Premesso che non sopporto chi si mette alla guida dopo essersi ubriacato, perché, come sappiamo e come la cronaca purtroppo ci racconta ormai ogni fine settimana (e durante l’estate quasi ogni giorno), sono tanti – troppi – gli incidenti provocati dalla guida in stato d’ebrezza, per cui l’alcoltest è una naturale conseguenza.
Però non possiamo sottacere nemmeno che molto spesso è facile superare il limite legale di 0,5 grammi/litro di alcool nel sangue pur essendo consapevoli di essere perfettamente lucidi. Difatti chi di noi non ha mai bevuto un paio di birre o un paio di bicchieri di buon vino rosso per poi mettersi alla guida? Sapevamo benissimo di essere in grado di guidare, ma forse non eravamo perfettamente consapevoli del fatto che quelle due birrette o quei deliziosi bicchierini di vino ci avrebbero fatto superare il limite legale, con conseguenze spesso disastrose in termini economici e di normale vita quotidiana. Già, perché vedersi comminare un verbale (spesso) molto salato o vedersi ritirare la patente pregiudica non solo l’aspetto economico, ma anche la propria autonomia.
Cosa dice la legge sull’alcoltest?
Gli articoli 186 e 186/bis del Codice della Strada stabiliscono che, in caso di superamento del tasso di alcolemia di 0,5 g/litro si può entrare nel penale, ma con sanzioni diverse in base alla quantità di alcool nel sangue:
Guida con tasso alcolemico tra 0,5 e 0,8 g/l: ammenda da 500 a 2000 euro e sospensione della patente da 3 a 6 mesi.
Guida con tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l: ammenda da 800 a 3200 euro e arresto fino a 6 mesi. In più è prevista la sospensione della patente da 6 mesi ad 1 anno.
Guida con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: ammenda da 1500 a 6000 euro; arresto da 6 mesi ad un anno; sospensione della patente da 1 a 2 anni; sequestro preventivo del veicolo; confisca del veicolo (salvo che appartenga a persona estranea al reato).
In caso di recidiva biennale (cioè se la stessa persona compie più violazioni nel corso di un biennio) la patente di guida è sempre revocata. La revoca avviene anche quando il conducente, con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l’influenza di droghe, ha provocato un incidente.
E se il conducente si rifiuta di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, ossia all’alcoltest?
Anche il rifiuto di sottoporsi all’accertamento è considerato reato ed è punito con la perdita di 10 punti della patente di guida, con l’ammenda da 800 a 3200 euro e con l’arresto fino a 6 mesi. In più, anche in questo caso, è prevista la sospensione della patente da 6 mesi ad 1 anno.
Inoltre va detto che per i neopatentati (primi 3 anni dal conseguimento) e per i conducenti di età inferiore a 21 anni c’è il divieto assoluto di assumere alcolici (art. 186/bis CdS).
Inoltre, per poter riavere la patente, occorre effettuare delle visite mediche e delle analisi per dimostrare che il conducente non è un alcolista abituale. Oltre ai costi elevati delle analisi (200-300 euro), vi è anche la beffa di doversi sottoporre a visite presso la Commissione Medica provinciale, ossia i SERT, dove – a seguito di numerose visite – viene rilasciato (non in tutti i casi…) un certificato che dimostra l’idoneità a riottenere la patente di guida.
Come faccio a sapere se rientro nei limiti consentiti?
Non è facile saperlo, perché tutto dipende da molti fattori, quali sesso, peso, capacità di assorbimento dell’alcool da parte del fegato, metabolismo, eventuale presenza di patologie, ecc. Tuttavia il Ministero della Salute ha più volte emanato delle linee guida per capire – in linea di massima – qual è la capacità di assorbimento dell’alcool e, quindi, la presenza dello stesso nel sangue. Di seguito una tabella riassuntiva che, però, va ribadito, è assolutamente generica. Del resto molti locali notturni si sono attrezzati, negli anni, con test alcolemici o gratuiti o a pagamento, che possono dare risultati più precisi.
Limiti alcolemici in Europa
In Italia, come detto, il limite è di 0,5 grammi/litro di alcool nel sangue, sostanzialmente nella media europea. I Paesi che hanno limiti più alti sono Malta e Inghilterra (0,8), mentre i Paesi meno tolleranti sono quelli dell’Est Europa (0,0) e la Svezia (0,2). La tabella seguente riassume i limiti. Nella prima colonna sono rappresentati i limiti generici, nella seconda quelli per chi esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone o cose e nella terza quelli per i neopatentati.
