L’interregno dei corrieri

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Perché corrieri come SDA, Bartolini, TNT, UPS, DHL, GLS, Fedex, Nexive (e tanti altri) continuano ad operare sul mercato nonostante offrano servizi oggettivamente pessimi, tra ritardi nelle consegne, pacchi danneggiati o addirittura persi? Il loro si può definire un interregno, perché operano in un libero mercato, ma protetti dalla legge, dal contratto e dalla prassi, … Leggi tutto

Pensioni e rivalutazioni, facciamo chiarezza

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Da diversi giorni sto assistendo ad un curioso dibattito sulla rivalutazione delle pensioni, in cui ho sentito tutto e il contrario di tutto. C’è chi sostiene che le pensioni sono diminuite e chi, invece, dice che addirittura sono aumentate! In questa immagine, pubblicata sul profilo Facebook di Carlo Sibilia, si sostiene che c’è un aumento … Leggi tutto

Autonomia Veneto, la secessione è qui (ed è pericolosa)

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Breve e semplice analisi della proposta di legge per maggiori forme di autonomia della Regione Veneto.  Con una proposta di legge ordinaria, al vaglio del Parlamento già a fine ottobre, il Veneto porta a compimento la prima fase di quello che appare essere a tutti gli effetti un processo di secessione di fatto (domani chissà, … Leggi tutto

Il turco capitalismo

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Gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, per quanto complessi, sono però il frutto del lavoro umano, in particolare di milioni di persone invisibili che vengono sfruttate dal turco capitalismo, nell’ottica di un’automazione spesso illusoria. A margine di queste brevi considerazioni, un commento alla proposta di L.R. Lazio “Norme per la tutela e la sicurezza dei lavoratori … Leggi tutto

Il Casus Savonis, ovvero la differenza tra ruolo politico e di garanzia

Tutti sappiamo com’è andato a finire il tentativo, da parte di Lega e M5S, di formare il Governo Conte, ad un passo dal veleggiare nel mare giallo verde, ma improvvisamente arenato sulle sabbie di Savona, non l’amena località ligure, ma un Ministro dell’Economia scelto da Conte ma categoricamente rifiutato da Mattarella. Motivo del rifiuto da parte del Presidente della Repubblica? Paolo Savona è dichiaratamente antieuro. Oddio,  lo stesso Savona più volte ha ribadito (come anche Salvini e Di Maio) di non essere antieuropeista, ma di volere, per l’Italia, un ruolo più forte in Europa. Comunque sia il niet di Mattarella è stato categorico, tanto che subito dopo ha dato a Carlo Cottarelli l’incarico di formare un nuovo Governo.

In queste ore stiamo leggendo di tutto: da accuse di impeachment nei confronti di Mattarella ad astute strategie politiche da parte della Lega di insistere sul nome di Savona per avere una scusa per rafforzare il suo appeal elettorale. Due argomenti che vorrei subito bollare sinteticamente.

Voto anticipato e strategia salviniana?

Secondo alcuni commentatori, l’irrigidimento di Salvini sulla nomina di Savona è stata una strategia per mettere al muro il M5S e mostrarsi come vittima davanti all’elettorato, in modo da rafforzare il proprio appeal elettorale e vincere le prossime elezioni che, forse, saranno indette anticipatamente. Può darsi, ma in questo pasticcio in cui ci siamo invischiati tutto può succedere, persino che il PD possa guadagnare percentuali nella prossima campagna elettorale. Quindi non mi sento di parlare di strategie così avvincenti e in parte fuorvianti.

Impeachment

Premesso che odio profondamente i termini di derivazione anglosassone, quando si parla di impeachment in riferimento al Presidente della Repubblica, nell’assetto istituzionale italiano, ci si riferisce ad una norma costituzionale ben precisa: l’art. 90 della Costituzione (su cui ci tornerò a breve), che recita: “Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Quindi sono due le forme di impeachment: alto tradimento (ossia, per esempio, cospirare con potenze straniere per sovvertire l’ordine nazionale) o attentato alla Costituzione (ossia violare più principi costituzionali e sovvertire le istituzioni costituzionali). Chiaramente non siamo di fronte a questi casi e quindi il famoso impeachment è solo una parola mediaticamente efficace ma istituzionalmente non percorribile, per non dire risibile.

Il ruolo di Mattarella

Detto ciò, l’aspetto su cui vorrei porre l’attenzione è semplice: può il Presidente della Repubblica porre un veto sulla scelta di uno o più Ministri operata dal potenziale Presidente del Consiglio? In altre parole, quando Conte è andato da Mattarella con la lista dei Ministri, quest’ultimo poteva porre il veto sulla scelta di Savona come Ministro dell’Economia? Il quesito non è di semplice soluzione, perché ci sono due ostacoli: il primo è il dettato costituzionale, molto vago sul tema, il secondo è la prassi costituzionale, per cui nella vaghezza della norma più volte i Presidenti della Repubblica, nella storia, hanno valicato il proprio ruolo, ma ciò non significa che avrebbero potuto farlo. Perché la Costituzione non va letta articolo per articolo, ma nella sua interezza.

