Più di 18.000 bambini morti in Palestina. 60.000 vittime accertate. 115.000 feriti. 60.000 bambini a rischio morte. 1055 bambini in stato di detenzione o restrizione della libertà personale in Cisgiordania. Aiuti umanitari destinati ai palestinesi che vengono bloccati dai militari israeliani. Militari che entrano negli ospedali e sparano a vista, contro bambini, donne, anziani inermi. Ora la minaccia (concreta) di una serie di raid contro le centrali nucleari in Iran. Un genocidio e una guerra atomica, mondiale, in corso e ormai alle porte. Si può definire nazista lo Stato di Israele?

C’è da riflettere su come una parte consistente del popolo ebraico, che porta ancora i segni della violenza inaudita da parte del regime nazista e un trauma collettivo immane, per cui è stato prodotto tanto, nel corso degli ultimi ottant’anni, proprio al fine di mantenere la memoria ed evitare che accadesse di nuovo un abominio come quello del genocidio degli ebrei, oggi sia diventato un carnefice nei confronti non solo del popolo palestinese, ma in generale di tutto il mondo arabo non allineato con gli interessi dello Stato di Israele.

Un carnefice che adotta esattamente le stesse metodologie del proprio, di carnefice. Senza provare alcuna pietà e dimostrando palesemente un profondo senso di disumanità. Questo fenomeno è stato ampiamente analizzato dalla scienza psicologica, con diverse teorie (tra cui quella della ferita psicologica aperta), ma diventa un tantino più complesso analizzare il fenomeno dal punto di vista sociale.

Cioè è complesso capire cosa porta uno Stato, la maggioranza del suo Parlamento e una parte consistente dell’opinione pubblica, ad appoggiare un conflitto ad armi impari. Un conflitto tra un gigante ben armato (e finanziato) e una striscia di territorio tra le più povere del mondo arabo (secondo l’ONU nella striscia di Gaza, l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà).

Una follia collettiva in Israele?

E’ una follia collettiva, una furia che ricorda vagamente la nietzchiana volontà di potenza? Non lo dico io, ma il leader dell’opposizione nel parlamento israeliano, Yair Golan, che ha dichiarato:

Diventeremo uno Stato-paria come lo fu il Sudafrica dell’Apartheid se non torneremo a comportarci come un paese sano di mente.

Anche perché se il casus belli è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, è innegabile che il conflitto duri da ormai dal 1948 (77 anni) e che sia dipeso dalla nascita e dal proliferare del movimento sionista, di cui parleremo nel penultimo paragrafo. Qui basti dire che quell’anno, unilateralmente, fu istituito lo Stato di Israele in un territorio ampiamente abitato, da sempre, dalle popolazioni arabe e questo fatto (appoggiato dal Regno Unito, dalla Francia e con il supporto degli USA) provocò una serie di guerre che sono durate fino ad oggi.

Quindi ci sta la teoria del trauma collettivo, ma il motivo principale del conflitto sta, banalmente e semplicemente, nel fatto che uno Stato autoproclamato abbia pian piano occupato porzioni sempre più grandi di terra, reclamando pure il controllo sulla città di Gerusalemme (storicamente multietnica) e abbia perpetrato, da allora ad oggi – senza soluzione di continuità – una serie di atrocità nei confronti delle popolazioni arabe (impossibile dimenticare, sin dalla fine degli anni Novanta, gli espianti forzosi degli ulivi ai danni degli agricoltori palestinesi, proprio per liberare suolo e colpire una delle poche ricchezze della popolazione locale).

Lo stato del conflitto oggi

Finalmente pare che il mondo occidentale, a distanza di 593 giorni dall’inizio del conflitto, stia lentamente prendendo posizione contro la brutalità del governo israeliano, ora che si inizia a realizzare che la guerra non sta avvenendo tra due “eserciti”, ma tra un esercito e una popolazione inerme, povera e affamata. Ci son voluti 18.000 bambini morti (stando alle fonti ufficiali dell’ONU, ma probabilmente le cifre sono più alte), un esercito che entra negli ospedali e spara a vista, oppure spara contro la popolazione affamata durante la distribuzione del pane, o ancora contro una delegazione di diplomatici europei in visita per appurare lo stato del conflitto. Sono così tante le vicende orribili che hanno caratterizzato questo conflitto da non riuscire ad elencarle.

Ospedale distrutto a Gaza
Ospedale distrutto a Gaza

Ci son volute 60.000 vittime accertate, 115.000 feriti, 60.000 bambini a rischio morte e 1055 bambini in stato di detenzione o restrizione della libertà personale in Cisgiordania, anche se il numero delle vittime potrebbe essere molto più alto stando alle stime elaborate dalla rivista The Lancet nel luglio del 2024. Il ministero della salute palestinese, infatti, ha difficoltà a contare le vittime proprio perché Israele ha bombardato ospedali, infrastrutture strategiche e palazzi pubblici.