La Sentenza n. 567/17 del GdP di Reggio Calabria sulla nullità dell’alcoltest
La nullità dell’Alcoltest in caso di mancata indicazione della facoltà di farsi assistere da un legale di fiducia
Prima di commentare la recentissima Sentenza in oggetto tengo a precisare che questi non devono essere considerati degli escamotage per evitare le conseguenze dell’alcoltest, ma mere affermazioni di diritto, per cui il rispetto della Legge deve valere sia per i cittadini che per gli operatori di Pubblica Sicurezza.
La Sentenza (depositata in cancelleria il 30 giugno 2017) muove dal fatto che a un giovane reggino fu comminato nel 2016 un verbale di infrazione al CdS e ritirata la patente per presunta positività all’alcoltest. Il giovane, tramite l’avvocato Giuseppe Ravenda (che ringrazio per aver pubblicato la sentenza sul sito di Studio Cataldi) propose ricorso al GdP avverso al verbale di accertamento e al decreto prefettizio di ritiro della patente. Il Giudice, richiamando due note Sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 2/2015 e n. 5396/2015) ha stabilito che la mancata indicazione al presunto trasgressore (sia a voce che sul relativo verbale) della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia comporta la nullità degli accertamenti. Quindi, dato che l’accertamento del tasso alcolemico costituisce un atto di polizia giudiziaria urgente e indifferibile, durante il suo svolgimento l’indagato ha diritto di farsi assistere da un difensore di fiducia e di essere avvisato di tale facoltà, in base all’art. 114 disp. att. cpp.
La mancanza di tale avviso, quindi, produce la nullità degli atti (verbale di accertamento e decreto prefettizio).
L’affermazione del diritto all’assistenza legale è importante perché tali accertamenti non sono da considerarsi meri atti amministrativi (come può essere un verbale per eccesso di velocità), ma sono prodromici ad un’eventuale azione penale, quindi il diritto di difesa si estende, ovviamente, al momento in cui iniziano tali atti di indagine.
Ogni anno, quando parte la stagione estiva, animata da feste, concerti, discoteche stracolme di gente desiderosa di ballo&sballo, parte puntualmente la rassegna stampa, ormai quasi quotidiana, in tema di droga: sequestri di droga, arresti di spacciatori, i pericoli nell’assunzione di droghe, gli effetti devastanti delle droghe sui giovani e via discorrendo.
Allora, partiamo da un assunto semplice: l’argomento è tanto vecchio quanto di attualità. Sempre, ogni anno, almeno dagli anni Ottanta ad oggi, viene proposto e riproposto in tutte le salse e fa sempre presa (così come il sesso, la violenza o l’ammoree). Quindi mi son chiesto: ma perché non ne parlo pure io? Magari ci butto dentro un po’ di pensieri, di teorie, di considerazioni personali e contribuisco ad ampliare la già tanto abbondante letteratura sul tema. Massì, dai, facciamolo.
Però, assunto che l’argomento è vecchio, trito e ritrito, vorrei porre l’accento su due concetti tanto banali quanto spesso trascurati: non esiste la droga, semmai esistono le droghe; concetto ovvio, direte voi, ebbene provate a dirlo a chi fa le pubblicità progresso, ai genitori o – peggio – ai giornalisti che dicono sempre – banalmente – che la droga fa male, non curandosi affatto di spiegare che ogni droga nasconde diversi desideri (e questo è il secondo concetto) e quindi diverse cause che danno origine alla voglia di droga. Ma, peggio ancora, trascurano un altro aspetto ancora più ovvio: anche le droghe legali fanno male.
La droga legale e quella illegale
Lo sappiamo tutti e sembra inutile ripeterlo, ma anche alcool e sigarette sono forme di droga, no? Entrambe hanno le caratteristiche tipiche delle droghe: alterano lo stato psico-fisico, creano dipendenza e provocano – in caso di abuso – problemi di salute e, in casi estremi, a lungo andare, anche la morte. Eppure sono droghe legali, come legali sono tante tipologie di medicinali che contengono gli stessi principi attivi di altre droghe (illegali), però socialmente sono accettabili, perché sono consentite per legge.
Quindi, riflettendo meglio, che differenza c’è tra una bottiglia di Jack scolata in una sera, 20 gocce di Lorazepam, una canna o una pasticca di Prozac? Per quanto riguarda le cause per cui si assumono, gli effetti (desiderati e non) o le conseguenze psico-fisiche, nessuna. Ma proprio nessuna. Per quanto riguarda, invece, l’accettazione sociale, quest’ultima è influenzata dalla legge, quindi dalla politica che – in nome della salute pubblica, del monopolio di Stato e della comunità scientifica internazionale – stabilisce cosa è legale e cosa no.
