Non si può dire di aver visitato il Salento senza aver visto almeno una volta Porto Selvaggio. Uno dei luoghi più belli della Regione e scenario di trekking avvincenti, tra Natura e storia, soprattutto quella di una donna: Renata Fonte.

3 h A/R
9,5 km
T+E
26.01.2023

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Qualche consiglio di base? Leggi l’articolo!

La mappa del percorso

Grazie a Renata Fonte

Se possiamo godere di un trekking meraviglioso, tra boschi, verde, natura selvaggia e tanta, tanta bellezza, è solo grazie al sacrificio di Renata Fonte, uccisa dai suoi compagni di partito per aver tentato di difendere Porto Selvaggio dalle speculazioni edilizie.

Non mi dilungherò molto sul suo impegno politico e sui dettagli del suo sacrificio. Ne ho parlato abbondantemente qui.

Qui mi preme solo ribadire che se Porto Selvaggio non ha subito l’ingiusta sorte di altri luoghi naturalistici del Salento, è solo grazie all’impegno di una donna. E questo dimostra che siamo noi i custodi dell’ambiente che ci circonda e dobbiamo difenderlo quotidianemente contro gli attacchi di cui vuole deturparlo, per fini economici.

Si parte!

Porto Selvaggio

Quando ho fatto questo percorso era inverno. Quindi il parcheggio si trovava facilmente un po’ ovunque, nelle marine di Nardò. D’estate diventa un po’ più problematico. Nel mio caso ho preferito partire da Santa Caterina, da uno dei parcheggi a pagamento, ma liberi d’inverno.

Da qui si segue la strada verso torre dell’Alto, che per adesso non vedremo (la vedremo alla fine). Prima dobbiamo fare una piccola discesa per vedere la Grotta di capelvenere.

Grotta di capelvenere

Grotta di Capelvenere

Il sito è facilmente raggiungibile da una scalinata scavata nella grande scogliera e si trova poco prima di raggiungere torre dell’Alto.

Questo luogo è stato oggetto di numerose campagne di scavi archeologici, sin dagli anni Settanta.

Il nome della grotta dipende dal fatto che qui ci sono numerose piante di felce, chiamate, appunto capelli di Venere (o capelvenere).

Gli scavi hanno appurato che la grotta è stata utilizzata come riparo naturale, sin dal Paleolitico (un po’ come le grotte cipolliane).

Poi gli scavi degli anni Ottanta hanno riportato alla luce un dente umano dell’uomo di Neanderthal. Pare che la grotta sia stata utilizzata lungo tutte le epoche dell’antichità, dal Neolitico sino al Medioevo, con diversi utilizzi, prima di necessità e poi, forse, a scopi religiosi.

Lasciata la grotta entreremo nel cuore di Porto Selvaggio, in direzione della sua piccola spiaggia.

Spiaggia di Porto Selvaggio

Ora siamo nel cuore del parco e percorreremo poco più di 1 km per arrivare alla spiaggia. Sarà tutto su sentiero, immerso nel bosco del parco e ci sembrerà di essere anni luce distanti da un Salento ormai privo di verde e sempre più desertificato.

Qui non ci stupisce vedere gente che fa il bagno o che prende il sole. Del resto le (insolite, ma ormai comuni) belle giornate invernali favoriscono le attività all’aria aperta.

Giusto il tempo di un riposino sulla spiaggia ciottolosa e si riparte, in direzione di un luogo simbolico.

L’occhio della Sibilla

Porto_Selvaggio_sibilla

Arriveremo, infatti, passando da un sentiero non proprio facilissimo sulla scogliera, all’occhio della Sibilla. Si tratta di una roccia forata dal cui interno si vede esattamente Torre Uluzzo.

Non si sa se la roccia sia stata forata dai processi di erosione o dalla mano dell’uomo, ma è comunque suggestiva, anche per via del nome che le è stato attribuito (anche se viene chiamato con diversi nomi, tra cui Occhio di porto selvaggio e masso forato).

Grotta del cavallo e Torre Uluzzo

Qui il percorso diventa leggermente più ostico. Nulla di impegnativo, per carità, ma occorre procedere con cautela, perché percorreremo la scogliera su terreno sassoso, facendo giusto un paio di arrampicate, ma nulla di impossibile. Quindi bastano un buon paio di scarpe da trekking e una buona dose di entusiasmo.

