Il falso tira e molla sulla TAV

treno simpson tav

La discussione di questi giorni in merito alla TAV rappresenta, nella dialettica politica tra i due governanti / contendenti, un falso problema o, per dirla meglio, un’illusione demagogica.

In prim’ordine perché tutto è stato deciso, il progetto andrà avanti e questo lo sanno benissimo sia i leghisti che i pentastellati, in second’ordine perché ognuno di loro vuole mantenere illibata la sua immagine davanti all’elettorato e quindi il braccio di ferro tra Salvini e Di Maio va visto semplicemente in questa chiave di lettura: Il M5S salvi capre e cavoli, in vista delle elezioni europee. Perché questi continui battibecchi e il tentativo, da parte del Presidente Conte, di giungere in soccorso alla parte più debole del governo dimostrano un re-bilanciamento del peso politico, oggi tutto spostato a favore della Lega, nonché l’interesse a mostrarsi determinati a bloccare l’opera in un gioco di specchi riflessi, ma al cui interno si nascondono le vere intenzioni.

Tra l’altro la presa di posizione di Conte non è casuale né dettata da emotività, ma è un modo per abbagliare la discussione pubblica sul tema, accreditarsi presso l’elettorato grillino e mostrarsi all’opinione pubblica come puro e obiettivo sostenitore delle ragioni del M5S.

Al netto del fumo negli occhi gettato sull’opinione pubblica, quello che resta nella sostanza è la volontà ferma di realizzare l’opera, sia da parte di Salvini che da parte – ovviamente – dell’establishment europeo. Su questo non ci sono sovranismi che tengono.

Salvini, del resto, è un fermo sostenitore dell’opera poiché lui rappresenta gli interessi di quella borghesia industriale, tutta italiana, che vuole che la TAV sia realizzata per evidenti ragioni di profitto. Al di là dei costi di investimento, che ricadono sui conti pubblici europei, non vi sono dubbi che tutti i grossi imprenditori, italiani e non, sono concordi nel volere la TAV. Quindi a beneficiare dell’opera saranno gli agglomerati industriali europei, le grandi aziende, gli importatori e tutto quel tessuto economico che, per semplicità espositiva, chiameremo capitalisti.

Quest’aspetto va sottolineato per tutti coloro che ritengono Salvini un sovversivo dell’ordine europeo e un sovranista puro. Il sovranismo di Salvini non è altro che conservazione di un sistema economico-politico volto a tutelare gli interessi dei ceti più ricchi, una forma di reazione non tanto ai diktat europei, quanto alle classi più deboli della popolazione. Altrimenti non si spiegherebbe perché viene ben visto da Confindustria e da tutti i rappresentanti del capitalismo, non solo nostrano.

La sua lotta in Europa non è lotta per la sovranità del popolo italiano, ma una lotta tutta interna agli interessi capitalistici dei suoi più fermi alleati. In questo quadro va vista la sua battaglia a favore della TAV.

In altre parole Salvini non fa altro che conservare gli interessi di quei soggetti che vogliono abbattere i costi, velocizzare gli spostamenti di merci e aprirsi a nuovi mercati. Tutto bello, sì. Peccato che tutto ciò – come si è visto negli ultimi secoli – non avvantaggia l’economia reale, non incide sul benessere collettivo né migliora le condizioni di vita dei cittadini. Anzi, più il capitalismo matura, si coalizza, si internazionalizza, diventa tecnologico, tende a monopolizzare e a ridurre il liberismo e più aumentano le disparità sociali, le crisi economiche e la povertà di masse di persone.

Eppure quest’opera la paghiamo noi. Il grosso dell’investimento è sorretto dai bilanci europei, ossia da quelle somme che tutti gli anni gli Stati membri versano all’UE e che, ovviamente, derivano da imposte e tasse che noi paghiamo. Se poi inseriamo questo concetto nell’ordine di idee da cui nasce la flat tax, capiamo perfettamente che chi paga l’opera (e tutte le opere che verranno, oltre a tutte le politiche economiche che si faranno) non è l’imprenditore, ma il lavoratore, visto che il lavoro è maggiormente tassato rispetto al profitto. E poi pagheremo tutti, indistintamente, senza progressività, con l’IVA e con tutte quelle tasse che gravano sui consumi. Insomma, il sovranismo salviniano è sovranismo degli interessi economici della borghesia che lo appoggia, non del popolo grullo che lo acclama.