Il dettato costituzionale

L’art.92 della Costituzione disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri“. Ciò vuol dire che la scelta dei Ministri risulta dalla volontà di tre soggetti distinti: il Capo dello Stato che compie la nomina, il Presidente incaricato di formare il Governo che formula la proposta e la maggioranza parlamentare che lo sostiene. Quindi, in altre parole, il Presidente della Repubblica può al più consigliare il Presidente del Consiglio designato, ma non porre un veto esclusivo nella scelta della squadra di Governo, in quanto valicherebbe il suo confine di garante della Costituzione e dell’iter procedimentale e si porterebbe su un campo politico, ossia di scelta delle personalità che andranno a formare il Governo e che dovranno ricevere la fiducia dal Parlamento, unico organo in grado di operare una scelta politica sull’Esecutivo. Tuttavia il Presidente della Repubblica può – nel caso in cui la maggioranza parlamentare non sia esattamente solida – consigliare un’alternativa nella scelta di uno o più Ministri, ma mai porre un veto esplicito.

Già, perché un costituzionalista come De Siervo scrisse che “la disciplina costituzionale appare esplicita nell’escludere un potere del Presidente della Repubblica nella scelta dei Ministri, anche se sembra che in alcuni discussi casi vi siano state pressioni in tal senso da parte di alcuni Presidenti o almeno qualche caso di preclusione verso alcuni esponenti politici”.

Il caso Savona

Se il Presidente della Repubblica ha un ruolo di garante e può – per etichetta istituzionale – al più dare un consiglio e mai entrare nel campo delle scelte politiche, cosa succede nel caso in cui valichi il suo ruolo? La Costituzione ci dà una risposta e ci dice, sostanzialmente, due cose: che spetta al Parlamento dare la fiducia al Governo e quindi scegliere il percorso politico da intraprendere (art. 94) e che il Presidente della Repubblica è irresponsabile per tutti gli atti che compie nell’esercizio delle sue funzioni (art. 90). La responsabilità delle proprie scelte va sempre di pari passo con la volontà politica di compierle. Se la Costituzione attribuisce una irresponsabilità, allora chiaramente non dà margine di discrezionalità politica sul ruolo cui la concede.

Dalla combinata lettura delle due disposizioni si evince una cosa semplice: Lega e M5S hanno la maggioranza in Parlamento? Sembrerebbe di si. Hanno un accordo? Si. Il contratto di governo, piaccia o non piaccia (a me non piace, ma è un’altra storia), c’è stato e quindi i due soggetti politici erano pronti a governare. Avevano trovato un accordo anche sul candidato Premier, quindi bastava solo far vagliare il nascituro governo dal Parlamento. L’iter istituzionale, seppur lento, stava prendendo la sua piega, ma poi Mattarella ha posto un veto sul nome di un Ministro e – giustamente – il candidato Premier, Conte, è stato costretto a rinunciare al suo incarico. Mattarella ha travalicato il suo ruolo? Sì. Non c’è dubbio. Ha rispettato il dettato costituzionale? No. E’ evidente. L’avrebbe fatto se avesse sciolto le camere dopo che il Governo Conte non avesse ottenuto la fiducia dal Parlamento, ma in questo caso è sceso su un campo squisitamente politico: ha detto no a un Ministro. Perché? Perché, a quanto pare, non è in linea con la politica europea, perché i mercati e il debito pubblico sono in bilico e perché è necessario garantire continuità con la nostra permanenza nel sistema europeo. La scelta di Mattarella è stata una scelta politica, che spettava al Parlamento, non certo a lui.

Detto ciò, sono d’accordo con la sua scelta. Già. Anche io temo ripercussioni sulla nostra economia, anche io temo che i mercati possano subire contraccolpi a causa di un Governo populista e demagogico, anche io temo per le sorti dell’Italia nel caso in cui sia messa in discussione la permanenza in Europa (non perché l’Europa, così com’è, ci faccia bene, ma perché pesanti saranno le ripercussioni, anche in termini di stabilità sociale…), anche io ho paura del crollo degli investimenti, ma onestamente ho più paura di un assetto istituzionale anarchico, in cui – secondo valutazioni squisitamente politiche – un Presidente della Repubblica possa andare oltre al suo ruolo e prendere decisioni politiche, che non gli competono affatto. Ho paura più di questo che del crollo dei mercati. Perché? Perché se un arbitro dovesse, durante la partita, mettersi al posto dell’allenatore, fare cambi o modificare la strategia di gioco, pur restando arbitro, voi cosa pensereste? Pensereste che la partita è truccata, no? Che sta assumendo un ruolo che non è suo. Se l’arbitro diventa allenatore e inizia ad impartire ordini ai giocatori, mentre fa ancora l’arbitro, non pensate che stia influenzando la partita? E se poi fischia un fallo nei confronti della squadra che allena e che arbitra, cosa pensereste?

Quando un Presidente della Repubblica – che è irresponsabile e imparziale – fa queste scelte, fa esattamente quello che farebbe un arbitro se decidesse di fare l’allenatore. Né più né meno.

