Sfruttamento del lavoro a Melito di Napoli: Marx aveva ragione

operaio pelle

E’ di oggi la notizia dell’arresto di un imprenditore di Melito di Napoli, accusato di sfruttamento del lavoro, anche minorile, oltre che di sequestro di persona e intermediazione illecita. L’imprenditore aveva astutamente allestito un locale di lavoro protetto da una porta blindata e privo di finestre e servizi igienici, in cui lavoravano 43 operai, tutti … Leggi tutto

Parliamo dei Curdi

curdi pkk

Perché è importante stare accanto ai curdi, perché bisogna chiedere di abbandonare la NATO e costringere le istituzioni italiane ed europee a mettere all’angolo Erdogan e prendere una posizione netta contro la vendita di armi in Turchia. Chi sono i curdi I curdi sono un’antichissima minoranza etnica (si ritiene esistente sin dal VII secolo d.C.) … Leggi tutto

Le illusioni di Greta e dei fridays for future

Greta Thunberg

Perché le richieste di Greta Thunberg e del movimento fridays for future e Climate Strike sono totalmente inefficaci, anzi, rischiano di peggiorare le cose. Negli ultimi tempi si è ripreso a parlare abbondantemente di Greta Thunberg, di climate change e dei ragazzi che scendono in piazza, in tutto il Mondo, per manifestare a favore della … Leggi tutto

Lo scontrino elettronico è una cagata pazzesca

scontrino elettronico

Questo articolo sullo scontrino elettronico segue l’articolo sulla fattura elettronica che, ovviamente, è una cagata pazzesca. Come tutti ben sappiamo, dal 1 luglio 2019 scatta l’obbligo di rilasciare lo scontrino elettronico, ma solo per chi ha un volume di affari superiore ai 400mila euro, mentre dal 1 gennaio 2020 l’obbligo verrà esteso a tutte le partite … Leggi tutto

Le illusioni dell’economia digitale

economia digitale

Quasi ogni giorno leggo di come l’economia stia cambiando e di come stia prevalendo il sistema economico basato sulla produzione di dati rispetto al vecchio modello basato sulla produzione di merci. Ogni giorno leggo che l’industria 4.0 si sviluppa sempre più e sempre più presto sofisticati macchinari, messi in rete e inteconnessi tra loro, sostituiranno il lavoro manuale, mentre il vero valore verrà prodotto dallo scambio e dalla trasformazione di dati.

I big data sono quindi il vero capitale diffuso nell’economia digitale, di cui ognuno di noi ne detiene una parte e che solo attraverso la loro raccolta, catalogazione, trasformazione, interpretazione, riduzione in sintesi, generano valore, un valore enorme. Già, perché il tuo indirizzo di casa, i tuoi gusti gastronomici, i film che ti piace guardare, i libri che ti piace leggere o la musica che ascolti, persino le conversazioni che fai sui social, vengono raccolti e ti viene creato un profilo che diventa un profilo comune ad altri quando gli stessi gusti coincidono, quindi vieni, appunto, profilato, interpretato e rivenduto agli inserzionisti o alle holding che detengono buona parte delle app che utilizzi.

Di questo ne sei più o meno consapevole e più o meno consapevolmente clicchi su accetto quando, prima di usare il servizio, ti vengono presentate le condizioni d’uso. Chiaramente tu hai bisogno di ordinare su Amazon o di prenotare la pizza su Just Eat, quindi accetti a occhi chiusi, tanto sai che oggi funziona così, che i tuoi dati li raccolgono, e sai anche che tutto ciò non ti crea pregiudizio, anzi, sai benissimo che queste soluzioni tecnologiche fanno bene alla società, perché facilitano la vita.

Ma per rendere facile quel servizio, qualcuno dietro ci deve lavorare: deve scrivere codici, produrre, impacchettare e consegnare la merce. Per rendere sempre più economico ma al contempo di qualità il servizio, l’azienda che lo offre deve pur risparmiare su qualcosa. Su cosa? Sui fornitori e sui lavoratori. E i fornitori, a loro volta, risparmieranno sui propri lavoratori. L’illusione della meccanizzazione e dell’efficienza si basa su un semplice concetto: sfruttare.

Per convincerti ancora di più e per distogliere l’attenzione sullo sfruttamento ti diranno che tutto ciò è un bene, che tu crei valore e fai crescere l’economia, che i lavori faticosi e umilianti presto verranno sostituiti dalle macchine, da sofisticatissimi robot che si occuperanno di tutto: di impacchettare e consegnare merci, di raccogliere pomodori e verdura, o di gestire i tuoi ordini in tempo reale. E credi sia un bot che risponde alle tue mail inviate alle 2 di notte? O credi sia un algoritmo che automaticamente ti fornisce i risultati di ricerca sulla SERP di Google?

Quante volte alla tv hai visto gli esperimenti di Amazon di consegnare i pacchi con i droni? O i tentativi di Google di far guidare le auto da sole? Quante volte ti hanno detto che le sofisticate catene di montaggio non hanno più bisogno di operai? E ti fanno vedere anche come si possono coltivare ettari di terreno solo con un trattore guidato da una sola persona. Figo, no?

Peccato che son tutte cazzate. Tutte.

Nel sottobosco dove pochi coraggiosi s’avventurano, nei degradati bassifondi dove al solo pensiero di imboccarli cambiamo strada, nelle puzzolenti fogne della più tecnologica delle smart city, dove tutto appare perfetto e automatizzato, insomma, nelle periferie della civiltà c’è un umanissimo esercito in carne e ossa di sfruttati dall’economia digitale, tenuti ben nascosti nelle proprie camerette, in magazzini gestiti come caserme, in aperta ma recintata campagna o mischiati tra la chiassosa gente cittadina in sella a bici e scooter, che fanno il lavoro sporco e ci regalano l’illusione dell’automatismo. E quando noi vediamo i rider girare come pazzi in bici, diamo più importanza all’aspetto ambientale e salutistico (non inquinano e si mantengono in forma) più che allo sfruttamento che ci sta dietro.

