Huawei vs Trump. Chi la spunta?

huawei trump

La notizia che Google ha sospeso la licenza Android sugli smartphone prodotti dall’azienda cinese guidata da Meng Wanzhou, figlia del fondatore, non stupisce più di tanto. L’ipotesi (a tratti complottistica) per cui Huawei rappresenta una minaccia nazionale, ormai diventata un chiodo fisso nella testa di Donald Trump, ha portato ad un provvedimento che impone a tutte … Leggi tutto

Grande Mahmood!

mahmood

Ieri sera si è tenuta la 64° edizione dell’Eurovision Song Contest. Il nostro Mahmood, con la canzone Soldi, ha ottenuto il secondo posto arrivando ad un ottimo piazzamento dell’Italia e ottenendo pure il premio per la miglior composizione. Primo è arrivato Duncan Laurence, dei Paesi Bassi, con la canzone Arcade. Terza la Russia. Secondo su 41 Su … Leggi tutto

La repressione dello striscione

striscione zorro salvini restiamo umani

Facciamo il gioco dello striscione. Dirò qualche frase e valuteremo insieme se sono mere informazioni che meritano di essere censurate e, nel peggiore dei casi, perseguite penalmente, oppure un libero parere. La differenza tra un’informazione e un parere sta in questo: l’informazione in sé afferma un fatto specifico. Quando è pretestuosa o addirittura falsa non … Leggi tutto

Cannabis light, giullari e mafiosi

Il Ministro dell’Interno, che tante volte appare come un giullare di corte, ha deciso in modo autoritario di far chiudere la fiera della cannabis a Torino e, tramite una circolare indirizzata ai questori, ha fatto chiudere due negozi in provincia di Macerata, annunciando di estendere la circolare a tutta Italia. Insomma, il Salvini giullare si … Leggi tutto

Riduzione dei parlamentari, perché è sbagliato

Uno dei cavalli di battaglia del M5S è il c.d. taglio delle poltrone, ossia la riduzione del numero di parlamentari, secondo una logica molto populista e semplice da far assimilare all’elettorato supino, ignorante e inconsapevole: se si riduce il numero di parlamentari, si riducono i costi e quindi gli sprechi e, conseguentemente, ci risparmiamo tutti. … Leggi tutto

Xylella, lo strano caso dell’albero prima infetto e poi no

La Xylella in Puglia non fa seccare gli ulivi, ma riserva ogni giorno tante sorprese, alcune favorevoli ai suoi strenui sostenitori (ma che di facciata dicono di volerla sconfiggere), altre un po’ meno. In pochi giorni si scopre, per esempio, che la Procura di Lecce ha archiviato l’annosa indagine (aperta nel 2014) in cui sono … Leggi tutto

Lo scontrino elettronico è una cagata pazzesca

scontrino elettronico

Questo articolo sullo scontrino elettronico segue l’articolo sulla fattura elettronica che, ovviamente, è una cagata pazzesca. Come tutti ben sappiamo, dal 1 luglio 2019 scatta l’obbligo di rilasciare lo scontrino elettronico, ma solo per chi ha un volume di affari superiore ai 400mila euro, mentre dal 1 gennaio 2020 l’obbligo verrà esteso a tutte le partite … Leggi tutto

Disoccupati in Italia, la cicala la chiamano elefante

operaio al lavoro

Breve analisi dei dati sui disoccupati nel 2019 L’ISTAT ha diffuso i dati su occupazione e disoccupazione relativi a marzo 2019, stimando un +0,3%, pari a +60 mila unità di occupati rispetto al mese precedente e il M5S esulta. Ma le cose stanno davvero così? Se raffrontiamo i dati ad un periodo più ampio scopriamo … Leggi tutto

Le illusioni dell’economia digitale

economia digitale

Quasi ogni giorno leggo di come l’economia stia cambiando e di come stia prevalendo il sistema economico basato sulla produzione di dati rispetto al vecchio modello basato sulla produzione di merci. Ogni giorno leggo che l’industria 4.0 si sviluppa sempre più e sempre più presto sofisticati macchinari, messi in rete e inteconnessi tra loro, sostituiranno il lavoro manuale, mentre il vero valore verrà prodotto dallo scambio e dalla trasformazione di dati.

I big data sono quindi il vero capitale diffuso nell’economia digitale, di cui ognuno di noi ne detiene una parte e che solo attraverso la loro raccolta, catalogazione, trasformazione, interpretazione, riduzione in sintesi, generano valore, un valore enorme. Già, perché il tuo indirizzo di casa, i tuoi gusti gastronomici, i film che ti piace guardare, i libri che ti piace leggere o la musica che ascolti, persino le conversazioni che fai sui social, vengono raccolti e ti viene creato un profilo che diventa un profilo comune ad altri quando gli stessi gusti coincidono, quindi vieni, appunto, profilato, interpretato e rivenduto agli inserzionisti o alle holding che detengono buona parte delle app che utilizzi.

