Da Occhetto a Pisapia: la Cosa ritorna.

occhetto dalema pisapia la Cosa

I più “vecchi” di voi si ricorderanno di un certo Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito Comunista, che ha “guidato” la caduta del partito a seguito della caduta del muro di Berlino e del definitivo disfacimento del totalitarismo comunista nei Paesi dell’Est Europa. Ricorderete anche la svolta verso un “comunismo moderno” che Occhetto volle dare, sin dalla caduta del PC, parlando di una cosa.

Ma che cosa? Probabilmente nemmeno lui lo sapeva, ma sta di fatto che presto sarebbe diventata tanto brutta quanto la vespa che la Piaggio realizzò proprio in quegli anni e che chiamò, appunto, “cosa”.

1988_COSA
Vespa Cosa (museopiaggio.it)

La “cosa” è stata l’oggetto di una lunga discussione politica in seno al partito che avrebbe portato, di lì a poco, alla fondazione di un nuovo soggetto politico: Il PDS (Partito Democratico della Sinistra), un partito chiaramente confuso, senza più appigli ideologici e senza un chiaro linguaggio politico, tanto che di lì a poco, nel giro di 10 anni, si passò dal PDS ai DS (Democratici di sinistra), anche grazie all’intervento di un rampante Massimo D’Alema e poi, pochi anni dopo, nel 2006, dai DS all’attuale Partito Democratico.

Inutile dire che la frammentazione del PC comportò la nascita di tanti soggetti politici di sinistra (come Rifondazione o Comunisti italiani) che, negli anni, a volte appoggeranno i vari governi di centro-sinistra, a volte contribuiranno a farli cadere, a volte, pur essendo al governo, manifesteranno in piazza…contro loro stessi!

Insomma, è chiaro che in 30 anni la sinistra ha cambiato varie forme ma la sostanza è rimasta pressoché la stessa, ossia grande confusione e incapacità di riflettere sui cambiamenti sociali, politici, economici e geo-politici internazionali e incapacità di elaborare un nuovo linguaggio di sinistra, basato su nuove esigenze, nuove problematiche da affrontare, però, con i solidi princìpi della sinistra: tutela delle fasce deboli della popolazione, anti-capitalismo e superamento della concezione privatistica dei beni comuni, socialismo applicato, uguaglianza sostanziale, potenziamento e crescita dell’istruzione e del sapere collettivo, in modo da creare una società coesa, consapevole e “libera”, oltre al superamento dei privilegi di classe (di casta o di lobby).

Diciamo la verità, i dirigenti del PC dei primi anni Novanta hanno voluto chiaramente aderire al sistema capitalista, rinnegando completamente il passato e spingendo l’Italia verso un modello liberale, cioè quel modello che oggi ha rappresentato la prima grande causa dell’attuale crisi economica, che ci porteremo dietro per numerosi decenni.

E’ vero che la storia ci ha traghettati verso il rinnegamento dei regimi totalitaristici, ed è stato giusto e storicamente coerente chiudere con l’esperienza del PC, ma da allora ad oggi mai nessuno ha voluto interrogarsi sull’applicazione dei valori della sinistra nelle esigenze moderne e sull’uso di metodologie e linguaggi moderni.

E’ stato più facile, da parte dei dirigenti del PC, abiurare il passato e abbracciare il modello capitalista, come ha subito fatto Achille Occhetto, quando è andato negli USA a dichiarare di essere contrario al regime comunista cinese o quando ha incontrato Lech Walesa, allora leader dell’opposizione polacca al regime comunista, dicendosi vicino alle sue posizioni.

Negli anni, poi, la dicotomia sinistra/liberismo ha prodotto frutti nocivi, se pensiamo alle privatizzazioni approntate dal duo Prodi/D’Alema, alla destrutturazione dello Stato sociale e alle sempre più pressanti spinte alla precarizzazione nel mondo del lavoro, tutto nel nome di un liberismo spinto, peggiore di quello inglese, che ha portato la gente a non avere più tutele quando è scoppiata la crisi economica e ad estremizzare il disagio sociale verso l’odio razziale, l’antipolitica e l’appoggio a ideologie estremiste e populiste.

Si ripete lo stesso errore: La cosa del 2017, ossia Art. 1 MDP

Ed eccoci ai giorni nostri. E’ ormai evidente che il PD, con Prodi, D’Alema, Rutelli, Veltroni, le anime “bianche” del centro e del centro (centro) sinistra, i liberali, gli ex comunisti pentiti, i cattolici e i catto-centro-comunisti, le lobby, gli affaristi, i banchieri, Confindustria e persino con amministratori locali in odor di mafia, è un partito talmente eterogeneo, frammentato, affaricentrico e incapace di discutere che, giocoforza, viene governato in modo centralizzato e con un occhio di riguardo verso le lobby.

