Caso Diciotti: ci sono reati buoni e reati cattivi?

nave diciotti

Caso Diciotti. La responsabilità penale può avere varie gradazioni di disvalore sociale? Certamente può avere varie gradazioni in rapporto alla colpevolezza (dolo, colpa, ecc.) o alla gravità del fatto (con tutte le attenuanti o le aggravanti del caso), ma ha una gradazione in relazione alla sua stessa esistenza in vita? E se la Costituzione prevede che … Leggi tutto

Lino Banfi all’UNESCO!

Lino Banfi UNESCO.

Lino Banfi è stato nominato dal Governo italiano come membro del Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO.

Come stabilito dal Decreto n. 4195 del 24 maggio 2007, i membri vengono scelti discrezionalmente dai vari Ministeri nonché dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e da Camera e Senato.

Dato il ruolo importante che ha la commissione nella salvaguardia, valorizzazione e promozione del Patrimonio Culturale e Scientifico italiano, i membri vengono solitamente scelti per alti meriti e riconoscimenti nel campo culturale e scientifico.

La Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, difatti, istituita nel 1950, ha lo scopo di favorire la promozione, il collegamento, l’informazione, la consultazione e l’ esecuzione dei programmi UNESCO in Italia.

Cosa fa l’UNESCO?

UNESCO logo

In breve ecco cosa fa l’UNESCO:

  • promuove l’educazione e l’accesso ad un’istruzione di qualità come diritto umano fondamentale e come requisito essenziale per lo sviluppo della personalità;
    Costruisce la comprensione interculturale anche attraverso la protezione e la salvaguardia dei siti di eccezionale valore e bellezza iscritti nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità;
  • Persegue la cooperazione scientifica per rafforzare i legami tra le nazioni e le società al fine di monitorare e prevenire le catastrofi ambientali e gestire le risorse idriche del pianeta;
  • Protegge la libertà di espressione come condizione essenziale per garantire la democrazia, lo sviluppo e la tutela della dignità umana.

Negli anni l’UNESCO ha dato vita a numerose convenzioni che si sono rivelate utili nella tutela del Patrimonio Culturale globale e nella salvaguardia della diversità culturale, materiale e immateriale. Basti ricordare le numerose Convenzioni che si sono susseguite dal 1954 ad oggi e che si trovano qui.

Dato dunque il ruolo delicato e tecnico che ha la Commissione e data la profonda preparazione culturale e politica dell’attuale classe governante, non stupisce la nomina di Lino Banfi, il quale certamente è un esponente altissimo della Cultura commediografica sexy degli anni ’70 e per chi è laureato all’Università della Vita è chiaramente un punto di riferimento indiscutibile.

Il programma di Lino Banfi all’UNESCO

Detto ciò sono riuscito ad ottenere la bozza del programma che Lino Banfi attuerà presso l’UNESCO e ve la posto in anteprima.

lino_banfi_unesco

  • Aggiornare la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale aggiungendo tutta la cinematografia sexy degli anni ’70, quale elemento imprescindibile per la formazione delle nuove generazioni;
  • Diffondere la cultura di “La soldatessa alle grandi manovre” presso ogni apparato militare internazionale;
  • Diffondere la cultura di “La liceale seduce i professori” e “la ripetente fa l’occhietto al preside” presso ogni istituto scolastico di ordine e grado;
  • Sostituire la dieta mediterranea (Patrimonio Unesco dal 2013) con la più salubre dieta composta da “Spaghetti a mezzanotte” e “Cornetti alla crema”;
  • Proporre l’inserimento nella World Heritage List dell’UNESCO i seguenti elementi culturali materiali: “Bar dello Sport” e “Grandi Magazzini”, in quanto elementi simbolici principali dell’attuale assetto culturale italiano;
  • Aggiungere all’elenco del Patrimonio Immateriale termini quali “madonnasantissimadell’incoroneta” e “occhi malocchio prezzemolo e finocchio” quali espressioni che le comunità, i gruppi e gli individui italici riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale;
  • Inserire nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità Andria e Pomigliano d’Arco (ad adiuvandum) in quanto culla delle più alte espressioni politiche e culturali che l’Italia offre ai nostri giorni.
  • Sostituire tutte le formule scientifiche attualmente adottate dalla Comunità scientifica internazionale con questa formula: “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ego me baptizzo contro il malocchio. [sputare nella vasca] E con il peperoncino e un po’ d’insaléta ti protegge la Madonna dell’Incoronéta; con l’olio, il sale, e l’aceto ti protegge la Madonna dello Sterpeto; corrrrrno di bue, latte screméto, proteggi questa chésa dall’innominéto.”

La realizzazione del programma di Banfi porterà sicuramente lustro all’Italia, che diverrà presto un faro per la Civiltà Occidentale quale espressione di superamento degli stantii e logori concetti scientifici e culturali ormai superati. Perché la Scienza e la Cultura sono cose noiose, mentre Banfi porterà alla Comunità internazionale un nuovo paradigma.

Certo vien da chiedersi come mai Lino Banfi nel 2013 dichiarò di voler votare per sempre Berlusconi “anche se uccide 122 persone” (ma pure Renzi andava bene) e oggi si dichiara grillino. Beh, come direbbe lui stesso “che chezzo me ne frega a me!”

Art. 7 del DL Fiscale e ASD

ASD Monviso-Venezia

In queste concitate ore la Lega ha finalmente trovato un accordo con il M5S in tema di condoni. Come ha osservato il Presidente Conte, si è trattato di un ravvedimento operoso nei confronti di una bozza di Decreto che regalava molte concessioni ad evasori fiscali e, probabilmente, anche alla criminalità organizzata. Tutto ciò fino a … Leggi tutto

Assemblea PD. Renzi e l’egemonia che si perde in 2 mesi.