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Il progetto TAV

Il costo totale dell’opera è di 8,6 miliardi di euro e l’Europa, come detto, ne mette la maggior parte, mentre investe per circa il 40% sul tratto franco-italiano, ossia quello per cui oggi si sta tanto discutendo.

Quindi l’opera la paghiamo noi ma andrà a vantaggio dei grandi gruppi industriali e di quel tessuto economico-commerciale europeo e internazionale che vuole assolutamente ridurre i costi, aprirsi a nuovi mercati e far viaggiare le merci con più efficienza.

Ma guardiamo il lato positivo delle cose.

Il treno è solo un mezzo. Spostare merci velocemente e a minori costi e minor impatto ambientale è un bene, ma tutto ciò dipende da chi lo utilizza e con quali finalità. Dipende da chi produce quelle merci e a chi sono destinate.

Le infrastrutture sono utili, ma il fine a cui sono destinate può cambiare e può avvantaggiare determinate classi sociali. Il vero problema non è il mezzo, ma chi lo detiene. Del resto un ponte con un Paese straniero può essere usato per facilitare la guerra oppure per facilitare i rapporti tra esseri umani. Il mezzo è uno strumento, è il fine che lo rende utile o dannoso.

Certo allo stato attuale la TAV servirà gli interessi del capitale, ma non è detto che una futura (e possibile) classe dirigente interna o europea possa destinare l’infrastruttura ad altri e più proficui utilizzi. E poi, come ogni grande opera, ci sono gli elementi negativi (l’impatto ambientale, gli alti costi di realizzazione, ecc.) ma anche quelli positivi, come la limitazione del trasporto su gomma. Del resto anche il trasporto su gomma incide negativamente sull’impronta ambientale e non si può certo nascondere che il carburante consumato da circa 1 milione di tir all’anno che passa dalla val di Susa ingrossi comunque i fatturati delle compagnie petrolifere, oltre a creare caos, inquinamento, sfruttamento dei poveri autisti da parte di una miriade di padroncini e centellinati danni alle fragili infrastrutture della rete stradale e autostradale.

Insomma, ogni grande opera nasconde i suoi pro e contro. Ma va comunque evidenziato nuovamente che l’interesse attuale e cogente di Salvini e dell’Europa è quello di favorire gli interessi economico-finanziari del capitale, in un tira e molla tutto interno, senza dare alcun utile alle classi più svantaggiate.

Luigi di maio

Se il M5S vuole davvero rendersi utile alla causa e fare qualcosa di buono per il popolo, di cui oggi si sente portatore degli interessi e delle aspettative, non si limiti ad uno sterile NO all’opera che serve solo a tenersi buono l’elettorato più radicale, ma promuova una campagna volta a finanziare, in fase di realizzazione dell’opera, i territori coinvolti con parte dei fondi messi a disposizione per la TAV e li destini a misure di compensazione vincolate a progetti per le classi meno abbienti: fondi destinati all’istruzione, alla cultura, all’inclusione sociale, ecc. E s’impegni a costringere gli utilizzatori dell’opera a destinare parte dei ricavi ai territori e ai progetti sopra menzionati. In questo modo almeno si attenueranno le conseguenze e una parte dei profitti sarà redistribuita equamente tra chi l’opera la subisce e non ne trae alcun vantaggio. Almeno per ora.

La riorganizzazione del M5S non convince affatto

M5S balcone

In una recente intervista all’HuffPost, il capogruppo alla Camera del M5S Francesco d’Uva ritiene che uno dei problemi del M5S, che gli ha impedito di radicarsi nei territori, sta nel fatto che i Meet Up non sono mai stati riconosciuti dal Movimento e che invece andrebbero sostituiti con realtà riconosciute.