Noi clicchiamo su conferma ordine, paghiamo e vediamo il nostro pacco arrivare a casa, senza curarci che nei magazzini di Amazon si consuma lo stesso orrore delle catene di montaggio di fordiana memoria, con persone che hanno i passi e i minuti contati, con algoritmi anonimi che impongono loro determinate performance, con ranking che li collocano in alto o in basso alla classifica in base a quanto sangue e sudore buttano su un pacco e che pregiudicano l’entità del loro stipendio. Lo stesso avviene per le app che consegnano il cibo (Fedora, Just Eat, ecc.), le quali si basano su una larga fetta di lavoratori, spesso assunti con contratti di collaborazione occasionale o con P.IVA il ché permette loro di sfruttarli senza riconoscere i diritti minimi sindacali (salario minimo, ferie, malattia, tredicesima, ecc.) e riconoscendo uno stipendio ancorato al lavoro svolto: più lavori e più ti pago. Insomma, un cottimo, ma 2.0 (per approfondire V. quest’articolo sulla gig economy).

Per addolcire la pillola e farci accettare lo sfruttamento, chiamano questi lavori con un nome evocativo: gig economy, ossia economia dei lavoretti. In pratica vogliono illuderci che si tratta di semplici lavoretti, giusto per arrotondare. Ma dalle parti mie uno arrotonda quando ha già un lavoro e ha bisogno di un’entrata extra, mentre per questi qui è un lavoro a tempo pieno, però pagato come fosse un lavoretto. Qualcosa, quindi, non quadra.

Un lavoro a tempo pieno, ma svolto di nascosto, senza l’ingombro delle tutele sindacali e senza il fastidio del rapporto diretto tra padrone e operaio.

In un mio vecchio articolo questo sistema basato sull’economia digitale l’ho chiamato turco capitalismo, rievocando il turco meccanico, una complessa scacchiera che dava l’illusione di essere automatica, ma in realtà era gestita da un essere umano nascosto al di sotto di essa (approfondisci). Curiosamente questo vecchio modello è stato applicato dai big della rete, tra cui Amazon e Google.

Prendiamo, ad esempio, i lavoratori di Google.

Google ha un esercito di sviluppatori, analisti, segretari, revisori sparsi per il globo, che lavorano da casa. Ti illudono che l’immenso mondo Google sia concentrato nella maestosa sede di Mountain View e che ognuno di loro sia contrattualizzato, ma le cose non stanno così. Da soli non riuscirebbero a gestire tutto quanto, ecco che entrano in scena i turchi meccanici.

Ognuno di questi turchi meccanici ha il compito di analizzare le ricerche che facciamo ogni giorno, adattare i risultati alle ricerche, moderare i contenuti, scrivere codice per migliorare l’algoritmo che gestisce i risultati, gestire la miriade di prodotti creati da Google (maps, calendar, task, drive, ecc.ecc.), il tutto da casa, davanti al proprio PC. E’ un lavoretto? No, è un lavoro vero e proprio che spesso richiede ore, giorni o addirittura mesi di lavoro, ma è pagato pochissimo ed è governato dalla solita legge del ranking: se il tuo lavoro è apprezzato dagli utenti, ti pago, sennò ciccia. Quindi se ti sbatti per 12 ore al giorno davanti a un codice, ma gli utenti valutano male il servizio di Google su cui hai lavorato, addio soldi. E’ chiaramente un pretesto, ma è basato su un ranking e un algoritmo obiettivo, inseriti in una piattaforma digitale con cui lo sviluppatore (o, più in generale, il lavoratore autonomo) s’interfaccia.

Se proprio vogliamo dirla tutta, la nuova frontiera dell’economia digitale non è tanto l’automazione, quanto il rapporto tra l’umano (il lavoratore) e una macchina, un algoritmo, una piattaforma. Se quest’ultima ti dice che non ti paga, perché sei in basso in un ranking impostato automaticamente (ma i cui criteri sono decisi dall’azienda), con chi te la prendi? Almeno una volta ci si interfacciava con il capo reparto o con il quadro, oggi con chi ci si interfaccia? Con il proprio cellulare o PC? Una volta potevi avere il gusto di prendere a sberle il tuo capo, ma oggi non ti conviene prendertela con i tuoi dispositivi: che fai? t’incazzi perché non ti pagano e li sbatti contro a un muro? E poi ti tocca pure ricomprarli.

Ci illudiamo che presto le macchine, nell’economia digitale, sostituiranno il lavoro umano, ma sono solo cazzate. Lo gestiranno, sì, ma non lo sostituiranno mai.

Solo ci illuderanno di farlo, ci diranno che il capitalismo classico sarà sostituito dall’economia digitale, che lo sfruttamento non esisterà più, perché le macchine faranno il lavoro sporco. Ma saranno solo illusioni. Nel sottobosco, nelle fogne della fiorente civiltà degli automatismi, nelle periferie dell’impero tardo capitalista, ci sarà sempre un esercito di lavoratori sfruttati, ma tenuti ben nascosti. Tuttavia, in fondo, si tratta di lavoretti, dai. E se la pizza arriva fredda o il pacco di Amazon arriva rotto e valutiamo negativamente il servizio, chi ci rimetterà i soldi? L’azienda o il lavoratore? Ma in fondo a noi che c’importa? E’ solo un’app e il rapporto umano è limitato ad una consegna. Chi se ne fotte del sottobosco, tanto se il servizio non mi soddisfa, lascio una valutazione negativa. Io la lascio ad un’app, mentre l’algoritmo la scaricherà sul lavoratore. Nessun rapporto diretto, niente di umanamente percepibile. E’ l’approccio perfetto per concretizzare l’alienazione diffusa, per eliminare ogni forma di umano allaccio, per rafforzare il rapporto tra umano e dispositivo e far credere che dietro quel dispositivo ci siano processi di tecnologia avanzata. Sì, ma basati su sangue e sudore.

