Le rapine e…la bella vita!

rapine bella vita

Proprio oggi ho letto sul quotidiano locale di una delle tante rapine al supermercato dove ogni tanto vado a fare la spesa. A memoria, in 10 anni da quando è stato aperto, è stato rapinato circa 15-20 volte.

E’ sempre lo stesso scenario: arrivano di sera, poco prima della chiusura, e razziano l’incasso. A volte è magro, come l’ultima volta (quando sono stati “prelevati” 900,00 €), a volte è più corposo (un’altra rapina, di circa 1 anno fa, ha fruttato ai malviventi circa 2000,00 €). Spesso i rapinatori sono stati individuati e sempre si trattava di giovani italiani, incensurati (o con precedenti di spaccio) e di “buona famiglia”.

Questo fatto mi ha fatto riflettere su un aspetto tipico del momento storico in cui viviamo, cioè che non si ruba più per fame, ma per lusso.

Dai, pensiamoci un attimo. Andiamo a spulciare la cronaca locale oppure i dati snocciolati ogni anno dal Viminale e scopriamo che il “grosso” delle rapine (o delle attività di spaccio) è svolto da giovani ragazzi, perlopiù incensurati e provenienti da ambienti “bene” o quantomeno dal “ceto medio”. Non sto parlando di criminalità balorda, tipica delle “periferie” e degli ambienti degradati, ma di micro-criminalità borghese.

Ora mi viene da pensare che a questi ragazzi, in fondo, non manca niente. Probabilmente sono studenti oppure giovani disoccupati che cercano di sbarcare il lunario come meglio possono. E non è un caso che sempre oggi è uscita un’indagine della Commissione Europea che indica l’Italia come il primo paese europeo per presenza di “neet”, cioè di giovani (15-24 anni) che non fanno niente: non studiano, non lavorano né cercano un lavoro. Sono il 19,9% (rispetto alla media europea del 11,5%).

Come campano questi ragazzi?

Ogni giorno, percorrendo le strade del mio paesello, vedo tanti ragazzi (giovanissimi!) che circolano con macchinoni tipo SUV o grosse berline, che passano le serate nei locali a bere o che si sfondano di aperitivi al mare, negli stabilimenti, dove solo per prendere un caffè paghi l’ira di dio.

Io, da piccolo imprenditore quale sono, provo ogni volta un senso di vergogna e di disgusto a cacciare tre euro e cinquanta per una Tennent’s, mentre guardo il tavolo di un gruppo di adolescenti pieni di acne che ne ha consumate almeno una trentina. E mi faccio i conti.

Quindi è detto fatto? Ci sta una “generazione” di ragazzi che non vogliono studiare, di lavorare manco l’ombra, però devono comunque “apparire in società” e, di conseguenza, spendere. Allora è forse spiegato perché c’è una così ampia recrudescenza di rapine, furti e spaccio? Forse, probabile. Non è così difficile fare due+due.

Del resto la vita oggi è cara e la bella vita costa anche di più. Poi se ci metti la precarietà del lavoro, gli alti costi e le innumerevoli incertezze del lavoro in proprio, nonché il fatto che “il lavoro stanca e non rende” unito al ripudio della fatica come antidoto ai mali del passato in cui i nostri nonni si sono “fatti il culo” e per cui i giovani provano una profonda antipatia, capisci che la via più semplice è quella di far soldi con facilità e oggi i modi sono pochi: o sfondi su internet (cosa che riescono a fare agevolmente solo i veri idioti) o vivi di rendita (cosa che fanno in pochi, cioè i sopravvissuti della crisi economica), oppure commetti reati (tipo: spaccio, rapine, furti…).

