La catena di Cima d’Asta, ubicata tra l’Altopiano del Tesino, la Valsugana e la Valle del Vanoi, viene comunemente chiamata isola granitica perché è appunto una zona isolata di granito tra una più ampia zona composta prevalentemente da pietre dolomitiche. Quindi troveremo paesaggi molto diversi rispetto a quelli delle Dolomiti e, soprattutto, una quiete quasi assoluta. Zona poco trafficata dal turismo di massa, offre percorsi piacevoli e complessi, a seconda degli itinerari che decidiamo di fare. Oggi vi propongo una tre giorni, a fare l’alta via del Granito, con sosta in due rifugi (bivacchi invernali, durante la chiusura): il Caldenave e l’Ottone Brentari, con tappa alla cima d’Asta, a 2847 mt.
Primo giorno: da Malga Sorgazza al Rifugio Caldenave
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6 h 40 m solo A |
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12 km |
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Dislivello max 1050 mt |
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EE |
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30.10.2024 |
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La mappa del percorso
E’ fine ottobre, ho tre giorni liberi e finalmente riesco a programmare una camminata più lunga. Decido, così, di intraprendere l’Alta via del Granito, un percorso ad anello di circa 30 km nella particolare isola granitica del gruppo Cima d’Asta – Cime di Rava, all’interno della Catena del Lagorai.
Parto in auto da Trento e seguo le indicazioni per Castel Tesino e Pieve Tesino. Giunto in paese imbocco la stradina che porta a Malga Sorgazza, che però trovo chiusa per lavori. Stanno rifacendo la strada e un cancello metallico la chiude. Sarei quasi tentato di lasciare l’auto su uno spiazzo nelle vicinanze, quando vedo gente che scende dall’auto e apre i cancelli. Difatti la zona è abitata e quindi la gente del posto passa comunque.
Decido di passare e, in effetti, la strada è percorribile. Trovo un paio di escavatori e di camion ed il ciglio della strada sventrato, ma si passa. In poco tempo salgo a Malga Sorgazza e lascio l’auto nell’ampio piazzale antistante la Malga.
La trovo chiusa, però. Dalla fine dell’estate e fino all’ultimo weekend di ottobre apre solo la domenica, poi resterà chiusa fino alle feste.
Siccome m’è già capitato, sono organizzato. Ho con me il termos con il caffè e persino la fiaschetta con la grappa. Altro che malghe, qua c’ho tutto per bivaccare!
Dopo un caffè casalingo gustato su una delle panche esterne della malga, inizio il cammino, non prima di aver consultato la segnaletica.
La giornata è delle migliori e il paesaggio incantevole.
Imbocco subito il ripido sentiero 328 che si trova proprio alle spalle della malga, perché ho deciso di fare il giro dal versante nord, quello che, sul sito ufficiale, viene chiamato Giro Arancio.
Attraverso il grazioso ponticello.
Imbocco un sentiero militare, visto che tutta la zona è stata teatro di numerosi eventi relativi alla grande guerra, come si ricava anche dalla toponomastica.
Arrivo così a val del Lago (1809 mt).
Continuo a seguire il sentiero 328 che mi porterà, in circa 2 ore, a Forzelon di Rava, passando dal Lago di Costa Brunella e da forcella Quarazza.
Già dai nomi si intuisce una caratteristica di questi luoghi: la massiccia presenza di forcelle.
La forcella altro non è che un passaggio naturale tra due pareti molto ripide e molto vicine tra loro. A differenza del valico o del passo, la forcella presenta un passaggio più stretto e cime più alte. Se il passo, infatti, consente il passaggio anche a mezzi più grandi, solitamente ad altitudini più modeste, la forcella è caratteristica di altitudini più elevate e di passaggi stretti.
Un’altra cosa che caratterizza questi luoghi è la scivolosità. Il granito, difatti, essendo composto anche da cristalli e da minerali piuttosto duri e lisci (quarzo, miche, ecc.), è particolarmente scivoloso, specie se ricoperto da licheni o in giornate un po’ più umide.
Quindi il consiglio è sempre lo stesso: munirsi di un buon paio di scarpe da trekking, bastoncini e camminare con cautela. Anche perché, lo leggeremo più avanti, il percorso, oltre ad essere scivoloso per via della pietra, lo è anche per la massiccia presenza d’acqua, in ogni dove. E spesso ci toccherà passarci dentro.