Contributo per una nuova riforma agraria

nuova riforma agraria

Questo breve scritto è da considerarsi una bozza di un percorso verso una riforma agraria che auspico possa diventare più ampio e articolato, con il passare del tempo e con gli approfondimenti del caso, riguardo numerose questioni che vanno lette nel loro insieme, tra cui: la questione agraria, la questione meridionale, il rapporto tra Settentrione … Leggi tutto

Il congresso mondiale sulle famiglie è solo folklore

famiglia

E’ iniziato oggi a Verona il congresso mondiale sulla famiglia tradizionale e, tra mille polemiche, molti commentatori hanno evidenziato subito gli orrori che sono fuoriusciti dal convegno o al margine di esso, tra cui “i gay sono da curare”, “l’aborto è omicidio” oppure “la donna deve tornare a essere mamma” e altre amenità del genere. Ora, a parte le valutazioni politiche e le possibili ricadute politico-giuridiche di certe affermazioni (che non starò qui a trattare e che spetta alle opposizioni contrastare nelle dovute sedi), quello che invece va messo in risalto è l’aspetto grottesco, cinematografico e sotto molti aspetti folklorico (nella sua accezione più sprezzante) di tutto questo circo appena sbarcato a Verona.

Detto in estrema sintesi, la salvaguardia della famiglia tradizionale è una sciocchezza enorme, utile solo a creare dibattito, tenere impegnati i giornalisti e l’opinione pubblica e distogliere l’attenzione dal suo intento più intimo. Questa semplice affermazione trova legittimazione in due ancor più semplici considerazioni: la prima è che nell’attuale società post-moderna la famiglia, intesa in senso tradizionale e nell’accezione data dagli organizzatori dell’evento, non esiste più, è anacronistica e nessuna operazione politica o di carattere sociologico potrà mai riportarla in vita. La famiglia tradizionale è stata superata dalla Storia come è stata superata dalla Storia quella cultura dominante e le sovrastrutture che la tenevano in vita.

La seconda considerazione è invece più strettamente legata alla struttura di fondo della società dominante, ossia che con questo convegno e con le politiche volte alla tutela della famiglia tradizionale si sta disperatamente cercando di mettere una pezza alla dissoluzione di quel nucleo sociale fondamentale che rappresenta il più importante riferimento nella società dei consumi.

Spiegherò subito le due considerazioni, ma prima voglio sottolineare che i due aspetti, in apparenza antitetici, sono in realtà intimamente connessi perché si fondano su una visione post-moderna, consumistica ed edonistica del concetto di famiglia e tutti i principali sovranisti e conservatori, parlando di famiglia tradizionale, confondono ad arte significante e significato e parlano alla pancia di una (larga) parte del Paese che non ha ancora ben chiaro il mutamento sociale avvenuto negli ultimi decenni.

La famiglia tradizionale è scomparsa

Zygmunt Bauman
Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman, in La società dell’incertezza, scrive che le

reti di protezione, tessute e tutelate con mezzi propri, le “trincee di seconda linea” un tempo messe a disposizione dalle relazioni di vicinato o dai rapporti familiari, dove si poteva trovare rifugio e curare le ferite procurate nelle dure battaglie della vita esterna, se non sono del tutto smantellate hanno comunque subito un considerevole indebolimento. Parte della responsabilità è da attribuire alle nuove (ma sempre mutevoli) pragmatiche delle relazioni interpersonali, pervase ora dallo spirito dominante del consumismo che identifica nell’altro un potenziale mezzo per ottenere gradevoli esperienze. Qualsiasi cosa siano in grado di fare, le nuove pragmatiche non possono generare legami duraturi. Il tipo di legami che esse producono in abbondanza, incorpora clausole “a scadenza” e “a libera contrattazione” e non promettono né l’attribuzione né il conseguimento di diritti o di obbligazioni.

Diritti e obbligazioni che invece rappresentano, secondo una concezione tradizionale della famiglia, la struttura sulla quale imperniare il rapporto familiare.

A differenza che nel passato, nella visione classica del concetto di famiglia, influenzato certo dalla morale cattolica, ma basato sulla comunanza d’intenti e sull’assistenza morale e materiale, nella società post-moderna la morale cede il passo a rapporti umani frammentari e discontinui in cui le visioni della vita post-moderna sono in perenne lotta contro i “fili che legano” e le conseguenze di lunga durata, e militano contro la costruzione di reti di doveri e obblighi reciproci che siano permanenti, in quanto l’Altro (il partner) viene visto come oggetto di valutazione estetica, non morale, come una questione di gusto, non di responsabilità. L’autonomia individuale si schiera contro le responsabilità morali, si disimpegna ed evita di precostituirsi degli obblighi, sopprimendo di fatto il complesso etico-morale che è alla base del matrimonio e, dunque, della famiglia.

La società dei consumi ha prodotto l’individualismo e l’edonismo (lo rilevò persino Paolo VI nel 1968), ha spinto l’individuo a tal punto da disgregare quel complesso di norme morali che rappresentano la tradizione (non solo quella giudaico-cristiana su cui si basa l’Occidente europeo, ma anche quella della civiltà contadina stratificata, che fino a 60 anni fa era una sub-cultura strutturata nella cultura dominante) e, di conseguenza, la famiglia tradizionale.