Lo stress dell’edonismo

Cioè pensa allo stress a cui è sottoposto un giovane d’oggi. Un pacchetto di sigarette costa 5 euro, un cocktail costa dalle 5 alle 15 euro (a seconda di dove vai…), un ingresso in discoteca (di quelle che contano) costa almeno 10 euro e a volte la consumazione non è inclusa. E che fai? Non ti prendi almeno 2-3 consumazioni? Poi metti il pre e il post serata: tra birre, panini, cocktail e sigarette, almeno almeno ti spari quelle 50-60 euro. Se poi “rimorchi” allora la spesa raddoppia, e lì so’ cazzi. Perché non puoi sfigurare davanti all’imposizione implicita di una consumazione offerta. Calcola che una volta si usciva il sabato e basta (se ti andava bene), mentre oggi si fa il pre-finesettimana il giovedì e poi il finesettimana il venerdì e il sabato. E ogni giorno so’ spese, e grosse pure.

E poi…un tatuaggio stupido, piccolo piccolo, costa 30 euro, e c’è chi se ne fa minimo 2-3, perché con uno non conti. E poi il macchinone, i vestiti griffati (cosa vuoi? Che indossi i vestiti del mercato?), l’orologio buono e gli occhiali da sole ray-ban. Ohi, che pensi? A occhio ci vogliono almeno 1000 euro di imprinting, oltre alle basilari 50 euro a sera, giusto per “apparire” e non sfigurare.

Paga papà? Paga il nonno? Sì, a volte. Ma a volte no. E quindi i soldi da dove vengono?

Il lusso costa

Tutto sommato, sti ragazzi che non lavorano, non studiano né hanno ben chiaro il proprio futuro, ma vivono nel confine tra la rendita e l’illegalità, supportati dalle paghette dei nonni e dai sotterfugi per “campare”, hanno ben impresso nella mente il principio del vivere moderno: non è la fame ciò che ci comanda, ma il lusso, o almeno la sua apparenza. L’apparenza è sostanza e la sostanza ha un costo. Non sono ladri di polli, che rubano per fame, sono ladri di supermarket o spacciatori di erba e cocaina e rubano e spacciano per un cocktail e per un tatuaggio o un aperitivo al mare. Del resto come dargli torto? Sono il frutto di ciò che abbiamo costruito finora, dei modelli a cui ci siamo ispirati, senza troppo pensarci, mentre abbiamo abiurato il passato, come un cattivo male da dimenticare. Sono loro, i nostri figli, i ragazzi che abbiamo educato davanti alla tv mentre noi distrattamente sceglievamo il modello di macchina più tecnologico e, per non sentire i loro pianti, li abbiamo viziati e gli abbiamo insegnato che chi lavora è un fesso, mentre chi fa il furbo è un dritto.

Solo una cosa mi fa sghignazzare: il momento, e sarà a momenti, in cui scenderanno con il culo per terra e vi ripudieranno, voi, genitori del cazzo che non siete stati in grado di insegnarli a riconoscere un albero ma siete stati bravissimi a fargli capire la differenza tra un cambio manuale e un sequenziale. Tempo qualche anno e i vostri figli tireranno i conti. Giusto il tempo di far morire i vostri genitori e le loro pensioni. Poi, giuro, mi gongolerò nel vedervi annaspare nel nulla, mentre troverete giustificazioni al vostro nulla educativo.

L’Italia dei Patrimoni e il turismo Low cost

turismo

L’Italia, si sa, è il Paese dei mille Patrimoni: arte e artigianato, Natura, paesaggi incontaminati, luoghi storici, tradizioni musicali ed enogastronomiche, borghi medievali, chiese, cripte, palazzi e tanto altro sono l’architrave del Patrimonio storico-culturale di tutta Italia. Come si dice spesso, l’Italia potrebbe vivere esclusivamente di turismo, di arte e di produzione e commercio di prodotti enogastronomici, ma questi comparti stentano a decollare, per tanti (e ovvi) motivi.

