Allen Ginsberg e l’underground culturale

Allen Ginsberg

Allen Ginsberg uno dei massimi esponenti della beat generation degli anni ’50 e ponte con il movimento hippy degli anni ’60, non fu solo un poeta, un attivista, un artista provocatore, ma un precursore di quello che più tardi sarà definito l’underground culturale. Il 3 giugno 1926 nasce nel New Jersey il poeta Allen Ginsberg. … Leggi tutto

Cannabis light, giullari e mafiosi

Il Ministro dell’Interno, che tante volte appare come un giullare di corte, ha deciso in modo autoritario di far chiudere la fiera della cannabis a Torino e, tramite una circolare indirizzata ai questori, ha fatto chiudere due negozi in provincia di Macerata, annunciando di estendere la circolare a tutta Italia. Insomma, il Salvini giullare si … Leggi tutto

State lontani da psicologi, psichiatri e psicoterapeuti

sigmund freud psicologo

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il neuropsicologo Chris Frith definì lo psicologo Freud come un cantastorie le cui speculazioni sulla mente umana erano in gran parte irrilevanti.

Mai definizione fu più azzeccata. La delicatezza di Frith s’intravede da questa signorile espressione, perché io avrei definito Freud un cocainomane marcio ricco di fuffa e inutili teorie.

Se c’è una disciplina medica incerta, soggettiva e sempre preda di dispute dottrinali mai risolte e scuole di pensiero in perenne contrasto tra loro, questa è la psicologia o psichiatria. Materia dai contorni medici molto labili e fumosi, tant’è che psicologipsicoterapeuti o psichiatri sono figure professionali utili come un temporale a ferragosto che nella storia hanno prodotto solo grandi insuccessi e inutili teorie, a volte fantasiose, molto spesso pericolose e tante volte causa di atroci sofferenze e inutili morti di numerosissimi pazienti. Oggi lo sono ancora, perché spesso preda della visione capitalista di stampo statunitense.

Per esempio, la psichiatria che noi conosciamo, quella degli studiosi francesi e tedeschi, è passata, nel giro di una cinquantina d’anni, dalla ricerca dello strutturalismo all’osservanza acritica del pensiero dominante americano, capeggiato dalle aziende farmaceutiche il cui unico intento è semplicemente di vendere psicofarmaci. Se prima il mercato era ben riconoscibile e limitato (pazienti adulti o anziani, affetti da disturbi psichici di varia natura, codificati e più o meno documentabili), oggi si è esteso e ha inventato nuove patologie di sana pianta, come il ADHD e Disturbo dell’Attenzione, una comunissima e normalissima condizione in cui alcuni bambini si trovano e che prima veniva definita, con termine romantico, avere la testa tra le nuvole,  mentre oggi è diventata una patologia. Con relativo rimedio farmacologico. S’intende.

Ma siccome le case farmaceutiche non si accontentano, sono tante altre le malattie della mente prontamente curabili con farmaci, come l’ansia o la depressione, oppure il disturbo bipolare, che – se il povero paziente capita nelle grinfie di uno spietato psichiatra – viene diagnosticato anche quando in realtà si ha davanti un carattere bizzarro o normalmente soggetto a sbalzi d’umore. Ma l’elenco si può allungare e ricomprende molte stranezze della mente oggi ricondotte nell’alveo della malattia.

La mente umana è un ecosistema complesso, soggetto a una miriade di influenze, tra cui quelle comportamentali, culturali, sociali, familiari; è legata al patrimonio genetico, ma ne può cambiare i connotati, come può essere interpretata in modo molto difforme in base alle tendenze storiche. Detto in altri termini, ciò che oggi può apparire bizzarro – o, peggio, patologico – un tempo era del tutto normale e ciò che oggi può apparire normale, un tempo veniva considerata follia.