Le conseguenze

Le conseguenze di questa intrusione di Mattarella nel percorso di formazione di un soggetto politico-esecutivo (il Governo) scelto da un soggetto politico per eccellenza (il Parlamento) ha ripercussioni forti, perché al momento Mattarella, dopo aver esautorato il nascituro governo, ha dato incarico ad un soggetto terzo, non conforme alla maggioranza parlamentare, di formare un governo tecnico (balneare? pluriennale? Dipende da cosa prevarrà in Parlamento, se la volontà di maturare la pensione o la regola democratica di traghettare il paese verso nuove elezioni), l’ennesimo governo tecnico, che piace a quelli che dettano le vere regole: i neo-capitalisti, quelli che possono campare solo se vige la regola principe del capitalismo (sia essa di matrice statunitense o europea): gli sfruttatori possono arricchirsi solo se esistono gli sfruttati. Come una banca guadagna grazie allo sfruttamento del nostro mutuo, così il sistema bancario europeo può guadagnare se tiene al guinzaglio il debitore, ossia l’Italia e tutti i paesi del Sud, non soltanto un Sud geografico, ma culturale ed economico.

Non credo che il M5S e la Lega avrebbero fatto la differenza o ci avrebbero traghettati verso un benessere maggiore. Non credo nel benessere, non in questo sistema capitalista. Non credo che flat tax o reddito di cittadinanza ci avrebbero giovato. Anzi. Credo che però avrebbero dato uno scossone a questo sistema basato sullo sfruttamento, un sistema che prima o poi vedrà la morte (il capitalismo finanziario non può vivere assai, si basa su ineguaglianze troppo evidenti e su speculazioni troppo spregiudicate) e che si sostiene su un esilissimo equilibrio, per giunta messo in discussione dai precari e cangianti rapporti geo-politici globali attuali. No, Lega e M5S non avrebbero cambiato il sistema, ma basta una leggera scossa per buttare giù tutto. E quella scossa sarebbe avvenuta (e avverrà, prima o poi) anche involontariamente. E poi come lo rimetti in piedi un equilibrio precario basato sulla finanza e la speculazione? Sarà per questo che dubito che torneremo presto alle elezioni. La paura è troppa e lo spread, lo spauracchio finanziario (quindi inesistente e pilotato) ne è la prova.

Il GDPR spiegato semplice

GDPR

Il GDPR, acronimo di General Data Protection Regulation è il nuovo regolamento generale europeo sulla protezione dei dati (Regolamento UE 2016/679) che si prefigge l’obiettivo di tutelare in modo più stringente rispetto al passato la privacy dei cittadini europei e di chi risiede nel territorio europeo.

Il regolamento è già entrato in vigore nel 2016, ma sarà efficace a partire dal 25 maggio 2018, data in cui si presume che tutti i destinatari del provvedimento (ossia: Enti Pubblici, Imprese, professionisti, ecc.) si saranno adeguati alla normativa. Ma sappiamo bene che non è così e che a meno di un mese dall’inizio dell’applicazione del regolamento sono tante le persone che non ne conoscono l’esistenza o che ancora non si sono adeguate.

Quest’articolo nasce quindi dall’esigenza di spiegare in modo semplice le pratiche necessarie per adeguarsi al GDPR ed è rivolto soprattutto a micro imprese, artigiani e liberi professionisti che rappresentano la maggior parte del tessuto produttivo nazionale. Non toccherò argomenti che riguardano le PMI e le multinazionali, per cui il GDPR impone misure più stringenti, né mi rivolgerò a quelle imprese o start-up ad alto contenuto tecnologico che gestiscono numerosi dati personali degli utenti in modo da profilarli e rivenderli. L’obiettivo è quello di rivolgermi a tutti coloro che si trovano a trattare dati personali ma non ne fanno un business, ossia alla gran parte delle attività economiche italiane.

I principi del GDPR

Iniziamo col dire che i tre pilastri su cui si fonda il GDPR sono: il principio di accountability, un approccio ai dati by design e by default (tra poco ci torneremo) e una gestione preventiva in riferimento alla valutazione dei rischio e alla valutazione d’impatto sulla raccolta dei dati.

Altri principi del GDPR

Gli altri pilastri su cui si fonda il nuovo regolamento sono: Principio di liceità e correttezza del trattamento nei confronti dell’interessato (i dati devono essere corretti e ci dev’essere un consenso informato); Principio di trasparenza (i dati devono essere facilmente accessibili da parte del titolare e le comunicazioni devono essere chiare e comprensibili da parte di chi gestisce i dati); Principio di limitazione e di minimizzazione dell’uso dei dati (ossia occorre richiedere solo i dati strettamente necessari a fornire il servizio a cui l’utente è interessato); Principio di esattezza (i dati devono essere esatti e aggiornati qualora non lo fossero); Principio della limitazione temporale (i dati possono essere conservati per il tempo necessario a raggiungere le finalità perseguite da chi li tratta); Principio di integrità e riservatezza (i dati devono essere al sicuro e protetti da trattamenti non autorizzati oppure da eventuali danni).

A chi si rivolge il GDPR?

