a reati e a categorie particolari – e la conseguente ingerenza nei diritti e nelle libertà fondamentali delle persone. Tenuto conto che i dati venivano condivisi anche con soggetti terzi, tra cui i partner di progetto, i trattamenti effettuati sono stati quindi ritenuti illeciti.
Si sono rivelate inoltre insufficienti le tecniche di anonimizzazione impiegate per ridurre i possibili rischi di reidentificazione per gli interessati.
Criticità sono emerse anche sotto il profilo della trasparenza. Il Comune non aveva infatti compiutamente descritto i trattamenti nelle informative di primo e di secondo livello, come la possibilità che anche le conversazioni potessero essere registrate dai microfoni installati sulla pubblica via.
Inoltre, nonostante i due progetti comportassero l’impiego di nuove tecnologie e la sorveglianza sistematica di zone accessibili al pubblico, il Comune non ha comprovato di aver effettuato una valutazione d’impatto prima di iniziare il trattamento.
Dunque il Comune di Trento, più che perseguire la sicurezza della città, dimostra di essere ossessionato dal controllo e dal farsi gli affari altrui, quasi come se vivessimo nel romanzo 1985 di Orwell. Alla fine di questo racconto capiremo un po’ meglio la smania di controllo e di influenze sui comportamenti collettivi delle persone che vivono qui.
La questione Portela
Anche l’ossessione per il senso del decoro è alta in questa città, vuoi perché il Comune pretende di essere capofila nella sperimentazione delle c.d. smart cities, vuoi per quanto detto nella prima parte di questo racconto: il tipo ideale di città ha un’alta percezione del concetto di sicurezza e vorrebbe tornare alla Trento che fu, anche se, abbiamo visto, la Trento che fu è una pura astrazione, un’idealizzazione.
Questo ci porta ad analizzare la questione Portela.
La Portela è una zona storica del centro di Trento, molto vicina alla stazione e a Piazza Dante.
E’ una zona di spaccio. Non è proprio una zona sicurissima, ma non è nemmeno Scampia. Insomma, è una zona dove, se ci passeggi la sera, non ti accade nulla, ma ti potrà dar fastidio vedere ragazzi giovanissimi che vendono o comprano droghe.
E passi per un po’ d’erba. Ma qui ci spacciano di tutto, pure coca ed eroina (che, ahimè, sta tornando prepotentemente di moda in questi anni, segno di un disagio che si pensava superato dopo gli anni Novanta).
Eroina che ha fatto anche giovani vittime.
Se paragoni questa zona a Campo dei fiori a Roma o alla stazione di Bologna o a Porta Palazzo a Torino, ti pare il paradiso al confronto.
Quindi ci sarebbero margini di intervento. Nell’immediato sono stati rafforzati i controlli da parte delle forze dell’ordine.
Ma manca una visione politica di lungo periodo
In una strategia di medio e lungo periodo occorrerebbe riflettere sulle condizioni che generano questi fenomeni. Una tra tutte, la decisione di tenere ammassati i richiedenti asilo o, in generale, i migranti, in città, senza pensare ad un’accoglienza diffusa (sul modello di Riace, di cui ne ho parlato in abbondanza qui e qui), che tratti queste persone con dignità e sradichi alla radice ogni tentativo da parte della criminalità di assoldarli.
Perché molte persone che arrivano in Italia vogliono vivere una vita normale, come raccontano tre giovani marocchini, costretti per un po’ a vivere all’addiaccio alle Albere:
Abbiamo molta voglia di darci da fare e costruirci un futuro. Ci interessa lavorare, va bene qualsiasi ambito, ma è difficile trovare un impiego e una sistemazione. Gli italiani sono un grande popolo e siamo grati che ci abbiano accolto, l’unico problema è il lavoro. (…) Molti quando ci vedevano qui pensavano volessimo rubare o spacciare ma noi siamo brave persone. Anche quando chiediamo una sigaretta o qualcosa da mangiare, la gente pensa male ma noi non vogliamo avere nulla a che fare con la criminalità, solo vivere una vita normale.