I Manicomi, Basaglia e il TSO

Franco_Basaglia

Appunto. Le varie definizioni di follia, pazzia, disturbo psichico e le varie malattie mentali connesse sono soggette alle scuole di pensiero di un dato tempo. Basti pensare che fino al Novecento gli istituti per insani (i genitori dei manicomi) ospitavano persone considerate squilibrate dai familiari o dalle istituzioni, persone eccessivamente briose, maniache, dementi, furiose, nonché soggetti affetti da cretinismo e da idiozia (Insomma, gli attuali Analfabeti funzionali. Quindi praticamente, se fosse ancora così, oggi starebbe chiuso il 47% degli italiani), poi ancora asociali e persino poveri, orfaniprostitute e invertiti sessuali

Ciò per dire che il concetto di malato di mente, di psichiatria e il conseguente obbligo di trattamento in manicomio (con relativa coercizione e perdita di libertà) è soggetto alle teorie mediche del momento, alle decisioni politiche e al sentire comune. Insomma, se fino a pochissimi anni fa si parlava dell’omosessualità come malattia è evidente che è il paradigma ad essere sbagliato e che tutte le teorie psichiatriche e psicologiche si basano spesso su nuvole di fumo.

Poi non parliamo delle terapie che, fino a pochi decenni fa, venivano usate massicciamente: la lobotomia, ossia la recisione delle connessioni della corteccia prefrontale, era massicciamente utilizzata fino agli anni Cinquanta. Per non parlare della sterilizzazione forzosa, anch’essa molto utilizzata in quegli anni. Compreso che si trattava di colossali stronzate, queste terapie vennero sostituite dalla ben più nota terapia dell’elettroshock, usata dapprima nei casi di schizofrenia (e attenzione, la schizofrenia era il jolly della psichiatria. Quando non si sapeva che malattia era, era schizofrenia) e poi sperimentata per variegate patologie mentali. Tra l’altro questo metodo fu inventato dall’italiano Ugo Cerletti nel 1938.

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Una scena del film “Arancia Meccanica”, in cui il regista Kubrick critica le “moderne tecniche” di cura psichiatrica dell’epoca.

Dato che i manicomi non erano soltanto ricoveri per soggetti affetti da patologie mentali documentate e accertate, ma venivano utilizzati come luoghi di contenimento sociale, qualcuno – un giorno – si accorse che non potevano più funzionare e che avevano fallito il loro compito. Un certo Franco Basaglia, dopo numerose battaglie, convinse il Parlamento a chiudere i manicomi con Legge 180/1978 e ad istituire gli attuali TSO (Trattamenti Sanitari Obbligatori) e i relativi Centri di Igiene Mentale.

Venne tolto lo strumento, ma la teoria becera che vive dietro la psichiatria moderna non fu intaccata. E non lo è nemmeno oggi.

I manicomi oggi sono chiusi e spetta alle famiglie il duro compito di convivere con chi ha effettivi disturbi mentali o con i disadattati o con chi, non compreso dalla medicina psichiatrica e dall’inutile terapia psicologica, viene considerato malato. E, anziché subire la coercizione dei manicomi, subisce un trattamento sanitario, obbligatorio. Cioè è la stessa cosa dei manicomi, solo senza mura attorno. I TSO infatti prevedono blandi colloqui con disinteressati psicologi e massicce dosi di psicofarmaci, prescritti così, alla bene e meglio, in una sorta di sperimentazione perenne. Se una terapia non va bene, si cambia, si modificano le dosi, si passa ad una marca diversa di psicofarmaci. Tutto nel nome di una scienza che di scientifico ha poco, o nulla, e che si basa sulla sperimentazione. Sulla pelle del paziente, s’intende.

Differenze tra psicologo, psichiatra e psicoterapeuta

Giusto per capirci meglio, è bene distinguere le tre figure. Premesso che si basano tutte e tre su una disciplina fumosa, va comunque fatta questa distinzione.