Le famiglie nella società dei consumi

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Ma la società dei consumi, dopo aver prodotto l’Uomo-edonista che rifiuta le responsabilità insite nel nucleo familiare, svuota di contenuto buona parte della sua cultura e la sostituisce con l’interesse, l’eccitazione, la soddisfazione o il piacere, si accorge di avere bisogno della famiglia e di considerarla il centro dell’interesse in quanto, come scrive Pasolini in Scritti Corsari,

la civiltà dei consumi ha bisogno della famiglia. Un singolo può non essere il consumatore che il produttore vuole. Cioè può essere un consumatore saltuario, imprevedibile, libero nelle scelte, sordo, capace magari del rifiuto: della rinuncia a quell’edonismo che è diventato la nuova religione. La nozione di «singolo» è per sua natura contraddittoria e inconciliabile con le esigenze del consumo. Bisogna distruggere il singolo. Esso deve essere sostituito (com’è noto) con l’uomo-massa. La famiglia è appunto l’unico possibile «exemplum» concreto di «massa». È in seno alla famiglia che l’uomo diventa veramente consumatore: prima per le esigenze sociali della coppia, poi per le esigenze sociali della famiglia vera e propria. Dunque, la Famiglia (…) che per tanti secoli e millenni era stata lo «specimen» minimo, insieme, della economia contadina e della civiltà religiosa, ora è diventata lo «specimen» minimo della civiltà consumistica di massa.

Come acutamente osserva Pasolini, la famiglia è il fulcro, la cellula primaria dell’interesse della società dei consumi e passa dall’essere centro del potere della Chiesa (o delle sub-culture contadine) a centro del potere del consumo, quindi del capitale. Sfaldare la famiglia secondo la logica post-moderna dell’edonismo e dell’interesse a breve termine (la velocità non crede nella ripetizione, è anticerimoniale, scriveva Franco Cassano) significa frammentare nel tempo e nello spazio risorse e strategie, perdere profitti, quote di mercato.

Da qui la considerazione iniziale che l’attuale congresso sia un momento folklorico. Lo è negli aspetti che molti commentatori stanno evidenziando in questi giorni, ma non lo è nel suo intento più intimo e non palese.

L’intento, non palesato, di chi propugna la famiglia tradizionale non è quello antistorico di tornare indietro, perché sennò si dovrebbe tornare al dominio culturale e spirituale della chiesa se non addirittura al latifondo, ma è quello attualissimo di ricostruire i brandelli di una sovrastruttura che possa reggere i colpi di una struttura ormai al collasso e che, proprio in questi momenti, mostra la sua maggior ferocia: la struttura economica del capitale.

Che differenza c’è tra destra e sinistra oggi?

Renzi, Di Maio e Salvini destra e sinistra

La differenza tra destra e sinistra in Italia? Nessuna sul piano del reale. Alcune, ma solo sul piano dell’immagine.

Già dagli anni Settanta, con il progressivo imporsi nello Stato italiano (Stato da intendersi non in senso istituzionale ma come complesso di classi, ceti, Istituzioni, organizzazioni, mercato, ecc.) del capitalismo di stampo americano e della società dei consumi, anche grazie alla scelta politica del partito egemone, ossia la DC, di schierarsi con il Patto Atlantico, il PC ha dovuto giocoforza adattare la sua politica ai nuovi scenari. Così ha cercato di mantenere un precario equilibrio tra la fedeltà ad un partito che aveva adottato il modello del socialismo in una sola nazione, sciolto la III internazionale comunista, fatto fuori gli oppositori e instaurato un regime dispotico.

Chiaramente in questo quadro il PC italiano, consapevole del suo ruolo politico in Occidente, non avrebbe mai potuto appoggiare apertamente il regime sovietico e, a causa del proliferarsi al suo interno di correnti moderate e miglioriste (ossia quella che vedeva un adattamento dei principi socialisti e comunisti al capitalismo) cercò di adattarsi ai nuovi scenari, con l’obiettivo – dati i consensi ottenuti – di arrivare al governo.

Cosa che non accadde mai, nonostante il compromesso storico, a causa dell’uccisione di Aldo Moro, che aveva ormai messo a punto il compromesso per arrivare al governo con i comunisti.

Dagli anni Ottanta, soprattutto dopo la morte di Berlinguer, il PC non riuscendo mai a governare, nonostante lo storico (seppur momentaneo) superamento elettorale sulla DC, iniziò a frammentarsi fino alla fatidica svolta della bolognina nel 1990, quando l’allora segretario Achille Occhetto decise di concretizzare quella cosa di cui si parlava da tempo e aderire ai principi del capitalismo e del liberismo in chiave riformista. Fu quindi fondato il PDS (Partito dei democratici di sinistra) che, con D’Alema, divenne DS per poi arrivare, nel 2006, al PD, racchiudendo in sé anche pezzi di ex democristiani (Margherita, ecc.).

I liberisti sono di destra e sinistra!

romano prodi privatizzazioni

Tra l’avvento di Berlusconi (1994) e il suo decennio egemonico (2000-2010 circa, a parte un paio d’anni di governo Prodi dal 2006 al 2008), i DS hanno portato avanti una linea di smantellamento dello Stato sociale a tutto vantaggio del liberismo (ne ho parlato più diffusamente qui), attraverso le privatizzazioni, le liberalizzazioni (volute da D’Alema, Prodi e Bersani) e lo smantellamento delle tutele sul lavoro.

Prodi, D’Alema, Bersani che oggi vengono considerati di sinistra e quindi molti sostenitori del PD storcono il naso ad un loro possibile ingresso sono quelli che hanno privatizzato il paese, liberalizzato i servizi essenziali e fatto guerra all’ex Jugoslavia per fare un favore agli amici imperialisti. Cos’hanno di sinistra se rappresentano gli interessi dell’alta borghesia e del capitalismo e sono i naturali predecessori di Renzi?

