Da quando Trump ha paventato un possibile accordo con Putin e Zelensky (nonostante lo show televisivo a suon di insulti) per la fine della guerra in Ucraina, si parla delle terre rare e del fatto che gli USA otterranno il diritto di estrarle. Ma cosa sono le terre rare? Perché sono così importanti? Era questo uno degli obiettivi degli USA (e quindi della NATO) sin da prima del conflitto russo-ucraino?
Secondo alcuni dati, l’Ucraina dispone del 5% delle terre rare di tutto il globo. In più, del 20% di grafite, buone quantità di titanio e buone riserve di gas e petrolio.
Le terre rare sono diventate appetibili da quando si è iniziato, almeno in Europa, a parlare di transizione energetica. Cioè di addio alle fonti fossili e di sviluppo delle energie rinnovabili e della mobilità elettrica. Da quel momento la domanda è schizzata alle stelle.
Ma la Cina ne ha intuito le potenzialità molto prima.
Infatti è la Cina a detenere il maggior numero di giacimenti di terre rare, sia nel suo territorio che in Africa, dove nei decenni scorsi ha fatto accordi specifici con i governi di Sudafrica, Madagascar, Malawi, Kenya, Namibia, Mozambico, Tanzania, Zambia e Burundi per acquisire le terre rare che si trovano in quei paesi. Per non parlare del Congo, dove si estraggono enormi quantitativi di cobalto, indispensabili per produrre gli smartphone di cui la Cina è il principale produttore mondiale (guarda questo video del 2017 del programma televisivo Le Iene).
Cosa sono le terre rare?
Sono 17 elementi chimici della tavola periodica: Scandio, Ittrio e 15 lantanoidi. Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio.
Si chiamano così non perché sono rare sul pianeta. Ce ne sono in relativa abbondanza e sparse un po’ ovunque. Si trovano in Cina, Europa, Cile, USA, Canada, Brasile, Russia, Australia e un po’ in tutta l’Africa.
Si trovano persino in Italia, in particolare lungo l’arco alpino, in Sardegna, Lazio, Toscana, Liguria e Abruzzo. In passato si estraevano anche da noi, poi le cave sono state chiuse perché l’utilizzo era piuttosto contenuto e i costi di estrazione decisamente alti.
Si chiamano rare perché sono molto difficili da identificare e separare da altri elementi. Infatti il procedimento di separazione di questi elementi richiede scavi profondi ed estesi, svellamenti di terra e roccia un po’ ovunque e un massiccio uso di sostanze chimiche. Ma su questo ci torniamo tra poco.
Le terre rare, essendo duttili e malleabili e mantenendo un magnetismo stabile anche alle alte temperature, sono l’elemento principale per lo sviluppo di batterie ed accumulatori ad alte prestazioni.
Ma sono indispensabili anche per lo sviluppo degli smartphone di nuova generazione, per i cavi di fibra ottica, i laser, le turbine delle pale eoliche o le nuove tecnologie militari, tipo droni o dispositivi high-tech militari.
Terre rare e ambiente, il paradosso
Come dicevo, le terre rare sono indispensabili per le nuove tecnologie e per la transizione ecologica, a cui l’Europa punta da anni, a seguito degli accordi di Parigi del 2015. L’ultimo degli innumerevoli atti dell’Europa in questo senso è il Green Deal Europeo, che, secondo le intenzioni:
punta a rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050, rilanciare l’economia grazie alla tecnologia verde, creare industrie e trasporti sostenibili e ridurre l’inquinamento. Trasformare le sfide climatiche e ambientali in opportunità renderà la transizione giusta e inclusiva per tutti.
Tuttavia il paradosso sta proprio in questo. Nel puntare sulle terre rare per lo sviluppo di tecnologia pulita, ma attraverso uno sfruttamento intensivo e distruttivo dell’ambiente per estrarre elementi che dovrebbero ridurre l’impatto ecologico sul pianeta.
In altre parole si distrugge una buona parte del pianeta per salvare il pianeta.
Il processo di estrazione delle terre rare
Infatti il processo di estrazione è molto energivoro. Richiede turbine che consumano moltissima corrente per arrivare ad elevatissime temperature, bruciare i minerali inutili allo scopo ed estrarre le terre rare.
Esistono diverse tecniche di estrazione, ma quella più comune e maggiormente utilizzata è la tecnica idrometallurgica che consta, grossomodo, di due fasi.
La prima fase consiste nella dissoluzione: in questa fase si procede all’estrazione delle terre rare attraverso l’uso di diversi tipi di acidi, generalmente acido cloridrico o acido nitrico. La spiegazione scientifica delle fasi di dissoluzione si trova qui.
Detta in termini semplici, questa fase comprende la frantumazione della roccia che contiene i diversi minerali combinati tra loro, tra cui le terre rare che si vuole estrarre. Poi si passa a complessi procedimenti di dissoluzione attraverso diversi tipi di acidi. Ottenuto il prodotto si passa alla fase successiva.