Renzi Assemblea PD

Breve analisi dell’intervento di Matteo Renzi nell’Assemblea PD e di come per lui l’egemonia sia una cosa che si perde in due mesi.

Ho avuto modo di seguire buona parte degli interventi dell’Assemblea Nazionale del PD, incluso quello di Matteo Renzi.

Dalle mie parti c’è un proverbio che recita: “quannu lu ciucciu nu bole cu ‘mbie magari ca fischi!”, che, tradotto, significa: “quando l’asino non vuole bere è inutile fischiare”.

Per me rappresenta un po’ la sintesi di quanto è avvenuto in seno all’assemblea, dove sono stati tanti gli interventi critici, lucidi e ponderati, volti a riflettere sulle debolezze del partito e sulle possibili soluzioni per la sua ripresa, ma dove buona parte della platea ha accolto con freddezzadistacco le critiche e le proposte mentre ha applaudito con ovazioni da stadio l’intervento (a tratti banale ed eccessivamente egocentrico) dell’ex premier Matteo Renzi. Se il PD non vuole bere, è inutile fischiare!

Il discorso di Renzi all’Assemblea PD

Renzi, nel suo discorso, si è attribuito vaghe e indefinite responsabilità nel fallimento del suo partito, ma in sostanza ha dato la colpa ad altri aspetti: la scarsa presenza sui social da parte del PD, i toni troppo sobri in campagna elettorale, la mancanza di coraggio nel prendere decisioni sullo Ius Soli e sull’abolizione dei vitalizi nonché il non aver rinnovato la classe dirigente al Sud. Ha anche attribuito grandi responsabilità alla minoranza del partito, che, a suo dire, gli ha remato contro.
Il discorso di Renzi, sin dall’inizio, trasudava ego da tutti i pori, arrivando anche a dire che mai, nella storia, un partito come il suo è stato tanto egemone da conquistare addirittura 17 regioni su 20 e il 41% dei consensi.

“Nessun partito ha mai avuto il potere che abbiamo avuto noi in questi anni in Italia”.

Questo lo diceva con una punta d’orgoglio e con enfatico entusiasmo, come a voler dire che è grazie a lui che il PD, negli anni scorsi, è stato egemone. La realtà però è sotto gli occhi di tutti e si dev’essere davvero ingenui a pensare che l’attuale situazione in cui si trova il PD è figlia del contingente e non, invece, di una lenta erosione, che trova le sue origini in un lontano passato ma inizia ad essere percettibile proprio nel periodo in cui il PD, in preda alla crisi dei partiti e alla nascita dell’antipolitica, viveva i suoi più gravi momenti di debolezza.
Fu in quel periodo che Renzi, forte del suo processo di rottamazione (grottescamente figlio anch’esso dell’antipolitica) imponeva la sua egemonia all’interno del partito, credendo ingenuamente che la sua egemonia tra le mura del PD s’instillasse in tutta Italia e plasmasse le coscienze di quella popolazione che credeva di poter modellare con i suoi discorsi unti all’olio di oliva.

“Per quattro anni il PD è stato l’argine del populismo in Italia. E se non avessimo fatto quello che abbiamo fatto nel 2014 l’ondata populista ci avrebbe sommersi”.

Anche questa frase trasuda tracotanza, dimostrando di non aver compreso che, invece, quei quattro anni sono serviti ad alimentare la demagogia dei suoi avversari in Italia e hanno contribuito a creare lo scollamento tra la sinistra nominalistica (il PD) e la popolazione che, poi, si è palesato alle ultime elezioni. In quei quattro anni il M5S ha rafforzato la sua presenza in rete e nei territori e la Lega ha dato maggior potere e struttura alle sue sedi territoriali e maggiore visibilità al suo leader, che incessantemente ha divulgato la sua linea politica girando in lungo e in largo per l’Italia e usando sapientemente i mezzi d’informazione.

Renzi e l’egemonia persa in due mesi

“Noi l’egemonia l’abbiamo persa tra maggio e giugno 2017, dopo le primarie”.

Questa frase, secondo me, rappresenta la summa dell’inadeguatezza renziana.
Come se l’egemonia fosse un abito che s’indossa e si dismette dall’oggi al domani. L’egemonia è un sistema di comando e controllo, culturale e politico, che si costruisce nel tempo e nel tempo si perde e che ha bisogno di un riscontro reale e di una sovrastruttura ideologica, creata dalla classe politica dominante per mezzo della propaganda ma soprattutto da quelli che Gramsci definiva intellettuali organici, cioè quegli intellettuali che difendono e rafforzano il potere della classe politica dominante.
Renzi non si è ancora reso conto che il PD ha perso la sua egemonia già molto prima della sua scalata politica e che i segnali – deboli ma inequivocabili – erano palesi già da diversi anni, più o meno dagli anni della rottamazione e dello sviluppo dell’antipolitica.

Perché se n’è accorto solo ora? Perché nella sua analisi politica ha tenuto presente solo i risultati delle elezioni scorse, non considerando che in un sistema bipolare, fino all’avvento del M5S e fino alla conclusione dell’opera di rafforzamento della Lega da parte di Salvini, non esistevano alternative valide al PD.

Per lungo tempo votare il meno peggio era una sorta di costrizione ideologica da parte dell’elettorato più riflessivo, mentre s’allargava sempre più la platea dell’astensionismo.

Del resto, negli anni scorsi, con un Centro-Destra frammentato dalle beghe interne e da diverse scissioni, il PD aveva vita facile, anche se il partito fino ad allora dominante era il partito dell’astensionismo. Oggi l’astensionismo ha lasciato il passo al M5S e alla Lega.