Il Patrimonio culturale trascurato

Perché nella classifica del turismo internazionale troviamo al primo posto la Spagna, seguita da Francia, Germania, USA, Regno Unito, Svizzera (persino!), Australia e poi, al decimo posto, l’Italia? (fonte: World Economic Forum (2015), The Travel & Tourism Competitiveness. Report 2015. Growth through Shocks, Geneva). Perché la Francia o la Spagna, che hanno 1/10 del nostro Patrimonio Culturale, sono le prime mete turistiche mondiali? La risposta è semplice, perché questi Paesi investono in media il 2,2% del PIL in cultura, beni e attività culturali, mentre l’Italia, con il suo 1,1% di investimenti, è all’ultimo posto tra i 27 Paesi europei. Ci supera pure la Slovenia con il suo 2,5%.

Ma non è solo un problema di investimenti in cultura. Il problema è che l’Italia non investe nemmeno in infrastrutture, servizi e tutela dell’Ambiente che favoriscono la presenza turistica nel Paese. Difatti secondo le stime del Country Brand Index 2014-2015 (FutureBrand) l’Italia, in termini di global reputation, si colloca al 18° posto in riferimento alla percezione internazionale di viaggio in termini di accoglienza, ospitalità, mobilità, ecc.

Dunque il Paese con il maggior numero di Beni Culturali al Mondo (ne abbiamo l’85%) viene superato in termini di presenze turistiche e di appeal internazionale da Paesi con Patrimoni Culturali minori in termini numerici e qualitativi.

Del resto, se leggiamo la storia politica d’Italia, l’unico momento in cui il nostro Patrimonio Culturale è stato preso in considerazione e sottoposto a tutela risale al 1974, grazie a Giovanni Spadolini, che ha voluto fortemente l’istituzione del Ministero dei Beni Culturali. All’epoca il Ministero era competente anche in materia di Ambiente, poi nel 1984 divenne Ministero per i Beni e le attività culturali per poi divenire, nel 2013, Ministero dei Beni, delle attività culturali e del turismo. Da allora ad oggi solo Spadolini e pochi altri Ministri (durati, purtroppo, pochi anni) hanno preso sul serio il compito del Ministero. Se pensiamo che dal 1998 ad oggi i Ministri sono stati Veltroni, Melandri, Urbani, Buttiglione, Rutelli, Bondi (!), Galan (!) e oggi Franceschini, non ci possiamo stupire del fatto che i Beni culturali crollano, vengono venduti e non ci sono investimenti seri in materia di cultura, tutela e valorizzazione dei Beni culturali.

I più attenti tra voi avranno notato che ho omesso di citare due nomi di Ministri: Lorenzo Ornaghi (ministro solo nel 2013 col Governo Monti) e Massimo Bray (ministro dal 2013 al 2015 col Governo Letta). Negli ultimi anni sono stati gli unici Ministri che, seppur in un lasso di tempo limitatissimo, hanno approntato piani e risorse per la tutela e la valorizzazione dei Beni Culturali e per il potenziamento del sistema turismo in Italia. A Ornaghi si deve un piano strategico di sviluppo del turismo (gennaio 2013) ben congegnato e ben strutturato, poi soppresso e sostituito dal Piano strategico di sviluppo del turismo 2017-2022 elaborato dal Dicastero di Franceschini, che sembra più un libro dei sogni scritto da ragazzini trendy che un piano vero e proprio, elaborato con un linguaggio più che discutibile e metodologie che sembrano uscire da un social network, incapace, dunque, di rappresentare un piano di sviluppo credibile, partendo da dati certi, criticità, analisi e soluzioni. Potete leggere il piano qui.

Il Piano strategico di sviluppo del turismo e le forme di turismo che l’Italia può attrarre