Bastano poche prezzolate persone per imporre una linea di pensiero e di intervento, alla faccia della discussione, della base e della sintesi politica. E oggi quelle poche persone (Renzi e il suo entourage) stanno traghettando il PD verso un liberismo malato, un populismo spiccio (con contorni di putrido nazionalismo) e un notevole servilismo europeista. In questo quadro appare ovvio che molte anime “di sinistra”, incapaci di cambiare il partito dall’interno, vogliano fuoriuscirne e formare un nuovo soggetto politico. Bene.

Peccato che però, come al solito, non si impara mai dagli errori. Il buon Pisapia, che ritengo una persona valida, sta però percorrendo gli stessi passi dei suoi predecessori di quasi 30 anni fa: creare un soggetto politico con dirigenti liberisti e che si sono dimostrati incapaci di disegnare un modello nuovo di sinistra (Prodi, D’Alema, persino Bersani, che si stupisce che non avvenga un nuovo ’68. Quasi mi fa tenerezza la sua incapacità di analizzare la realtà…) e tentare di costituire un soggetto ampio, capace di “dialogare con il PD”, in cui tutti sono benvenuti, persino Renzi.

Dunque torniamo alla cosa, un elemento ibrido, informe, privo di valori fondanti in cui riconoscersi, privo di capacità di analisi politica, privo persino di contenuti, ma “aperto” a tutti. Da questo modello politico cosa può nascere? Un nuovo fallimento, chiaro.

Sembra quasi che a questa gente importi più riempire le piazze, darsi un colore nuovo (questa volta è l’arancione…anzi, un rosso sbiadito…) ma evitare qualsiasi forma di analisi, di discussione, di un seppur minimo sforzo teso a riscrivere il linguaggio della sinistra e il suo relativo vocabolario, un vocabolario che la “base” possa comprendere, assimilare e in cui possa riconoscersi e che possa rappresentare il primo – minimo – passo verso il riavvicinamento della gente alla politica, ormai priva di punti di riferimento.

E’ ovvio che senza queste operazioni (complesse, sì, ma necessarie) avremo una maggior recrudescenza degli estremismi e, a livello elettorale, il M5S rappresenterà per la gente l’unica valida alternativa alla sinistra, che di “sinistra” non ha più nemmeno il colore. E allora che si faccia questo gesto di coraggio: si crei un nuovo soggetto politico, con facce nuove e competenze valide, e si prenda anche qualche anno per discutere e analizzare la realtà, non si faccia il solito errore di correre subito alle elezioni, perché sennò torneremo di nuovo all’orrida cosa.

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Punta canna, l’ultimo discorso del Duce

lido Punta canna

Sensazionale discorso fatto dal gestore…ops! Dal Duce del lido di Punta Canna, Gianni Scarpa, poco prima del blitz della Digos. Qui in anteprima per voi, miei cari 3 lettori.
Bagnanti di terra, di mare, dell’aria.
Slippini neri della rivoluzione e delle legioni.
Uomini, donne e pure gay d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.
Ascoltate!
Un’ora, segnata dal destino, batte nel mare della nostra patria.
L’ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata ai vicini di stabilimento di lido Punta della Maiala (di tu mà).
Scendiamo in campo contro i bocciatori reazionari dell’Occidente, che, l’anno scorso, hanno ostacolato la vittoria a bocce dei nostri valorosi anziani e spesso insidiato l’esistenza medesima dei nostrani giocatori di racchettoni prestanti e di fascio vigore!
Questo è l’anno della vittoria a bocce sotto al sole cocente di Chioggia e il vile boccino sarà sbocciato dalle virili bocce di italica stirpe romana!
Questo lido, proletario e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiero e compatto come non mai contro i bolscevichi dello stabilimento qua accanto.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti.
Essa già trasvola ed accende i cuori da Jesolo all’italica Fiume: vincere!
E vinceremo, per avere finalmente la rivincita e gongolarci con le loro sovietiche donne perizomate e scostumate, attratte dai nostri falli cotonati e dai muscoli flosci e tatuati.
Terry Manfrin!
Corri ai fornelli, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore, mio prode piddino e fedele cuoco!