A tutti coloro che trattano i dati personali di fornitori, clienti, utenti, dipendenti, ecc. e che operano sul territorio europeo oppure al di fuori dell’Europa ma trattano i dati di cittadini e residenti nel territorio europeo. In altre parole, che tu abbia sede al di fuori dell’UE non importa, l’ambito di applicabilità del regolamento si estende a tutti coloro che hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con i dati di qualunque persona si trovi a risiedere sul territorio europeo.

Soggetti esclusi

Gli unici soggetti che non sono destinatari del provvedimento sono le persone fisiche che trattano i dati per finalità esclusivamente personali o domestiche nonché i Tribunali penali (e le procure) per finalità giudiziarie relative al perseguimento di reati.

Il principio di accountability

Questo è il principio cardine del GDPR. Si traduce con responsabilizzazione e significa che il titolare del trattamento dei dati (che spesso coincide con il titolare dell’Azienda) ha l’obbligo di dimostrare in modo documentale l’adeguamento alle prescrizioni del Regolamento mediante l’adozione di misure tecniche (per la sicurezza dei dati) e organizzative (politiche e procedure interne, formazione del personale, verifiche periodiche, ecc.) adeguate. In altre parole si può intendere come una sorta di inversione dell’onere della prova, per cui, a differenza del passato, spetta al titolare del trattamento dimostrare di aver messo in campo tutte le misure tecniche e organizzative necessarie per conformare l’utilizzo dei dati al nuovo regolamento. La normativa, detta in altri termini, dà per scontato che in caso di perdita o furto dei dati il responsabile è solo il titolare del trattamento e a lui toccano sanzioni molto pesanti (ci torniamo tra poco).

Tuttavia il regolamento non dà indicazioni precise su quali siano le misure pratiche da adottare, ma lascia intendere che si dovrà valutare caso per caso, in base alla tipologia di organizzazione, alla natura e alle finalità dei dati raccolti.

Privacy by design e Privacy by default

Sono due principi che, di fatto, applicano il principio di accountability. Nonostante l’anglofonia ostica, vogliono dire semplicemente che bisogna adottare tutte le misure di protezione dei dati sin dalla fase di progettazione del trattamento e che i dati vanno utilizzati, per impostazione predefinita, al solo fine per cui sono stati raccolti. Così non è chiaro? Facciamo un esempio chiarificatore in relazione ai due principi.

Privacy by design

Se tu hai intenzione di aprire un e-commerce, prima di farlo dovrai stilare un documento in cui raccoglierai tutte le tipologie di dati personali che intendi raccogliere (es. nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, email, ecc.) e indicare in che modo intendi raccogliere e proteggere questi dati (es. dicendo che li terrai su un server sicuro oppure li passerai sul tuo gestionale e, in tal caso, dovrai dire chi accede a questi dati, come sono conservati e quali protezioni stai usando in caso di un eventuale attacco hacker).

Privacy by default

In questo caso dovrai creare un documento in cui dici che i dati che raccogli sono finalizzati solo per uno o più scopi per cui tu hai dato l’informativa all’utente. Ad esempio, se l’utente ti contatta attraverso il form di contatto del tuo sito, dovrai scrivere che, di default, i dati che raccogli serviranno solo a ricontattare il cliente e a proporgli i tuoi prodotti/servizi, mentre non userai quei dati per mandargli newsletter, sempre se non ha espresso un esplicito consenso a questo tipo di trattamento. Parimenti non userai i suoi dati per vendergli pubblicità di terze parti, sempre se non lo hai reso edotto nell’informativa. Insomma, dovrai standardizzare il processo e usare quei dati solo per le finalità che ti sei prefissato e per cui hai scritto un’informativa chiara.

La valutazione del rischio

Questa è un’altra operazione che dovrai fare per rispondere al principio di accountability. In caso di un ipotetico data breach (rischio di perdita, distruzione o diffusione indebita, ad esempio a seguito di attacchi informatici, accessi abusivi, incidenti o eventi avversi, come incendi o altre calamità) come fai a recuperare i dati o a contattare gli utenti per dire loro che i dati sono andati persi o sono stati rubati? Quest’evento – anche se ipotetico e molto remoto – dovrebbe essere preventivato e scritto su carta. In altre parole devi indicare tutte le misure e le garanzie previste per una adeguata protezione dei dati personali trattati. Come farlo? Anche se sembra complicato è semplice. Rifletti: Qual è la natura dei dati che potrebbero essere violati? Quanto gravi potrebbero essere i danni  causati agli individui a cui i dati violati si riferivano? Se effettui una copia di backup almeno una volta al mese, se hai adottato protocolli di sicurezza (https) sul tuo sito web, se ai dati che hai sul gestionale non accede nessuno tranne te, allora sei apposto. Devi solo riportare su carta quello che già fai e valutare l’impatto di un eventuale (remoto) attacco nei tuoi confronti o di un’eventuale perdita di dati a seguito di un evento insolito. In altre parole devi solo valutare un ipotetico rischio e scrivere quali possono essere le cause e quali le conseguenze.

