Parliamo dei Curdi

curdi pkk

Perché è importante stare accanto ai curdi, perché bisogna chiedere di abbandonare la NATO e costringere le istituzioni italiane ed europee a mettere all’angolo Erdogan e prendere una posizione netta contro la vendita di armi in Turchia. Chi sono i curdi I curdi sono un’antichissima minoranza etnica (si ritiene esistente sin dal VII secolo d.C.) … Leggi tutto

Ecco perché i gilet gialli sono destinati a fallire

gilet gialli francia

Il titolo un po’ provocatorio parte da una semplice considerazione che mi auguro di poter meglio sviluppare nel prosieguo dell’articolo, e cioè che quella dei gilet gialli, in Francia, è una forma di lotta spontanea, seppur in nuce auto organizzata, frammentata e priva di sintesi politica, ossia di quell’agire politico la cui base si ritrova in un’idea di fondo (o ideologia, seppur questo termine oggi sia stato triturato e svuotato del succo del suo significato), in un’obiettivo (seppur ideale), nella disciplina politica e in un’organizzazione (seppur rudimentale) in grado di analizzare la realtà, farsi portavoce di una classe e fare sintesi tra le diverse ed eterogenee idee di fondo che animano il malcontento popolare.

Malcontento che è stato inizialmente banalizzato dall’establishment e minimizzato dai media, successivamente additato come ferocia violenta e ingiustificata e, solo oggi, analizzato per quello che è: l’espressione istintiva di una ribellione dovuta alle condizioni di disagio e ingiustizia sociale che ha costretto gli individui ad autoorganizzarsi e a scendere in piazza per esprimere la propria avversione ad un sistema tardo capitalista e neo liberale che, riducendo i diritti e le libertà sociali, ha prodotto nel concreto quella disuguaglianza di cui si parla ormai da decenni.

Il motivo della lotta dei gilet gialli

Il motivo per cui molti francesi delle periferie (con ciò intendendo tutte le realtà sociali lontane dalla civiltà cittadina) hanno deciso di scendere in piazza ogni sabato, ormai da diversi mesi, è, come risaputo, la svolta ambientalista di Macron, il quale ha deciso un aumento consistente dei prezzi del carburante motivando la scelta col fatto che solo una minuta percentuale di parigini utilizza l’auto per gli spostamenti, preferendo i mezzi pubblici. Ma i parigini non rappresentano la totalità dei francesi e in questa scelta l’esecutivo non ha considerato quella moltitudine di gente che vive nei centri minori, nelle campagne e che non ha la possibilità di spostarsi se non con l’auto.

Ma c’è altro

In realtà ad essere messa sotto accusa non è solo la scelta di aumentare il prezzo del carburante, bensì tutta la politica economico-sociale di Macron il quale ha accordato privilegi economici ai ceti più abbienti facendo ricadere i costi sulla collettività. Quindi le varie forme di defiscalizzazione, l’abolizione della patrimoniale, insieme all’abolizione della tassazione progressiva sui redditi e a consistenti sgravi fiscali alle aziende, unita ad una situazione di precarietà del lavoro e di riduzione dei servizi alla collettività (sanità, scuola, ecc.) ha scatenato le prevedibili proteste dal basso. Ecco perché la scelta di non aumentare il prezzo della benzina (accordata da Macron con la speranza di svilire la protesta) non ha sortito gli effetti voluti e, anzi, ha ottenuto l’effetto contrario.

La politica liberista di Macron e le proteste dei gilet gialli

Il punto è che Macron non riesce a comprendere le ragioni della protesta perché lui oggi rappresenta la personificazione di quel liberismo globalista e tardo capitalista che attraverso la politica amplia le libertà individuali (illudendoci di essere progressisti) ma esautora le libertà e i diritti sociali, che è incapace di comprendere le esigenze dei ceti meno abbienti e soprattutto che appiattisce i ceti, le classi, i gruppi e tende a formare masse indistinte di gente, consumiste e, dunque, destinatarie di merci da consumare.