Come dimenticare le elezioni regionali in Emilia Romagna nel 2013 dove l’affluenza fu solo del 37%? Renzi allora cantò vittoria, ma ottenere il 49% del 37% degli aventi diritto al voto non può essere considerata una vittoria. Formalmente lo è, ma politicamente è una pesantissima sconfitta.
Quindi un Renzi che ritiene che il PD abbia perso la sua egemonia in un paio di mesi è un personaggio che le analisi proprio non le sa fare, offuscato com’è dalla sua immagine (tutta personale) di grande statista e grande comunicatore.

Il M5S

A proposito di analisi, vorrei soffermarmi un attimo su un altro punto del suo discorso, cioè quello in cui considera il M5S “la vecchia destra” (con tanto di applausi) e, addirittura, “una corrente della Lega”.
Ora vorrei fare un’ovvia considerazione, ossia che il M5S, attualmente, non rappresenta ideologicamente né una destra né una sinistra ma è interclassista esattamente come la popolazione che rappresenta.

Nel momento in cui si ricostruirà un fondo di coscienza tra i poveri, i precari e gli sfruttati in genere (che in Italia sono la maggior parte, più di quanto l’ISTAT evidenzia) nonché un terreno culturale in cui far crescere la propria consapevolezza e, soprattutto, quando si porrà un freno al dilagare di quell’analfabetismo funzionale che, invece, è il terreno ideale in cui proliferano i nazionalismi e le demagogie più becere, forse solo allora si potrà tornare a parlare di sinistra e, di conseguenza, di destra come antitesi ai valori dell’equità e della giustizia sociale.
Questa è un’operazione che spetterebbe a quegli intellettuali organici che, invece, oggi sono tutti preda del radicalismo fricchettone qualunquista, per cui si riempiono la bocca di concetti come umanità e accoglienza nei confronti dei fenomeni migratori (senza curarsi di interrogarsi sulle cause e gli effetti) e ignorano volutamente l’opinione pubblica bollandola come ignorante, xenofoba e razzista. Insomma, gli intellettuali di oggi non fanno altro che alimentare il nazionalismo e allontanare la gente comune dalla ragionevolezza politica.

Quindi da un lato gli intellettuali hanno smarrito la propria funzione e dall’altro lato uno come Renzi liquida subito il fenomeno 5 Stelle come un movimento di destra, senza curarsi di ragionare sulla sua composizione così multiforme, liquida e orizzontale e sulle cause che hanno spinto un movimento così scoordinato e di recente costituzione a diventare la prima forza politica in Italia.
In altre parole, invece che scusarsi davanti alla platea per aver fatto perdere al PD la sua egemonia culturale (che, però, come detto, in realtà hanno perso da molto tempo) e per non essere stato capace di gestire il malessere di una popolazione che ha dato la responsabilità ai fenomeni migratori (quando, invece, la responsabilità è di un sistema economico-finanziario malato e volto a creare disuguaglianze), ha liquidato subito il consenso del M5S come qualcosa di destra.

Mai un cenno al fatto che la gente guarda al PD come al partito delle banche e quindi, di fatto, colpevole di essere uno strumento nelle mani del capitalismo finanziario globale; mai una critica ad un partito la cui linea politica è centralizzata e in mano a poche persone e in cui le periferie non contano granché. Niente. Nessuna critica, solo pura esaltazione contornata da vaghe ammissioni di responsabilità senza però alcun concreto effetto sulla futura linea di governo del partito. Del resto la riconferma di Martina a Segretario ne è la prova più evidente.

Le critiche

Andando a vedere gli altri interventi s’intravedono, infatti, alcune precise critiche nei confronti di un partito ormai congelato e incapace di analizzare la realtà socio-economica e di intraprendere il giusto percorso per correggere le storture di un capitalismo finanziario che sta producendo gravi danni alle economie e alla tenuta sociale degli Stati in cui ha avuto libero accesso e legittimazione politica. Altre critiche più puntuali hanno messo in luce lo scarso coinvolgimento della base da parte del partito e, soprattutto, il fatto che i circoli del PD non hanno alcun ruolo nel definirne la linea politica. Ragionamenti puntuali che mettono in rilievo il distacco del partito dai territori che, invece, dovrebbero rappresentarne la linfa vitale e il termometro politico.

Eppure queste critiche sono state accolte dalla platea con freddezza e un certo distacco.

Già, perché l’Assemblea PD è il prolungamento del suo vertice e ne rappresenta solo il contorno scenografico grazie al quale dimostrare davanti all’opinione pubblica che il PD è un partito democratico, in cui si discute e si detta insieme la linea politica. Nella realtà, però, non è così. La discussione c’è, ma l’egemonia di Renzi e del vertice (Martina, Orfini, ecc.) è tale che la discussione assume solo un ruolo formale. Le decisioni vengono prese da pochi e il resto del partito non conta.
Conterà solo alle primarie, quando si deciderà chi sarà il nuovo Segretario. Nemmeno il Congresso conterà molto. E poi la decisione di fare il Congresso e le primarie a ridosso delle elezioni europee del 2019 fa capire che alla Segreteria del PD non interessa conoscere l’opinione dei suoi iscritti e rimettere in piedi il partito, ma solo assicurarsi una riconferma dell’attuale vertice in prossimità delle elezioni europee. Il tempo sarà così breve che, giocoforza, si riconfermeranno le stesse persone.

E’ ovvio che con questi presupposti il PD non vedrà alcuna risalita e, anzi, continuerà a perdere consensi. Perché il consenso è figlio dell’egemonia, quella cosa che non si perde né si acquista in un paio di mesi o in congressi-farsa a ridosso delle elezioni.