E’ facilissimo procurarsi droghe legali su internet
Non esiste un concetto univoco di droga
Questa scelta arbitraria di decidere quali sono le droghe illegali e quali quelle legali è dimostrata anche da un’altra cosa: non esiste, nel nostro sistema penale, una definizione univoca di droga.
Esiste per tante altre cose (si sa, per esempio, cos’è lo sfruttamento della prostituzione, cos’è la diffamazione o cos’è un atto sessuale), ma non per la droga, per cui esiste solo un elenco di sostanze psicotrope illegali continuamente aggiornato dal Ministero della Salute. Eppure sarebbe facile, per il Legislatore, definire il concetto di droga. Non viene fatto semplicemente perché, sennò, verrebbero ricompresi anche l’alcool, il tabacco e tutti i medicinali per l’ansia, la depressione, l’insonnia, ecc.
Quindi si preferisce agire così, a tentoni, includendo di volta in volta le nuove sostanze psicotrope. Il ché, come tutti ben sappiamo, lascia ampio margine di manovra a quelli che – ogni giorno – inventano nuove smart drug, cioè droghe legali, i cui principi attivi non fanno parte dell’elenco e quindi, teoricamente, fino ai successivi aggiornamenti dell’elenco, possono essere spacciate senza alcuna conseguenza penale.
Insomma, se ci troviamo in questa situazione che ha del tragicomico (ma che è sì pericolosa, perché non sappiamo gli effetti delle nuove sostanze né con cosa vengono preparate) è solo colpa di scelte politiche che avevano senso negli anni Cinquanta, ma che oggi, per inerzia, perbenismo, lecchinaggio a Chiesa e case farmaceutiche, non vengono messe in discussione.
Il desiderio e il piacere
L’altro elemento che spesso molti trascurano è il desiderio.
Desiderio è una bella parola, ma che nasconde una forte dose d’inquietudine. Già, deriva dal latino de-sidus, cioè mancanza di stelle. Chi desidera, quindi, è insaziabile, perché brama qualcosa che non potrà mai avere e allora cerca di riempire la mancanza, ma non riempie nulla.
A questo concetto, prima dei latini, ci era arrivato Platone, con la metafora dei pivieri (charadriói), uccelli famosi perché si nutrono e defecano simultaneamente, quindi devono riempire un vuoto continuo, o dei morti dell’Ade, costretti a versare acqua in una giara forata, consapevoli che mai si riempirà.
Beh, in fondo anche ubriacarsi tutte le sere o prendere qualche goccia di valium è una forma di riempimento infinito di una giara bucata e drogarsi è quindi la stessa cosa: è desiderio, è voler riempire un vuoto che sarà pure sociale, individuale, causato dalla perdita dei valori, quello che è, fatto sta che è un vuoto incolmabile.
Lo sballo non è altro che una forma di alienazione dalla realtà, quindi un voler fuggire – per qualche ora – da quella vita normale fatta di noia, assenza di regole primarie (famiglia e scuola, in questo senso, hanno fallito miseramente) e di prospettive, difficoltà ad interagire nel mondo reale, isolamento, individualismo sfrenato, nichilismo dei valori e dell’affermazione del proprio sé sociale.
Il desiderio è sotteso al nulla, ad una mancanza
E con cosa colmi, almeno apparentemente e per poco tempo, quella mancanza? Con qualcosa di bello, di buono, di piacevole. Già, perché quasi tutti trascurano un aspetto essenziale nel comprendere il fenomeno, cioè che la droga è piacevole: le canne ti rimbambiscono e ti rilassano, l’ecstasy ti rende euforico e ti fa ballare tutta la notte, la cocaina ti eccita e ti stimola, l’eroina ti anestetizza e ti sottrae, per un po’ di tempo, alla fatica di vivere.
Se le droghe non fossero piacevoli non avrebbero senso di esistere e se è difficile uscirne non è perché ti rendono assuefatto (ciò vale forse per alcune droghe, non per tutte), ma perché non hai altri mezzi per riempire quel vuoto incolmabile e quella giara sempre più lesionata. Ma ad ogni droga corrisponde un desiderio e, in fondo, anche una funzione.
Le tipologie di droga e le funzioni sociali
Hashish e Marijuana, le droghe leggere dei centri sociali
Le canne (o spinelli, anche se è una locuzione antica) sono tra le più diffuse droghe leggere in Italia e storicamente si attribuiscono a quegli ambienti alternativi, radicali, di sinistra, che molti identificano nei centri sociali.