Non è una guerra, è una mattanza. Una violazione palese di tutte le norme del diritto internazionale e dei più elementari diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Si sapeva sin dall’inizio

Ci son voluti poco meno di due anni per far capire ad alcuni leader europei quello che sta avvenendo a Gaza (alla Meloni ancora no, ma si sa, i fascisti erano alleati dei nazisti), ma il Sudafrica, già dal gennaio del 2024 (cioè poco meno di 3 mesi dall’inizio del conflitto), aveva presentato un ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’ONU, la quale aveva dichiarato (allora!) «plausibilmente genocidarie» le azioni d’Israele a Gaza, ordinando a Israele di fare quanto in suo potere per «prevenire possibili atti genocidari».

Anche se non ci voleva molto a capire che quello di Israele contro i palestinesi è un vero e proprio genocidio, stando alle informazioni che ci arrivano (dai media stranieri, in Italia stiamo messi male ad informazione) è stato ampiamente provato che l’obiettivo del governo israeliano è di far fuori tutta la popolazione palestinese. Insomma, una pulizia etnica, un olocausto, una shoah. Solo che qui non siamo in Germania o in Austria o in Polonia. Qui siamo in Palestina. I carnefici non sono quelli del terzo reich, ma un governo “democratico”. E non siamo in un periodo in cui le notizie non circolavano, siamo nella società dell’informazione. E siamo tutti responsabili, anche per le omissioni o i silenzi.

Aiuti umanitari bloccati e rischio di carestia

L’ONU ha lanciato l’allarme in questi giorni. Sono partiti aiuti umanitari un po’ da ovunque: India, Cina, Russia, Europa. Ma Israele ha deciso di bloccarli e sa benissimo che, così facendo, provocherà la morte, per fame, di altre migliaia di persone. Sempre l’ONU ha dichiarato che sono a rischio di morte altri 14.000 bambini. Nella striscia di Gaza, ormai, tra case in macerie, ospedali divelti, cibo che scarseggia, mancanza di acqua corrente, medicinali ormai introvabili, si sta arrivando alla malnutrizione e le epidemie sono già in corso.

Israele ha chiaramente la volontà di proseguire su questa strada perché è evidente ormai che ha l’obiettivo di sterminare ogni arabo presente nella striscia di Gaza. Non si fermerà certo qui, perché farà in modo di ammazzare qualsiasi profugo sopravvissuto e attaccare tutti i paesi che hanno anche solo minimamente aiutato i profughi palestinesi. E’ uno dei motivi per cui Israele ha colpito il Libano nel 2024 ed è il motivo per cui ha intenzione di alzare il livello dello scontro contro l’Iran.

Non è certo solo questo il motivo. Uno degli altri motivi è la volontà di potenza del governo israeliano e il tentativo di dominio sul mondo arabo. Chiaramente sanno benissimo che proseguire su questa strada aprirà un conflitto globale dalla portata distruttiva inimmaginabile, anche qui in Europa, che si sta riarmando pesantemente, tagliando sulla spesa sociale.

Israele è nazista?

Israele nazista?

Leggendo in rete dei saggi sociologici sul concetto di nazismo, si rinvengono dei caratteri comuni, tra cui il mito di una gerarchia tra le razze. Ossia l’esistenza di una razza inferiore degli ebrei (ma anche di slavi, omosessuali, disabili) e quella dominante degli ariani, che si racchiudono nel concetto di Volksgemeinschaft (comunità di popolo) riunito in una Grande Germania, ossia una pan-comunità sotto gli ordini di un unico capo (il Führer). Per arrivare a questo programma, Hitler elaborò i programmi di eutanasia, che consistevano nell’eliminazione degli ebrei (“soluzione finale”).

Così si esprime Anna Gazzera,

L’idea cardine del nazismo, dalla quale derivarono tutte le altre, consiste in una trasposizione sul piano sociale delle teorie darwiniane; Hitler diceva a proposito di ciò: “Il più forte trionfa, perciò non deve esistere compassione verso gli altri, né rispetto per le leggi”. Si venne così a creare l’idea di una razza superiore, la cosiddetta “razza ariana”, l’unica degna di vivere e governare anche per mezzo della violenza. Il concetto di razza ariana venne sviluppato a partire da  studi pseudoscientifici sull’anatomia e sulla biologia umana, che più volte permisero ai nazisti di giustificare le loro azioni definendole di derivazione scientifica. Tutti coloro che non rientravano nei “canoni” prestabiliti e non erano perciò di razza ariana non meritavano nulla: “è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perché si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri”.