piano strategico turismo

Un piano di sviluppo del turismo non può solo incentrarsi sul marketing territoriale e su fumose forme di partecipazione aperta tra soggetti pubblici e privati (che spesso nascono e muoiono nel giro di pochi mesi), ma deve passare necessariamente attraverso la salvaguardia dei Beni Culturali (necessariamente gestiti in forma pubblica e non privata) e dell’Ambiente. Un Ministro che nel piano strategico parla di generica “tutela dell’Ambiente” ma poi acconsente alla realizzazione di opere, in tutta Italia, che impattano negativamente con l’Ambiente, non può essere credibile, e quindi i suoi piani fatti di belle parole e dichiarazioni d’intenti, si sciolgono come neve al sole. Ancora, un Ministro che apre alla privatizzazione e alla sponsorizzazione per i Beni Culturali è una persona che non ha capito che la Cultura non può essere mercificata, ma deve essere a tutti gli effetti pubblica. Inoltre, un piano che mette al centro la partecipazione, ma pone come obiettivo quello di riportare la materia “turismo” nella competenza statale, modificando il Titolo V della Costituzione, dimostra ancora una volta l’incapacità di dialogo tra Enti centrali e periferici e, se avviene ciò, figuarsi come si può improntare la collaborazione tra lo Stato e le piccole attività produttive, tanto decantate all’interno del Piano.

Ora, se manca una seria analisi e un piano strategico credibile, volto a salvaguardare il Patrimonio Culturale, l’Ambiente e il Paesaggio nonché volto a incentivare e mettere in rete gli operatori del settore turistico, nonché gli altri attori che ruotano intorno (aziende dell’agroalimentare, artigianato, associazionismo, ecc.) è chiaro che non ci sarà mai alcuno sviluppo. Inoltre un Ministero che è incapace di leggere la realtà e di approntare misure adeguate volte a tutelare l’Ambiente dall’invasione del turismo di massa (che porta pochi soldi e tanti danni), allora è evidente che non è ancora chiaro, ai vertici, quale forma di turismo l’Italia è chiamata ad attrarre.

Insomma, detta in altre parole, se non ci sono direttive chiare e univoche, imposte dall’alto e si lascia fare agli operatori del settore, il cui scopo è ovviamente quello di attuare profitti, è ovvio che in questo quadro “liberal” le uniche forme di turismo che gli operatori attraggono sono il turismo di massa e il turismo balneare, ovviamente nazionale o, al più, proveniente dai paesi europei più vicini (Francia e Germania in primis). E’ tutta una questione di “forza attrattiva”. Gli operatori del settore balneare e dell’industria del divertimento hanno più mezzi e più risorse per attrarre la massa, per lo più giovanile, alla ricerca di momenti di divertimento e di sballo. Il settore museale o gli operatori dei Beni culturali, siano essi pubblici o privati, di converso, non avendo risorse, non saranno in grado di approntare misure atte ad attrarre il turismo culturale, l’unica forma di turismo capace di spendere e di rispettare il genius loci.

Tra le funzioni del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo c’è anche quella di ridurre le disparità economiche e di mezzi tra gli operatori turistici e garantire lo sviluppo di forme turistiche adeguate al delicato eco-sistema ambientale e culturale italiano, cioè forme di turismo capaci di apprezzare e scoprire il ricco Patrimonio Culturale e, ovviamente, capaci di generare ricchezza diffusa. Ma è proprio questa la funzione che fino ad oggi non ha avuto, lasciando gli operatori in balia delle acque.

Ma ci sono molte altre forme di turismo che generano ricchezza nel rispetto dei territori: il turismo etnico, il turismo enogastronomico, il turismo religioso, il turismo termale, il turismo sportivo, ecc. Ora, se non ci sono politiche univoche capaci di strutturare queste forme di turismo, permettendo offerte turistiche integrate, sistemi di mobilità pubblica e infrastrutture capaci di accogliere il turismo (parchi pubblici, porticcioli, aeroporti, stazioni termali, o, più semplicemente, mezzi di trasporto regionali e interregionali), ogni azione promessa resterà solo un bel sogno su carta.

Il turismo low cost danneggia l’immagine dell’Italia nel Mondo

turismo trash gallipoli
Il Samsara beach a Gallipoli. Forse tra quello con la maglia bianca e la tizia con gli occhiali c’è un centimetro quadrato per ballare.