Poi, però, arrivati qui, in un sistema di accoglienza che li tratta come numeri e bestie da allevamento intensivo, qualcosa scatta. In molti casi aumenta il disagio psichico e si arriva ad un punto di rottura.
Immaginiamo di trovarci noi in questa situazione. Lontani da casa, senza un lavoro, soldi, un tetto, la certezza di non mettere insieme il pranzo con la cena o di avere un ricambio pulito o di farci una doccia, di dormire in trenta in uno spazio progettato per dieci, di bighellonare tutto il giorno, in attesa di un pezzo di carta che ti dica chi sei. Che fai? Se ti si avvicina uno e ti promette un reddito in cambio di un lavoretto, che fai?
Invece di analizzare le cause e tentare di trovare soluzioni condivise tra i poteri politico-amministrativi, la soluzione trovata dal sindaco di Trento qual è?
Chiedere l’intervento dell’esercito
Quando ho letto per la prima volta questa notizia, quasi non ci credevo. Pensavo fosse una provocazione.
Invece no. Anzi, il sindaco l’ha ribadito più e più volte, lanciandosi anche in improvvisate lezioni di sociologia del tipo se c’è chi vende, c’è chi compra.
In realtà andrebbe detto al sindaco che se c’è chi vende è perché compra. Da chi? Dalla criminalità organizzata, un fenomeno globale e storicizzato, radicato nella media e alta borghesia occidentale, sin dall’avvento del modello capitalista.
Quindi lo spacciatore africano tipo della Portela non è altro che l’ultima ruota del carro. Se la smonti, il carro continua lo stesso a camminare. La manovalanza non mancherà mai, se si continua a perseguire il modello attuale di gestione dei flussi migratori.
L’operazione strade sicure. In che consiste?
La richiesta di intervento dell’esercito, dopo avermi sdubbiato, mi ha incuriosito e così sono andato a vedere in cosa consiste l’operazione strade sicure, che il sindaco di Trento vorrebbe adottare anche nella sua città.
Infatti l’esercito è presente talvolta in alcune città ed in alcuni punti sensibili, tipo monumenti simbolici per ragioni di antiterrorismo (la torre di Pisa, il Colosseo, ecc.) oppure in alcuni eventi importanti (Expo, Giubileo, ecc.) o in situazioni di emergenza (crollo del ponte Morandi, eruzione dell’Etna, ecc.) o, ancora, in contesti particolarmente complessi dal punto di vista ambientale o della salute pubblica (come nel caso della terra dei fuochi).
E in effetti, leggendo sul sito web dell’Esercito, si scopre proprio ciò.
Mobilitare l’esercito per un gruppetto di spacciatori mi pare, francamente, esagerato.
Ora, capisco che il sindaco deve dare risposte politiche ad una parte (consistente?) di cittadinanza che sogna la Trento che fu, ma da qui a militarizzare la città, ce ne passa.
Anzi, questa mi sembra proprio il tipo di politica di chi sceglie la via più semplice, di impatto mediatico, trattando ogni fenomeno (anche radicato) come se fosse un’emergenza, rimpallando le responsabilità sugli altri (se il progetto strade sicure non porta risultati, di chi sarà la colpa? Del Sindaco o del Ministero?). Una soluzione che non porterà ad alcun risultato, perché non lambisce nemmeno la radice del problema. Anzi, serve solo a fomentare odio sociale.
E’ solo questione di spaccio?
Dalla Portela ci passo spesso. Chiunque viva a Trento ci passa, per forza. Vuoi perché è vicina alla stazione, vuoi perché è una delle porte d’accesso al centro storico, vuoi perché lì ci sta uno snodo importante della città, il cavalcavia S. Lorenzo.
Una sera passeggiavo nei dintorni e c’erano alcuni ragazzi africani, seduti in terra, con la musica, che ballavano e si divertivano. Nulla di che. Scene che si vedono spesso in città.
Anzi, la loro ilarità era talmente coinvolgente da farmi fermare per osservarli.
Mi son solo ritrovato un ragazzo che si è avvicinato per chiedermi se volevo droghe. Gli ho detto di no e si è allontanato.