Ecco perché Salvini è il politico più capace

salvini e fedriga

Il risultato elettorale in Friuli, che vede Massimiliano Fedriga con il 57% delle preferenze, non ci stupisce affatto. E non stupisce nemmeno il crollo del Movimento 5 Stelle che ha perso, in Friuli, quasi 15 punti percentuale rispetto alle scorse politiche. Non stupisce non perché, come qualcuno dice, ormai il M5S ha perso appeal tra l’elettorato. No, affatto. Il motivo è, banalmente quanto squisitamente, dipendente dall’ambito geografico, dal bacino elettorale nonché dal tipo di legge elettorale, ma soprattutto dal candidato, Fedriga, che rispecchia perfettamente la filosofia di fondo della Lega Nord di Salvini e ne ha assunto la capacità di linguaggio divulgativo e la lucida analisi della complessa (seppur schematicamente semplice) congerie culturale italiana d’oggi giorno.

E’ da questa capacità di analisi che parte il mio apprezzamento nei confronti di Matteo Salvini come figura politica e di tutti gli altri esponenti della Lega che, in questi anni, hanno saputo perfettamente leggere la realtà e trasformarla in slogan politici d’alto impatto. Sicuramente molti dei miei (pochi) lettori a questo punto staranno storcendo il naso oppure avranno già abbandonato la lettura. Poco importa. Chi avrà l’ardire di continuare capirà che personalmente non stimo né Salvini né la Lega Nord, che non li ho votati né credo che lo farei e, soprattutto, che la figura del politico che sa interpretare la realtà è molto distante dalla figura del politico che amministra un Paese. Da qui ne discende che occorre tener ben distinti i ruoli: non sempre la figura del politico analista e divulgatore coincide con la figura del politico amministratore. Quando avviene siamo di fronte allo Statista. Ma attualmente non credo ci siano figure tanto autorevoli nel panorama politico italiano.

Detto ciò e augurandomi di aver saputo comunicare la distinzione tra i due ruoli, non posso esimermi dal considerare Salvini un attento analista della realtà attuale. Chiunque voglia sconfiggerlo sul piano dialettico o affrontare l’ondata d’urto che la Lega prima o poi porterà nel tessuto sociale italiano dovrà anzitutto non minimizzare né demonizzare l’operato di Salvini, altrimenti ne uscirebbe sconfitto. Chi gli dà del fascista o del populista commette un ingenuo errore di valutazione.

Fermiamoci un attimo ad osservare com’è cambiata la realtà negli ultimi 40 anni.

Il mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà … tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento. Così commentava Paolo VI già nel 1974 e, in una lucida analisi della realtà, si rendeva conto di come la Chiesa, ferma e rigida nei suoi immutabili dogmi, si allontanava sempre più dai propri fedeli, ormai ammaliati dai richiami edonistici del consumismo e chiusi nel proprio individualismo feroce. Sono proprio queste le chiavi di lettura che ci possono portare a scandagliare la realtà attuale e a capirne l’intima essenza: consumismo e individualismo. Il primo, giunto ormai a maturazione e figlio legittimo del pensiero unico capitalista, è la religione di tutte le religioni, è il mostro sacro per cui sono sparite – nel giro di 40 anni – intere civiltà. La Civiltà contadina, con i suoi miti e le sue regole sociali attentamente analizzati da De Martino, è stata sepolta e dalle sue ceneri è sorta un’Araba Fenice composta da un nuovo modello comportamentale: la divinazione del consumo.

L’individualismo, invece, che vede l’essere umano come monade isolata e come destinatario unico degli interessi della società del consumo, ha soppiantato le rigide e classiche forme sociali: la Civiltà contadina, come ho detto, è morta, com’è anche stata annichilita la borghesia, il ceto medio. Le classi sociali storicamente ben irreggimentate nelle loro concezioni della vita e della storia sono scomparse e al loro posto ha prevalso l’Ego. E’ chiaro che in questa liquidità della società (per usare un termine baumiano) è facile adeguarsi al conformismo di matrice capitalista, mosso dai costumi calati dall’alto, da efficaci quanto suadenti strategie di marketing (tradizionali e digitali) e improntato sulla regola aurea che muove ormai il mondo: vendere. In questo contesto la televisione, il mondo della musica, della cinematografia, i big della rete (Facebook e Google in primis che possono vantare anche l’arma della profilazione) persino lo sport sono fautori della religione delle religioni, in quanto propongono, anzi, persuadono gli utenti (non più persone) a fare del consumo un modello di vita. Da ciò ne discende che i comportamenti collettivi di massa altro non sono che forme nuove di interclassismo.

Apro una breve parentesi per spiegare meglio il concetto. Non è un caso che l’UNESCO, in questi ultimi 30 anni, abbia lanciato numerosi allarmi circa la scomparsa delle diversità culturali, ritenendo che la globalizzazione abbia disgregato il complesso coacervo culturale mondiale. La diversità culturale, minacciata dalla globalizzazione, è importante per l’Umanità quanto la biodiversità è importante in Natura. L’omologazione dei consumi, quindi, annienta le diversità e depaupera i gruppi sociali dei propri valori di riferimento, delle proprie millenarie credenze, dei miti e riti stratificati e trasmessi oralmente, delle convinzioni, della propria visione del mondo.

Inoltre non è un caso che Facebook, periodicamente, effettui esperimenti sociali per capire quante persone si conformano ad un certo richiamo. L’ho spiegato in quest’articolo. Questo lo fa periodicamente e in occasione di grandi eventi o eventi straordinari per capire quanto siano efficaci e pregnanti le proprie strategie ed, eventualmente, nell’ottica del miglioramento continuo, per modificarne i parametri.