Lo Psicologo

Lo Psicologo è un soggetto laureato in Psicologia, con un anno di tirocinio all’interno di strutture pubbliche o private convenzionate con l’Università di provenienza e, superato l’Esame di Stato, è iscritto all’Ordine degli Psicologi. Il compito dello psicologo è prevalentemente consultivo diagnostico. In altre parole non possono prescrivere terapie né psicofarmaci, ma solo effettuare consulenze.
Insomma, detto papale papale, il più delle volte lo psicolgo, dopo aver preso 200 euro per un’ora di chiacchierata e averti consigliato di vederlo una volta a settimana per almeno 10 anni (garantendosi così un reddito certo), non potrà far altro che dispensarti consigli. Se è bravo, indagherà nel tuo inconscio e ti seguirà in un percorso di introspezione e lenta consapevolezza del tuo disturbo (sempre se sei affetto da disturbi…), se è meno bravo, farà solo belle chiacchierate con te. Dietro compenso, s’intende.

Lo Psicoterapeuta

Lo Psicoterapeuta è un soggetto laureato in Psicologia o Medicina e specializzato in psicoterapia con un percorso quadriennale. Se è medico può anche prescrivere farmaci. Lo psicoterapeuta si occupa della cura di disturbi psicopatologici che possono andare da semplici forme di ansia a forme più gravi. La psicoterapia, detto in altri termini, è qualcosina in più rispetto alla consulenza psicologica. E quindi costa un poco di più. Ma ne vale la pena, chiaro.

Lo Psichiatra

Lo Psichiatra è laureato in medicina e ha conseguito una specializzazione in Psichiatria. E’ l’unico soggetto che può trattare i disturbi mentali da un punto di vista medico, analizzando il sistema nervoso e prescrivendo psicofarmaci. In molti casi collabora con lo psicoterapeuta o con lo psicologo. Insomma, tra le tre figure è quello che più si avvicina al concetto di medico, anche se il più delle volte non ha alcuno strumento per comprendere il sistema nervoso (tranne in casi di evidenti traumi o disturbi meccanici del sistema nervoso), ma nella maggioranza dei casi liquiderà il problema con la prescrizione di psicofarmaci.

La fuffa degli psicofarmaci

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A parlare con qualsiasi medico di coscienza si scopre l’acqua calda: gli psicofarmaci non curano la causa, ma solo l’effetto, cioè il sintomo. Soffri di ansia? Lo Xanax ti darà sollievo, ma passato l’effetto torni allo stato di prima. Con l’unica differenza che dovrai assumerlo di nuovo, per togliere l’ennesimo sintomo, e via dicendo, fino all’assuefazione, fino a diventarne drogato. Tutti gli psicofarmaci, nessuno escluso, rispondono a questa ferrea legge: nascondere il sintomo, per un po’ di tempo. E poi la dipendenza diventa un po’ fisica, un po’ psicologica e un po’ indotta. Fisica perché, dopo un po’ di tempo, l’organismo si abitua e difficilmente farà a meno della sostanza (stesso meccanismo che c’è nel tabacco o nell’alcool o in alcune droghe), psicologica perché ci autoconvinciamo che ci serve, che ci aiuta a guarire, quando in realtà è solo il sintomo a scomparire (per poco, però) e indotta perché il medico ci dirà che fa parte della terapia, che serve ed è necessario e quindi tendiamo a fidarci del parere di un esperto, sia esso psicologo, psichiatra o psicoterapeuta.

Ma ricorda, la psichiatria è soggetta alle regole del tempo in cui opera. Il tempo attuale è preda del capitalismo delle grandi case farmaceutiche e gli psicofarmaci sono semplici droghe legalizzate che non curano nulla, anzi. Quindi se ti capita di avere a che fare con uno psicologo distratto o autoreferienziale, psicoterapeuta inutile o psichiatra che in un batter d’occhio ti prescrivono medicine, sfottili con pungente ironia, perché probabilmente, tra i quattro, non sei tu il malato.

Il desiderio di droga

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Ogni anno, quando parte la stagione estiva, animata da feste, concerti, discoteche stracolme di gente desiderosa di ballo&sballo, parte puntualmente la rassegna stampa, ormai quasi quotidiana, in tema di droga: sequestri di droga, arresti di spacciatori, i pericoli nell’assunzione di droghe, gli effetti devastanti delle droghe sui giovani e via discorrendo.