Ecco perché la gente, formata nel gentismo indistinto, senza più alcuna rappresentanza politica e con esigenze ben diverse e più articolate rispetto alla vecchia classe proletaria, si ribella ma la sua ribellione è istintiva, non coordinata, incapace di produrre frutti perché incapace di fare sintesi e trovare un’organizzazione e una prospettiva duratura e quindi destinata a fallire miseramente.

La cura è peggio del male

Sarebbe impossibile fare un paragone con la stagione socialista che ha coinvolto la classe proletaria sin dai primi del ‘900 come sarebbe storicamente fuorviante paragonare queste forme di protesta a quelle che portarono al rovesciamento della monarchia assoluta, sempre in Francia, alla fine del ‘700. Rispetto ad allora le carte si sono mescolate e la borghesia (da sempre sostenitrice del liberismo) si è liquefatta con la classe operaia, anch’essa mutata radicalmente, per mischiarsi con la classe contadina, diventata cittadina con il fenomeno delle migrazioni e per diventare piccola imprenditoria, anch’essa non più liberista, ma protezionista. In questo quadro di confusione e commistione dei ruoli (o, per dirla meglio, dei ceti) s’innesta quel movimento di antipolitica che in Italia, lo sappiamo, si è tramutato in forza politica, mentre in Francia si sta evidenziando oggi con le proteste di piazza. Del resto non stupisce che una delle richieste dei gilet gialli sia quella di istituire dei referendum di iniziativa dei cittadini, esattamente come vorrebbe fare il M5S in Italia, proprio per la sfiducia che la gente ripone nella democrazia rappresentativa vista, giova ribadirlo, come rappresentanza degli interessi economici internazionali e non come rappresentanza del popolo.

Del resto l’antipolitica, nel corso degli anni che stiamo vivendo, si è trasformata in nazionalismo (e non solo in Francia o in Italia, il fenomeno è chiaramente globale) il quale è il primo, vero, grande ostacolo al globalismo liberista.

I nazionalismi

Ma la cura – ahimè – è peggiore del male

Perché il protezionismo, che è alla base dei nazionalismi, è solo una grande truffa, una reazione di pancia ad un problema che invece andrebbe risolto con la testa, ossia con una lettura storica della realtà e con una riflessione politica capace di porsi in contrasto sia con il liberismo che con il nazionalismo. Una riflessione politica che non etichetti subito le proteste come eterodirette, fasciste o futili ma che le analizzi, perché se è vero che tra i gilet gialli serpeggiano gruppi di estrema destra è anche vero che le stantie etichette politiche ormai sono superate e la gente chiede una soluzione ai propri problemi, indipendentemente dal colore politico di chi gli manifesta accanto.

Dunque il protezionismo e i nazionalismi sembrano essere, per molti, la soluzione. Anche in Italia è accaduto lo stesso fenomeno, solo che, per ragioni storiche e culturali, non si è concretizzato subito in scontri di piazza organizzati e condivisi, come accaduto in Francia con i gilet gialli. Certamente il voto del 4 marzo ha favorito il raffreddamento della ribellione istintiva, ma non è sicuramente grazie al governo giallo-verde che in Italia abbiamo evitato gli scontri di piazza. Sono solo stati congelati.

Una cosa è certa. L’esperienza dei gilet gialli si replicherà in altri paesi europei, ma ogni volta sarà un fallimento, perché le ribellioni istintive non troveranno mai una concretezza operativa politica fin quando non si riuscirà ad analizzare la realtà storica e a canalizzare il malcontento in un organismo politico capace di interpretarla, di idealizzare un obiettivo e di raddrizzare le storture poste in essere dal liberismo e dal suo alter ego, il nazionalismo.