Renzi e la destra e sinistra che si fondono

Renzi ha svolto la sua purificazione (o rottamazione, come lui la chiama) del PD solo per questioni di potere, dato che la sua politica è improntata all’ultraliberismo e, quindi, a fare favori ai rappresentanti dell’establishment europeo. Il jobs act è la prosecuzione di un programma, iniziato con Treu negli anni Novanta, per precarizzare sempre più il mondo del lavoro e consentire al capitale di accedere alla forza lavoro a costi più contenuti, di garantire la concorrenza al ribasso tra i lavoratori e di avere un ricambio della forza lavoro sempre maggiore. Il jobs act, unito ad una sempre maggiore debolezza del sindacato (che ha molte colpe, soprattutto nell’aver svenduto la classe lavoratrice per mantenere un brandello di potere) ha portato condizioni di vita peggiore alla classe lavoratrice.

La buona scuola è stato un progetto volto a ridurre sempre più i finanziamenti all’istruzione pubblica a vantaggio di quella privata. Non c’è molta differenza con le politiche del governo Berlusconi che, con le riforme Moratti e Gelmini, ha inteso destrutturare l’istruzione pubblica e rafforzare quella privata, sia nella scuola che nell’Università. La privatizzazione dell’istruzione di ogni ordine e grado, tipica di un sistema liberale e liberista, è un processo che si sta realizzando tutt’oggi e che ha coinvolto tutti i governi, da destra a sinistra.

Il ruolo del Parlamento

parlamento

Il parlamento ha la funzione di discutere le leggi e di dettare la linea politica che il Governo ha l’obbligo di realizzare. Più è ampio il Parlamento, più è rappresentativo dell’elettorato e più, in teoria, questa funzione può essere esplicata e i provvedimenti normativi sono adottati nell’interesse della Nazione. Ma se il Parlamento viene esautorato della sua funzione, il ruolo di scrivere le leggi e di adottarle nell’interesse della Nazione chi ce l’ha? Dal Governo Berlusconi ad oggi stiamo assistendo ad una costante e continua azione di esautoramento del Parlamento, il quale oggi è svuotato della sua intima funzione e fa solo da passacarte. Due sono gli strumenti più lampanti:

1. Lo strumento della fiducia. In questo modo il Governo chiede al Parlamento di votare in blocco un provvedimento, senza discussione, senza emendamenti. E’ chiaro che con un Parlamento a vocazione maggioritaria e deframmentato è più facile far passare provvedimenti senza discussioni, senza emendamenti (che, in teoria, servono a migliorare il testo), senza, cioè, far decidere ad una platea ampia e rappresentativa dell’elettorato.

2. Lo strumento della decretazione d’urgenza. I Decreti Legge sono uno strumento che consentono al Governo di adottare provvedimenti urgenti, ma in questi ultimi decenni sono stati massicciamente utilizzati per tutto: finanza, istruzione, lavoro, infrastrutture, ecc., perché consentono l’immediata efficacia ed una successiva ratifica da parte del Parlamento, il quale, di fatto, non fa altro che prendere atto di quanto deciso dal Governo.

Queste tecniche parlamentari unite al tentativo di riforma della legge elettorale e della riduzione del numero dei parlamentari serve a dare maggiore potere al Governo ed eliminare le minoranze scomode.

Destra e sinistra d’accordo per ridurre la rappresentatività popolare

Dunque i tentativi di ridurre il numero dei parlamentari e le leggi elettorali di stampo maggioritario sono esattamente funzionali a quest’obiettivo: rendere inutile il Parlamento, ridurre il numero dei parlamentari, sbarrare l’accesso alle minoranze fastidiose e rendere la maggioranza conforme alla volontà del Governo e, quindi, ai veri sostenitori di destra e sinistra liberisti: le lobby economiche.

La seconda Repubblica, iniziata dopo il crollo della DC e l’ascesa dei partiti populisti (Berlusconi è il padre di tutti i partiti populisti, M5S incluso) è caratterizzata proprio da questa funzione: aumentare il potere del Governo e ridurre il potere del Parlamento, svuotando di fatto il dettato costituzionale che vuole la centralità del Parlamento. Ecco perché Renzi ha voluto la riforma costituzionale, per sacralizzare nel testo una situazione di fatto. Ecco perché oggi il M5S vuole ridurre il numero dei parlamentari: con la scusa che così si risparmia (ma ignorando le spese pazze dei suoi parlamentari), vuole portare a compimento un percorso iniziato con Berlusconi e portato avanti da Renzi.

Il maggioritario unisce destra e sinistra. Altro che proporzionale!

Non appena terminate le elezioni europee, nel caso in cui il Governo dovesse reggere alle elezioni e dopo che il M5S avrà realizzato pienamente qual è la sua forza elettorale, si tornerà a parlare di legge elettorale e scoprirete il vero volto del M5S, che si è sempre detto favorevole al proporzionale, ma cambierà idea, coerentemente con la scelta di ridurre il numero dei parlamentari e di accentrare i processi decisionali nelle mani di pochi (e quei pochi, si sa, sono controllati da un soggetto economico, privato, inserito a pieno titolo nel sistema liberista e capitalista).

Reddito di cittadinanza e salario minimo, due cose che non cambiano la sostanza

Il reddito di cittadinanza è un contentino elettorale che non influisce sul mercato del lavoro e che grava su di esso (viene preso dai redditi dei lavoratori e dal debito pubblico), inoltre piace molto ai fautori della società dei consumi.

L’attuale “battaglia” sul salario minimo è anch’essa un contentino elettorale che però porterà i datori di lavoro ad aumentare il numero di ore di lavoro, diminuire il numero di lavoratori oppure optare per forme di lavoro più flessibili (contratti a tempo determinato, false P.IVA, ecc.).