P.S. il discorso di punta canna è vero, ho solo cambiato due-tre parole (giuro).
P.P.S. oggi volevo scrivere qualcosa, una cazzata, giusto per passare il tempo. Niente di serio, dunque.
P.P.P.S. L’aspetto più divertente della storia del “lido nostalgico” è che nelle cucine, secondo il Gazzettino di Venezia, ci lavorava il segretario PD di Chioggia, tale Terry Manfrin. Ora, a parte che – come dicevano i romani – omen nomen, ogni nome ha il suo destino, e questo se si chiama “Manfrin” è sicuramente un malandrino, ma poi devo essere io a dirvi che nel PD la gente ci entra solo per trovare un lavoro, pure sottopagato, pure umiliante, basta che sia un lavoro? E quello del segretario locale del PD è un lavoro, tipico dei lacchè di quart’ordine. Quindi nulla di cui stupirsi.
Ah, se non si fosse capito, il discorso originale è quello fatto da Mussolini il 10 giugno 1940 in cui dichiarava guerra a Gran Bretagna e Francia. Ma sono sicuro che se li avesse davvero sfidati a bocce, avremmo vinto la guerra. Eja eja jamme jà!

https://www.youtube.com/watch?v=Zd2hyly9Skw

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Renzi Avanti. Il nuovo libro del segretario PD

renzi avanti per il cimitero

renzi

Nel suo nuovo libro, in uscita domani, 12 luglio, il fantasioso e fantasista segretario del PD, Matteo Renzi, (sci)orina le sue fantastiche teorie su come risollevare l’economia in Italia. Ecco come lo presenta Matteo:

“Questo libro non è solo un diario personale, una riflessione sulla sinistra o il programma del governo che verrà. Più di tutto, è la condivisione di idee, emozioni e speranze che spesso si sono perse nel racconto della comunicazione quotidiana. I risultati ottenuti e gli errori commessi. Il viaggio tra passato e futuro di un’Italia che non si ferma. Che vuole andare avanti.”

Il punto principale pare essere il “ritorno al trattato di Maastricht”, cioè con un rapporto deficit-PIL più alto rispetto a quello imposto oggi dal fiscal compact da parte dell’UE.

Insomma, l’economista de noartri si diverte a lanciarsi in complessi ragionamenti volti a ridurre la pressione fiscale e stimolare l’economia grazie a una maggiore flessibilità d’indebitamento.

Non voglio rovinare la lettura a chi deciderà di investire (ergo: buttare) quella decina di euri per comprarsi sto popò di opera di economy fantasy , ma una cosa lasciatemela dire: il “grosso” della sua operazione (che mi auguro non veda mai la luce) è di rafforzare le competenze della Cassa depositi e Prestiti affinché gestisca anche il Patrimonio dello Stato, per massimizzare il profitto e ottenere maggiore liquidità.

Tradotto: vendere altri beni dello Stato.

E torniamo alla politica di Prodi-D’Alema. Insomma, niente di nuovo sotto al sole del Renzi Avanti, tranne un po’ di fumo (negli occhi).

 

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Lo Stato privato

romano prodi privatizzazioni

La crisi economica scoppiata nel biennio 2006-2008 ha messo in luce le debolezze del Sistema-Italia e la capacità delle Istituzioni di far fronte all’indebolimento economico della classe media, ormai pressoché scomparsa. La crisi ha rappresentato la batosta finale, ma i presupposti c’erano ed erano sotto gli occhi di tutti: le privatizzazioni.

Quando uno Stato detiene il controllo dei servizi fondamentali e attua politiche tese a calmierare i prezzi dei servizi offerti, anche le peggiori crisi economiche possono essere superate, perché i cittadini possono comunque sempre contare su uno Stato Sociale che li tutela nei bisogni primari e nei servizi essenziali quali acqua, sanità, trasporti, energia, gas, ecc.

L’Italia, invece, ha scelto la strada dello smantellamento dello Stato Sociale e della privatizzazione di tutto, anche di ciò che compete ad uno Stato, come la Sanità e la Giustizia. Ma perché oggi ci troviamo a pagare (salato) qualsiasi servizio pubblico e a vederci negato persino l’accesso alla Giustizia e ai servizi minimi essenziali?

Facciamo un salto indietro.

La Storia delle privatizzazioni

Siamo agli inizi degli anni Novanta. Uno spudorato Romano Prodi, presidente dell’IRI, inizia lo smantellamento di un Ente che contava 500.000 dipendenti. Dovete sapere che l’IRI gestiva Alitalia, Autostrade, Finmeccanica, Fincantieri e Aeroporti di Roma, i quali saranno poi immessi sul mercato ad uno ad uno. L’IRI, ormai svuotato di ogni suo ramo, verrà messo in liquidazione il 28 giugno 2000.

Ora sapete perché Alitalia è in crisi (ma viene comunque “salvata” da contributi pubblici) o perché il pedaggio costa così tanto (ma le strade sono cantieri eterni): vengono gestiti in modo privato, ma – dato che le gestioni sono fallimentari – le SpA vengono poi aiutate dallo Stato.

Dopo è la volta del Credit (Credito Italiano), che godeva di ottima salute, dell’IMI e della Banca Commerciale Italiana (Comit), tutto tra il 1993 e il 1994. L’idea di Prodi era quella di “smantellare il Paese pezzo per pezzo” (così disse il 17 gennaio 1998 in un celebre discorso in provincia di Lecce). E infatti ci è riuscito. Nel luglio 1996 iniziano le prime privatizzazione dei servizi pubblici locali grazie alla costituzione di società per azioni in cui i Comuni possono partecipare solo con quote minoritarie.