In altre parole stanno parlando di circoli, esattamente come fanno tutti gli altri partiti. Alla domanda se questa scelta poi non li renderà uguali agli altri, il d’Uva risponde che la loro diversità sta nel fatto che gli iscritti votano sulla piattaforma Rousseau. Questo, secondo loro, sarebbe più che sufficiente per renderli diversi dagli altri.

Ora non voglio soffermarmi molto sull’argomento dei circoli locali. Già in altri articoli ho parlato del tema e ho sempre sostenuto che qualsiasi soggetto politico, per potersi strutturare e progredire, deve necessariamente essere presente sui territori, attraverso strutture capillari, che si possono chiamare circoli, meet up, sezioni…non importa il nome, importa semmai un concetto molto più intimo ed essenziale: che queste realtà territoriali dettino la linea del partito (o del Movimento o come dir si voglia). Ma grande è la confusione sui cieli di Roma se i leader del M5S vogliono ristrutturare il movimento dando concretezza ai circoli ma lasciando che la linea politica si detti dall’alto, quando occorre e su una piattaforma privata, priva di garanzie e controlli.

Lasciando perdere quest’ultimo punto, l’aspetto preminente è che si dà ancora somma importanza allo strumento sottendendo che la linea politica sarà dettata come e quando serve al vertice, dunque secondo modalità proprie della democrazia rappresentativa di cui il M5S è sempre stato fermo detrattore, preferendo la democrazia diretta e partecipativa. Ma, amici miei, la democrazia diretta e partecipativa presuppone una dialettica libera, capillare e multiforme, che parta dal basso e che diventi sintesi grazie al contributo del vertice. Quando, invece, è il vertice a proporre i temi e gli iscritti si limitano a votare, questa è una forma di centralismo dittatoriale, mascherato da democrazia diretta, in cui l’opinione dell’iscritto è limitata ad un voto, non si manifesta in una discussione, in una tesi e nelle sue conseguenti antitesi e sintesi, non si sviluppa nell’analisi e nella conseguente decisione democratica. No, è solo un voto, un o un no, al massimo una scelta tra più opzioni.

Dunque, secondo questa visione del nuovo M5S, che si sta delineando in questi giorni, cambia la forma ma la sostanza resta immutata in quanto se si riconosceranno i circoli territoriali, questi non avranno la possibilità di esplicare il proprio contributo ma saranno – nella migliore delle ipotesi – centri di aggregazione, dispensatori di iniziative sul territorio, sedi fisiche dove ritrovarsi per parlare…tutte cose molto belle e utili, che però non cambiano la sostanza delle cose: la linea politica sarà sempre dettata dal vertice.

Questo perché?

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Perché il M5S nasce con un peccato originale, una deformazione mai curata che lo ha portato presto all’ascesa e ancor più presto alla sua (inevitabile) disfatta, una disfatta che potrebbe essere evitata se si operasse una discussione ampia e condivisa tra le anime del Movimento, ma che non ci sarà e quindi la disfatta sarà certa.

Il peccato originale è quello di essersi formato sui temi, di aver posto come dogma incrollabile il (falso) valore dell’onestà e di aver agito come movimento antisistema, come detrattore della casta e delle Istituzioni, sfruttando l’ondata di antipolitica che ha scosso l’Europa (e, direi, anche oltre) e raccogliendo presso di sé le istanze più disparate e antitetiche: da qui il consenso dei no-vax, dei complottisti, degli antieuropeisti e via dicendo. L’ascesa è stata rapida perché si è preferito costruire subito sulla sabbia piuttosto che lentamente su terre solide e, ovviamente, basta una piccola onda per buttare giù il castello di sabbia.