Già da queste brevi informazioni si può capire che oggi tra Destra e Sinistra (di centro, chiaramente), Lega, M5S (e altri) non c’è alcuna differenza, se non nei toni utilizzati o in sporadici e singoli temi trattati, che però non influenzano minimamente le linee politiche dei rispettivi partiti volte a mantenere lo status quo e impedire ai ceti più poveri della popolazione di progredire.

Sabotare i lavoratori per mantenere lo status quo

La crisi economica del 2007 (che si ripeterà a breve) ha mostrato tutte le debolezze del sistema capitalista attuale, oggi accentrato nelle mani di pochi e che si mantiene vivo grazie alla speculazione finanziaria, che, estremizzata al massimo profitto, ha portato alla crisi economica. Gli scenari futuri, anche considerando il ruolo che la Cina sta giocando nel complesso scacchiere geo-politico, ci riserveranno nuove crisi economiche in quanto l’attuale assetto capitalista non è minimamente scalfito.

Il ruolo dei partiti politici in Italia è stato lineare e trasversale tra essi, ossia quello di sostenere l’alta borghesia a tutto svantaggio delle classi lavoratrici, non solo di quella operaia, ma anche di tutti quei piccoli imprenditori, quelle micro imprese, quei professionisti che oggi soffrono per l’eccesso di offerta, la concorrenza spietata dei grandi gruppi di capitali e per l’erosione del potere d’acquisto, per cui il mercato viene sbarrato e ci si deve accontentare delle briciole.

Iniquità fiscale

Sappiamo tutti quanti che la pressione fiscale in Italia rende difficile ad una micro impresa di crescere. Chiunque, oggi, si immette nel mercato con una propria idea, soprattutto sul web, si trova davanti gli sbarramenti di tasse e imposte, mancanza di infrastrutture (specie al Sud), concorrenza sleale dei big della rete, ecc.

Nonostante la Lega abbia fatto suo il cavallo di battaglia della flat tax, ingraziandosi numerosi piccoli imprenditori e professionisti, questo provvedimento va a tutto vantaggio dell’alta borghesia, ossia di quegli imprenditori e professionisti che guadagnano molto e investono poco, preferendo invece speculare i propri profitti.

Contrariamente a quanto sostiene la Lega, i risparmi derivanti dalla flat tax per le grandi imprese (e i grandi professionisti) non saranno mai reinvestiti per la crescita o per l’occupazione, anzi, saranno investiti in attività speculative.

Quest’ottimo servizio di Milena Gabanelli dimostra, numeri alla mano, quanto la flat tax sia iniqua, soprattutto per i piccoli. Personalmente lo so benissimo, essendo una P.IVA, che la flat tax mi avrebbe penalizzato e infatti non vi ho aderito, nonostante faccia redditi da fame.

L’iniquità fiscale tra piccoli e grandi

Se salto una rata dei contribuiti INPS o un pagamento IVA, lo Stato attende un certo numero di anni (max 5, per evitare la prescrizione) affinché aumentino gli interessi e, con le sanzioni, la mia rata o il mio pagamento raddoppia o triplica. Così vengo strozzato e indotto al fallimento. E poi, per ripagare i debiti fiscali, dovrò accedere al credito, ipotecare la casa e, quando sarò entrato nel vortice del debito, perderò tutto. E’ accaduto così tante volte che è inutile stare qui ad approfondire.

Questa cosa, però, non accade con i big.

Amazon

Amazon realizza utili per 11,2 miliardi di dollari (e un fatturato di 233 miliardi di dollari), ma negli USA non paga un centesimo di tasse.

Dopo una lunga indagine della GdF, dal 2011 al 2015, si è scoperto che Amazon non avrebbe versato un centesimo di tasse nemmeno in Italia, avendo preferito spostare gli utili in Lussemburgo, dove vige una tassazione più favorevole, nonostante avesse in Italia “una stabile organizzazione” che, per il fisco italiano, è sufficiente affinché l’azienda paghi le tasse nel bel paese.

Non sappiamo quanto guadagna Amazon in Italia, perché i suoi fatturati in molti paesi europei sono segreti, ma sappiamo che la sua strategia è quella di aggredire il mercato europeo, operando in perdita, per eliminare ogni forma di concorrenza sia sul web che dei negozi tradizionali, forte dei continui finanziamenti da parte dei suoi azionisti, e sappiamo che nel periodo 2016-2018 il fatturato è aumentato del 71,26% (v. qui), eppure in Italia, dopo il controllo da parte della Finanza, pagherà all’Agenzia delle Entrate solo 100 milioni di euro per gli anni 2011-2015 (ossia 2,5 milioni ad anno, a fronte di un fatturato globale che arriva a 233 miliardi. Fate le giuste proporzioni).

Google

Anche Google ha fatto un accordo accomodante con il fisco italiano. A fronte di un fatturato globale di 67,6 miliardi di dollari nel 2015 (saliti a 82 miliardi nel 2016) pagherà in Italia appena 306 milioni di euro, dopo anni di contenziosi. Anche Google, forte del fatto di avere la sede legale europea in Irlanda (dove la fiscalità è esigua) e forte di essere una multinazionale del web, non ha mai pagato un centesimo di tasse in Italia, dove però offre i suoi servizi di pubblicità e dove, quindi, ha un mercato stabile. Eppure è arrivata ad un accordo che le ha consentito forti risparmi fiscali rispetto alla totalità delle aziende che operano e hanno la sede fisica in Italia.

Apple

Apple è stato il primo big a giungere ad un accordo col Fisco italiano. Nel 2015 ha pagato 318 milioni di euro per sanare una evasione fiscale di 5 anni che sfiora il miliardo di euro.
Apple è quella che ha pagato di più, ma per un semplice motivo: ha numerosissime attività commerciali fisiche nel territorio italiano, a differenza di Amazon che ha solo uno stabilimento a Castel San Giovanni e Google che ha una sola sede in Italia (a Milano).