Allora, partiamo da un assunto semplice: l’argomento è tanto vecchio quanto di attualità. Sempre, ogni anno, almeno dagli anni Ottanta ad oggi, viene proposto e riproposto in tutte le salse e fa sempre presa (così come il sesso, la violenza o l’ammoree). Quindi mi son chiesto: ma perché non ne parlo pure io? Magari ci butto dentro un po’ di pensieri, di teorie, di considerazioni personali e contribuisco ad ampliare la già tanto abbondante letteratura sul tema. Massì, dai, facciamolo.

Però, assunto che l’argomento è vecchio, trito e ritrito, vorrei porre l’accento su due concetti tanto banali quanto spesso trascurati: non esiste la droga, semmai esistono le droghe; concetto ovvio, direte voi, ebbene provate a dirlo a chi fa le pubblicità progresso, ai genitori o – peggio – ai giornalisti che dicono sempre – banalmente – che la droga fa male, non curandosi affatto di spiegare che ogni droga nasconde diversi desideri (e questo è il secondo concetto) e quindi diverse cause che danno origine alla voglia di droga. Ma, peggio ancora, trascurano un altro aspetto ancora più ovvio: anche le droghe legali fanno male.

La droga legale e quella illegale

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Lo sappiamo tutti e sembra inutile ripeterlo, ma anche alcool e sigarette sono forme di droga, no? Entrambe hanno le caratteristiche tipiche delle droghe: alterano lo stato psico-fisico, creano dipendenza e provocano – in caso di abuso – problemi di salute e, in casi estremi, a lungo andare, anche la morte. Eppure sono droghe legali, come legali sono tante tipologie di medicinali che contengono gli stessi principi attivi di altre droghe (illegali), però socialmente sono accettabili, perché sono consentite per legge.

Quindi, riflettendo meglio, che differenza c’è tra una bottiglia di Jack scolata in una sera, 20 gocce di Lorazepam, una canna o una pasticca di Prozac? Per quanto riguarda le cause per cui si assumono, gli effetti (desiderati e non) o le conseguenze psico-fisiche, nessuna. Ma proprio nessuna. Per quanto riguarda, invece, l’accettazione sociale, quest’ultima è influenzata dalla legge, quindi dalla politica che – in nome della salute pubblica, del monopolio di Stato e della comunità scientifica internazionale – stabilisce cosa è legale e cosa no.

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E’ facilissimo procurarsi droghe legali su internet

Non esiste un concetto univoco di droga

Questa scelta arbitraria di decidere quali sono le droghe illegali e quali quelle legali è dimostrata anche da un’altra cosa: non esiste, nel nostro sistema penale, una definizione univoca di droga.

Esiste per tante altre cose (si sa, per esempio, cos’è lo sfruttamento della prostituzione, cos’è la diffamazione o cos’è un atto sessuale), ma non per la droga, per cui esiste solo un elenco di sostanze psicotrope illegali continuamente aggiornato dal Ministero della Salute. Eppure sarebbe facile, per il Legislatore, definire il concetto di droga. Non viene fatto semplicemente perché, sennò, verrebbero ricompresi anche l’alcool, il tabacco e tutti i medicinali per l’ansia, la depressione, l’insonnia, ecc.

Quindi si preferisce agire così, a tentoni, includendo di volta in volta le nuove sostanze psicotrope. Il ché, come tutti ben sappiamo, lascia ampio margine di manovra a quelli che – ogni giorno – inventano nuove smart drug, cioè droghe legali, i cui principi attivi non fanno parte dell’elenco e quindi, teoricamente, fino ai successivi aggiornamenti dell’elenco, possono essere spacciate senza alcuna conseguenza penale.

Insomma, se ci troviamo in questa situazione che ha del tragicomico (ma che è sì pericolosa, perché non sappiamo gli effetti delle nuove sostanze né con cosa vengono preparate) è solo colpa di scelte politiche che avevano senso negli anni Cinquanta, ma che oggi, per inerzia, perbenismo, lecchinaggio a Chiesa e case farmaceutiche, non vengono messe in discussione.

Il desiderio e il piacere

L’altro elemento che spesso molti trascurano è il desiderio.