L’odio verso il diverso manifestato sin dal principio dal partito di Hitler colpì in maniera assai più violenta gli ebrei. L’antisemitismo venne favorito in Germania soprattutto dal piccolo numero di ebrei presenti nel territorio: fu così molto più facile diffonderne un’immagine falsata. Il pregiudizio antigiudaico è sempre stato più o meno presente nella cultura cattolica, ma le basi sulle quali si fondò l’antisemitismo nazista erano diverse. La “lotta” del partito nazista non era di tipo religioso; si trattava piuttosto dell’unione di motivi politico-economici e pseudoscientifici, che evidenziavano una netta “differenza” e “incompatibilità” tra la razza ariana e quella ebraica; quest’ultima, in ordine d’importanza, era all’ultimo posto. L’antisemitismo nazista può essere sintetizzato con queste parole di Aron Tamir: “L’ebreo è colpevole di qualsiasi cosa, sempre”. Proprio il concetto di “colpa” è basilare nel programma di propaganda di Hitler, poiché gli ebrei erano accusati di essere i responsabili della sconfitta durante la Prima Guerra Mondiale e di essere inoltre sostenitori del comunismo bolscevico. Inoltre ogni ebreo era parte integrante di una massa omogenea, nella quale tutti avevano le stesse colpe. Se un qualsiasi ebreo commetteva un delitto, automaticamente tutti gli ebrei l’avevano a loro volta commesso.

Gli elementi comuni

Se allarghiamo idealmente l’esperienza del Terzo Reich all’arco temporale del conflitto arabo-israeliano, ci rendiamo conto che il programma intrapreso da Benjamin Netanyahu è stato teorizzato sin dagli anni Trenta del secolo scorso. Infatti il progetto del Grande Israele è una sorta di concretizzazione della fantomatica terra promessa, definita nel libro della Genesi, che corrispondeva, nell’antico testo, ad un ampio territorio tra il Nilo e l’Eufrate, che comprende l’attuale Israele, ma anche i territori palestinesi, il Libano, la Siria, la Giordania e una parte dell’Egitto.

Sebbene oggi non se ne parli molto, il programma di Netanyahu pare proprio quello di allargare l’ambito territoriale di Israele e occupare porzioni sempre più estese degli stati confinanti.

Poster propagandistico del 1931 dell’Irgun che mostra la Palestina mandataria e la Transgiordania come territorio della futura Erez Israel (Fonte).

Altro aspetto in comune con l’ideologia del terzo reich è quella dell’uomo forte, conservatore, che disprezza i processi democratici e che ha ridotto il Parlamento ad un mero passacarte. Un processo che non riguarda solo Israele, ma buona parte delle democrazie mature d’Europa. Dove, non a caso, i partiti dell’estrema destra sono sempre più forti.

Inutile dire che altro elemento in comune con il nazismo sta nel genocidio in corso e nella spietata, scientifica ed inumana volontà di ammazzare qualsiasi palestinese: uomini, donne, anziani, bambini, disabili.

La propaganda è un altro elemento comune. Sia interna ad Israele che nei media main stream internazionali. E’ per questo che i Social censurano qualsiasi post che parli della questione palestinese (Instagram e Facebook in particolare). Accade lo stesso in tv e sulle principali testate giornalistiche, dove prevale la linea di difesa nei confronti di Israele, di attacco alla guerra di Hamas (semplificando molto le complesse dinamiche politiche interne in Palestina) e di banalizzazione del genocidio in corso.

Sionismo e semitismo, differenze

La narrazione di Israele che si difende dagli attacchi di Hamas è ormai ampiamente contraddetta dalla realtà. Sin da subito. Ma solo oggi si sta cominciando a rendersene conto. Inoltre, la narrazione dell’osteggiare qualsiasi voce critica nei confronti di Israele, tacciandola di antisemitismo è una puerile menzogna.

Infatti criticare Israele per questa sua inumana e degenere mattanza nulla ha a che vedere con l’odio verso gli ebrei. Tutt’altro. Spesso si confonde antisemitismo con antisionismo e spesso, quando parli in modo critico contro Israele e le sue politiche belligeranti, che nascono dal sionismo, ti senti dire “sei un antisemita!”.

In realtà i due concetti sono molto diversi e non è detto che un semita sia un sionista. Difatti I semiti sono i figli di Sem (uno dei tre figli di Noè) e con questo nome si identificano diversi popoli (Assiri, Fenici, Arabi, son tutti popoli semiti).