La nuova cultura interclassista – o liquida sempre usando l’intuizione geniale di Bauman – si è quindi ormai imperniata sul modello consumista, tanto da aver naturalmente abiurato tutte le forme sociali del passato. In altre parole ha scelto il benessere, la qualità di vita migliore, l’automobile, il telefonino, il week-end al mare, i viaggi, la sicurezza del proprio patrimonio e della propria casa, insomma, il proprio modello di vita che potremmo definire liberal-consumistico. Che differenza c’è tra chi ha i mezzi per poter avere una vita agiata e chi invece non li ha? Una volta questo era un elemento del conflitto di classe, oggi invece il conflitto è sparito ed è stato soppiantato dal sogno di ottenere quei mezzi, a tutti i costi. Non più dal lavoro (non c’è) né dal sacrificio né tantomeno dal merito. Il merito viene allineato da una scuola nozionistica, in continua riforma (verso il basso) e con docenti svogliati, impreparati e impauriti, il sacrificio (o, come si diceva in passato, la gavetta) viene confuso con lo sfruttamento (e spesso mischiato) e il conflitto non può esistere se non esistono due (o più) classi con visioni diverse del mondo e della storia. Ecco che, magicamente, si spiega il perché l’unico Dio per tanti è il sogno di vincere al gratta e vinci o al superenalotto o perché tanti figli uccidono i propri genitori per ottenerne l’eredità o, peggio, qualche spicciolo oppure perché molti preferiscono lo spaccio, attività più redditizia del lavoro. Non è certo questa l’unica spiegazione, ma va vista come una chiave di lettura.

Ecco perché, infine, per molti (è inutile nascondersi dietro un dito) il reddito di cittadinanza, o d’inclusione o comunque lo si voglia chiamare, è il leit-motiv che spinge a votare, per raggiungere il tanto sognato benessere.

Cosa c’entra tutto questo con Salvini?

C’è da chiedersi come abbia fatto un personaggio a portare un partito prettamente territorialista, fermo al 4%, ad un partito ormai di fatto nazionalista che vanta il 18% di consensi, con un buon bacino elettorale persino al Sud. La risposta appare semplice quanto scontata. Ha saputo anzitutto dialogare con la gente, sia al Nord che al Sud e ha capito che le distinzioni di classe o le distinzioni territoriali sono ormai dei meri sfottò privi di qualsiasi substrato culturale, quindi è riuscito – in pochi anni – ad entrare nella pancia delle persone parlando un linguaggio comune e intercettando i desideri e le paure della gente.

Ammettiamolo pure candidamente. E’ stato l’unico, oggi, a capire che le distinzioni tra fascismo e comunismo sono ormai evidenti solo sul piano letterale e in nostalgici e sbiaditi ricordi della storia e che anch’esse si sono liquefatte e mischiate nella realtà di tutti i giorni.

Tutti sappiamo che, statisticamente, i reati commessi da italiani sono di gran lunga superiori ai reati commessi da stranieri, eppur nessuno può obiettare che la lotta all’immigrazione sia uno dei capisaldi della Lega e sia generalmente sentita come una necessità da parte di larghe fette della popolazione.

Nella storia abbiamo sempre assistito a scontri sociali. La comunità diventa compatta e coesa quando ha un nemico comune. Dai vecchi campanilismi (le lotte tra paesi) tipiche del Medioevo (e che ci siamo portati finora come retaggio) alle lotte di classe di Sessantottiana memoria, fino a giungere agli scontri Nord-Sud, nella dialettica politica degli anni Ottanta e Novanta, oggi, con una società interclassista, il nemico da combattere viene dal mare, ha un colore di pelle diverso, parla una lingua diversa e, preso dalla disperazione e dalla dicotomia tra la cultura d’appartenenza e il nuovo modello sociale d’approdo, fa – statisticamente in misura inferiore – quello che farebbe un qualsiasi ragazzo italiano alla ricerca disperata di soldi: delinque. Ne ho parlato brevemente in un vecchio articolo sullo Ius Soli.

Individuare un nemico comune, parlare un linguaggio semplice e comprensibile, stare tra la gente e capirne bisogni e desideri, questo è ciò che Salvini ha fatto, in modo talmente semplice da essere rivoluzionario. Perché mentre gli altri partiti (e persino la Chiesa, fino al 2013) ancora non avevano ben chiara la portata rivoluzionaria del modello capitalista, che ha sfalciato via le classi sociali, la Lega di Salvini, con un certosino lavoro sui territori, ha ben capito tutto ciò e l’ha tradotto in propaganda politica.

Da parte sua anche il Movimento 5 Stelle ha fatto altrettanto, solo con un grossolano errore di valutazione: non ha dato importanza alle istanze dei territori, si è affidata quasi esclusivamente alla rete come termometro sociale, quando invece la rete spesso si è dimostrata fuorviante per capire i bisogni e i desideri della gente. Le sedi territoriali della Lega, invece, a differenza dei MeetUp dei 5 Stelle, hanno rappresentato il vero termometro sociale grazie al quale Salvini ha ottenuto quei dati che, come dicono tutti gli esperti di marketing digitale, rappresentano l’unico vero strumento per operare precise strategie di marketing. E la Lega, anche rispetto al M5S, ha saputo leggere e interpretare i dati per poi offrire alla gente un prodotto appetibile e altamente profilato.

Ora vedremo se la Lega avrà (prima o poi) le stesse capacità nel gestire le Istituzioni in cui siederà. Ad ogni modo mi auguro che questo contributo non sia preso come un mero elogio alla Lega ma per quello che è: l’analisi di chi le analisi le sa fare.

M5S e Quinto Potere. Analogie e confronti

quinto potere

Non so se Luigi Di Maio abbia ricevuto, in questi giorni, qualche telefonata da parte di Angela Merkel o di altri big reggenti dell’Unione Europea, un po’ come accadde a Napolitano quando cacciò letteralmente Silvio Berlusconi dal Governo, perché inviso in Europa, e piazzò un più europeista Mario Monti. Non ci è dato saperlo.

Ma se raffrontiamo le dichiarazioni del M5S (in primis di Di Maio) prima e dopo la campagna elettorale, scopriamo con facilità come siano agevolmente passati da essere un Movimento antisistema a un vero e proprio Partito di Governo di andreottiana memoria (mutuandone i sistemi e non l’astuzia politica).