La guerra in Siria spiegata semplice

guerra in siria

Come nasce la guerra in Siria? Cosa è successo dal 2011 a oggi? Perché Putin difende Assad? E soprattutto, è davvero Assad il vero nemico e quello che ammazza i suoi concittadini con armi chimiche? Un’analisi critica e di semplice lettura sul conflitto siriano. Era il 15 marzo 2011 quando, sull’onda della Primavera araba, molti … Leggi tutto

Macron, Merkel e Tsipras: il buono, il brutto e il cattivo

macron merkel e tsipras

Se vogliamo focalizzare le questioni europee degli ultimi anni, le prime parole che vengono in mente sono: migranti e debito pubblico. E sono temi intimamente connessi, su cui l’Europa si gioca il proprio futuro e che i leader dei Paesi membri potrebbero usare come grimaldello per raddrizzare o distruggere un’Europa allo sbando, sempre più serva di Francia e Germania, che – grazie alle proprie politiche imperialistiche e liberali – usano paesi come Grecia, Italia, Spagna e Portogallo come colonie in cui insediare le proprie Aziende e Multinazionali e in cui far confluire le politiche di austerità in modo da godere, invece, delle politiche di sviluppo. Detto in altri termini, il nostro Paese, insieme ai Paesi del Sud dell’Europa, è nient’altro che una colonia basata sul logiche capitalistiche: è solo grazie agli sfruttati che gli sfruttatori possono ottenere benessere economico.

Ma cosa c’entrano Macron, Tsipras e la Merkel?

Sono i nomi simbolo di queste due tematiche: migranti e debito pubblico. L’aspetto curioso è che nell’immaginario collettivo (e nei salotti della sinistra radical-chic) Macron è il buono, Tsipras è il cattivo e traditore, mentre la Merkel, burattinaia, resta oggettivamente il brutto. Ma andiamo con ordine e iniziamo dal tema migranti.

Berlusconi e Gheddafi, un accordo di partenariato utile all’Italia

Nel 2008 Berlusconi siglò un accordo con Gheddafi per ridurre il numero dei migranti che giungono sulle coste italiane e per ottenere maggiori quantità di gas e petrolio libico, in cambio della concessione di 5 miliardi di dollari da corrispondere in 20 anni, per risarcire il paese libico dall’occupazione coloniale dal 1911 al 1930.  L’accordo fu subito criticato dalla sinistra, che mal tollerava accordi di amicizia con un dittatore.

Già, un dittatore, che però seppe gestire per 40 anni le tensioni etniche e tenne la Libia fuori dalle logiche terroristiche. Nel 2011, però, la Primavera Araba, un movimento di insurrezione popolare contro le dittature mediorientali, foreggiata e alimentata dalla NATO (guarda un po’…), si estese anche in Libia e gli accordi tra Francia, Germania e USA (ma guarda un po’…) permisero la cattura di Gheddafi il quale fu brutalmente e sommariamente ucciso, probabilmente da soldati francesi o americani.

Poco dopo, com’è ovvio immaginare, la Libia sprofondò in una terribile guerra civile, che vide coinvolte 150 tribù, molte di queste in lotta tra loro, fino ad allora rimaste in pace. Da allora s’insinuarono nel territorio gruppi terroristici, i quali hanno contribuito all’acuirsi del conflitto etnico e oggi il Paese ha due governi, in lotta tra loro, uno legittimo (cioè riconosciuto dalla comunità internazionale), presieduto da Fayez Serraj e uno formato dal generale Khalifa Belqasim Haftar, che ha ottenuto la cittadinanza statunitense ed è tornato in patria per contribuire alla caduta del governo di Gheddafi e che, nel 2011, con un colpo di stato, ha preso il controllo di Tripoli. Oggi controlla la Cirenaica ed è in lotta con Serraj.

Per capire meglio la situazione, va detto che la Libia ha i più grandi giacimenti di petrolio e gas naturale dell’Africa (tra i 10 più grandi del mondo) e che è facile immaginare quanto USA, Francia e Inghilterra siano attratti da queste fonti di ricchezza. Probabilmente, però, né Obama né Sarkozy avrebbero immaginato le infauste conseguenze della loro guerra in Libia, cioè la gran confusione, le innumerevoli guerre etniche e l’impossibilità di controllare i giacimenti, tanto che Obama disse candidamente che quello della guerra in Libia fu il suo più grande errore da presidente.