Anche i palestinesi sono semiti.

Ma nel linguaggio comune l’antisemitismo viene identificato come la paura, l’odio o un pregiudizio nei confronti degli ebrei e della loro religione. Quindi quando si sente dire che un palestinese è un antisemita, è un’aberrazione, una contraddizione in termini.

L’antisionismo, invece, è un movimento culturale e politico che tende a criticare la volontà di potenza dello Stato israeliano di occupare arbitrariamente territori abitati sin dall’antichità dalle popolazioni arabe, solo perché, sin dalla fine dell’Ottocento (e con un forte balzo in avanti dal dopoguerra), si è sviluppato un movimento culturale, cioè il sionismo, che intende riportare gli ebrei sparsi per il mondo (la diaspora) nella terra promessa, a Sion, cioè in una terra identificata, nel testo sacro, nel territorio ricompreso tra il Nilo e l’Eufrate.

Questo non ha nulla a che fare con la religione, ma con la politica, anzi, con la geopolitica. Sì, perché il movimento sionista, traendo il proprio fondamento da un testo scritto oltre 3.200 anni fa, peraltro pieno di errori e contraddizioni (perché rimaneggiato da molti autori, per secoli), ha avuto il supporto di alcune potenze europee, specie nel periodo successivo alla Shoah.

Israele, la vittima che si fa carnefice

Dunque il sionismo, da cui nasce il conflitto arabo-israeliano e che è la base dell’attuale genocidio palestinese, non ha a che fare con il semitismo.

Pertanto l’antisionismo non è assolutamente l’odio verso la religione ebraica, ma una reazione, giusta e legittima, verso un progetto di appropriazione forzata di territori abitati da altre popolazioni. Ogni tentativo di far convivere due popoli in due stati è sempre fallito miseramente e sempre, direttamente o indirettamente, per volontà dello Stato di Israele.

Un esempio banale

E’ un po’ come se un tizio qualsiasi, un giorno, alla bella e buona, decidesse di entrare di forza dentro casa mia. Arriva e dice: “questa è stata casa mia, me l’aveva promessa mia nonna. Sono traumatizzato, cacciato dalle mie vecchie case e ho bisogno di un posto dove vivere”.

Poi si porta dietro gli amici bulli che gli danno man forte. Incapace di cacciarlo via, perché forte della presenza dei bulli e con un po’ di compassione per quello che gli è successo, decido di conviverci e, per anni e anni, mi fa un sacco di dispetti. Mi danneggia i mobili, mi ruba il gatto, mi spacca lo specchio in bagno, apre l’acqua mentre mi faccio la doccia, mi butta via il cibo, mi ruba le chiavi di casa, insomma, mi rende la vita impossibile. Alla fine, dopo che reagisco ai suoi soprusi, usa le maniere forti e mi picchia, fino a farmi quasi morire.

Un esempio banale, ma che rende l’idea. La vittima che diventa carnefice è l’emblema della storia di un popolo (o, quantomeno, di una parte di quel popolo) che, anziché apprendere la compassione per quello che gli è successo, diventa talmente spietato da somigliare ai suoi aguzzini. E lo fa nel silenzio complice dei suoi sostenitori.

Anzi, più che silenzio, è un rumore assordante che assume i toni della repressione e della propaganda. Basti vedere quello che è successo a Pisa l’anno scorso e come parlano i nostri media della questione, dando risalto ai morti israeliani e tacendo le atrocità commesse contro popolazioni inermi, colpevoli solo di essere invise al nazista sionista.

Un atto di diffida verso lo Stato italiano

E’ di questi giorni la notizia che un gruppo di giuristi (Michele Carducci, Veronica Dini, Domenico Gallo, Ugo Giannangeli, Fausto Giannelli, Fabio Marcelli, Ugo Mattei, Luigi Paccione, Luca Saltalamacchia, Gianluca Vitale), rappresentati dall’avvocato Luigi Paccione di Bari, ha inviato una formale diffida, ai Ministri della Difesa e degli Affari Esteri, per chiedere di ritirare il Memorandum, un atto di cooperazione tra l’Italia e lo Stato di Israele, coperto dal segreto di Stato, ma che comporta oneri per la finanza pubblica, e che è stato puntualmente rinnovato in occasione di operazioni militari che hanno comportato l’uccisione di molti palestinesi (operazione piombo fuso; operazione margine protettivoGrande marcia del ritorno). Ora il quarto rinnovo è di questi giorni e coincide con la prosecuzione del genocidio in Palestina e il blocco degli aiuti umanitari.

Il documento si può scaricare qui. E’ importante farlo girare.

Atto di diffida del 21.5.2025

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