Senza un metodo dialettico, una visione d’insieme, un’analisi della storia, una capacità di disciplinare gli iscritti e di renderli coesi, senza un metodo di bottom-up e top-down, per cui il vertice istruisce la base e la base detta la linea politica al vertice, senza la formazione di una classe dirigente capace e consapevole del suo ruolo, i risultati del Movimento sono sotto gli occhi di tutti.

Inoltre, e concludo tornando nell’immanente, la scelta di governare a tutti i costi, anche a costo di essere subalterni ad un leader carismatico e capace sul piano politico, pur di occupare delle poltrone, ha fatto pagare un prezzo caro al Movimento. Come dimenticare quando, durante le consultazioni nel 2013, i grillini chiesero a Napolitano di governare da soli, senza numeri in Parlamento e con pochissima esperienza politica? Già allora scalpitavano per avere il potere.

Ma non è detto che il programma di un soggetto politico si debba realizzare necessariamente con il governo di una Nazione. Ci possono essere tante strade da seguire e anche dall’opposizione o al di fuori dei palazzi si possono ottenere risultati. Ma la necessità di governare, così sembra, non va di pari passo con la necessità di realizzare un obiettivo, bensì con la semplice e pura volontà di detenere il potere. Quand’è così la gente, anche quella più impreparata e incapace, se ne accorge, e agisce di conseguenza.

Ecco perché i gilet gialli sono destinati a fallire

gilet gialli francia

Il titolo un po’ provocatorio parte da una semplice considerazione che mi auguro di poter meglio sviluppare nel prosieguo dell’articolo, e cioè che quella dei gilet gialli, in Francia, è una forma di lotta spontanea, seppur in nuce auto organizzata, frammentata e priva di sintesi politica, ossia di quell’agire politico la cui base si ritrova in un’idea di fondo (o ideologia, seppur questo termine oggi sia stato triturato e svuotato del succo del suo significato), in un’obiettivo (seppur ideale), nella disciplina politica e in un’organizzazione (seppur rudimentale) in grado di analizzare la realtà, farsi portavoce di una classe e fare sintesi tra le diverse ed eterogenee idee di fondo che animano il malcontento popolare.

Malcontento che è stato inizialmente banalizzato dall’establishment e minimizzato dai media, successivamente additato come ferocia violenta e ingiustificata e, solo oggi, analizzato per quello che è: l’espressione istintiva di una ribellione dovuta alle condizioni di disagio e ingiustizia sociale che ha costretto gli individui ad autoorganizzarsi e a scendere in piazza per esprimere la propria avversione ad un sistema tardo capitalista e neo liberale che, riducendo i diritti e le libertà sociali, ha prodotto nel concreto quella disuguaglianza di cui si parla ormai da decenni.

Il motivo della lotta dei gilet gialli

Il motivo per cui molti francesi delle periferie (con ciò intendendo tutte le realtà sociali lontane dalla civiltà cittadina) hanno deciso di scendere in piazza ogni sabato, ormai da diversi mesi, è, come risaputo, la svolta ambientalista di Macron, il quale ha deciso un aumento consistente dei prezzi del carburante motivando la scelta col fatto che solo una minuta percentuale di parigini utilizza l’auto per gli spostamenti, preferendo i mezzi pubblici. Ma i parigini non rappresentano la totalità dei francesi e in questa scelta l’esecutivo non ha considerato quella moltitudine di gente che vive nei centri minori, nelle campagne e che non ha la possibilità di spostarsi se non con l’auto.

Ma c’è altro

In realtà ad essere messa sotto accusa non è solo la scelta di aumentare il prezzo del carburante, bensì tutta la politica economico-sociale di Macron il quale ha accordato privilegi economici ai ceti più abbienti facendo ricadere i costi sulla collettività. Quindi le varie forme di defiscalizzazione, l’abolizione della patrimoniale, insieme all’abolizione della tassazione progressiva sui redditi e a consistenti sgravi fiscali alle aziende, unita ad una situazione di precarietà del lavoro e di riduzione dei servizi alla collettività (sanità, scuola, ecc.) ha scatenato le prevedibili proteste dal basso. Ecco perché la scelta di non aumentare il prezzo della benzina (accordata da Macron con la speranza di svilire la protesta) non ha sortito gli effetti voluti e, anzi, ha ottenuto l’effetto contrario.