Vorrei tanto sapere cosa ne pensa la base del M5S del possibile accordo tra M5S e PD per un governo d’intesa dopo che, per anni, i pidioti (come sono stati bollati sempre dal M5S) sono stati accusati di tramare nei palazzi a discapito dei poveri italiani.

Oggi non si parla più di trame o di inciuci, ma di accordi per governare e fare il bene degli italiani (parole di Di Maio). Vieppiù che ai vertici del M5S non importa tanto con chi si farà il Governo, se con la Lega o con il PD, importano solo due cose: che Di Maio diventi Premier e che si portino nell’Agenda politica interna ed europea i temi e le proposte voluti dal M5S, in particolare il reddito di cittadinanza. Con quali coperture finanziarie non si sa ancora e soprattutto con quali aspettative, dato che in Europa hanno velatamente fatto sapere all’Italia che i tempi della flessibilità stanno finendo e che si tornerà a breve a chiudere i rubinetti e a rimettere in riga l’andamento del debito pubblico. In altre parole, dopo una breve parentesi di illusa ripresa economica, stiamo per tornare ai regimi del fiscal compact, con tutto ciò che ne consegue.

In questo desolante quadro in cui il M5S cerca disperatamente un partner improvvisato per condividere forzosamente lo stesso tetto, non importa se bianco o nero, simpatico o antipatico, l’importante è che la poltrona di casa sia usata solo da lui, l’unico personaggio che sta dimostrando di avere senso delle Istituzioni e senso di responsabilità è quello che – toh – è stato sempre beffeggiato dalla base del M5S, ossia Sergio Mattarella. Dalle consultazioni di questi giorni emerge un Presidente con nervi saldi e un’ottima capacità di analisi, per cui non è disposto a consegnare un Paese fragile e in piena crisi politica e d’identità ad un governo improvvisato in cui una parte fa la stampella e l’altra decide le regole del gioco. Se va fatto un governo d’intesa, ci dev’essere sintesi. Questo sembra pensare ogni giorno l’unico personaggio sano delle nostre martoriate istituzioni.

Quinto Potere

La nascita e l’attuale evoluzione istituzionalizzata del M5S e di Di Maio in particolare mi richiama alla mente un film del 1976 di Sidney Lumet, Quinto Potere. Per chi non l’avesse visto, il film racconta la storia di Howard Beale, un commentatore televisivo che viene licenziato in quanto l’indice di gradimento della sua trasmissione è sceso troppo. Beale, il giorno prima del licenziamento, annuncia il proprio suicidio in diretta, che avrà luogo, dice, a una settimana di distanza da quel momento. Durante quei giorni inizia a inveire contro il sistema, denunciando le ipocrisie della società e dei media e gridando in TV le sue teorie di stampo anarchico-rivoluzionario. Grazie a una giovane responsabile dei programmi d’intrattenimento della rete, Diana Christensen, Beale viene inserito in un nuovo programma di successo e di lì a poco diverrà il pazzo profeta dell’etere.

Gli ascolti aumentano e i ritorni economici iniziano a salire, finché, ad un certo punto, Beale riceve una chiamata dal presidente della rete, Arthur Jensen. Costui, in un lungo discorso, lo convince ad adeguarsi al potere e a propagandare la sottomissione al sistema. Beale si convincerà e inizierà a cambiare registro nei suoi spettacoli televisivi, fin quando lo share non calerà e finirà drammaticamente la sua esperienza di commentatore.

Per chi non lo sapesse, Quinto potere segue il celebre film di Orson Welles, Quarto potere. Quinto potere è incentrato sul potere dei media televisivi, mentre Quarto potere sulla stampa. Si chiamano così perché seguono la ripartizione democratica dei poteri: il primo potere è quello legislativo, il secondo è quello esecutivo e il terzo quello giudiziario. Ma secondo altre interpretazioni, seguirebbe la ripartizione classica: nobiltà (oggi alta borghesia), clero e borghesia.

Analogie e confronti con il M5S

Chi ha visto Quinto potere o ha capito qualcosa dalla breve trama e dai video postati avrà sicuramente colto le analogie con quanto accade oggi in Italia.

Il M5S, al pari di Howard Beale, è stato in grado di identificare il malessere della gente e di tradurlo in comunicazione mediatico-politica. Stando fuori dalle Istituzioni e dal sistema di potere, è facile farlo ed è facile ottenere consensi. Tuttavia, nel momento in cui varca la soglia del palazzo, entra in contatto con il sistema di potere e gli equilibri che lo compongono. E’ proprio in quel momento che bisogna dimostrare la propria destrezza politica e la profonda conoscenza degli ingranaggi che muovono il complesso sistema di potere interno, europeo e internazionale, con tutte le forme intermedie e al di fuori di esso (enti, gruppi d’interesse, associazioni di categoria, confederazioni, lobby economiche, ecc.). Passare da un giorno all’altro dall’antieuropeismo al dialogo con gli europeisti più colonizzatori (Macron e Merkel in primis) oppure rassicurare i mercati che l’Italia resterà fedele al patto con l’Europa e con la Nato (questo sì che è rivoluzionario!) vuol dire essere stato persuaso dal sistema di potere che lo circonda e che l’importante è ottenere la poltrona. In ultima analisi significa adeguarsi al potere e prospettare un’azione politica che hanno sempre criticato sin dalla nascita: il riformismo. Altro non potranno fare. Che differenza ci sarà con i Governi PD degli ultimi anni o con i governi della cosiddetta Seconda Repubblica? Dov’è l’indole rivoluzionaria del M5S?