Macron e gli accordi con Serraj e Haftar

Oggi arriva Macron, l’uomo nuovo, l’ex banchiere d’affari di Rothschild (banchieri e finanzieri che controllano il debito pubblico di numerosi Paesi, tra cui USA, Germania e molti Paesi europei), che proprio ieri, a Parigi, ha aperto un vertice con i due nemici: Serraj e Haftar, facendosi interlocutore per trovare un accordo tra i due. Ovviamente l’interesse di Macron è quello di mettere pace tra i due per ottenere, subito dopo, il controllo dei giacimenti di petrolio (un po’ come fece Berlusconi con Gheddafi) e per gestire i flussi migratori come meglio crede. Infatti sappiamo qual è la sua politica, lo disse pochi giorni fa al vertice di Trieste: accoglieremo solo richiedenti asilo e non “migranti economici”. Ma a decidere chi è richiedente asilo e chi migrante economico è l’Italia (e non è detto che la Francia sarà d’accordo), che dovrà continuare ad accogliere tutti i migranti e che si vede sbattere le porte in faccia dall’Austria, dalla Germania, da tutto l’Est Europa e dalla Francia, che ci nega continuamente l’accoglienza delle navi di migranti e le dirotta verso l’Italia. Macron, a dispetto delle scelte della Commissione Europea e della comunità internazionale, ma soprattutto alla faccia dell’Italia (primo e unico interlocutore con la Libia, finora), ha intrapreso rapporti privilegiati con Haftar, perché sa che è l’unico che può garantirgli sicurezza negli affari libici grazie al controllo dell’esercito, a differenza di Serraj, che gestisce solo un governo fantoccio. Ma pubblicamente Macron ha bisogno di porsi in veste diplomatica, fosse per lui farebbe accordi solo con Haftar per il controllo dei giacimenti.

La crisi greca

Nel frattempo Tsipras, che sta subendo un calo elettorale in Grecia, ha mostrato all’Europa che occorre battere i pugni sul tavolo per ottenere un minimo di considerazione. A distanza di 2 anni dal suo insediamento e nonostante le critiche ricevute dal popolo greco e da buona parte della sinistra europea per il famoso accordo del 12 luglio 2015, con il quale trovò un’intesa con i creditori europei (andando contro al referendum con il quale il 62% dei greci aveva detto NO alla ristrutturazione del debito), Tsipras ha evitato, di fatto, che la Grecia cadesse totalmente nelle mani dei tecnocrati europei e ha più volte minacciato l’Europa che la Grecia non avrebbe pagato i debiti con i creditori (i primi dei quali sono, guardacaso, i Rothschild, padri di Macron) se fossero state inasprite le regole di austerità. Tale atteggiamento non è mai sceso alla Merkel, la quale, già nel 2012, aveva provato a far trasferire completamente la sovranità monetaria dalla Grecia a Bruxelles. Le innumerevoli minacce di far entrare in default la Grecia, sempre quasi concretizzate e successivamente smentite, non hanno mai spaventato il povero e impopolare Tsipras che, anzi, l’8 aprile 2015 volò a Mosca per incontrarsi con Putin e definire un piano di partenariato. E’ interessante riportare le parole del Ministro Panagiotis Lafazanis dopo l’incontro di Tsipras con Putin “potrà segnare una nuova epoca nei rapporti energetici, economici e politici di entrambe le nazioni. Un accordo greco – russo potrebbe anche aiutare la Grecia nei suoi negoziati con l’UE, in un momento in cui l’UE si rapporta con il nuovo governo greco con incredibile pregiudizio, come se la Grecia fosse una semi-colonia. Le istituzioni europee, continuano a incarnare la linea dura della CDU tedesca nei confronti della Grecia, esigendo “riforme” di piena austerità, mentre la stampa anglo-tedesca conduce una campagna affinché Tsipras liberi il Parlamento greco dell’ala sinistra di Syriza e la sostituisca con rappresentanti dell’opposizione!”.