Se poi il data breach accade davvero, la norma impone che occorre comunicare la violazione all’autorità di controllo (il Garante della privacy) entro 72 ore dal momento in cui ne sei venuto a conoscenza.

Come adeguarsi al GDPR in sintesi

L’adeguamento al GDPR ti porterà via si e no mezza giornata di lavoro. Quello che dovrai fare è semplice: fermati a pensare ai dati personali che tratti: clienti, fornitori, utenti del sito web, dipendenti. Poi pensa alla natura dei dati: nome e cognome? Indirizzo? Numero di telefono? Fai una lista della tipologia di dati che tratti e metti tutto per iscritto su un foglio excel (lo chiamano registro del trattamento, obbligatorio per aziende con più di 250 dipendenti, ma comodo per te da usare in quanto è un buon promemoria per adeguarti alla normativa). Poi su un foglio word scrivi come utilizzi quei dati. Devi solo scrivere che, per esempio, i dati degli utenti che ti contattano per ricevere un preventivo saranno usati al solo scopo di inviare il preventivo. Nulla di più e nulla di meno. Dirai, nel documento, che di default (cioè in modo predefinito) tutti i dati di quelli che ti contattano per avere un preventivo saranno usati al solo scopo di inviare il preventivo. Se hai più mezzi per ottenere dei dati, lo metterai su carta. Scriverai, per esempio, che i dati degli utenti ti arriveranno da:

  • form di contatto
  • ordine sul sito web
  • ordine telefonico
  • ordine da email
  • altri sistemi

Fatto ciò dovrai scrivere sullo stesso foglio word in cui dirai ogni quante volte effettui un backup dei dati, dove li salvi e chi può accedere a quei dati. Poi dirai i sistemi che usi per conservarli. Ad esempio scriverai che salvi i tuoi dati su un hard disk esterno e che lo conservi gelosamente nel cassetto della tua scrivania a cui tu solo puoi accedere. Poi scriverai che in caso di potenziale attacco hacker o potenziale danneggiamento sul tuo sito web il rischio di perdita dei dati è minimo perché, in fondo, gestisci solo dati non sensibili, ma generici (cosa se ne fa un hacker di un indirizzo di consegna?). Ad ogni modo dovrai scrivere come prevedi di risolvere la faccenda in caso di perdita o furto dei dati degli utenti con cui interagisci.

Infine, se sul tuo sito web hai diversi mezzi di ottenere i dati (ad esempio un form di contatto e un carrello con cui accetti gli ordini) dovrai rilasciare un’informativa specifica per ogni sistema di acquisizione dei dati e scrivere quali sono le finalità dell’acquisizione e come tratterai i dati. Tra l’altro, per ogni informativa dovrai rendere edotto l’utente che è suo diritto accedere ai dati, rettificarli, cancellarli, ecc.

Se sponsorizzo la mia azienda su Google Adwords o su Facebook ads che succede?

Il GDPR ha espressamente impostato un bilanciamento d’interessi tra il diritto degli utenti e l’interesse dell’Azienda a fare marketing diretto. In altre parole possono essere trattati i dati di utenti in caso di pubblicità sui social o su google, salvo obbligare il titolare del trattamento alla minimizzazione dei dati, per cui si dovranno usare quanti meno dati possibile per la finalità del trattamento. Insomma, il nuovo regolamento mette l’utente nelle condizioni di compiere un consapevole esercizio dei poteri di controllo sui propri dati, garantendogli il diritto all’informazione, all’accesso, alla rettifica, alla cancellazione, alla limitazione del trattamento e il diritto di opposizione dei dati che lo riguardano.

Sanzioni

Le sanzioni sono pesanti. Il regolamento dice: fino a 10 milioni di euro o fino al 2% del fatturato mondiale annuo se superiore. In caso di violazione degli obblighi del titolare o del responsabile del trattamento fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato mondiale annuo se superiore (e non il 2% o 4% del tuo fatturato, come qualcuno sostiene…). Sembrano cifre assurde, ma è capitato in passato di assistere a sanzioni comminate a piccole aziende per importi di 10.000,00 euro solo perché non avevano rilasciato un’informativa sull’uso dei cookie. Quindi non è detto che si arrivi a cifre così elevate, ma anche 1.000,00 euro di multa sono pesanti se rivolte a micro imprese.

Io non tratto dati personali

Ne sei sicuro? Il regolamento si rivolge a tutti coloro che, anche incidentalmente, trattano i dati delle persone. Quindi, per esempio, se hai un locale di generi alimentari con un impianto di videosorveglianza, dovrai adeguarti al regolamento seguendo le prescrizioni imposte a tutti gli operatori a cui è rivolto. Lo stesso vale per i dati di eventuali dipendenti o dei fornitori. Quindi il GDPR non si rivolge solo a realtà che operano su internet, ma a tutti coloro che, direttamente o indirettamente, hanno a che fare con i dati delle persone, inclusi quelli biometrici. In buona sostanza, se hai installato un impianto di videosorveglianza nel tuo negozio, dovrai adeguarti al nuovo regolamento, valutare i dati che raccogli e rilasciare un’informativa adeguata.