Il ruolo di Beppe Grillo

Per concludere vorrei soffermarmi un attimo sul ruolo che ha avuto e che avrà Beppe Grillo, oggi che il suo Movimento (da cui è apparentemente uscito) sta varcando le soglie del potere. Prima della nascita del Movimento, durante i suoi spettacoli, si occupava di satira e quindi di critica del potere; durante la sua reggenza del Movimento, in cui i suoi erano seduti sui banchi dell’opposizione, si poteva ancora permettere di fare satira, ma la sua restava al confine tra la satira e la propaganda politica, dato che aveva interesse affinché il Movimento raccogliesse consensi. Oggi che sembra esserne uscito, sarà in grado di criticare il soggetto politico che ha creato oppure anche lui, come Howard Beale dopo l’incontro con Jensen, farà propaganda pro-sistema? Ai posteri, come si dice, l’ardua sentenza. Ma a noi contemporanei un dubbio sorge e la risposta ci pare quasi scontata.

Elezioni politiche 2018. Prima e dopo.

parlamento

Sono due le cose che ormai non ci stupiscono più in tema elettorale: le promesse puntualmente non mantenute e il ricambio di governo. Sul primo punto le varie liste che si presentano alla tornata elettorale si stanno sfidando a suon di soliti proclami: tasse da abbassare, pensioni da aumentare, ambiente da difendere, redditi da regalare.

Eh vabbè, ci siamo abituati. Un vecchio adagio dice: “prima delle elezioni promesse a milioni, dopo eletti, hai voglia se aspetti”. I proverbi, si sa, hanno sempre ragione.

Sul secondo punto sembra chiaro – anche se il dubbio è regola aurea – che a questo giro il PD, che ha perso qualche “pezzo grosso” confluito in “Liberi e Uguali” (e che se li tenessero pure), non ha grandi speranze di tornare al Governo, non almeno in questo cupo scenario sociale in cui ci stiamo gradualmente abituando a vivere, intriso di populismi e preda di estremismi più o meno lampanti e più o meno facilitati ad ottenere la scena mediatica, quindi, a quanto ne possiamo sapere basandoci sui sondaggi e su come tira l’aria, la partita si giocherà tra la coalizione di destra (composta da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia-Udc) e il Movimento 5 Stelle, i quali – nonostante le batoste prese di recente (in tema di rimborsi e con la vicenda dell’imprenditore Caiata), possono pur sempre contare su una base elettorale tutt’oggi inquantificabile, liquida e quindi idonea a rappresentare l’ago della bilancia di un movimento anch’esso liquido e senza una chiara e precisa ideologia politica. Se è vero che le destre ottengono consensi striscianti e invisibili è anche vero che il M5S conta sempre sulla fetta più importante dell’elettorato italiano: gli indecisi e i disillusi.

Ciò detto e fermamente convinto che il PD ha concluso la sua fase di governo e che la regola della turnazione può assurgere a legge naturale della res politica, resta da capire cos’è che promette sta gente all’elettorato.

I programmi dei partiti e le promesse elettorali

C’è un aspetto che è cambiato molto rispetto al vecchio modo di fare politica. Se prima i partiti, nel bene e nel male, avevano un’idea più o meno chiara dei propri obiettivi e quindi ragionavano in termini di rapporto tra ideologia, obiettivi e visione della cosa pubblica, i partiti di oggi, al contrario, non avendo una chiara ideologia né obiettivi a lungo termine, inseguono le esigenze dell’elettorato e, con il solo obiettivo di accalappiare quanti più voti possibile, si appiattiscono ideologicamente e finiscono per promettere tutti le stesse cose, pur se con linguaggi diversi. Inoltre, sempre a differenza del vecchio modo di fare politica, si finisce per promettere la luna senza però fare i conti con la realtà, ossia con la copertura finanziaria di ciò che si va a promettere. Tanto – penseranno loro – l’importante è promettere, non importa attuare.

Ma cosa promettono?

PD + altre liste minori

renzi

Il PD parte dal tema lavoro e promette un lavoro di qualità. Come, non si sa. Se il jobs act è l’embrione del concetto di “lavoro di qualità”, allora lo scarto tra promessa e realtà (il cui sinonimo sta qua) appare essere alquanto evidente. Chiaramente non può mancare la promessa della riduzione delle tasse per le famiglie e le imprese né l’immancabile aumento dell’indennità di accompagnamento per i non autosufficienti. Poi c’è il tema delle opere pubbliche, pallino fisso dell’ex premier Renzi, il quale si azzarda anche in un volo pindarico volto alla chiusura e riconversione delle centrali a carbone. Infine la promessa di aumentare il numero di ricercatori e stabilizzarli nonché quella dello ius soli, ma a determinate condizioni.

La destra

salvini

Qui si sono sbizzarriti assai. Poco c’è mancato che promettessero ricchi premi e cotillon e un viaggio gratis alle Maldive. In 11 pagine di programma elettorale ci troviamo di tutto: si va dall’aumento delle pensioni minime alle pensioni alle mamme, dal raddoppio dell’assegno minimo per le pensioni d’invalidità ad un piano straordinario di riqualificazione delle periferie, passando dagli asili nido gratuiti all’abolizione di bollo auto, delle tasse di successione e di equitalia. L’idea principale della destra è la flax tax, cioè una tassa unica su famiglie e imprese che Berlusconi vorrebbe al 23% e Salvini al 15%. Tuttavia nel programma non si fa riferimento a numeri o coperture finanziarie, rendendo il programma una mera promessa senza prospettive di attuazione. Sul piano sociale è immancabile la voce rimpatrio di tutti i clandestini e l’allargamento del concetto di legittima difesa, tema caro all’estrema destra e appoggiato da Berlusconi solo al fine di mantenere salda la coalizione.