Il 16 aprile 1997 viene privatizzato l’Istituto San Paolo di Torino.

Nel 1999 Massimo D’Alema prosegue il disegno staticida di Prodi approvando un disegno di legge che privatizza definitivamente i servizi pubblici locali. Tutte le aziende municipalizzate che erogano in regime di monopolio acqua, gas, elettricità, trasporti urbani, rifiuti urbani vengono trasformate in imprese private.

Nel gennaio 1998 il Parlamento liberalizza il commercio abolendo licenze e regole sugli orari. Poi è la volta della liberalizzazione della telefonia fissa (febbraio 1998) e dell’energia elettrica, fino alla privatizzazione dell’ENEL (1999).

A maggio del 2000 si provvede a liberalizzare il commercio del gas.

Poi è la volta delle TV. La legge Maccanico apre alla privatizzazione della RAI e di fatto salva le reti televisive di Berlusconi.

Infine, sempre nel 1998 le Ferrovie dello Stato vengono smembrate per poi costituire RFI (Rete ferroviaria italiana, pubblica) e Trenitalia (privata). Stessa sorte toccherà alle Poste, che diventeranno SpA.
D’Alema, non contento, si sbarazza anche di molti beni pubblici, tra cui il Foro italico e lo Stadio olimpico, passati nelle mani dei privati.

Le privatizzazioni così realizzate non si avvicinano nemmeno minimamente a quelle poste in essere dal governo Thatcher e dal governo Blair in Inghilterra (criticati per le politiche eccessivamente liberal). Tutto è in nome di un alleggerimento dello Stato che – invece – a distanza di 20 anni non è avvenuto e che, anzi, è sempre più indebitato ma privo degli Enti che, invece, avrebbero garantito ai cittadini molteplici oneri economici in meno. Insomma, se avessimo avuto ancora le Poste, i trasporti, l’energia, il gas e i servizi comunali ancora pubblici, non pagheremmo le tariffe esose che paghiamo oggi.

La Sanità privata e gli Ospedali chiusi

Il sistema sanitario nazionale, così com’è impostato oggi, non può essere soggetto a privatizzazioni, ma dato che il disegno di alleggerimento dello Stato è ancora in corso (prova ne è il fatto che Prodi, D’Alema e Bersani non sono ancora stati cacciati a calci nel sedere dalla politica), si deve comunque ridurre la spesa. E come? Semplice, costringendo le Regioni (oppure favorendo le Regioni) a chiudere gli Ospedali, nel nome dell’ottimizzazione delle risorse. Ecco che numerosi centri ospedalieri, anche di recente costruzione, vengono o chiusi o trasformati in centri di lungo degenza oppure in laboratori di analisi gestiti privatamente.

Se poi ci metti le liste d’attesa lunghissime, che arrivano anche a un anno, e i medici che ti “suggeriscono” la visita privata o l’analisi di laboratorio con pochi giorni d’attesa, allora la privatizzazione della sanità è un dato di fatto.

privatizzazioni sanità
Gli ospedali chiusi dal 2013. Articolo de La Stampa

La giustizia privata. Tribunali periferici chiusi. Mediazione

Nemmeno la Giustizia è esente da questo percorso di alleggerimento e privatizzazioni. La riforma della geografia giudiziaria, iniziata nel 2011, ha portato alla soppressione di 30 tribunali, alla chiusura dei tribunali periferici e a un drastico taglio degli Uffici del Giudice di Pace. Oggi è in discussione anche la chiusura dei Tribunali per i minorenni e del taglio di competenze per i Giudici di Pace. A questo disegno giustizicida va aggiunto un altro tassello: la creazione e l’incentivazione della mediazione, addirittura obbligatoria per legge per molte materie (persino per materia di risarcimento danni da circolazione stradale, cioè il 50% del carico giudiziario), ossia una branca delle privatizzazioni.

Cos’è la mediazione? è l’attività professionale svolta da un privato, in veste di arbitro terzo e imparziale, che cerca di far trovare un accordo tra le parti in lite. Insomma, il mediatore è un privato e la mediazione è una forma (oggi obbligatoria per molte materie) di risoluzione delle controversie alternativa a quella giudiziaria. Inutile dire che in questi anni le Agenzie di mediazione si sono moltiplicate a dismisura e che spesso il costo dell’accesso alla giustizia è più elevato rispetto alla mediazione. Questa, dunque, è una forma sottile di smantellamento del sistema giudiziario in Italia che, unita alla chiusura dei tribunali e allo svuotamento di funzioni del Giudice di Pace, mostra apertamente quale strada sta percorrendo lo Stato italiano in materia di giustizia.