GDPR e Codice della Privacy

Come dice il proverbio? Fatta la legge, trovato l’inganno. Il nostro codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003) sarà abrogato, perché i regolamenti dell’UE sono, per loro natura, direttamente applicabili presso gli Stati membri. Però tra le fonti normative sono, di fatto, sullo stesso piano delle leggi ordinarie dello Stato italiano. Quindi che succede? Succede che al momento il GDPR non sarà ancora applicato in quanto è necessario che il Parlamento crei una legge di raccordo tra la vecchia e la nuova normativa, soprattutto nelle parti in cui confliggono. Quindi, di fatto, finché non ci sarà un provvedimento normativo ad hoc il GDPR non dispiegherà tutti i suoi effetti e, paradossalmente, sarà ancora in vigore il D.Lgs. 196/2003. Difatti il 21 marzo 2018 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che introduce disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento, ma ancora non è stato ultimato l’iter di approvazione nelle commissioni parlamentari e in aula. Comunque è sempre bene arrivare preparati all’appuntamento e non c’è niente per cui preoccuparsi. Il GDPR, per le micro imprese e per i professionisti, sarà un’occasione per riflettere sui dati che raccogliamo e su come li trattiamo. Il resto sarà solo vuota burocrazia finalizzata ad accontentare una normativa che per i piccoli imprenditori è solo una lieve perdita di tempo.

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E’ Fico rinunciare alle indennità (peccato che è demagogico)

roberto fico presidente indennità

A quanto pare il neo eletto Presidente della Camera, Roberto Fico, appena insediato ha subito scritto una lettera a nonsobenechi per rinunciare all’indennità prevista per la figura del Presidente della Camera. Che bravo uaglione. Ecco il suo post.  Peccato che però questa bella letterina l’avrebbe dovuta scrivere a sé stesso. Già, è lui quello che … Leggi tutto

Con le multe si riparano le buche. Ma dove sono i soldi?

buche strade

Partiamo subito da un presupposto. Le buche sulle strade sono l’unica cosa che accomuna l’Italia, da Nord a Sud, Isole comprese. Oddio, ci sono comuni virtuosi, dove la manutenzione del manto stradale si fa, ma sono così rari che io – automobilista incallito che girovaga per l’Italia in lungo e in largo – ho visto … Leggi tutto

Legge Fiano, ovvero curare un tumore con l’aspirina

vini gadget fascisti emilia romagna

E’ passata alla Camera dei Deputati la c.d. Proposta di legge FIANO (ed altri): “Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista”. Scritta male e pensata peggio.

Cosa dice questa proposta di legge?

Introduce un nuovo articolo nel codice penale, il 293-bis, rubricato Propaganda del regime fascista e nazifascista.

“Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

Detto in soldoni, questa sarà (se passerà anche in Senato) una legge anti-gruppi-facebook e anti-gadget. Infatti la proposta di legge mira a punire, oltre alla diffusione di video o immagini, anche il commercio di gadget e prodotti che raffigurano personaggi o simboli dei regimi fascista e nazista.

E’ una proposta di legge fatta male. Perché?

Per varie ragioni, formali e sostanziali. Partiamo dalla ragione sostanziale, la più importante.

Come il titolo – provocatoriamente – descrive, questa proposta di legge – a differenza delle vigenti Leggi Scelba del 1952 e Mancino del 1993 (su cui ci tornerò a breve) – introduce una sorta di reato d’opinione che mal si confà in un sistema che vuol definirsi democratico. Ma, ancor peggio, mira ad eliminare le conseguenze e non le cause del problema. Infatti, esattamente come fa un qualsiasi tizio di ridotte capacità cognitive che tenta di curare un tumore con l’aspirina, così questa proposta di legge cerca di eliminare i sintomi e non il malanno.

Giusto per fare qualche esempio, il proponente, nelle sue intenzioni (leggile qui) non si pone l’obiettivo di educare e formare i giovani e i meno giovani alla cultura democratica (non antifascista. Tutti gli anti sono sempre periocolosi), non tenta di analizzare le cause del dilagare di gruppi e organizzazioni di ispirazione violenta e antidemocratica (non solo fasciste, ma anche di altro genere…), non si pone nemmeno una domanda su qual è l’humus culturale in cui si formano queste persone che inneggiano al fascismo e alla violenza. No. Punisce il commercio. Punisce chi ostenta i simboli. Punisce, insomma. Opera senza diagnosi. Cura senza anamnesi.

Secoli di giusnaturalismo vengono, con questa proposta di legge, buttati nel cesso. Fior di filosofi del diritto e giuristi illuminati hanno sempre parlato della sanzione penale come extrema ratio. Qui invece di colpo si ritorna al positivismo di cinquecentesca memoria. Il reato si confonde con il peccato, la giustizia diventa repressione, le streghe vengono bruciate e gli eretici vengono torturati e giustiziati. Solo per aver espresso opinioni discordanti da quelle del Sovrano. Il reato d’opinione è un terreno minato e prima che diventi tale occorre aver esperito tutti i tentativi – extragiuridici – per impedire di doverlo utilizzare.