Desiderio è una bella parola, ma che nasconde una forte dose d’inquietudine. Già, deriva dal latino de-sidus, cioè mancanza di stelle. Chi desidera, quindi, è insaziabile, perché brama qualcosa che non potrà mai avere e allora cerca di riempire la mancanza, ma non riempie nulla.

A questo concetto, prima dei latini, ci era arrivato Platone, con la metafora dei pivieri (charadriói), uccelli famosi perché si nutrono e defecano simultaneamente, quindi devono riempire un vuoto continuo, o dei morti dell’Ade, costretti a versare acqua in una giara forata, consapevoli che mai si riempirà.

Beh, in fondo anche ubriacarsi tutte le sere o prendere qualche goccia di valium è una forma di riempimento infinito di una giara bucata e drogarsi è quindi la stessa cosa: è desiderio, è voler riempire un vuoto che sarà pure sociale, individuale, causato dalla perdita dei valori, quello che è, fatto sta che è un vuoto incolmabile.

Lo sballo non è altro che una forma di alienazione dalla realtà, quindi un voler fuggire – per qualche ora – da quella vita normale fatta di noia, assenza di regole primarie (famiglia e scuola, in questo senso, hanno fallito miseramente) e di prospettive, difficoltà ad interagire nel mondo reale, isolamento, individualismo sfrenato, nichilismo dei valori e dell’affermazione del proprio sé sociale.

Il desiderio è sotteso al nulla, ad una mancanza

E con cosa colmi, almeno apparentemente e per poco tempo, quella mancanza? Con qualcosa di bello, di buono, di piacevole. Già, perché quasi tutti trascurano un aspetto essenziale nel comprendere il fenomeno, cioè che la droga è piacevole: le canne ti rimbambiscono e ti rilassano, l’ecstasy ti rende euforico e ti fa ballare tutta la notte, la cocaina ti eccita e ti stimola, l’eroina ti anestetizza e ti sottrae, per un po’ di tempo, alla fatica di vivere.

Se le droghe non fossero piacevoli non avrebbero senso di esistere e se è difficile uscirne non è perché ti rendono assuefatto (ciò vale forse per alcune droghe, non per tutte), ma perché non hai altri mezzi per riempire quel vuoto incolmabile e quella giara sempre più lesionata. Ma ad ogni droga corrisponde un desiderio e, in fondo, anche una funzione.

Le tipologie di droga e le funzioni sociali

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Hashish e Marijuana, le droghe leggere dei centri sociali

Le canne (o spinelli, anche se è una locuzione antica) sono tra le più diffuse droghe leggere in Italia e storicamente si attribuiscono a quegli ambienti alternativi, radicali, di sinistra, che molti identificano nei centri sociali.

Sia chiaro, le canne sono diffuse in modo capillare in tutti gli strati sociali, ma effettivamente si possono ricondurre a quella filosofia pacifista e non violenta tipica dei no-global alternativi, altromondisti e vagamente di sinistra. Perché? Primo perché si fumano quasi esclusivamente in compagnia (quindi è una droga socializzante) e poi perché le canne rilassano, rincoglioniscono e amplificano quel concetto del non ho voglia di fare un cazzo, molto diffuso in certi ambienti.

Si trova a costi bassi (da qui la capillare diffusione, anche tra gli strati sociali a basso reddito) ormai dappertutto, in particolare in eventi o locali alternativi (a cosa, non si sa più…).

Per il fatto che vengono annoverate tra le droghe leggere, si parla spesso di legalizzarle. L’argomento legalizzazione delle droghe leggere merita un approfondimento a sé e non mi pare il caso di trattarlo in questa sede, anche perché sull’argomento c’è molta confusione e un’abbondante letteratura, persino una proposta di legge.

L’ecstasy, la droga che toglie fatica e paura

E’ la droga più pericolosa per la salute ma la più diffusa nelle discoteche di tutta Italia. Ci sarà un perché? Se vogliamo sintetizzare gli effetti piacevoli dell’ecstasy, sono due: elimina la fatica fisica e riduce paure e tensioni sociali.