Ad un tratto è arrivata una camionetta dei carabinieri. Si ferma, scendono alcuni agenti per identificarli. Da lontano non sentivo cosa dicessero, ma pareva che li stessero invitando a smetterla e ad allontanarsi.
Perché? Cosa facevano di male? Nulla. Stavano solo degradando il decoro urbano.
I muri liberi per la street art, normalizzare il dissenso
Si sa, anche la street art è una forma di cultura. Di sottocultura, per la precisione. Nasce, come sappiamo, in contesti suburbani come forma di dissenso giovanile nei confronti, molto spesso, della bruttura degli agglomerati urbani periferici, esprimendo (cito wikipedia)
un messaggio diretto (politico, sociale, di rivolta) e non solo un valore estetico o l’affermazione di una identità.
Nel tempo anche quest’arte ha subito le influenze della cultura dominante, passando da un esternazione del disagio o del dissenso ad un’accettazione ed edulcorazione da parte della classe dominante, tanto da svuotarla di ogni significato politico.
Celebre è infatti la polemica sorta con Banksy per cui, per mettere in mostra i suoi murales, li volevano rimuovere dal contesto per museizzarli e renderli fruibili al pubblico, ossia commercializzarli, tanto che lui ha reagito distruggendoli.
A Trento si va oltre
Il comune ha predisposto, su alcune aree periferiche, dei muri liberi, in cui la street art è autorizzata.
Autorizzare la street art è un cortocircuito tutto borghese, che a Trento non stupisce, visto quello che è in grado di fare il Comune, ma che continua a generare in me una sorta di aberrazione.
Mi ricorda molto il tentativo, da parte del fascismo, di edulcorare il folklore, svuotandolo di tutti gli elementi di critica e di alternativa visione del mondo e riducendolo ad un’accozzaglia di usi e costumi ridicoli, grotteschi ed originali, ad uso e consumo dei borghesi di città, come fossero animali da circo da esporre alla comunità europea per dire: guardate quanto è bella e pittoresca l’italica gente contadina.
L’accostamento può sembrare forte, ma in realtà non lo è. Il punto essenziale è sempre lo stesso: svuotare di contenuto un comportamento collettivo perché, potenzialmente, capace di mettere in crisi la visione borghese dominante attraverso l’esternazione, artistica, della critica e di visioni diverse del mondo.
E così, anziché combatterlo, il potere borghese decide di masticarlo, ridurlo in poltiglia e risputarlo edulcorato e privato di ogni tentativo di creare massa critica.
E’, più o meno, quello che l’economia di mercato ha fatto di recente con il movimento di riscoperta delle tradizioni popolari (ne ho parlato qui) che, tra gli anni Ottanta e Duemila, iniziava un lento percorso di riannodo della memoria storica, ma stavolta in ottica di critica al fenomeno della globalizzazione, che gradualmente è stata, appunto, globalizzata e resa un prodotto commerciale dal mercato degli eventi. La Notte della Taranta in Salento è l’esempio più lampante del processo di mercificazione del folklore musicale.
Street art e nudge: rieducare anziché reprimere
Quella della street art autorizzata è una delle concrete realizzazioni del concetto di decoro urbano, che prendono in prestito la teoria dei nudge di Richard Thaler e Cass Sunstein e la applicano nel contesto urbano. I due autori definiscono i nudge come
ogni aspetto nell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici
In pratica il potere amministrativo prende due piccioni con una fava. Genera una politica produttiva di senso e, di conseguenza, una repressiva, visibile e non. Cioè ti sta dicendo: puoi imbrattare i muri, dipingerci ciò che vuoi, ma lo devi fare dove dico io. Non ti sto costringendo a farlo qui, ma te lo sto permettendo. Così, se lo fai altrove, diventi automaticamente un vandalo, un criminale e sei perseguibile per legge, ma anche socialmente (“ma come? con i muri liberi che hanno a disposizione imbrattano la città?” direbbero i borghesi urbani).
Se lo fai nelle aree autorizzate il tuo disagio o il tuo dissenso diventano comportamenti leciti e il messaggio che resta è puramente estetico, privato del valore politico o sociale. Perché diventa, appunto, autorizzato dal potere amministrativo. Qui la politica produttiva di senso ti incita a concentrarti più sul valore estetico che su quello politico ed il tuo dissenso viene annullato, con forme di repressione subdole ed invisibili.