Ma il problema di questa legge è anche formale. E’ scritta male anche perché assurge a termini di legge fenomeni storici come “fascismo” e “nazismo”, gettando fumo negli occhi alla gente che invece, oggi, subisce nuove e più insidiose forme di regimi mascherati. Elevare un concetto storico a forma di Legge, come fosse ontologico e universale, equivale a trattare quello legislativo come uno strumento temporaneo e preda della volontà del Sovrano, non come dovrebbe essere: lo strumento principale di uno Stato di Diritto, quello che, secondo N. Bobbio, è lo Stato dei Cittadini.

Le Leggi Scelba e Mancino basterebbero per arginare il fenomeno

La Legge Scelba (1952), ancora in vigore, vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista e l’apologia del fascismo. Secondo Fiano, tale legge non basta per arginare il fenomeno del “braccio teso” o del commercio di prodotti di stampo fascista.

Mi dispiace appurare che il deputato Fiano non abbia ben chiaro il concetto di interpretazione della legge, perché solo leggendo il testo della Legge Scelba, si capisce facilmente che viene punito il tentativo di riorganizzare il partito fascista, il quale ricomprende anche tutte le attività volte “alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito”, inclusemanifestazioni esteriori di carattere fascista” (art. 1). Più chiaro di così? A cosa serve una nuova fattispecie di reato quando quella esistente può essere applicata? Non sarebbe stato sufficiente aggiornare la Legge Scelba? No, perché non sarebbe stata mediaticamente efficace.

Inoltre, cosa di non poco conto, la Legge Scelba si pone la finalità di “far conoscere in forma obbiettiva ai cittadini e particolarmente ai giovani delle scuole, per i quali dovranno compilarsi apposite pubblicazioni da adottare per l’insegnamento, l’attività antidemocratica del fascismo” (art. 9).

Cosa che a Fiano e al PD non passa manco per l’anticamera del cervello. Formare? Informare? No, punire.

Il problema è che l’attuale classe politica soffre della sindrome da legge, per cui ogni elemento contingente dev’essere regolato da una specifica legge, senza magari curarsi di interpretare e applicare quelle esistenti che, specialmente se più vecchie, sono scritte bene e si pongono l’obiettivo di essere quanto più universali possibile.

La Legge Mancino (1993), poi, completa il quadro, in quanto punisce chiunque faccia propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Le due leggi, insieme, di per sé basterebbero ad arginare il fenomeno. Ma Fiano guarda la punta del proprio naso e non vede oltre. Non vede che le due leggi sono sufficienti, che sono scritte meglio della sua proposta, che punire non è sempre la soluzione migliore e, soprattutto, che questi fenomeni vanno analizzati, compresi e curati alla radice, con terapie adeguate e non con una semplice aspirina, che magari leva i sintomi, giusto per un po’, ma la malattia è ancora lì, e avanza inesorabile.

Il Sindaco di Licata e la differenza tra Legge e Giustizia

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Angelo Cambiano era Sindaco di Licata, in Sicilia. Fu eletto il 15 giugno 2015 con quasi il 55% di preferenze. Nel 2016 iniziò la sua lotta all’abusivismo edilizio e venne minacciato più volte (gli vennero persino incendiate due case di famiglia) quasi sicuramente perché, fino ad ora, ha fatto abbattere numerosi immobili abusivi. Pochi giorni fa è stato sfiduciato dal consiglio comunale. Ma che ha fatto di così grave? Semplicemente ha applicato la Legge, in particolare tutta una serie di ingiunzioni di demolizione da parte della Procura di Agrigento. Come lui stesso dichiara “La mia non è stata una scelta politica quella di demolire immobili. Ci sono delle sentenze della magistratura che lo hanno decretato e le sentenze vanno rispettate”.
Oddio, non possiamo certo dargli torto. La legge va rispettata e le sentenze pure. Alcune sono così vecchie da risalire persino agli inizi degli anni ’90. Quantificando, sarebbero quasi un centinaio le case da abbattere o già abbattute, ma forse sono anche di più, dato che non è facile conoscerne il numero, perché, dal 2016 ad oggi, la Procura di Agrigento, a più riprese, ha notificato al Comune di Licata molte ordinanze di abbattimento, tutte recepite e fatte eseguire. Fino al 2015, anno in cui Cambiano fu eletto, le pressioni da parte della Procura di Agrigento vennero tutte respinte al mittente, non solo dal Comune, persino dalla Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali e dall’Ente Parco archeologico, ognuno dei quali si dichiarava non competente in materia.

Insomma, per anni, anzi, per decenni, tutte le sentenze e le ordinanze di abbattimento degli immobili abusivi sono state ignorate dal Comune e dagli altri Enti preposti. Il Sindaco Cambiano ha corretto il tiro e ha iniziato ad applicarle, ordinando gli abbattimenti, non solo di immobili per cui le sentenze sono passate in giudicato, ma anche per immobili di nuova costruzione.