Sia chiaro, le canne sono diffuse in modo capillare in tutti gli strati sociali, ma effettivamente si possono ricondurre a quella filosofia pacifista e non violenta tipica dei no-global alternativi, altromondisti e vagamente di sinistra. Perché? Primo perché si fumano quasi esclusivamente in compagnia (quindi è una droga socializzante) e poi perché le canne rilassano, rincoglioniscono e amplificano quel concetto del non ho voglia di fare un cazzo, molto diffuso in certi ambienti.
Si trova a costi bassi (da qui la capillare diffusione, anche tra gli strati sociali a basso reddito) ormai dappertutto, in particolare in eventi o locali alternativi (a cosa, non si sa più…).
Per il fatto che vengono annoverate tra le droghe leggere, si parla spesso di legalizzarle. L’argomento legalizzazione delle droghe leggere merita un approfondimento a sé e non mi pare il caso di trattarlo in questa sede, anche perché sull’argomento c’è molta confusione e un’abbondante letteratura, persino una proposta di legge.
L’ecstasy, la droga che toglie fatica e paura
E’ la droga più pericolosa per la salute ma la più diffusa nelle discoteche di tutta Italia. Ci sarà un perché? Se vogliamo sintetizzare gli effetti piacevoli dell’ecstasy, sono due: elimina la fatica fisica e riduce pauree tensioni sociali.
Insomma, chi assume questa droga può ballare tutta la notte, anche in modo esagerato, e non sentire fatica (da qui i numerosi casi di collasso cardiaco, perché il fisico, quando è stanco, ci lancia segnali che, invece, l’ecstasy nasconde), ma soprattutto perde quell’inibizione sociale che, spesso, è la prima causa delle frustrazioni nei primi approcci con una persona con cui si vorrebbe interagire.
Insomma, è una droga che nasconde due fatiche: la fatica fisica e la fatica d’intessere rapporti. E’ per questo che è la più diffusa tra giovani e giovanissimi, perché sono i primi a subire gli effetti dell’incapacità di allacciare relazioni reali e sono i primi ad aver perso quel concetto di trasgressione tipico degli assuntori di droga.
L’ecstasy, quindi, non è una droga, è solo un qualcosa che sciogli in un cocktail e che ti fa ballare, ti fa divertire, ti fa conoscere quella tipa che balla accanto a te e con cui, in condizioni normali, non ti sogneresti mai di provarci. Non capire questa sottile trasformazione della percezione dell’ecstasy significa fallire qualsiasi campagna di sensibilizzazione e qualsiasi tentativo di repressione del fenomeno.
La cocaina, la droga dell’efficientismo
In una società sempre più evoluta, che ti spinge a dare sempre il massimo di te, che ti induce a prestazioni che vanno oltre la tua tolleranza soggettiva, che ti oggettivizza e ti parametra ad altri (migliori di te), che ti dice o raggiungi il massimo o sei fuori, tu non hai più legami con il tuo corpo, le tue sensazioni, la tua soglia di fatica, i tuoi limiti soggettivi; ti senti inadeguato, non perché lo sei, ma perché gli altri ti dicono che devi andare oltre. Oltre a cosa? Oltre agli altri.
Devi alzare la tua asticella sempre un centimetro sopra gli altri, sennò non vali, sei superato, fuori, qualcun altro, più efficiente di te, ti sostituirà. E poi, oltre dove? Oltre in tutto: nello sport, nel lavoro, nei rapporti sociali, in tutto. E quindi la cocaina è quella droga che ti stimola, ti fa sentire meno la fatica, ti rende più efficiente.
Peccato che, finito l’effetto, torni a competere con la tua inefficienza, che altro non è se non la pura e semplice normalità. La coca, quindi, è anti-umana, è la negazione dei limiti soggettivi e la risposta ad un vuoto interiore provocato da richieste di performance sempre più pressanti e competitive.
E’ vero che la coca è una droga socialmente snob (dato l’alto costo) e accettata, assunta, diffusa da personaggi d’alto rango, politici, imprenditori e gente che conta, ma un’inchiesta del 2008 di Loris Campetti intitolata “quanto tira la classe operaia” mise in luce l’uso eccessivo di coca tra la classe operaia, appunto per poter competere con i ritmi incessanti dell’efficientismo moderno.