Un bilancio conclusivo
Questo non è altro che un racconto. Un’esperienza personale con la città. Non ha mica la pretesa di essere una valutazione (tanto meno oggettiva) o un resoconto. E’ come la mia percezione, il mio vissuto, le mie esperienze pregresse sono entrate a contatto con quelle individuali e collettive di questa città. A volte scontrandosi, altre volte amalgamandosi, talvolta rifiutandosi a vicenda.
Ho cercato di evidenziare, nel racconto, i pro e i contro della mia esperienza a Trento tentando di mantenermi bilanciato, senza scendere in qualunquismi e luoghi comuni e senza arrivare all’ipercritica (anche se a volte ci starebbe).
Sotto certi versi (trasporti, mobilità, verde pubblico, ecc.) è un’ottima città in cui vivere, ma sotto altri (costo della vita, socialità, gentrificazione, ambiente, ecc.) diventa insostenibile.
Non uso il termine città ideale proprio perché non esistono città ideali. Esistono solo nei racconti mediati dalla cultura mercante in cui oggi siamo immersi, che edulcorano le descrizioni per creare una realtà patinata completamente diversa dalla realtà reale.
Inoltre l’accentuata esigenza di predisporre politiche del decoro, soffocando impercettibilmente ma visibilmente le libere espressioni individuali e collettive, mi è parsa davvero troppa.
Cito Wolf Bukowski (qui l’intervista):
la libertà di una società si misura sulla capacità degli ambiti collettivi di mantenere una certa autonomia rispetto alle pretese della legge (…)
Nel regime decoroso e “sicuro” tutto è regolato, e quindi tutto è messo a preventivo, e quindi, in qualche misura, tutto è come già accaduto, non potendo essere diverso da come già è. Non è solo il decoro ovviamente a produrre questa ecatombe del reale, ma anche la digitalizzazione dell’esistente che, trasformando ogni cosa in dati, dovendo per sua natura stessa trasformare ogni cosa in dati e quindi in previsioni, non tollera l’alea e le sfrangiature dell’umano. Nel contesto urbano questo duplice fenomeno (decoro e sicurezza più digitalizzazione) assume la forma della sorveglianza, sia della sorveglianza delle istituzioni sui cittadini, sia di quella reciproca, orizzontale, tra cittadini.
E’ pressappoco la sensazione che ho avuto vivendo in questa città, dove tutto dev’essere perfetto, decoroso, curato, anche a costo di sorvegliare e punire (cito Foucault) tramite complessi sistemi di sorveglianza (non solo video, non solo dal Comune, ma anche orizzontali) e marginalizzare ogni forma di dissenso, con politiche subdole e, perciò, incontestabili, inafferrabili.
Un altro aspetto che mi ha lasciato perplesso è la problematica ambientale. Sia chiaro, ogni città ha i suoi problemi ambientali. Siamo tutti vittime del credo neoliberista, che sfrutta risorse naturali (e umane) e scarica le responsabilità verso il basso (secondo il dogma privatizzare i profitti, socializzare le perdite), ma questa città appare anestetizzata da un racconto di sé stessa che, più volte ribadito, pare crederci a fondo. Un po’ come raccontato nel film Matrix, dove chi viene liberato, stenta a riconoscere la realtà reale, preferendo rifugiarsi in quella virtuale, seppur ora sa che non è vera.
Un’anestesia collettiva che impedisce di vedere la realtà per com’è e, quindi, correggere le storture, correre ai ripari: corsi d’acqua sempre più inquinati, progetti che intendono bucare montagne e sottosuolo, mettendo la pietra tombale su quelli ancora sani, modelli di produzione agricola insostenibili, che producono aria e frutta avvelenata, boschi che cedono il passo a vigneti, animali selvatici che si tenta di sterminare per ribadire l’antropocentrismo, montagna ripetutamente stuprata e trattata come un parco giochi. Insomma, una realtà non proprio rosea, almeno fin quando non passerà l’effetto anestetico.