Ha fatto bene? Ha sbagliato? Entrambe le cose. Cambiano non è un Eroe, perché ha applicato la Legge, ma non è nemmeno un rappresentante della sua popolazione (lo dico a vantaggio di quelli che pensano che i Sindaci sono rappresentanti del Governo. No, rappresentano i cittadini del Comune in cui vengono eletti. Solo in poche occasioni fungono da rappresentanti del Governo) perché non ha tenuto conto della realtà in cui opera.

Già. Ha fatto bene, perché ha applicato la Legge, ma ha sbagliato, perché – in molti casi – è stato ingiusto.

Che differenza c’è tra Legge e Giustizia? E’ giusto abbattere le case abusive, sì, ma è giusto abbattere solo quelle di quei poveri sfigati che non hanno approfittato dei vari condoni edilizi intervenuti in questi ultimi decenni? Dagli anni Settanta ad oggi il Governo, con vari decreti d’urgenza, ha sempre e costantemente regolamentato la materia decidendo, di volta in volta, quando consentire e quando, invece, sanare (a titolo d’esempio, basti ricordare i D.L. 28 marzo 1986, n. 76; D.L. 30 settembre 1986, n. 605; D.L. 9 dicembre 1986, n. 823; D.L. 9 marzo 1987, n. 71; D.L. 8 maggio 1987, n. 178; D.L. 9 luglio 1987, n. 264; D.L. 4 settembre 1987, n. 367; D.L. 7 novembre 1987, n. 458, tutti in materia di urbanistica e sanatoria dell’abusivismo edilizio).

Diciamoci la verità. I Governi che si sono succeduti (e spesso i Parlamenti, che hanno ratificato i Decreti o emanato leggi ad hoc) hanno regolamentato la materia come più gli ha fatto comodo: a volte concedendo, a volte impedendo, altre volte sanando. In questo marasma legislativo mettetevi nei panni di un cittadino qualsiasi che vuole costruire (del Nord o del Sud, perché l’abusivismo è trasversale, anche se spesso i media vi diranno che è preminente al Sud. Cazzate). Non ci capisce un cazzo. Legge le varie disposizioni normative e non sa quali sono valide e quali abrogate. In più, tra rimandi di legge e giuridichese, non capisce nulla. Quindi fa la cosa più ovvia: va all’Ufficio tecnico o dal Sindaco per avere informazioni e questi, con buona probabilità, gli diranno: tu costruisci, poi si vede. E fu così che dagli anni Settanta ad oggi interi Paesi sono stati costruiti in modo abusivo. Ma abusivo da cosa? Abusivo in base a leggi che dicono tutto e il contrario di tutto? Abusivo in base a piani urbanistici locali che molti Comuni non hanno ancora adottato? Abusivo in base alle dichiarazioni degli Uffici tecnici dei Comuni? In questa confusione, uno che vuole una casa in riva al mare, in campagna o nella periferia del paese, la costruisce e basta. Poi si vede. E’ così che ha funzionato finora. E’ giusto? Non è giusto? Come si fa a dirlo se le leggi venivano continuamente modificate e se le sanatorie spuntavano come funghi ogni 5 o 6 anni?

Quindi, rispondendo alla domanda di prima, un povero cristo, che si vede abbattere la sua casa costruita negli anni Settanta, così, senza un apparente motivo e dopo averci vissuto una vita, magari ereditata dal nonno (che l’ha costruita perché qualcuno gli ha detto che poteva farlo, poi si vedrà) sta subendo un’ingiustizia o l’applicazione della Legge? E la legge, nel suo caso, è giusta? Se il tizio, vedendo che in tutta Italia si abbattono case abusive, forse potrebbe farsene una ragione, ma se invece l’applicazione della Legge vale solo nel suo Comune e nel suo caso, penserà che è giusto o che è solo una carognata che lo porterà a perdere la sua casa e ad andarsene in mezzo a una strada? Come fai a spiegargli che la sua casa è abusiva quando invece quella del suo vicino – sanata qualche anno prima – è ancora in piedi e non verrà abbattuta? Ditemi se questa è giustizia o meno. Ditemi come fa quel povero cristo a capire che la sua casa è illegale, mentre quella del vicino no.

Oggi assistiamo a questo spiacevole spettacolo per cui un Sindaco, che deve applicare la Legge, viene prima minacciato e poi sfiduciato dal suo Consiglio comunale. Lui non è un eroe, è solo l’emblema di un personaggio che si trova ad operare in un sistema corrotto nei suoi meccanismi più profondi, cioè le leggi, di un modello istituzionale che non ha mai voluto prendere una decisione netta in materia urbanistica e che si è sempre mascherato dietro il gioco dell’oca di un sistema volto a vietare e poi a concedere, a bloccare e poi a sanare, ad impedire e poi a consentire. In questo sistema qual è la differenza tra Legge e Giustizia? E’ giusto consentire e poi – dopo tanti anni – distruggere? E un povero Sindaco cosa deve rispettare? La Legge o la Giustizia? Me lo chiedo e ve lo chiedo, perché è facile schierarsi contro l’abusivismo, ma è difficile capire quanto questo fenomeno sia stato foraggiato dalle stesse Istituzioni che oggi lo contrastano. Soprattutto al Sud. Ma l’Italia, sappiatelo, da questo punto di vista è unita. Unita assai.