Tra l’altro, negli attuali tempi della crisi economica, anche il costo della coca è sceso ed è appannaggio non solo degli snob, ma anche di ampi strati sociali.
L’eroina e il buco che torna
L’eroina è una droga sporca, la più condannata socialmente, dai media e dai benpensanti, ma la più diffusa tra gli anni ’70 e ’90. Nell’immaginario collettivo è la droga dei tossici, degli ultimi, di quelli che ciondolano per strada, con la faccia smunta e gli occhi ormai persi nel vuoto, per raccattare qualche spicciolo e comprarsi un’altra dose.
Pensavamo che fosse finita, ma in realtà oggi s’insidia tra i giovani e meno giovani e si apre ad ampi strati sociali, a causa anche del bassissimo costo a cui si trova. L’eroina è la droga sporca per via del fatto che bucandosi con la stessa siringa si rischia la diffusione di malattie infettive e pericolose, ma è la droga di chi cerca l’anestesia totale dal mondo, di chi vuol sentire quel piacere che non è sballo, ma è abbandono, è morte apparente, è un viaggio fuori dalla realtà.
Se la coca costa tanto, le canne si fumano in compagnia, l’ecstasy è la droga del sabato sera, l’eroina è l’infame compagna della quotidiana solitudine, dell’inadeguatezza di stare al mondo, quel mondo da cui fuggi per non sentirne il dolore.
Le campagne di sensibilizzazione sbagliate e la cultura dell’anti droga
Ogni droga, quindi, ha bisogno di diverse cure, di diverse campagne di sensibilizzazione. Dire la droga fa male oppure crea dipendenza è banale, inutile e fuorviante. Una vera campagna informativa contro le droghe (e non la droga) dovrebbe avere targetdifferenti (come si dice nel gergo dei marchettari) e parlare linguaggi differenti, dovrebbe stuzzicare i destinatari sulle cause, non sulle conseguenze, ma soprattutto dovrebbe smettere di puntare l’attenzione sulle dipendenze.
L’assuefazione fisica e psichica è l’ultimo dei problemi, lo è nelle droghe come lo è nel fumo di sigaretta. Peccato che a leggere il sito del Ministero della Salute, troviamo molta ignoranza in materia, addirittura si afferma che la dipendenza psichica è una dipendenza che non passa mai del tutto. Chiaramente con questa rappresentazione meccanicistica del problema non si arriverà mai ad una soluzione.
Sono le cause e il contesto sociale in cui si sviluppano queste forme patologiche ad essere il fulcro del problema
Bene fanno le comunità terapeutiche ad indagare il vissuto di ogni persona che le frequenta (tossicodipendente è un’espressione che non amo usare, troppo brutta e inesatta), ma sappiamo che anche questa metodologia lascia il tempo che trova.
Perché nel momento in cui hai disintossicato con i farmaci la persona e hai creato, in comunità, uno scudo sociale, lo hai effettivamente aiutato, ma quando tornerà nel suo ambiente originario, gli scudi si romperanno e la voglia di riprendere tornerà inesorabilmente. Un po’ come accade a Mark Renton in Trainspotting: smette di bucarsi, con grande impegno, poi ritrova i suoi vecchi amici eroinomani e torna a bucarsi, così tutti i suoi sforzi si vanificano nel giro di pochi minuti.
Come con il fumo di sigaretta, così con la droga non basta un semplice cartello “vietato fumare” per far smettere improvvisamente alla gente di fumare, occorre creare una vera cultura dell’antidroga. Quindi, così come se oggi accendo una sigaretta e il gestore del locale o gli avventori mi si palesano ostili e mi offendono, così in discoteca potrebbe accadere la stessa cosa, se il ruolo della scuola, della famiglia, dei gestori dei locali e degli avventori fosse proattivo e non passivo.
Sembra facile a dirsi, e in effetti lo è
Non è un processo che si svolge dall’oggi al domani, ma occorre avere consapevolezza che per ridurre un fenomeno bisogna conoscerne le cause, non solo gli effetti. Quindi una campagna di sensibilizzazione che punta sul fatto che la droga uccide e la vita è più importante, è completamente fuori strada, perché è proprio la vita che porta tanta gente a drogarsi. Anzi, non la vita in sé ma la malavoglia di vivere, quindi se vai a dire ad un ragazzo che la vita è importante e la droga fa male, lo convinci ancora di più a provare tutte le droghe possibili!