I Trasporti privati

privatizzazioni trasporti

Se prima, per andare da Torino a Taranto, pagavi 40.000 lire oppure 25,00 € nei primi anni Duemila, oggi con quella cifra non esci fuori regione. E’ colpa dell’euro? No, è merito delle privatizzazioni. Trenitalia è il soggetto privato (ma aiutato dallo Stato quando i bilanci sono in passivo) che gestisce i trasporti su rotaia. Le rotaie sono ancora di proprietà degli Enti Pubblici, ma i treni non più. Le liberalizzazioni servivano a creare concorrenza, ma a distanza di 20 anni quanti imprenditori hanno investito nei trasporti su rotaia in Italia? Escludendo Italo (che fa poche tratte e i cui costi sono pressoché simili a quelli di Trenitalia), nessuno. Ecco servita la liberalizzazione: aumento spropositato delle tariffe e tagli indiscriminati delle tratte economicamente meno vantaggiose. Infatti prima i treni arrivavano ovunque, perché l’obiettivo non era la massimizzazione del profitto, ma l’offerta di servizi necessari, mentre oggi il Sud soffre i tagli delle tratte dovuti alle privatizzazioni, perché l’obiettivo di Trenitalia non è offrire un servizio, ma massimizzare il profitto. Quindi chi vive al Sud o in zone disagiate avrà sicuramente apprezzato la privatizzazione di un servizio così necessario.

Le Poste privatizzate

privatizzazioni poste

Poste Italiane SpA non ha grande interesse a continuare il servizio di consegna della posta, anzi, si sta concentrando soprattutto sui servizi finanziari, insomma, vuole diventare una banca, perché così i profitti sono più alti e i costi minori. Tra l’altro quello della corrispondenza è l’unico settore dove si è sviluppata una minima forma di concorrenza, con le poste private che svolgono gli stessi servizi a costi inferiori. Però, sapete, le pensioni le pagano ancora in posta, ma oggi i pensionati sono costretti a ricevere la misera pensione su un conto corrente e i bollettini, nonostante l’apertura degli sportelli Lottomatica di molti tabacchi convenzionati, continuano ad essere pagati in posta da molti utenti, sì, ma con commissioni che arrivano a 1,50 €.

Dunque mettiamo una famiglia che deve pagare il bollettino di: luce, acqua, gas e telefono. Solo di commissioni pagherà 6,00 €. E non parliamo del costo delle bollette. Anzi, ne parliamo ora ora.

Le privatizzazioni di energia, telefonia e il mercato libero

Con lo smantellamento dell’ENEL e di SIP sono nati, come ben sappiamo tutti, ENEL distribuzione (maggior tutela), ENEL Energia (mercato libero) e Telecom Italia (oggi venduta agli spagnoli), con l’intenzione di creare un mercato concorrenziale, ma nei sistemi capitalistici nostrani “concorrenza” è sinonimo di “fregatura”.

Oggi, rispetto ai primi anni 2000, paghiamo il 20% in più sia di corrente elettrica che di telefonia. Vero è che oggi si è aggiunta la voce “internet” alle spese telefoniche, ma è anche vero che in molti Paesi europei il costo dell’ADSL (o della fibra) è nettamente inferiore.

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Confronto prezzi ADSL in Europa. Fonte: SOS tariffe

Le compagnie telefoniche in regime di concorrenza in Italia sono diverse, ma se spulciamo le offerte, al netto del fumo negli occhi, sono pressoché uguali in termini di costi e si differenziano minimamente in termini di servizi offerti e di qualità del servizio. Per non parlare poi delle numerose fregature che si annidano nei caratteri minuscoli dei contratti, spesso sottoscritti senza essere letti e che riaffiorano solo all’arrivo delle prime fatture.

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Contratto telefonico e ADSL. Tra spese e spesucce, le iniziali 40,00 € a bimestre promesse dall’operatore telefonico diventano 61,80 €.

In materia energetica, poi, abbiamo raggiunto l’apice della fregatura con un regime di concorrenza basato su una componente minima e insignificante in fattura: la materia energia. Tutte le compagnie energetiche ci martellano la testa con sconti e offerte sulla materia energia, senza ovviamente specificare che il grosso da pagare in bolletta non è la materia energia, ma: trasporto, gestione contatore, oneri di sistema. Voci che in fattura risultano incomprensibili ma che rappresentano la maggior somma da pagare. Hai voglia a cambiare fornitore, i costi resteranno sempre altissimi!

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Notare il costo della materia energia e il costo delle “altre spese”. Lo sconto promesso dall’operatore è solo sulla materia energia, quindi un nonnulla.