Il M5S

di_maio

Partendo dall’assunto che l’Italia ha circa 200.000 leggi, quindi una giungla normativa, il M5S mette in programma l’abolizione delle leggi inutili, senza però specificare quali. Gli altri punti – ormai noti – sono il Reddito di cittadinanza e una nuova concezione di lavoro smart, mettendo al centro le nuove tecnologie e nuove forme di lavoro. Su questo versante il M5S parla di riforma dei centri per l’impiego e di riduzione dei cuneo fiscale e dell’Irap, tassa citata da tutti gli altri contendenti e di cui si parla, senza alcuna attuazione, sin dai tempi del compianto governo Prodi. Come ogni buon programma elettorale che si rispetti, anche il M5S parla di aumenti di personale (nelle forze dell’ordine, nelle commissioni locali per la gestione dei migranti, nella sanità pubblica e nell’istruzione, ecc.) e di tagli delle spese inutili. Tuttavia, come i loro concorrenti, nel programma non vengono indicate le misure necessarie per l’attuazione del programma.

Obiettivi chiari e misurabili

Chi mi legge e mastica un po’ di gestione aziendale o, più semplicemente, ha mai partecipato a un bando pubblico, conosce benissimo il concetto di obiettivo misurabile. Tu puoi promettere il mondo sulla carta, ma quando lo fai devi anche dare degli indicatori obiettivi grazie ai quali puoi misurare il tuo operato, controllarlo, agire e, all’occorrenza, correggere gli errori. Un programma elettorale non è un libro dei sogni, ma un piano a breve, medio e lungo termine, in cui si esplicitano gli obiettivi e si dice come e con quali mezzi s’intende raggiungerli. Se parlo di “tagliare le tasse”, devo poi spiegare come, con quali entrate o con quali altri tagli posso raggiungere quest’obiettivo. Poi i numeri possono anche essere sbagliati. E’ umano, è normale. Ma l’importante è indicarli. Nei programmi attualmente presentati non v’è traccia, se non qualcuna sporadica, ma buttata lì, quasi per caso.

Cosa succederà dopo?

Non è difficile immaginare cosa accadrà dopo le elezioni. Ma facciamo una proiezione.

Governo PD (poco probabile)

pd-logo-partito-democratico

Con Renzi premier l’Europa tira un sospiro di sollievo. Il PD attualmente è l’unico partito che può dare stabilità al paese. Ma a che prezzo? Al prezzo della svendita dell’Italia alle regole imposte da paesi forti come Francia e Germania, che – dopo aver spolpato la Grecia e imposto i propri diktat a Tsipras, ora contano di fare lo stesso con l’Italia. Quando nel 2011 cadde il governo Berlusconi, fu a causa delle pressioni che Francia e Germania fecero sull’Italia, in quanto l’inaffidabilità del premier pesava sulle rigide manovre imposte dai due governi in Europa. I mercati erano incerti e lo spread era incontrollabile, come le emorroidi della Merkel. Fu per questo che fu imposto a Napolitano di individuare un nuovo esecutivo. E la scelta cadde su Monti, con grande gioia dei galletti e dei crucchi.

Tuttavia la “svendita” dell’Italia, con un governo a timbro PD, è bilanciata dalla stabilità economica e da una crescita di un 0,001 punto percentuale che – alla lunga – potrebbe rendere ottimistici i mercati interni e internazionali. Insomma, un po’ come comprare a 100 e vendere a 10. Hai l’illusione di vendere, ma non guadagni. Però vendi. Comunque, sullo scenario politico attuale, è l’unico partito che ogni tanto dà qualche contentino alle aziende.

Governo delle destre (alta probabilità)

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Un governo a firma Berlusconi, Salvini e Meloni farebbe tremare l’Europa. I mercati subirebbero un colpo tremendo e la finanza europea brucerebbe in un solo giorno (il 5 marzo) qualche milione di euro. Gli investitori stranieri scapperebbero dall’Italia (il ché non è per forza un male) e tutto ciò peserebbe sui delicati rapporti europei ed internazionali. Il governo potrebbe durare dai 2 mesi ad un anno, poi i dissidi interni si paleserebbero in modo incontrovertibile e l’Europa ne approfitterebbe per spingere Mattarella a formare un nuovo esecutivo. Del resto una coalizione tenuta insieme con la sputazza non è il massimo per la stabilità del paese e per la credibilità internazionale.

Governo a 5 stelle (probabilità incerta)

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Loro rappresentano l’unica incognita nello scenario politico interno. L’unico paragone che si può fare – a livello di governo – è quello della città di Roma, ma non sarebbe sufficiente per esprimere un giudizio preventivo sull’operato di governo. Come accade con gli altri partiti, il programma non è idoneo per essere preso a modello del futuro operato, in quanto manca di indicatori chiari e misurabili nel breve e medio termine. Data l’inesperienza politica e una base liquida e multiforme, l’unico modo che hanno per sopravvivere al governo sarebbe quello di arroccarsi in un vertice forte e composto da persone preparate e capaci di mediare con l’opinione pubblica, le lobby, l’Europa e la comunità internazionale. Ne saranno capaci? Anche in questo caso la comunità europea e i mercati storcerebbero il naso e non è da escludersi il rischio di rimpasti e cadute del governo sia per dissidi interni che per mano estera.

In conclusione

Votare è un dovere ed è una conquista che sembra sbiadita, ma che ci è costata tanto sangue e dolore, quasi 70 anni fa. Ci sono anziani, ancora vivi, che ricordano i tempi in cui la democrazia sembrava un sogno. Il voto sembra una cosa inutile e ci sono tante persone che nemmeno 2 anni fa si lamentavano di non avere diritto al voto, quando Renzi diventò premier senza passare dal voto. Quanta gente gridò allo scandalo perché non gli fu concesso di votare? Oggi quella stessa gente propende per l’astensionismo e, stupidamente, rinnega quel diritto che poco tempo fa pretendeva. Quindi vai a votare. Lo so che è difficile scegliere, che qua si tratta di votare tra una peretta gigante o un panino alla merda. Ma vota. La scelta è sempre tra una peretta gigante e un panino alla merda.