Allora proviamo un attimo a capire le cause del fenomeno, sempre tenendo a mente che ad ogni droga corrisponde un malessere di fondo ben diverso, come diverso è il contesto sociale o il beneficio che si vuole trarne, smettiamo di parlare di dipendenze (nessuno è dipendente e le droghe non creano nessun fenomeno irreversibile né fisico né psicologico) e soprattutto smettiamo di considerare le droghe come elementi trasgressivi. Non lo sono più, ormai fanno parte della normale fuga dalla normalità.
La trasgressione, da quando abbiamo tolto i paletti morali, non esiste più e quindi le droghe non sono trasgressive, perché, anche se vietate, sono facilmente reperibili. E poi, per favore, smettiamola con queste insulse campagne di sensibilizzazione che parlano di quanto è bello vivere e quanto è cattivo drogarsi. Dopo aver visto questo video mi vien voglia di farmi un cocktail a base di cicuta.
Sono tante le Amministrazioni Comunali che scelgono di istituire i parcheggi a pagamento, ossia le cosiddette strisce blu, nelle proprie città, soprattutto nelle città turistiche, in quanto rappresentano un facile guadagno per le sempre più povere casse comunali. Ma dato che si tratta per l’appunto di soldi facili e veloci, molti Comuni tendono ad abusare dello strumento, forti anche del fatto che il Codice della Strada, su questi temi, è lacunoso e offre svariati spunti interpretativi. E’ per questo che ho deciso di scrivere quest’articolo, nonostante il problema sia annoso e affrontato lungamente sulle riviste giuridiche, ma spesso con linguaggio tecnico e di difficile comprensione da parte del grande pubblico. Quindi voglio affrontarlo con un linguaggio (spero) semplice e voglio che la gente sappia tutelarsi da quest’ennesimo balzello.
Le tre tecniche che i Comuni usano per i parcheggi a pagamento
Ci sono tre modi per cui un Comune può massimizzare le entrate derivanti dai parcheggi a pagamento. Uno è legittimo (anche se ingiusto), l’altro rasenta l’illegittimità mentre l’ultimo è illegale.
Determinare tariffe esose dei parcheggi
Un Comune è libero di scegliere le tariffe dei parcheggi a pagamento, sulla base della classificazione delle aree urbane (centro storico, semi-centro, area di pregio, area industriale, ecc.) coerentemente con le tabelle pubblicate dal Ministero, e quindi può stabilire, per esempio, che nel centro storico si paga 1,50 €/ora, mentre nel semi-centro si paga 0,90 €/ora e che nelle zone industriali gli stalli di parcheggio siano liberi.
Data questa libertà dei Comuni nel determinare le tariffe, molte zone a vocazione turistica scelgono di applicare tariffe alte (per esempio in Costiera Amalfitana o a Portofino si arriva a pagare anche 10,00 € l’ora) o di estendere la durata del parcheggio a pagamento a tutto il giorno (la maggior parte dei Comuni fa pagare nelle ore mattutine e pomeridiane). Questo è un comportamento che può sembrare ingiusto ed esoso, ma rientra nella discrezionalità amministrativa e nei confini di legge.
Estendere le strisce blu in ogni zona del centro e del semi-centro
Alcuni Comuni, per ottenere più entrate, decidono di estendere le strisce blu in tutte le zone del centro e in moltissime zone del semi-centro, quindi trovare, in queste città, parcheggi liberi (e non soggetti a durata limitata della sosta) è impossibile. Questo è un comportamento che rasenta l’illegalità. La rasenta, però. Perché l’art. 7 comma 8 del Codice della Strada dice che se i Comuni decidono di adottare i parcheggi a pagamento, devono prevedere, nelle vicinanze, anche un numero adeguato di parcheggi liberi (e privi di controllo di durata della sosta, cioè non soggetti a disco orario). La norma è chiara, però prosegue dicendo che quest’obbligo non sussiste per alcune zone di pregio o di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta nelle quali sussistono esigenze e condizioni particolari di traffico. Dato che la norma è molto vaga e lascia ampio spazio alla giunta comunale di decidere se una certa zona è o non è di pregio oppure è o non è di particolare rilevanza urbanistica, allora è chiaro che questi Comuni diranno che tutto il centro è di particolare rilevanza, quindi escludendo ogni sorta di parcheggio libero! Ma quest’atteggiamento è stato censurato più volte dalla Corte di Cassazione, per cui potrebbe rappresentare un valido motivo di ricorso (Vedi Cass. civ. Sez. II, 20-01-2010, n. 927; Cass. civ. Sez. I, 07/03/2007, n. 5277; Cass. civ. sez. VI-2, ordinanza 03/09/2014 n. 18575).