La politica liberista di Macron e le proteste dei gilet gialli

Il punto è che Macron non riesce a comprendere le ragioni della protesta perché lui oggi rappresenta la personificazione di quel liberismo globalista e tardo capitalista che attraverso la politica amplia le libertà individuali (illudendoci di essere progressisti) ma esautora le libertà e i diritti sociali, che è incapace di comprendere le esigenze dei ceti meno abbienti e soprattutto che appiattisce i ceti, le classi, i gruppi e tende a formare masse indistinte di gente, consumiste e, dunque, destinatarie di merci da consumare.

Ecco perché la gente, formata nel gentismo indistinto, senza più alcuna rappresentanza politica e con esigenze ben diverse e più articolate rispetto alla vecchia classe proletaria, si ribella ma la sua ribellione è istintiva, non coordinata, incapace di produrre frutti perché incapace di fare sintesi e trovare un’organizzazione e una prospettiva duratura e quindi destinata a fallire miseramente.

La cura è peggio del male

Sarebbe impossibile fare un paragone con la stagione socialista che ha coinvolto la classe proletaria sin dai primi del ‘900 come sarebbe storicamente fuorviante paragonare queste forme di protesta a quelle che portarono al rovesciamento della monarchia assoluta, sempre in Francia, alla fine del ‘700. Rispetto ad allora le carte si sono mescolate e la borghesia (da sempre sostenitrice del liberismo) si è liquefatta con la classe operaia, anch’essa mutata radicalmente, per mischiarsi con la classe contadina, diventata cittadina con il fenomeno delle migrazioni e per diventare piccola imprenditoria, anch’essa non più liberista, ma protezionista. In questo quadro di confusione e commistione dei ruoli (o, per dirla meglio, dei ceti) s’innesta quel movimento di antipolitica che in Italia, lo sappiamo, si è tramutato in forza politica, mentre in Francia si sta evidenziando oggi con le proteste di piazza. Del resto non stupisce che una delle richieste dei gilet gialli sia quella di istituire dei referendum di iniziativa dei cittadini, esattamente come vorrebbe fare il M5S in Italia, proprio per la sfiducia che la gente ripone nella democrazia rappresentativa vista, giova ribadirlo, come rappresentanza degli interessi economici internazionali e non come rappresentanza del popolo.

Del resto l’antipolitica, nel corso degli anni che stiamo vivendo, si è trasformata in nazionalismo (e non solo in Francia o in Italia, il fenomeno è chiaramente globale) il quale è il primo, vero, grande ostacolo al globalismo liberista.

I nazionalismi

Ma la cura – ahimè – è peggiore del male

Perché il protezionismo, che è alla base dei nazionalismi, è solo una grande truffa, una reazione di pancia ad un problema che invece andrebbe risolto con la testa, ossia con una lettura storica della realtà e con una riflessione politica capace di porsi in contrasto sia con il liberismo che con il nazionalismo. Una riflessione politica che non etichetti subito le proteste come eterodirette, fasciste o futili ma che le analizzi, perché se è vero che tra i gilet gialli serpeggiano gruppi di estrema destra è anche vero che le stantie etichette politiche ormai sono superate e la gente chiede una soluzione ai propri problemi, indipendentemente dal colore politico di chi gli manifesta accanto.

Dunque il protezionismo e i nazionalismi sembrano essere, per molti, la soluzione. Anche in Italia è accaduto lo stesso fenomeno, solo che, per ragioni storiche e culturali, non si è concretizzato subito in scontri di piazza organizzati e condivisi, come accaduto in Francia con i gilet gialli. Certamente il voto del 4 marzo ha favorito il raffreddamento della ribellione istintiva, ma non è sicuramente grazie al governo giallo-verde che in Italia abbiamo evitato gli scontri di piazza. Sono solo stati congelati.