I colossi pagano piccolissime somme (che arrivano, solo nel caso di Apple, a circa il 30%) per sanare le loro posizioni con il fisco mentre i professionisti, le PMI, le micro imprese e i lavoratori arrivano a pagare oltre il 70% tra fiscalità diretta e indiretta, senza contare i contenziosi e l’enorme burocrazia che blocca gli investimenti.

Favorire i grandi, penalizzare i piccoli

Ogni governo che si è succeduto in questi anni ha adottato la medesima politica di favore nei confronti dei big e non ha mai messo mano né alla fiscalità né al mercato del lavoro per correggere le numerose storture che coinvolgono sia gli imprenditori che i lavoratori.

In conclusione, per sintetizzare quanto detto finora, ritengo che la discussione tra destra e sinistra, oggi, in Italia, sia solo un mero esercizio stilistico, sia formalismo linguistico che non trova alcuna corrispondenza con la realtà.

Tutti, da destra a sinistra, sono rappresentanti di poteri forti (attenzione a non fraintendere e considerare quest’espressione di mero complottismo. Tutt’altro), solo di diversa natura: se il PD è naturalmente orientato a preservare i rapporti con l’establishment europeo, mentre il M5S cerca altri “padroni”, la Lega è orientata a rappresentare l’alta borghesia interna. Ma si tratta sempre di poteri, più o meno forti, che però sono accomunati da un unico intento: preservare il capitale, gli interessi economici, i rapporti di forza nel mercato.

Mercato e profitto

Nel mercato, si sa, si fa tutto secondo la logica del profitto: ci si scambia favori, ci si fonde, si fa concorrenza, si creano e disfano alleanze, sempre in nome del denaro. E in questi giochi la politica italiana fa gli interessi del mercato, non della Nazione. In altre parole, se Confindustria si schiererà con i cinesi, anche la Lega sarà a favore della Via della Seta (qui un approfondimento sul tema), così come il PD cambierà padrone se l’Europa e la BCE dovessero crollare nei nuovi rapporti di forza che s’ingenereranno tra Occidente e Oriente.

Detto in estrema sintesi: la politica di oggi è lo specchio del mercato, non del popolo. Il concetto di popolo è solo uno specchietto per le allodole per confondere le acque, convincere la gente che l’interclassismo ha sostituito il conflitto tra le classi e tenersi buoni gli strati più umili della popolazione, quelli che si sentono oggi rappresentati principalmente da Lega e M5S ma che da loro prendono solo calci nel sedere.

Destra e sinistra?

Se vogliamo invertire la rotta e ridare dignità a chi lavora, a chi è sfruttato (siano essi lavoratori, imprenditori, giovani professionisti, P.IVA, ecc.) bisogna lasciar perdere la diatriba tra destra e sinistra e ricostruire un socialismo di fatto che parta dagli ultimi, dai territori e che disegni un manifesto politico in grado di scalfire un sistema capitalistico ormai allo sbando, che si sta mostrando sempre più aggressivo e sempre più squilibrato (alla prossima crisi, imminente, mi darete ragione). Un soggetto che faccia comprendere la realtà nella sua razionalità, nella sua necessità, ovvero in modo scientifico e crei concetti e azioni che possano razionalizzare l’esistente. Pare difficile, ma non lo è. Lo sarà quando tutte quelle persone “di buona volontà”, anziché farsi la guerra sui particolari, metteranno insieme le proprie forze per un obiettivo unico. Stoico, se vogliamo, ma non impossibile.

La Via della Seta ovvero pesce grande mangia pesce piccolo

xi jinping e mattarella via della seta

Senza retorica e con i piedi ben piantati nella realtà, posso affermare che oggi si sta decidendo il futuro del Mondo e i nuovi equilibri geo politici che, se mal gestiti, porteranno a squilibri i cui effetti si riverberanno nei prossimi secoli. L’Italia è debole se fa accordi da sola e rischia di diventare una … Leggi tutto

Il falso tira e molla sulla TAV

treno simpson tav

La discussione di questi giorni in merito alla TAV rappresenta, nella dialettica politica tra i due governanti / contendenti, un falso problema o, per dirla meglio, un’illusione demagogica.

In prim’ordine perché tutto è stato deciso, il progetto andrà avanti e questo lo sanno benissimo sia i leghisti che i pentastellati, in second’ordine perché ognuno di loro vuole mantenere illibata la sua immagine davanti all’elettorato e quindi il braccio di ferro tra Salvini e Di Maio va visto semplicemente in questa chiave di lettura: Il M5S salvi capre e cavoli, in vista delle elezioni europee. Perché questi continui battibecchi e il tentativo, da parte del Presidente Conte, di giungere in soccorso alla parte più debole del governo dimostrano un re-bilanciamento del peso politico, oggi tutto spostato a favore della Lega, nonché l’interesse a mostrarsi determinati a bloccare l’opera in un gioco di specchi riflessi, ma al cui interno si nascondono le vere intenzioni.

Tra l’altro la presa di posizione di Conte non è casuale né dettata da emotività, ma è un modo per abbagliare la discussione pubblica sul tema, accreditarsi presso l’elettorato grillino e mostrarsi all’opinione pubblica come puro e obiettivo sostenitore delle ragioni del M5S.

Al netto del fumo negli occhi gettato sull’opinione pubblica, quello che resta nella sostanza è la volontà ferma di realizzare l’opera, sia da parte di Salvini che da parte – ovviamente – dell’establishment europeo. Su questo non ci sono sovranismi che tengono.