Insomma, chi assume questa droga può ballare tutta la notte, anche in modo esagerato, e non sentire fatica (da qui i numerosi casi di collasso cardiaco, perché il fisico, quando è stanco, ci lancia segnali che, invece, l’ecstasy nasconde), ma soprattutto perde quell’inibizione sociale che, spesso, è la prima causa delle frustrazioni nei primi approcci con una persona con cui si vorrebbe interagire.

Insomma, è una droga che nasconde due fatiche: la fatica fisica e la fatica d’intessere rapporti. E’ per questo che è la più diffusa tra giovani e giovanissimi, perché sono i primi a subire gli effetti dell’incapacità di allacciare relazioni reali e sono i primi ad aver perso quel concetto di trasgressione tipico degli assuntori di droga.

L’ecstasy, quindi, non è una droga, è solo un qualcosa che sciogli in un cocktail e che ti fa ballare, ti fa divertire, ti fa conoscere quella tipa che balla accanto a te e con cui, in condizioni normali, non ti sogneresti mai di provarci. Non capire questa sottile trasformazione della percezione dell’ecstasy significa fallire qualsiasi campagna di sensibilizzazione e qualsiasi tentativo di repressione del fenomeno.

La cocaina, la droga dell’efficientismo

In una società sempre più evoluta, che ti spinge a dare sempre il massimo di te, che ti induce a prestazioni che vanno oltre la tua tolleranza soggettiva, che ti oggettivizza e ti parametra ad altri (migliori di te), che ti dice o raggiungi il massimo o sei fuori, tu non hai più legami con il tuo corpo, le tue sensazioni, la tua soglia di fatica, i tuoi limiti soggettivi; ti senti inadeguato, non perché lo sei, ma perché gli altri ti dicono che devi andare oltre. Oltre a cosa? Oltre agli altri.

Devi alzare la tua asticella sempre un centimetro sopra gli altri, sennò non vali, sei superato, fuori, qualcun altro, più efficiente di te, ti sostituirà. E poi, oltre dove? Oltre in tutto: nello sport, nel lavoro, nei rapporti sociali, in tutto. E quindi la cocaina è quella droga che ti stimola, ti fa sentire meno la fatica, ti rende più efficiente.

Peccato che, finito l’effetto, torni a competere con la tua inefficienza, che altro non è se non la pura e semplice normalità. La coca, quindi, è anti-umana, è la negazione dei limiti soggettivi e la risposta ad un vuoto interiore provocato da richieste di performance sempre più pressanti e competitive.

E’ vero che la coca è una droga socialmente snob (dato l’alto costo) e accettata, assunta, diffusa da personaggi d’alto rango, politici, imprenditori e gente che conta, ma un’inchiesta del 2008 di Loris Campetti intitolata “quanto tira la classe operaia” mise in luce l’uso eccessivo di coca tra la classe operaia, appunto per poter competere con i ritmi incessanti dell’efficientismo moderno.

Tra l’altro, negli attuali tempi della crisi economica, anche il costo della coca è sceso ed è appannaggio non solo degli snob, ma anche di ampi strati sociali.

L’eroina e il buco che torna

L’eroina è una droga sporca, la più condannata socialmente, dai media e dai benpensanti, ma la più diffusa tra gli anni ’70 e ’90. Nell’immaginario collettivo è la droga dei tossici, degli ultimi, di quelli che ciondolano per strada, con la faccia smunta e gli occhi ormai persi nel vuoto, per raccattare qualche spicciolo e comprarsi un’altra dose.

Pensavamo che fosse finita, ma in realtà oggi s’insidia tra i giovani e meno giovani e si apre ad ampi strati sociali, a causa anche del bassissimo costo a cui si trova. L’eroina è la droga sporca per via del fatto che bucandosi con la stessa siringa si rischia la diffusione di malattie infettive e pericolose, ma è la droga di chi cerca l’anestesia totale dal mondo, di chi vuol sentire quel piacere che non è sballo, ma è abbandono, è morte apparente, è un viaggio fuori dalla realtà.