Ogni estate è la stessa storia. Orde di turisti low cost invadono le coste di tutta Italia, generando confusione, degrado e spesso problemi di ordine pubblico. Accade ogni anno a Gallipoli, per esempio. I tour operator, i gestori dei lidi, di bar, ristoranti e persino di B&B sono contenti e si sfregano le mani. Tutti gli altri no, incluso il Sindaco di Alassio, che pochi giorni fa ha rilanciato il problema davanti all’opinione pubblica, chiedendo persino l’accesso alle spiagge libere a numero chiuso. Davanti a un quadro così desolante, con orde di turisti che non portano ricchezza, ma degrado, che immagine riesce a trasmettere l’Italia nel Mondo?

Lasciar fare al mercato (cosa che finora ha fatto il Ministero) significa incentivare il turismo di massa, l’unica forma di turismo che interessa agli imprenditori del settore balneare e del divertimento, perché ciò che conta nel mercato sono i numeri e non la tutela e la valorizzazione del delicato Patrimonio Culturale materiale e immateriale. Per fare un esempio, la Notte della Taranta, che si svolge ogni anno nel Salento, non ha come primario obiettivo quello di salvaguardare la memoria storico-coreutico-musicale del Patrimonio culturale locale, ma quello di fare numeri e di portare quanta più gente possibile. Non importa che poi si perda la memoria, importa sfruttare un elemento di moda (la musica popolare salentina) per portare gente. Ciò avviene un po’ dappertutto e il fatto che il turismo di massa crea disagi e non genera ricchezza (anzi, contribuisce al consumo delle risorse pubbliche e all’eccessiva produzione di immondizia, onere che ricade sulle comunità locali) non sembra rappresentare un problema, visto che nel Piano di sviluppo del turismo non c’è traccia di questa tematica.

I trasporti, il vero problema

treno

Poniamo che sono un turista americano e che ho una settimana di vacanze che voglio trascorrere in Italia. In una settimana voglio vedere le cinque città principali (Roma, Firenze, Venezia, Milano, Napoli, Palermo). Arrivo a Milano, poi prendo un treno per Venezia, da lì mi sposto verso Roma e poi a Napoli. A parte il fatto che in ogni città avrò pagato diverse tasse di soggiorno (chiaro segnale che su questa tematica non c’è una linea guida centrale) e spesso nemmeno riesco a saperlo in tempo (giusto per farmi un’idea di quanto spenderò), il problema principale sarà quando scoprirò che per arrivare a Palermo col treno metterò più tempo che per arrivare a Madrid. Quindi desisterò dal visitare la città. Se poi ho la malsana idea di voler visitare le cittadine vicine, scoprirò che non ci sono treni, forse qualche autobus, ma d’estate non si sa che orari facciano. E quindi, per esempio, avrò perso l’occasione di vedere la Ciociaria oppure Salerno o Benevento o la costiera amalfitana.

Lo stesso problema avviene per spostarsi dalle città del Centro-Nord verso il resto del Sud Italia. Il drastico taglio delle tratte ferroviarie a discapito delle città del Sud ha ostacolato lo sviluppo turistico in queste zone, per non parlare dell’emblematico caso di Matera, che – nonostante la sua nomina a Capitale Europea della Cultura 2019 – soffre ancora un isolamento geografico senza paragoni. E, stando all’attuale programmazione regionale e comunale, non sembra che ci siano risorse adeguate per risolvere il problema dei trasporti pubblici verso una meta internazionale così importante. Il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo non potrebbe approntare misure adeguate unitamente al Ministero dei Trasporti? E’ così difficile? Oppure è più facile stendere un Piano strategico che non verrà mai attuato e che resterà solo su carta? Questo ci dimostra quanto gli attuali governi siano più propensi a gettare fumo negli occhi che a risolvere fattivamente i problemi.

Dunque, stando così le cose, credo che per molti anni vivremo il dramma del turismo low cost e che il turismo internazionale tenderà maggiormente a scegliere altre mete più “facili” in termini di servizi e di accoglienza, con buona pace degli operatori balneari e delle discoteche, gli unici che si sfregano le mani nel sentire le dichiarazioni d’intenti del Ministro Franceschini e, forse, dei suoi successori (se continua così, il prossimo Ministro sarà Rovazzi…).