Salvini, del resto, è un fermo sostenitore dell’opera poiché lui rappresenta gli interessi di quella borghesia industriale, tutta italiana, che vuole che la TAV sia realizzata per evidenti ragioni di profitto. Al di là dei costi di investimento, che ricadono sui conti pubblici europei, non vi sono dubbi che tutti i grossi imprenditori, italiani e non, sono concordi nel volere la TAV. Quindi a beneficiare dell’opera saranno gli agglomerati industriali europei, le grandi aziende, gli importatori e tutto quel tessuto economico che, per semplicità espositiva, chiameremo capitalisti.

Quest’aspetto va sottolineato per tutti coloro che ritengono Salvini un sovversivo dell’ordine europeo e un sovranista puro. Il sovranismo di Salvini non è altro che conservazione di un sistema economico-politico volto a tutelare gli interessi dei ceti più ricchi, una forma di reazione non tanto ai diktat europei, quanto alle classi più deboli della popolazione. Altrimenti non si spiegherebbe perché viene ben visto da Confindustria e da tutti i rappresentanti del capitalismo, non solo nostrano.

La sua lotta in Europa non è lotta per la sovranità del popolo italiano, ma una lotta tutta interna agli interessi capitalistici dei suoi più fermi alleati. In questo quadro va vista la sua battaglia a favore della TAV.

In altre parole Salvini non fa altro che conservare gli interessi di quei soggetti che vogliono abbattere i costi, velocizzare gli spostamenti di merci e aprirsi a nuovi mercati. Tutto bello, sì. Peccato che tutto ciò – come si è visto negli ultimi secoli – non avvantaggia l’economia reale, non incide sul benessere collettivo né migliora le condizioni di vita dei cittadini. Anzi, più il capitalismo matura, si coalizza, si internazionalizza, diventa tecnologico, tende a monopolizzare e a ridurre il liberismo e più aumentano le disparità sociali, le crisi economiche e la povertà di masse di persone.

Eppure quest’opera la paghiamo noi. Il grosso dell’investimento è sorretto dai bilanci europei, ossia da quelle somme che tutti gli anni gli Stati membri versano all’UE e che, ovviamente, derivano da imposte e tasse che noi paghiamo. Se poi inseriamo questo concetto nell’ordine di idee da cui nasce la flat tax, capiamo perfettamente che chi paga l’opera (e tutte le opere che verranno, oltre a tutte le politiche economiche che si faranno) non è l’imprenditore, ma il lavoratore, visto che il lavoro è maggiormente tassato rispetto al profitto. E poi pagheremo tutti, indistintamente, senza progressività, con l’IVA e con tutte quelle tasse che gravano sui consumi. Insomma, il sovranismo salviniano è sovranismo degli interessi economici della borghesia che lo appoggia, non del popolo grullo che lo acclama.

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Il progetto TAV

Il costo totale dell’opera è di 8,6 miliardi di euro e l’Europa, come detto, ne mette la maggior parte, mentre investe per circa il 40% sul tratto franco-italiano, ossia quello per cui oggi si sta tanto discutendo.

Quindi l’opera la paghiamo noi ma andrà a vantaggio dei grandi gruppi industriali e di quel tessuto economico-commerciale europeo e internazionale che vuole assolutamente ridurre i costi, aprirsi a nuovi mercati e far viaggiare le merci con più efficienza.

Ma guardiamo il lato positivo delle cose.

Il treno è solo un mezzo. Spostare merci velocemente e a minori costi e minor impatto ambientale è un bene, ma tutto ciò dipende da chi lo utilizza e con quali finalità. Dipende da chi produce quelle merci e a chi sono destinate.

Le infrastrutture sono utili, ma il fine a cui sono destinate può cambiare e può avvantaggiare determinate classi sociali. Il vero problema non è il mezzo, ma chi lo detiene. Del resto un ponte con un Paese straniero può essere usato per facilitare la guerra oppure per facilitare i rapporti tra esseri umani. Il mezzo è uno strumento, è il fine che lo rende utile o dannoso.

Certo allo stato attuale la TAV servirà gli interessi del capitale, ma non è detto che una futura (e possibile) classe dirigente interna o europea possa destinare l’infrastruttura ad altri e più proficui utilizzi. E poi, come ogni grande opera, ci sono gli elementi negativi (l’impatto ambientale, gli alti costi di realizzazione, ecc.) ma anche quelli positivi, come la limitazione del trasporto su gomma. Del resto anche il trasporto su gomma incide negativamente sull’impronta ambientale e non si può certo nascondere che il carburante consumato da circa 1 milione di tir all’anno che passa dalla val di Susa ingrossi comunque i fatturati delle compagnie petrolifere, oltre a creare caos, inquinamento, sfruttamento dei poveri autisti da parte di una miriade di padroncini e centellinati danni alle fragili infrastrutture della rete stradale e autostradale.

Insomma, ogni grande opera nasconde i suoi pro e contro. Ma va comunque evidenziato nuovamente che l’interesse attuale e cogente di Salvini e dell’Europa è quello di favorire gli interessi economico-finanziari del capitale, in un tira e molla tutto interno, senza dare alcun utile alle classi più svantaggiate.

Luigi di maio

Se il M5S vuole davvero rendersi utile alla causa e fare qualcosa di buono per il popolo, di cui oggi si sente portatore degli interessi e delle aspettative, non si limiti ad uno sterile NO all’opera che serve solo a tenersi buono l’elettorato più radicale, ma promuova una campagna volta a finanziare, in fase di realizzazione dell’opera, i territori coinvolti con parte dei fondi messi a disposizione per la TAV e li destini a misure di compensazione vincolate a progetti per le classi meno abbienti: fondi destinati all’istruzione, alla cultura, all’inclusione sociale, ecc. E s’impegni a costringere gli utilizzatori dell’opera a destinare parte dei ricavi ai territori e ai progetti sopra menzionati. In questo modo almeno si attenueranno le conseguenze e una parte dei profitti sarà redistribuita equamente tra chi l’opera la subisce e non ne trae alcun vantaggio. Almeno per ora.