Se la coca costa tanto, le canne si fumano in compagnia, l’ecstasy è la droga del sabato sera, l’eroina è l’infame compagna della quotidiana solitudine, dell’inadeguatezza di stare al mondo, quel mondo da cui fuggi per non sentirne il dolore.

Le campagne di sensibilizzazione sbagliate e la cultura dell’anti droga

Ogni droga, quindi, ha bisogno di diverse cure, di diverse campagne di sensibilizzazione. Dire la droga fa male oppure crea dipendenza è banale, inutile e fuorviante. Una vera campagna informativa contro le droghe (e non la droga) dovrebbe avere target differenti (come si dice nel gergo dei marchettari) e parlare linguaggi differenti, dovrebbe stuzzicare i destinatari sulle cause, non sulle conseguenze, ma soprattutto dovrebbe smettere di puntare l’attenzione sulle dipendenze.

L’assuefazione fisica e psichica è l’ultimo dei problemi, lo è nelle droghe come lo è nel fumo di sigaretta. Peccato che a leggere il sito del Ministero della Salute, troviamo molta ignoranza in materia, addirittura si afferma che la dipendenza psichica è una dipendenza che non passa mai del tutto. Chiaramente con questa rappresentazione meccanicistica del problema non si arriverà mai ad una soluzione.  

Sono le cause e il contesto sociale in cui si sviluppano queste forme patologiche ad essere il fulcro del problema

Bene fanno le comunità terapeutiche ad indagare il vissuto di ogni persona che le frequenta (tossicodipendente è un’espressione che non amo usare, troppo brutta e inesatta), ma sappiamo che anche questa metodologia lascia il tempo che trova.

Perché nel momento in cui hai disintossicato con i farmaci la persona e hai creato, in comunità, uno scudo sociale, lo hai effettivamente aiutato, ma quando tornerà nel suo ambiente originario, gli scudi si romperanno e la voglia di riprendere tornerà inesorabilmente. Un po’ come accade a Mark Renton in Trainspotting: smette di bucarsi, con grande impegno, poi ritrova i suoi vecchi amici eroinomani e torna a bucarsi, così tutti i suoi sforzi si vanificano nel giro di pochi minuti.

Come con il fumo di sigaretta, così con la droga non basta un semplice cartello “vietato fumare” per far smettere improvvisamente alla gente di fumare, occorre creare una vera cultura dell’antidroga. Quindi, così come se oggi accendo una sigaretta e il gestore del locale o gli avventori mi si palesano ostili e mi offendono, così in discoteca potrebbe accadere la stessa cosa, se il ruolo della scuola, della famiglia, dei gestori dei locali e degli avventori fosse proattivo e non passivo.

Sembra facile a dirsi, e in effetti lo è

Non è un processo che si svolge dall’oggi al domani, ma occorre avere consapevolezza che per ridurre un fenomeno bisogna conoscerne le cause, non solo gli effetti. Quindi una campagna di sensibilizzazione che punta sul fatto che la droga uccide e la vita è più importante, è completamente fuori strada, perché è proprio la vita che porta tanta gente a drogarsi. Anzi, non la vita in sé ma la malavoglia di vivere, quindi se vai a dire ad un ragazzo che la vita è importante e la droga fa male, lo convinci ancora di più a provare tutte le droghe possibili!

Allora proviamo un attimo a capire le cause del fenomeno, sempre tenendo a mente che ad ogni droga corrisponde un malessere di fondo ben diverso, come diverso è il contesto sociale o il beneficio che si vuole trarne, smettiamo di parlare di dipendenze (nessuno è dipendente e le droghe non creano nessun fenomeno irreversibile né fisico né psicologico) e soprattutto smettiamo di considerare le droghe come elementi trasgressivi. Non lo sono più, ormai fanno parte della normale fuga dalla normalità.

La trasgressione, da quando abbiamo tolto i paletti morali, non esiste più e quindi le droghe non sono trasgressive, perché, anche se vietate, sono facilmente reperibili. E poi, per favore, smettiamola con queste insulse campagne di sensibilizzazione che parlano di quanto è bello vivere e quanto è cattivo drogarsi. Dopo aver visto questo video mi vien voglia di farmi un cocktail a base di cicuta.