Fare una multa per ticket scaduto
Qui viene il bello. Quando torni alla macchina e trovi una multa per “grattino” scaduto, sappi che quella multa è illegale, completamente. Spesso il Ministero dei Trasporti si è espresso sul tema, dicendo che i Comuni non possono sanzionare gli automobilisti a cui è scaduto il ticket di pagamento della sosta. Punto. Lo ha ribadito più volte, per ultimo con nota n. 53284 del 12 maggio 2015 in cui ha ribadito che nella sosta limitata o regolamentata è possibile incorrere nelle seguenti violazioni che sono sanzionate dal Codice della Strada:
Ove non venga posto in funzione il dispositivo della sosta, ovvero non venga indicato l’orario di inizio della sosta, si incorre nella sanzione prevista dall’art. 157 co. 8 del CDS;
Ove la sosta si protragga oltre l’orario per il quale è stata corrisposta la tariffa, si incorre nella sanzione prevista dal comma 15 dell’art. 7 del CDS;
Con riferimento inoltre alla sola protrazione della violazione, quale requisito costitutivo della fattispecie illecita, si incorre nella sanzione prevista dal comma 15 dell’art. 7 del CDS in presenza di una reiterazione della condotta.
Quindi il protrarsi della sosta oltre il termine per il quale è stato effettuato il pagamento non si sostanzia in una violazione di obblighi previsti dal Codice, ma si configura come una inadempienza contrattuale che comporta per l’Amministrazione creditrice un recupero delle tariffe non riscosse previa le procedure coattive previste ex lege e l’eventuale applicazione di una penale secondo quanto previsto nella regolamentazione ex art. 7 comma 1, lett. f).
Cosa significa? Che il Comune dovrà richiedere solo il pagamento del residuo ed applicare una penale solo se è stata determinata dalla Giunta. Quindi facciamo un esempio. La Giunta comunale di Roccapriora delibera che per ogni ora dal termine del pagamento della sosta si dovrà applicare una penale di 3,00 € più il costo del parcheggio, pari a 1,00 €/ora. Io vado con la mia pandina a Roccapriora, ma c’ho solo 50 centesimi e quindi pago il parcheggio per mezz’ora. Vado a fare un giro e poi trovo un amico che non vedo da tanto tempo. Tra n’aperitivo e l’altro ho passato con lui 3 ore. Alla fine del bel pomeriggio torno alla macchina e non troverò una multa, bensì un avviso bonario che mi inviterà a pagare 3,50 euro di parcheggio scaduto più 9,00 € di penale. Questa modalità è legale, la multa, invece no.
Quante città si sono adeguate?
Nel 2015 l’unico Comune che ha contestato le note ministeriali è stato il Comune di Lecce, tutti gli altri si sono adeguati. Ma attenzione! Molti Comuni, pur essendosi adeguati alle direttive ministeriali, continuano a fare multe per grattino scaduto, e sono tutte multe contestabili. Inoltre sono pochissimi i Comuni che hanno deliberato in materia di recupero del residuo e applicazione dell’eventuale penale. Se manca la delibera di Giunta, non potranno recuperare alcuna somma.
Come posso tutelarmi?
L’unico modo per tutelarti è di proporre ricorso al Prefetto territorialmente competente (quindi al Prefetto della tua Provincia di residenza), perché è gratuito e si può inviare anche a mezzo PEC (risparmiando pure sul costo della raccomandata A/R). Sconsiglio il ricorso al Giudice di Pace, perché le spese di giustizia superano di gran lunga l’ammontare della multa. Il Prefetto di solito accoglie questo tipo di ricorsi (tranne se non sono scritti con i piedi o mancano gli elementi minimi di un ricorso amministrativo), perché è un rappresentante del Governo e quindi deve adeguarsi alle decisioni ministeriali.
E’ vero che da oggi se paghi la multa entro 5 giorni dalla notifica del verbale hai diritto a uno sconto del 30%, ma è anche vero che sono tante le multe ingiuste che vengono fatte ogni giorno per ticket scaduto e sono tutte illegittime.