Le privatizzazioni dell’acqua

Se l’acqua è un bene primario e comune, la sua gestione è privata. E se è vero che le Regioni possono controllarne la gestione, è anche vero che non possono legiferare sulla sua forma giuridica (quindi non possono rendere gli acquedotti Enti pubblici). La competenza spetta allo Stato. Lo stesso Stato che in questi anni ha privatizzato ogni cosa, ha privatizzato anche il bene più prezioso che abbiamo, con conseguenti aumenti di tariffe, tanto che in alcuni casi gli aumenti sono arrivati anche oltre il 200%.

Acqua bene comune. In Italia non più.

Lo Stato risparmia e ci guadagna (come fosse un privato)

Lo smantellamento dello Stato Sociale voluto da Prodi, D’Alema, Bersani e compagnia bella ha una duplice funzione: da un lato ha permesso di risparmiare sui costi degli Enti controllati dallo Stato, dall’altro ha favorito introiti maggiori sotto forma di IVA, contribuzione, imposte di bollo e altri emolumenti che ora queste aziende private versano allo Stato. Quindi oggi lo Stato da un lato ci risparmia e dall’altro ci guadagna. A rimetterci, chiaramente, sono i cittadini e gli utenti che hanno visto lievitare le tariffe, chiudere i servizi necessari e peggiorare, talvolta, gli stessi servizi a fronte di oneri maggiori.

Addio allo Stato Sociale

E’ ovvio che, con le privatizzazioni selvagge e rinunciando ad erogare tali servizi, lo Stato italiano ha smantellato lo Stato Sociale in favore di uno Stato liberista di stampo capitalista. Ma si tratta di una forma di capitalismo truccato, perché se è vero che nel capitalismo l’unico vantaggio che hanno i consumatori è rappresentato dalla concorrenza, è anche vero che in Italia la concorrenza è truccata, perché le aziende che si sono accaparrate i servizi pubblici fanno cartello (cioè si mettono d’accordo) oppure sono controllate dalle stesse persone, seppur con nomi diversi. Quindi si tratta di monopoli di fatto mascherati da regimi di concorrenza.

In questo quadro, l’unico “rimedio” predisposto dallo Stato è stato quello dell’istituzione del Garante della Concorrenza, un Ente che in Italia non ha alcun potere se non quello di comminare multe di lievissima entità a grandi aziende che non rispettano la concorrenza, che pagano volentieri le multe, tanto rappresentano una misera percentuale rispetto al fatturato.

Questa è stata l’unica concessione fatta dallo Stato a noi cittadini che, oggi, siamo costretti a pagare tanto per servizi pessimi in una realtà che andrà sempre peggio, visto che l’opera di smantellamento dello Stato Sociale sta continuando e presto ci vedremo negato persino il diritto a farci una passeggiata al mare o in campagna o in montagna senza pagare il pedaggio a Paesaggi per l’Italia SpA. Ma tranquilli, c’è pur sempre l’abbonamento annuale e se ti iscrivi alla newsletter avrai diritto a uno sconto del 5% sull’eccedenza dei passi consentiti.

 

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Il G20 spiegato semplice

g20 amburgo
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Oggi si conclude il vertice dei G20, cioè dei leader di 20 Paesi del Mondo, con a tema “Dare forma a un mondo interconnesso”. Gli argomenti trattati sono molti: finanza, economia e commercio internazionale, ambiente e clima, lotta al terrorismo, guerre, migrazioni, ecc.

Ora, al di là dei discorsi lunghi e a tratti complessi fatti dai vari leader, del politichese, degli argomenti ostici e spesso poco comprensibili dal grande pubblico, ciò che ci fa capire come funziona il G20, il G7 o comunque i rapporti internazionali è qualcosa di facile e ora ve lo spiego.

Gli accordi del G20

In questi vertici, di solito, i grandi della Terra fanno degli accordi su diverse tematiche, le più importanti sono: finanza, commercio, ambiente e lotta al terrorismo.

Di solito i vertici si concludono sempre con un accordo.

Ad esempio: dobbiamo ridurre le emissioni di C02 del 25% entro il 2030. Ok, semplice no? L’accordo è stato trovato, però bisogna metterlo in pratica. Poniamo, per esempio, che l’Italia, che ha firmato l’accordo, si è dunque impegnata a ridurre le emissioni di C02. Quindi si dà il caso che sin dal giorno dopo, per esempio, imponga all’ILVA di Taranto o alla centrale ENEL a carbone di Brindisi di ridurre le emissioni in atmosfera. E’ la mossa più logica, no? Invece non fa niente.

Allora, per esempio, immaginiamo che voglia incentivare gli automobilisti a cambiare le vecchie auto e introduca degli incentivi per acquistare, poniamo, auto ibride o a GPL o a metano. E invece no. Semplicemente non fa nulla.