La seconda fase consiste nella separazione: in questa fase le diverse terre rare vengono separate tra loro e raffinate, per poi essere conservate ed utilizzate.
Tuttavia, come spiegato bene in quest’articolo,
È un fatto geologico che le terre rare sono associate all’uranio e ai minerali contenenti torio. L’uranio e il torio sono radioattivi e devono essere trattati di conseguenza.
Infatti il problema dell’estrazione delle terre rare sta in due grosse criticità. La prima è che gli acidi che servono a dissolvere i minerali legati alle terre rare diventano scarti di produzione che vengono, in un modo o nell’altro, riversati nell’ambiente.
Il secondo problema è che i processi di estrazione fanno affiorare spesso dei materiali radiattivi, anch’essi scarti di produzione, che vanno trattati esattamente come avviene per le scorie nucleari. In altre parole, stoccati in depositi disseminati nelle zone di estrazione.
E’ per questo che le zone dove attualmente si estraggono le terre rare (in Cina, ad esempio, ma anche in Canada il fenomeno è piuttosto visibile) si assiste, cito da qui, a fenomeni di:
(…) perdita di biodiversità l’inquinamento idrico l’erosione del suolo la formazione di pozzi di assorbimento. È stato calcolato che la lavorazione di una tonnellata di metalli delle terre rare produce circa 2.000 tonnellate di rifiuti tossici.
Rifiuti tossici impossibile da smaltire, che vengono ovviamente riversati nell’ambiente e che producono danni permanenti non solo alla biodiversità, ma anche alla salute umana.
I problemi alla salute umana
Difatti leggiamo su Agenda Digitale che:
“All’inizio del decennio scorso, la Cina estraeva il 98% circa delle terre rare, oggi questa cifra si è quasi dimezzata. Ciò è avvenuto a causa della consapevolezza che è un’industria dannosa per l’ambiente e la salute delle comunità locali”, commenta Guido Alberto Casanova, assistente alla Ricerca dell’Ispi (…) “i dati provenienti dalla miniera di Bayan Obo in Cina parlano chiaro: i rifiuti tossici rilasciati nelle risorse idriche hanno causato cancro al polmone, una patologia in aumento a doppia cifra a causa delle polveri, frutto dell’esplosione dei metalli, per estrarre le terre rare”.
Tra l’altro un gruppo di studiosi cinesi ha pubblicato, nell’aprile del 2024, uno studio che dimostra gli effetti estremamente dannosi delle terre rare sulla salute umana. Wenyu Wang, Yanfang Yang, Donglei Wang, Lihua Huang, autori dello studio intitolato Toxic Effects of Rare Earth Elements on Human Health: A Review, scrivono che:
Rare earth elements (REEs) are a new type of material resource which have attracted significant attention in recent years. REEs have emerged as essential metals in modern-day technology due to their unique functions. The long-term, large-scale mining and utilization of rare earths has caused serious environmental pollution and constitutes a global health issue, which has raised concerns regarding the safety of human health. However, the toxicity profile of suspended particulate matter in REEs in the environment, which interacts with the human body, remains largely unknown. Studies have shown that REEs can enter the human body through a variety of pathways, leading to a variety of organ and system dysfunctions through changes in genetics, epigenetics, and signaling pathways.
In altre parole, la letteratura oggi disponibile sul tema dimostra che chi lavora o vive a stretto contatto con le terre rare (operai, persone che vivono nei dintorni delle cave, trasportatori, ecc.) rischia danni ai sistemi respiratorio, cardiovascolare, neurologico, oltre ad altri danni ancora non conosciuti. Inoltre sono segnalate svariate disfunzioni a diversi organi, oltre a modifiche nella genetica, epigenetica e nei percorsi cellulari.
Transizione ecologica o greenwashing?
Dunque l’elemento fondamentale della transizione ecologica produce gli stessi danni (se non di più) dell’estrazione di fonti fossili. Ma il dibattito pubblico e le politiche europee vogliono illuderci che cambiare fonti di produzione (da fossili a rinnovabili; da carburante a elettricità; da petrolio a prodotti industriali plant-based, ecc.), senza mettere in discussione l’attuale assetto di rapporti sociali e l’attuale modello di accumulo dei capitali nelle mani di pochi, sarà sufficiente a salvare il pianeta dai cambiamenti climatici e dallo sfruttamento dell’ambiente.
Ma la realtà non sta così. Quella che viviamo è, semmai, una realtà gattopardiana, dove tutto appare in cambiamento, senza che nulla, nella struttura dei rapporti sociali, cambi davvero.
Tra l’altro, come ho già avuto modo di spiegare su questo blog, sia l’eolico (specie quello di grossa taglia), che l’auto elettrica, sono rimedi peggiori del male. Per questi e per tanti altri motivi.