Porto Selvaggio

Dopo le ultime faticate sulla scogliera, si torna a camminare agevolmente e si raggiunge torre Uluzzo dopo nemmeno 1 km.

La grotta del cavallo è visibile ma non visitabile ed è riconoscibile da una grata in ferro.

E’ un sito importantissimo da un punto di vista culturale e archeologico.

Porto Selvaggio

Era pacificamente ritenuto, fino a qualche anno fa, che in alcune zone del Salento vivesse il cosiddetto Homo di Neanderthal, ma una decina d’anni fa è stato accertato, da una pubblicazione sulla rivista Nature, che il Salento è stata la prima tappa europea dell’Homo Sapiens.

Fino ad allora si pensava che l’Homo Sapiens, ossia l’uomo moderno, abbia fatto la sua comparsa in Romania, ma è stato accertato da un’equipe di studiosi italiani e austriaci che ben 45.000 anni fa, quindi qualche millennio prima di quanto sinora accertato, l’Homo Sapiens abbia scelto come residenza la Grotta del Cavallo, a Porto Selvaggio, dando origine ad una specifica cultura, quella uluzziana.

Porto Selvaggio

Si torna indietro

Porto Selvaggio cartello Renata Fonte

Ora, vista la stanchezza e per non rifare lo stesso percorso dell’andata, torneremo dal comodo stradone bianco che ci riporta nel cuore di Porto Selvaggio, senza mai distogliere il ricordo da chi ci ha permesso di godere di tutto ciò.

Qui, tra pini, lecci e piante della macchia mediterranea, faremo un grazioso sentiero che, ben presto, ci farà ricongiungere al tracciato dell’andata, poco prima di arrivare alla baia di Porto Selvaggio.

Giunti alla spiaggia cambieremo direzione e ci inoltreremo nel bosco, sempre seguendo il sentiero, che si porterà verso la chiesa di Santa Maria dell’Alto, che ci lasceremo sulla sinistra. Da qui non ci resta che seguire il sentiero di torre dell’Alto, che ci condurrà verso l’omonima torre.

Torre dell’Alto

Si chiama così, ma in realtà è situata ad appena 50 m slm. Come un po’ tutte le torri costiere del Salento, è collocata in una zona strategica.

Solo la provincia di Lecce conta ben 57 torri costiere, per non parlare della provincia di Taranto, a ridosso di quella di Lecce, che ne conta 11 e di quella di Brindisi, sempre in prossimità della pianura salentina, che ne conta altre 2.

La maggior parte di esse furono costruite in un epoca ricompresa tra l’età angioina e quella aragonese. In particolare, Carlo V, figlio di Filippo il Bello d’Asburgo e di Giovanna di Castiglia, elesse Lecce come sua dimora preferenziale e provvedette ad erigere numerosissime torri costiere per la difesa del territorio.

La loro costruzione seguiva canoni e criteri precisi, infatti dovevano permettere la comunicazione con le torri più vicine, grazie ad appositi segnali luminosi effettuati dalle sentinelle dislocate nelle parti sommitali, con il compito di segnalare eventuali pericoli provenienti dal mare.

Anche la scelta del luogo ove costruirle non era lasciata al caso. Si costruivano in luoghi ove ottenere la migliore visuale possibile anche verso l’orizzonte, in modo che dalla fortificazione potessero essere lanciati tempestivamente gli eventuali segnali di allarme.

Porto Selvaggio torre dell'Alto

Le torri realizzate in epoca medievale venivano generalmente costruite a pianta quadrata, con basamento a scarpa e terrazza sommitale delimitata da merlature. Sulle pareti erano collocate delle feritoie che favorivano la visuale e la difesa in caso di attacchi esterni.

Solo verso il rinascimento vennero realizzate altre fortificazioni e vennero modificate quelle preesistenti, costruendole a forma circolare con l’ingresso situato al piano sopraelevato e raggiungibile attraverso rampe di scale o tramite ponte levatoio.

Finita la visita alla torre, si torna alla base rifacendo il percorso dell’andata.

Porto Selvaggio

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