Una cosa è certa. L’esperienza dei gilet gialli si replicherà in altri paesi europei, ma ogni volta sarà un fallimento, perché le ribellioni istintive non troveranno mai una concretezza operativa politica fin quando non si riuscirà ad analizzare la realtà storica e a canalizzare il malcontento in un organismo politico capace di interpretarla, di idealizzare un obiettivo e di raddrizzare le storture poste in essere dal liberismo e dal suo alter ego, il nazionalismo.

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Lino Banfi all’UNESCO!

Lino Banfi UNESCO.

Lino Banfi è stato nominato dal Governo italiano come membro del Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO.

Come stabilito dal Decreto n. 4195 del 24 maggio 2007, i membri vengono scelti discrezionalmente dai vari Ministeri nonché dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e da Camera e Senato.

Dato il ruolo importante che ha la commissione nella salvaguardia, valorizzazione e promozione del Patrimonio Culturale e Scientifico italiano, i membri vengono solitamente scelti per alti meriti e riconoscimenti nel campo culturale e scientifico.

La Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, difatti, istituita nel 1950, ha lo scopo di favorire la promozione, il collegamento, l’informazione, la consultazione e l’ esecuzione dei programmi UNESCO in Italia.

Cosa fa l’UNESCO?

UNESCO logo

In breve ecco cosa fa l’UNESCO:

  • promuove l’educazione e l’accesso ad un’istruzione di qualità come diritto umano fondamentale e come requisito essenziale per lo sviluppo della personalità;
    Costruisce la comprensione interculturale anche attraverso la protezione e la salvaguardia dei siti di eccezionale valore e bellezza iscritti nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità;
  • Persegue la cooperazione scientifica per rafforzare i legami tra le nazioni e le società al fine di monitorare e prevenire le catastrofi ambientali e gestire le risorse idriche del pianeta;
  • Protegge la libertà di espressione come condizione essenziale per garantire la democrazia, lo sviluppo e la tutela della dignità umana.

Negli anni l’UNESCO ha dato vita a numerose convenzioni che si sono rivelate utili nella tutela del Patrimonio Culturale globale e nella salvaguardia della diversità culturale, materiale e immateriale. Basti ricordare le numerose Convenzioni che si sono susseguite dal 1954 ad oggi e che si trovano qui.

Dato dunque il ruolo delicato e tecnico che ha la Commissione e data la profonda preparazione culturale e politica dell’attuale classe governante, non stupisce la nomina di Lino Banfi, il quale certamente è un esponente altissimo della Cultura commediografica sexy degli anni ’70 e per chi è laureato all’Università della Vita è chiaramente un punto di riferimento indiscutibile.

Il programma di Lino Banfi all’UNESCO

Detto ciò sono riuscito ad ottenere la bozza del programma che Lino Banfi attuerà presso l’UNESCO e ve la posto in anteprima.

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  • Aggiornare la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale aggiungendo tutta la cinematografia sexy degli anni ’70, quale elemento imprescindibile per la formazione delle nuove generazioni;
  • Diffondere la cultura di “La soldatessa alle grandi manovre” presso ogni apparato militare internazionale;
  • Diffondere la cultura di “La liceale seduce i professori” e “la ripetente fa l’occhietto al preside” presso ogni istituto scolastico di ordine e grado;
  • Sostituire la dieta mediterranea (Patrimonio Unesco dal 2013) con la più salubre dieta composta da “Spaghetti a mezzanotte” e “Cornetti alla crema”;
  • Proporre l’inserimento nella World Heritage List dell’UNESCO i seguenti elementi culturali materiali: “Bar dello Sport” e “Grandi Magazzini”, in quanto elementi simbolici principali dell’attuale assetto culturale italiano;
  • Aggiungere all’elenco del Patrimonio Immateriale termini quali “madonnasantissimadell’incoroneta” e “occhi malocchio prezzemolo e finocchio” quali espressioni che le comunità, i gruppi e gli individui italici riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale;
  • Inserire nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità Andria e Pomigliano d’Arco (ad adiuvandum) in quanto culla delle più alte espressioni politiche e culturali che l’Italia offre ai nostri giorni.
  • Sostituire tutte le formule scientifiche attualmente adottate dalla Comunità scientifica internazionale con questa formula: “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ego me baptizzo contro il malocchio. [sputare nella vasca] E con il peperoncino e un po’ d’insaléta ti protegge la Madonna dell’Incoronéta; con l’olio, il sale, e l’aceto ti protegge la Madonna dello Sterpeto; corrrrrno di bue, latte screméto, proteggi questa chésa dall’innominéto.”