Di questo ne sei più o meno consapevole e più o meno consapevolmente clicchi su accetto quando, prima di usare il servizio, ti vengono presentate le condizioni d’uso. Chiaramente tu hai bisogno di ordinare su Amazon o di prenotare la pizza su Just Eat, quindi accetti a occhi chiusi, tanto sai che oggi funziona così, che i tuoi dati li raccolgono, e sai anche che tutto ciò non ti crea pregiudizio, anzi, sai benissimo che queste soluzioni tecnologiche fanno bene alla società, perché facilitano la vita.

Ma per rendere facile quel servizio, qualcuno dietro ci deve lavorare: deve scrivere codici, produrre, impacchettare e consegnare la merce. Per rendere sempre più economico ma al contempo di qualità il servizio, l’azienda che lo offre deve pur risparmiare su qualcosa. Su cosa? Sui fornitori e sui lavoratori. E i fornitori, a loro volta, risparmieranno sui propri lavoratori. L’illusione della meccanizzazione e dell’efficienza si basa su un semplice concetto: sfruttare.

Per convincerti ancora di più e per distogliere l’attenzione sullo sfruttamento ti diranno che tutto ciò è un bene, che tu crei valore e fai crescere l’economia, che i lavori faticosi e umilianti presto verranno sostituiti dalle macchine, da sofisticatissimi robot che si occuperanno di tutto: di impacchettare e consegnare merci, di raccogliere pomodori e verdura, o di gestire i tuoi ordini in tempo reale. E credi sia un bot che risponde alle tue mail inviate alle 2 di notte? O credi sia un algoritmo che automaticamente ti fornisce i risultati di ricerca sulla SERP di Google?

Quante volte alla tv hai visto gli esperimenti di Amazon di consegnare i pacchi con i droni? O i tentativi di Google di far guidare le auto da sole? Quante volte ti hanno detto che le sofisticate catene di montaggio non hanno più bisogno di operai? E ti fanno vedere anche come si possono coltivare ettari di terreno solo con un trattore guidato da una sola persona. Figo, no?

Peccato che son tutte cazzate. Tutte.

Nel sottobosco dove pochi coraggiosi s’avventurano, nei degradati bassifondi dove al solo pensiero di imboccarli cambiamo strada, nelle puzzolenti fogne della più tecnologica delle smart city, dove tutto appare perfetto e automatizzato, insomma, nelle periferie della civiltà c’è un umanissimo esercito in carne e ossa di sfruttati dall’economia digitale, tenuti ben nascosti nelle proprie camerette, in magazzini gestiti come caserme, in aperta ma recintata campagna o mischiati tra la chiassosa gente cittadina in sella a bici e scooter, che fanno il lavoro sporco e ci regalano l’illusione dell’automatismo. E quando noi vediamo i rider girare come pazzi in bici, diamo più importanza all’aspetto ambientale e salutistico (non inquinano e si mantengono in forma) più che allo sfruttamento che ci sta dietro.

Noi clicchiamo su conferma ordine, paghiamo e vediamo il nostro pacco arrivare a casa, senza curarci che nei magazzini di Amazon si consuma lo stesso orrore delle catene di montaggio di fordiana memoria, con persone che hanno i passi e i minuti contati, con algoritmi anonimi che impongono loro determinate performance, con ranking che li collocano in alto o in basso alla classifica in base a quanto sangue e sudore buttano su un pacco e che pregiudicano l’entità del loro stipendio. Lo stesso avviene per le app che consegnano il cibo (Fedora, Just Eat, ecc.), le quali si basano su una larga fetta di lavoratori, spesso assunti con contratti di collaborazione occasionale o con P.IVA il ché permette loro di sfruttarli senza riconoscere i diritti minimi sindacali (salario minimo, ferie, malattia, tredicesima, ecc.) e riconoscendo uno stipendio ancorato al lavoro svolto: più lavori e più ti pago. Insomma, un cottimo, ma 2.0 (per approfondire V. quest’articolo sulla gig economy).

Per addolcire la pillola e farci accettare lo sfruttamento, chiamano questi lavori con un nome evocativo: gig economy, ossia economia dei lavoretti. In pratica vogliono illuderci che si tratta di semplici lavoretti, giusto per arrotondare. Ma dalle parti mie uno arrotonda quando ha già un lavoro e ha bisogno di un’entrata extra, mentre per questi qui è un lavoro a tempo pieno, però pagato come fosse un lavoretto. Qualcosa, quindi, non quadra.