E l’accordo? Vabbè, al prossimo vertice l’Italia dirà che “l’impegno del nostro Paese è massimo nel ridurre le emissioni” e con questa frasetta si beccherà l’applauso della platea.

Invece, poniamo che si giunga ad un accordo di libero scambio con gli USA e l’accordo prevede che siano ridotti i dazi doganali e favoriti i commerci tra Italia e USA, garantendo, per esempio, 1000 tonnellate di merci esportate al mese. Il leader statunitense tornerà a casa e dirà alle grandi aziende: “ok, ora potete esportare tutto quello che volete, senza controlli di qualità sulle vostre merci”.

Le aziende statunitensi festeggiano l’accordo raggiunto e già immaginano di aumentare il fatturato.

Il leader italiano, dal canto suo, tornerà in Italia e dirà a Coldiretti o a Confindustria: “ci sarebbe la possibilità di esportare negli USA, però l’accordo prevede che dobbiamo garantire almeno 1000 tonnellate di merci al mese”. “Ehm – dirà Coldiretti – noi non ce la facciamo”. “Cacchio! – dirà Confindustria – noi già stiamo in crisi e non possiamo garantire un quantitativo simile!”. Quindi, di fatto, l’accordo è unilaterale e premia il più forte e il più furbo.

Qui lo dico e qui lo nego

Un’altra sfaccettatura degli accordi internazionali sta nel fatto che tanto quelle sono solo parole, scritte sì, ma pur sempre parole.

Gli accordi non sono legge né sono vincolanti per i Paesi firmatari.

Oddio, alcuni lo sarebbero, ma tanto al prossimo vertice una scusa si trova sempre e comunque gli accordi più delicati (tipo quelli sul clima) hanno scadenze lunghe e spesso, nel frattempo, il leader è cambiato.

La metafora del bullismo nel G20

E veniamo all’ultimo aspetto per comprendere meglio come funzionano i rapporti internazionali.

L’aspetto più importante sono i toni cordiali e amichevoli tra leader di Paesi avversari, tipo USA e Russia o Germania e USA. Lì, sul momento, so tutti baci e abbracci, poi, tornati nei rispettivi paesi, si torna ad essere avversari.

E’ chiaro, inoltre, che il leader del Paese più forte economicamente e più cazzuto militarmente è quello che fa la voce grossa e cerca di intimorire e addomesticare i leader di paesi più deboli.

Lo fa spesso Trump, quando dà la mano ai suoi colleghi (oppure la nega) oppure Putin, quando lancia sguardi e battutine per far capire che lui sembra fesso, ma non lo è.

Certo, questi atteggiamenti possono scatenare o far terminare guerre che portano morte e distruzione in tanti paesi, e infatti oggi Putin e Trump hanno trovato un accordo per il cessate il fuoco in Siria.

Vedremo quanto dura.

Fatto sta che la politica internazionale si può simbolicamente ricondurre al quanto piscio più lontano di fanciullesca memoria.

Tutto il resto è contorno, anche le proteste.

Anche quelle fanno parte del folklore, perché chi protesta e distrugge, nell’ambito degli svariati G7 o G20, dopo aver sfogato la propria frustrazione, tornerà sulla sua Mercedes, pronto a ingozzarsi al Mc Donald e a tornare il lunedì mattina alla scrivania di una multinazionale che gli dà il pane (del Mc, chiaro).

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Lo Stato di Polizia è un’altra cosa, ciucci!

Stato di Polizia
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Leggo spesso in vari blog, articoli di giornale, post e commenti sui social, che oramai noi viviamo in uno Stato di Polizia, in quanto il potere ci controlla e ci soggioga grazie all’uso delle forze dell’ordine che soffocano e reprimono le libertà dei cittadini anziché tutelarle e proteggerle. Giusto, no? Leggi anche tu queste boiate, vero?

Non voglio certo negare che spesso le Istituzioni usino le forze dell’ordine per controllare e reprimere le forme di disobbedienza civile e che spesso lo facciano in modo autoritario ed eccedendo nei loro ruoli. Ma questo non vuol dire che viviamo in uno Stato di polizia! Lo Stato di Polizia è un’altra cosa, completamente diversa.

Ma per capirlo bisogna capire la differenza tra forme di Stato e forme di Governo, distinzioni elaborate dalla scienza costituzionalista per indicare le diverse forme che possono assumere uno Stato e un Governo.

Forme di Stato

Uno Stato, inteso come sintesi di tre elementi, cioè territorio, popolo e governo, può assumere diverse forme, a seconda delle influenze storiche, filosofiche e politiche di un dato territorio. Nella storia abbiamo avuto:

STATO UNITARIO

E’ una forma di Stato costituita da un solo popolo su un unico territorio e sotto un unico potere sovrano.