Persino Marchionne, non certo un bolscevico, quando era amministratore delegato della FIAT, si rifiutava di puntare sull’auto elettrica perché, diceva, se non inquina a valle, inquina a monte. E’ questione di onestà intellettuale e di riconoscere i pericoli della produzione di massa di auto elettriche.
Il conflitto USA-Cina-Russia e le terre rare
Da quando il presidente cinese Deng Xiaoping, nel 1986, varando il Programma 863, dichiarò che se gli arabi hanno il petrolio, la Cina ha le terre rare, si iniziò a capire, in Occidente, che quei minerali sarebbero stati la chiave di volta dello sviluppo delle nuove tecnologie.
Fino ad oggi la Cina ha mantenuto un profilo basso nella produzione e vendita di terre rare. Ha accordi con molti paesi africani per l’estrazione e con un po’ tutto l’Occidente per la vendita. Infatti, quando si sente parlare di dazi alla Cina, le terre rare non vengono mai citate.
Però oggi gli USA di Trump vogliono smarcarsi dalla dipendenza dalla Cina.
Se è vero che le terre rare sono sparse un po’ dappertutto, è anche vero che gli USA non ne hanno in abbondanza ed i costi di estrazione sono molto più alti che in Cina, dove, peraltro, non emergono ancora le contraddizioni ambientali e legate alla salute pubblica dovute alla loro estrazione.
Ucraina, terre rare e tensioni geopolitiche
Chiaro che un territorio come l’Ucraina, che ne ha in relativa abbondanza, fa gola alle mire espansionistiche degli USA. Ma, come già detto in passato, non è solo questo il motivo che ha spinto la NATO a provocare la Russia e dare avvio al conflitto.
Perché va ribadito: il conflitto russo-ucraino parte da lontano. Almeno dagli anni Ottanta. Non è mia intenzione, in questa sede, ripercorrere tutte le tappe che hanno portato all’invasione da parte della Russia. Ma ci tengo a precisare che questa è dipesa da decenni di tentativi, da parte della NATO, di ingerirsi nella politica ucraina e di inserirla nel patto atlantico. Tentativi culminati dapprima nella rivoluzione arancione del 2004 e poi nel rovesciamento del governo di Janukovyč, da parte di USA e Gran Bretagna.
Paesi che hanno addestrato e finanziato per anni le milizie neonaziste, le quali hanno martoriato le popolazioni russofone sin dal 2014, da quanto ne sappiamo.
Quindi l’Ucraina rappresentava, per la NATO, un territorio ideale. Vicina geograficamente alla Russia, utilizzabile come base strategica per minacciarla. Con uno sbocco sul mare e utile per i commerci. Strategica anche dal punto di vista geopolitico come minaccia politica ed economica alla Cina.
E’ la Cina, infatti, il vero obiettivo strategico della NATO.
Prospettive future
E’ quindi evidente che l’Ucraina, oltre ad essere importante dal punto di vista geopolitico, è uno stato ricco di risorse minerarie, oltre che di gas naturale. Aspetto che fa gola all’imperialismo statunitense, per allentare la dipendenza economica dalla Cina.
Ma la risoluzione del conflitto ucraino servirà agli USA di Trump per avvicinare Putin ed allontanarlo dalla Cina, in modo da incrinare i rapporti con i BRICS, i paesi non allineati che, da soli, rappresentano il 41% del PIL mondiale. Allontanare la Russia dai BRICS favorirà uno spazio di manovra agli USA per tornare alla sua vecchia sfera di influenza globale.
Quindi la fine del conflitto dipenderà dagli accordi che Trump riuscirà a fare con Putin. Cioè da come si spartiranno il territorio. Gli USA probabilmente vorranno i diritti di estrazione delle terre rare e del gas naturale. Putin vorrà piazzare un presidente filorusso ma compiacente nei confronti degli USA ed annettere alla Russia i territori russofoni, se non tutti i territori già occupati.
E Zelensky? Lui è ormai una pedina fuori gioco. Lo abbiamo visto umiliato e deriso in un patetico show televisivo nello studio ovale.
Negli accordi di sicuro sarà fatto fuori. Sarà sostenuto solo dall’Europa che ha volutamente deciso di non contare più nulla sul piano globale. Ignorante dei nuovi equilbri mondiali, continua a buttare soldi e dichiara persino di voler mettere su un esercito europeo (senza uno straccio di costituzione europea) mandandolo al massacro.
L’Europa in tre anni ha mobilitato 11 miliardi di euro, di soldi nostri, pagati con le nostre tasse, per finanziare gruppi neonazisti ucraini, tutto ciò in nome della pace. Se questa non è follia!
Oggi è abbandonata dagli USA ed imperterrita nel considerare la Russia come nemica. Incapace di porsi come interlocutrice diplomatica, ha tradito, in tre anni, settant’anni di storia di integrazione europea e diplomazia internazionale, nate sulle ceneri di un conflitto mondiale che si era giurato non sarebbe più avvenuto.