Un lavoro a tempo pieno, ma svolto di nascosto, senza l’ingombro delle tutele sindacali e senza il fastidio del rapporto diretto tra padrone e operaio.

In un mio vecchio articolo questo sistema basato sull’economia digitale l’ho chiamato turco capitalismo, rievocando il turco meccanico, una complessa scacchiera che dava l’illusione di essere automatica, ma in realtà era gestita da un essere umano nascosto al di sotto di essa (approfondisci). Curiosamente questo vecchio modello è stato applicato dai big della rete, tra cui Amazon e Google.

Prendiamo, ad esempio, i lavoratori di Google.

Google ha un esercito di sviluppatori, analisti, segretari, revisori sparsi per il globo, che lavorano da casa. Ti illudono che l’immenso mondo Google sia concentrato nella maestosa sede di Mountain View e che ognuno di loro sia contrattualizzato, ma le cose non stanno così. Da soli non riuscirebbero a gestire tutto quanto, ecco che entrano in scena i turchi meccanici.

Ognuno di questi turchi meccanici ha il compito di analizzare le ricerche che facciamo ogni giorno, adattare i risultati alle ricerche, moderare i contenuti, scrivere codice per migliorare l’algoritmo che gestisce i risultati, gestire la miriade di prodotti creati da Google (maps, calendar, task, drive, ecc.ecc.), il tutto da casa, davanti al proprio PC. E’ un lavoretto? No, è un lavoro vero e proprio che spesso richiede ore, giorni o addirittura mesi di lavoro, ma è pagato pochissimo ed è governato dalla solita legge del ranking: se il tuo lavoro è apprezzato dagli utenti, ti pago, sennò ciccia. Quindi se ti sbatti per 12 ore al giorno davanti a un codice, ma gli utenti valutano male il servizio di Google su cui hai lavorato, addio soldi. E’ chiaramente un pretesto, ma è basato su un ranking e un algoritmo obiettivo, inseriti in una piattaforma digitale con cui lo sviluppatore (o, più in generale, il lavoratore autonomo) s’interfaccia.

Se proprio vogliamo dirla tutta, la nuova frontiera dell’economia digitale non è tanto l’automazione, quanto il rapporto tra l’umano (il lavoratore) e una macchina, un algoritmo, una piattaforma. Se quest’ultima ti dice che non ti paga, perché sei in basso in un ranking impostato automaticamente (ma i cui criteri sono decisi dall’azienda), con chi te la prendi? Almeno una volta ci si interfacciava con il capo reparto o con il quadro, oggi con chi ci si interfaccia? Con il proprio cellulare o PC? Una volta potevi avere il gusto di prendere a sberle il tuo capo, ma oggi non ti conviene prendertela con i tuoi dispositivi: che fai? t’incazzi perché non ti pagano e li sbatti contro a un muro? E poi ti tocca pure ricomprarli.

Ci illudiamo che presto le macchine, nell’economia digitale, sostituiranno il lavoro umano, ma sono solo cazzate. Lo gestiranno, sì, ma non lo sostituiranno mai.

Solo ci illuderanno di farlo, ci diranno che il capitalismo classico sarà sostituito dall’economia digitale, che lo sfruttamento non esisterà più, perché le macchine faranno il lavoro sporco. Ma saranno solo illusioni. Nel sottobosco, nelle fogne della fiorente civiltà degli automatismi, nelle periferie dell’impero tardo capitalista, ci sarà sempre un esercito di lavoratori sfruttati, ma tenuti ben nascosti. Tuttavia, in fondo, si tratta di lavoretti, dai. E se la pizza arriva fredda o il pacco di Amazon arriva rotto e valutiamo negativamente il servizio, chi ci rimetterà i soldi? L’azienda o il lavoratore? Ma in fondo a noi che c’importa? E’ solo un’app e il rapporto umano è limitato ad una consegna. Chi se ne fotte del sottobosco, tanto se il servizio non mi soddisfa, lascio una valutazione negativa. Io la lascio ad un’app, mentre l’algoritmo la scaricherà sul lavoratore. Nessun rapporto diretto, niente di umanamente percepibile. E’ l’approccio perfetto per concretizzare l’alienazione diffusa, per eliminare ogni forma di umano allaccio, per rafforzare il rapporto tra umano e dispositivo e far credere che dietro quel dispositivo ci siano processi di tecnologia avanzata. Sì, ma basati su sangue e sudore.