STATO FEDERALE

E’ una forma di Stato che racchiude in sé più Stati, i quali possiedono tutti gli elementi costitutivi tipici dello Stato unitario (popolo, territorio, potere sovrano). Si basa su una Costituzione federale e più atti costitutivi, ognuno del singolo Stato, nonché vengono imposte regole proprie per ogni Stato e regole comuni. L’esempio tipico sono gli USA.

STATO ASSOLUTO

Nello Stato assoluto tutti i poteri (potere legislativo, esecutivo e giudiziario) vengono concentrati nella persona del Monarca. La popolazione è composta da sudditi (non cittadini) che rispondono solo al Re e a nessun altro potere.

STATO PATRIMONIALE

E’ una forma di Stato assoluto in cui il Re dispone del Regno come fosse proprietà privata e fonda i suoi rapporti su un modello di tipo privatistico. Anche in questo caso la popolazione è composta da sudditi.

STATO DI POLIZIA

E’ una forma più evoluta dello Stato assoluto, in cui il Sovrano, pur esercitando sempre il potere assoluto, nel contempo deve assicurare un certo benessere ai sudditi, per cui diviene un “Sovrano illuminato”. Del resto “polizia” deriva dal greco “polis” e, secondo questa forma di Stato, i sudditi hanno diritto a vivere in serenità e sicurezza, per cui il Sovrano deve garantire sicurezza da possibili attacchi esterni nonché benessere diffuso.

STATO DI DIRITTO

Nasce con la scomparsa dello Stato assoluto, per cui i “sudditi” divengono “cittadini” titolari di diritti, che rispondono solo alla legge, come anche il Sovrano (principio di legalità”). Nasce, in questo contesto, la Carta costituzionale nonché il principio della “Separazione dei poteri”.

STATO SOCIALE

E’ una forma evoluta dello Stato liberale, per cui vanno garantiti al cittadino i servizi primari (sanità, istruzione, occupazione, previdenza sociale, trasporti, ecc.), indipendentemente dal proprio reddito, al fine di rimuovere le disuguaglianze sociali.

STATO SOCIALISTA

E’ una forma più “estrema” dello Stato Sociale, per cui lo Stato si fa capo dei mezzi di produzione e garantisce ogni genere di servizio ai cittadini, in modo pressoché uguale per tutti.

Forme di Governo

A differenza delle forme di Stato, dove lo Stato si conforma in base a territorio, popolo e potere, le forme di Governo sono modelli organizzativi tipici del potere stesso, per cui si possono avere diversi modelli in base a come vengono conformati i tre poteri tipici del Governo di uno Stato: Potere decisionale, Potere esecutivo e Potere giudiziario, oltre al Potere di controllo e garanzia tipico del capo dello Stato.
Le forme di governo classiche sono:

MONARCHIA

Il potere in mano ad una sola persona. Qui distinguiamo tra Monarchia costituzionale (i poteri del Monarca sono limitati dalla Costituzione) e Monarchia assoluta (il Monarca prende tutte le decisioni e non risponde ad alcun altro potere).

ARISTOCRAZIA

Il potere in mano a poche persone (nobili o comunque “migliori”).

DEMOCRAZIA

Il potere in mano al popolo.
Poi abbiamo ulteriori forme di Governo le cui caratteristiche di base sono comunque simili alle forme di Governo classiche, ma che hanno alcuni elementi diversi, spesso patologici.

AUTOCRAZIA

Il potere in mano a una o a poche persone, che controllano la formazione delle leggi, il potere giudiziario, l’esercito e i mezzi di informazione. In questo termine ritroviamo la dittatura, la dittatura militare, la plutocrazia, la teocrazia, ecc.

ANARCHIA

In questo caso non esiste un governo organizzato e il potere è autoregolato dai membri di una comunità.

SOCIALISMO

E’ una forma di governo tipica dello Stato Socialista.

REPUBBLICA PRESIDENZIALE

Come quella francese o americana, per cui il Presidente (capo dell’esecutivo) detiene maggior potere rispetto ad altri organi e assume anche i poteri tipici del capo dello Stato.

DEMOCRAZIA DIRETTA

E’ una forma di democrazia senza intermediazioni tipiche della rappresentanza parlamentare. Spesso si associa ad altre forme democratiche e si sostanzia nella decisione, da parte del Popolo, su tematiche rilevanti, a mezzo referendum.
Esistono tante altre forme di governo, ma sia chiara una cosa: se volete parlare di quanto in Italia la libertà sia limitata e controllata da parte del Governo, prendete ad esempio una delle forme di Governo, parlate pure di dittatura di fatto, di autarchia, di democrazia totalitaria, ma lasciate perdere lo Stato di Polizia, che è un’altra cosa. Fino a prova contraria la nostra è ancora una forma di Stato di diritto.

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