La realizzazione del programma di Banfi porterà sicuramente lustro all’Italia, che diverrà presto un faro per la Civiltà Occidentale quale espressione di superamento degli stantii e logori concetti scientifici e culturali ormai superati. Perché la Scienza e la Cultura sono cose noiose, mentre Banfi porterà alla Comunità internazionale un nuovo paradigma.

Certo vien da chiedersi come mai Lino Banfi nel 2013 dichiarò di voler votare per sempre Berlusconi “anche se uccide 122 persone” (ma pure Renzi andava bene) e oggi si dichiara grillino. Beh, come direbbe lui stesso “che chezzo me ne frega a me!”

Art. 7 del DL Fiscale e ASD

ASD Monviso-Venezia

In queste concitate ore la Lega ha finalmente trovato un accordo con il M5S in tema di condoni. Come ha osservato il Presidente Conte, si è trattato di un ravvedimento operoso nei confronti di una bozza di Decreto che regalava molte concessioni ad evasori fiscali e, probabilmente, anche alla criminalità organizzata. Tutto ciò fino a … Leggi tutto

La verissima storia dell’approvazione del DL Fiscale: Di Maio e la manina sullo smartphone

consiglio ministri dl fiscale manina

Leggendo le tante, tantissime notizie che riguardano la cosiddetta manina, denunciata da Luigi di Maio direttamente in televisione, a Porta a Porta, per cui – secondo lui – il testo del c.d. Decreto Fiscale è stato modificato a sua insaputa con l’aggiunta di una norma salva-evasori e corrotti, mi sono chiesto come sia andata veramente … Leggi tutto

Davvero la RAI ha dedicato più spazio al PD che al M5S?

RAI agcom

Secondo Carlo Sibilia e Gianluigi Paragone la RAI, nei propri TG, avrebbe dato più spazio al PD e a Forza Italia rispetto alle forze di Governo: M5S e Lega. Le rilevazioni, fatte dall’AGCOM, sono relative al mese di settembre 2018. 

Solo 4 ore e 44 minuti al M5S, 5 ore e 39 minuti alla Lega e ben 15 ore e 16 minuti al PD e 12 ore e 16 minuti a Forza Italia.

Dopo aver appreso la notizia mi sono subito chiesto: ma come? Se ogni volta che accendo la TV mi trovo sempre le facce di sta gente? (leghisti e grillini, ndr) E’ davvero possibile che abbiano dato così poco spazio alle forze di Governo? 

Stando al grafico pubblicato sulla pagina del Sottosegretario Sibilia, parrebbe di sì. Per non parlare del giornalista Gianluigi Paragone, le cui parole non lasciano adito a dubbi: Nel mese di settembre, fonte Agcom, il Renzusconi ha parlato a tg(rai) unificati superando di gran lunga lo spazio riservato al MoVimento 5 Stelle e alla Lega.