Da sanzione amministrativa a inadempimento contrattuale
Ci sarebbe da argomentare su un altro punto. Se è vero che il mancato rinnovo del pagamento non è sanzionabile è anche vero che diventa un inadempimento contrattuale, quindi la società a cui il Comune ha affidato il servizio può intimare il pagamento attraverso le ordinarie procedure (avviso bonario, messa in mora, citazione a giudizio, ecc.) e può decidere, insieme al Comune, importi alti a titolo di penali. Ciò comporterebbe che l’ammontare della somma richiesta potrebbe essere più alta rispetto alla multa. Ma staremo a vedere, perché ad oggi, a due anni dalla pubblicazione della nota interpretativa, solo pochi Comuni si sono adeguati e quindi ancora non sappiamo come si evolverà la vicenda. Però una cosa la sappiamo: il Comune e la Società partecipata dovranno dimostrare esattamente la durata della sosta, da quando scade il ticket fin quando l’auto non viene spostata dallo stallo blu. E siamo sicuri che questa prova sarà fornita? L’unica prova che possa dar vita alla richiesta integrativa e all’eventuale penale (“eventuale” si fa per dire, lo dice la legge, ma tutti i Comuni la prevederanno…). Perché se è vero che noi cittadini dobbiamo ubbidire alla legge, è anche vero che le Amministrazioni devono fare altrettanto.
Conclusioni e curiosità sui proventi dei parcheggi a pagamento
A breve ho intenzione di pubblicare un vademecum e un modello di ricorso amministrativo, in modo da facilitare la presentazione di un ricorso al Prefetto. Ce ne sono tanti sul web, ma molti modelli, secondo me, lasciano a desiderare.
Infine, una curiosità. L’art. 7 comma 7 del Codice della Strada dice che i proventi dei parcheggi a pagamento sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento nonché a interventi per il finanziamento del trasporto pubblico locale e per migliorare la mobilità urbana. Ora, secondo voi, tutti i soldi che entrano ai comuni dai parcheggi a pagamento vengono davvero usati per questo? No, perché altrimenti dovremmo avere strade in marmo di Carrara, parcheggi con strisce oro 24 carati e autobus volanti a energia solare. Invece come vengono usati questi soldi? Chiaro: sono i profitti delle Società partecipate che gestiscono i parcheggi a pagamento. Di ciò dobbiamo ringraziare il prode Prodi e il mitico D’Alema, che hanno voluto privatizzare tutto.
Ho scoperto l’esistenza di Donnarumma, uno che c’ha un cognome che sembra la marca di un pastificio campano, quando sui social hanno iniziato a parlare del suo rifiuto di rinnovare il contratto con il Milan. Prima di allora, non seguendo il calcio, non ero al corrente della sua esistenza.
Oggi il portierino continua a far parlare di sé, dato che ha rinunciato a svolgere l’esame di maturità per volare a Ibiza e svolgere – invece – le meritate vacanze.
La sua scelta ha creato, come accade di solito, spaccature tra i pro e i contro e molti hanno scritto di lui in questi giorni, chi difendendolo (tanto a che serve un pezzo di carta in Italia oggigiorno?) e chi dandogli dell’irresponsabile (che esempio dà ai suoi coetanei?).
La Ministra ha scritto parole tipo: “Lo studio è una straordinaria occasione di crescita. È lo strumento che più di ogni altro può darci autonomia, indipendenza, pensiero critico, che può renderci cittadine e cittadini consapevoli, attivi. Solo la conoscenza genera vera libertà, consente a ciascuna e a ciascuno di trovare “la propria voce”, la propria strada”.
Ma che faccia tosta! Da quale pulpito viene la predica! No, cara Ministra Fedeli, lei dovrebbe solo tacere. Donnarumma, come tanti altri giovani, non ascolterà le sue parole così vuote e retoriche e prive di significato, perché il significato è parte del significante e il significante sono i gesti e la realtà fattuale che danno significato alle parole.
L’esempio che dà è proprio questo: non serve un titolo di studi per arrivare a ricoprire alte cariche, basta mentire, entrare nel gioco della politica, essere furbi, perché il merito in Italia conta meno delle conoscenze, dei favori, persino della militanza stantia in un sindacato stantio e rappresentativo solo di sé stesso.
E poi, onestamente, in questa realtà storica in cui davvero il titolo di studi non ha più alcuna importanza e la scuola ha fallito ogni suo compito, svuotata di potere educativo e di significato sociale anche grazie alle riforme degli ultimi 20 anni, come fa un ragazzo ad avere fiducia nel percorso di studi e sognare un futuro all’altezza della propria intelligenza e dei propri sacrifici?
Questo lo penserà soprattutto uno che in un solo anno guadagnerà quanto tutta la sua classe in una intera esistenza. Donnarumma sì che è l’emblema dell’Italia che ha capito davvero tutto: ha capito che è inutile farsi il culo, ma soprattutto che siete dei falliti e avete fatto fallire intere generazioni che non credono più in voi, figurarsi nelle vostre inutili parole.
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