Ora, tale prospettiva fece rizzare i capelli a Merkel, Hollande e Obama, tanto che ripresero gli accordi tra Grecia ed Europa, formalmente per rivedere le politiche greche volte a ripagare il debito pubblico, ma di fatto volte a capire se Tsipras avrebbe rotto gli equilibri europei alleandosi con Putin. Tant’è che il furbo leader greco si presenta oggi, a distanza di soli due anni, in posizione di relativa parità con Francia e Germania (e non, come il suo collega italiano Gentiloni, in posizione di minorità nei confronti di Francia, in tema di migranti, e Germania in tema di debito pubblico). Tsipras, in una recente intervista al Guardian, ha dichiarato che il peggio è alle spalle e che la crescita in Grecia si attesta, nel 2017, intorno al 2%. La stima è prudenziale, visto che la Commissione europea è ancora incerta circa l’esecuzione dell’accordo di salvataggio internazionale, che prevede, in caso di successo, un piano di salvataggio di 86 miliardi di euro. Ma la verità di quest’incertezza è che la Merkel non vuole essere disturbata fino alle prossime elezioni di settembre. Dopo settembre si tornerà a parlare di crisi greca. Tsipras è riuscito comunque ad ottenere credibilità internazionale per aver ottenuto un avanzo primario del 3% (l’avanzo primario è la differenza tra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi), nonostante le politiche interne di austerity siano state nettamente inferiori a quelle imposte dall’UE e dal Fondo internazionale. Probabilmente Tsipras pagherà lo scotto degli accordi con l’UE perdendo le prossime elezioni, ma lui rappresenta la differenza con Macron, cioè la differenza tra forma e sostanza. In altre parole la differenza tra chi lavora per il proprio popolo, nella consapevolezza dell’impossibilità di uscire dall’Europa (almeno per ora), ma risulta inviso alla popolazione e chi invece lavora per la finanza europea, ma gode di prestigio e credibilità.

Francia e Germania colonizzano tutto

La Germania della Merkel è la principale esportatrice di…debito pubblico! Ebbene sì, la Germania ha circa 1300 miliardi di debito acquistato da stranieri, mentre il debito interno è del 15%, quindi ben contenuto nei limiti europei. E come ha fatto? Guarda caso approfittando della crisi greca e grazie alla partecipazione dei grandi gruppi industriali e finanziari tedeschi in molti paesi extra-UE. Con questi soldi e approfittando della crisi greca, la Germania ha praticamente acquistato tutta la Grecia (la compagnia telefonica Ote, i principali scali aeroportuali, diversi porti turistici, aziende farmaceutiche, chimiche, meccaniche ed elettroniche) al pari della Francia, che non solo controlla numerose attività nel mondo, ma ha anche approfittato della crisi italiana per acquistare banche (CariParma e Bnl), assicurazioni (Nuova Tirrenia), ma non solo: Galbani, la grande distribuzione (Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin sono francesi), la moda, con Lvmh che detiene Bulgari, Fendi e Loro Piana, mentre Kering ha acquistato Bottega Veneta, Pomellato, Sergio Rossi, Brioni e Gucci. Ma l’elenco è lungo e comprende anche aziende di bici da corsa (Pinarello) e altre piccole e medie aziende del manifatturiero.

In tutto questo desolante quadro i premier che hanno attraversato la crisi economica, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni si sono dimostrati incapaci di fare la voce grossa, anzi, servi della svendita dell’Italia in Europa, hanno messo Tsipras all’angolo e oggi inneggiano a Macron, come il grande leader che valorizzerà l’Europa. E questo servilismo ci ha portati non solo a svendere tutto, anche le imprese fiore all’occhiello d’Italia, ma ad essere trattati come riserva di migranti, senza speranza di poterli ripartire in Europa e senza ricevere in cambio nemmeno un soldo. Quindi a noi i problemi, a loro i soldi. Se questa non è colonizzazione…