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Il post di Carlo Sibilia, che si trova qui

 

Ma siccome ormai sono abituato alle loro coloratissime e graficamente accattivanti vignettucce, votate alla condivisione, con le quali denunciano o rivendicano cose, che però non mi hanno mai convinto a fondo, spesso ho provato a verificarne la veridicità, non senza fatica, dato che da semplice cittadino, privo di mezzi e con poco tempo a disposizione per curare il blog e per approfondire le fonti, spesso mi sono scontrato con l’osticità nel trovarle e con l’estrema farraginosità delle fonti stesse, per cui, per mancanza di tempo, ho sempre desistito. Ma questa volta è stato facile, dato che gli stessi autori del grafico hanno indicato la fonte, ossia l’AGCOM. Allora è stato sufficiente collegarmi al sito dell’Autorità e trovare, tra le ultime news, quella relativa all’analisi dei tempi di parola dei soggetti politici e istituzionali nei telegiornali RAI. Alla news è allegata la relazione nonché un file excel che si possono scaricare e da cui emergono tutte le statistiche.

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La prima cosa che balza all’occhio è che – effettivamente – il M5S e la Lega hanno avuto poco spazio, rispetto alle altre forze politiche, ma analizzando meglio il documento emerge che il maggior spazio è dedicato a: Presidente del Consiglio e Governo (Ministri e Sottosegretari), come si può facilmente evincere dalle righe nn. 24 e 25 del file (che, lo ripeto, si scarica da qui).

Quindi, per esempio, tenendo a riferimento il foglio 3 (il file è composto da 12 fogli e racchiude tutte le emittenti televisive, non solo RAI), che rappresenta la somma delle ore in RAI, scopriamo che, come afferma il M5S, le ore dedicate al M5S sono solo 4 e 44 minuti, mentre alla Lega vanno 5 ore e 39 minuti. Al PD invece vanno ben 15 ore e 16 minuti mentre a Forza Italia 12 ore e 15 minuti. Tuttavia al Presidente del Consiglio sono dedicate bene 14 ore e 17 minuti, mentre al Governo (Ministri e Sottosegretari) addirittura 42 ore e 34 minuti.

Ora, dato che il Governo è composto da membri del M5S e della Lega, è facile intuire che queste ore debbano sommarsi a quelle dedicate ad altri esponenti dei suddetti partiti che non fanno parte del Governo e quindi la somma corretta è: 66 ore e 34 minuti che la RAI ha dedicato a M5S e Lega.

Non va infatti sottaciuto che, seppur queste ore siano separatamente conteggiate da quelle dedicate alle forze politiche, in quanto l’AGCOM separa queste ultime dai ruoli istituzionali, i soggetti che se ne avvantaggiano, nonostante facciano parte del Governo e quindi sono soggetti istituzionali, fanno comunque parte delle forze politiche di maggioranza e dunque, durante i loro interventi in televisione, foraggiano le proprie iniziative, esattamente come fanno quei membri dei medesimi partiti che però non fanno parte del Governo. In altre parole, quando intervistano un Salvini o un Di Maio o un Sibilia, questi ultimi parlano non solo per il loro ruolo istituzionale, ma anche come membri effettivi delle rispettive forze politiche.

Questo semplice assunto è maggiormente rafforzato dalla realtà fattuale di oggi, dato che le forze di Governo sono perennemente in campagna elettorale e quindi le loro dichiarazioni sono quasi sempre poco istituzionali e molto di parte.

Allora, poiché le forze di Governo hanno avuto ben 66 ore e 34 minuti in RAI, mentre PD e Forza Italia solo 27 ore e 30 minuti, dov’è la disparità di trattamento? Suggerisco a Gianluigi Paragone e a Carlo Sibilia di mettere in pratica quello che, a parole, è il cavallo di battaglia del M5S: l’onestà.

L’onestà intellettuale di raccontare la realtà così com’è e di non piegarla per fini poco nobili, ossia sconfessare la RAI e calcare la mano sul fatto che bisogna riformarla. Quanto vogliono? il 100% dello spazio?

Autonomia Veneto, la secessione è qui (ed è pericolosa)

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Breve e semplice analisi della proposta di legge per maggiori forme di autonomia della Regione Veneto.  Con una proposta di legge ordinaria, al vaglio del Parlamento già a fine ottobre, il Veneto porta a compimento la prima fase di quello che appare essere a tutti gli effetti un processo di secessione di fatto (domani chissà, … Leggi tutto