Poco dopo arrivo ad una diga artificiale. Siamo al Lago di Costa Brunella. Qui regna il silenzio più assoluto, uno di quei silenzi che, chi l’ha provato, definisce assordante, quasi insopportabile, per orecchie, come le nostre, abituate continuamente al contatto con il rumore. Non fischia il vento né si ode il gracchiare dei corvi o il frusciare delle foglie. Nulla. Per un attimo, superato il dolore, inizio ad avvertire un senso di pace, interrotto solo dalla consapevolezza di dover riprendere il cammino, perché presto farà buio e sono ancora lontanissimo dalla meta.
Con intorno solo il brullo e maestoso paesaggio granitico, arrivo a Forcella Quarazza, a 2309 mt.
Qui seguo sempre il sentiero 328 che mi porterà, in mezz’ora, a Forzelon di Rava, a 2397 mt.
Qui i paesaggi sono monumentali.
Arrivo al Forzelon di Rava, ma qui la segnaletica è dubbia. Non trovo la segnaletica con il logo “AVG” (Alta Via del Granito) né altre indicazioni per il Rifugio Caldenave. Dopo una breve deviazione per andare a vedere la cima del Frate, torno indietro, perché le indicazioni che trovo qui mi portano altrove.
E così procedo sul sentiero 332B, un sentiero piuttosto agevole e panoramico, in cresta, sulla testata della Val di Rava arrivando in poco tempo a Forcella Ravetta. Da lontano scorgo Malga Rava di Sopra e scopro che, nelle vicinanze, ci sono diverse altre strutture, tra malghe e bivacchi.
Il percorso ora si fa più tortuoso e tutto in discesa. Infatti scenderemo dai 2300 mt circa a 1850 mt, l’altitudine del Rifugio Caldenave.
Qui mi è parso, talvolta, di emulare Indiana Jones mentre oscilla da una roccia all’altra nella Jungla e non nascondo che avrei voluto la sua frusta e l’abilità di utilizzarla, visto che in più punti attraverserò delle rocce umide, solcate dall’acqua e, in un punto in particolare, dovrò calarmi nel ruscello, che attraversa il percorso, perché è l’unico disponibile. Quindi, un po’ zuppo, torno ad intraprendere un sentiero più quieto, anche se, piano piano, entrerò nella torbiera.
Ormai è quasi buio e solo il frontalino riesce ad illuminare il percorso. La luna ed un cielo terso, per fortuna, illuminano flebilmente questa traversata e, seppur stanco ed inumidito, so che a breve arriverò al Rifugio.
Arrivo, infatti, dopo 15 minuti essere sceso a Piana Caldenave e trovo il bivacco pulito e pieno di legna. Durante il tragitto ne ho raccolta un po’, ma è umida e difficilmente si accenderà.
Fa freddo, ma dentro la temperatura sale di un paio di gradi. Decido quindi di lasciare la legna umida fuori e di sfruttare quella presente dentro, secca e pronta a prendere fuoco.
Avendo preventivato di dormire in bivacco, ho nello zaino qualche cartone, che mi aiuterà ad accendere il fuoco.
L’ambiente, con la stufa che scoppietta allegra, si scalda rapidamente. E così, dopo una cena rigenerante ed un sorso di grappa, sono pronto per andare a nanna.
Secondo giorno: dal Rifugio Caldenave al Rifugio Cima d’Asta
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8 h solo A |
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14 km |
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Dislivello max 1300 mt |
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EE |
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31.10.2024 |
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Mi sveglio relativamente presto, saranno le 7, mi affaccio fuori e la giornata non può essere delle migliori. Fa fresco, ma c’è già il sole che inizia a scaldare l’ambiente. E così, dopo una colazione (si fa per dire) a pane, salame e caffè, saluto il rifugio e sono pronto ad una bella camminata.
Oggi mi tocca arrivare al Rifugio di Cima d’Asta.
Durante la notte ho riflettuto se conviene fermarmi lì oppure salire a Cima d’Asta e dormire in bivacco. Stando ai tempi indicati su carta, potrei farcela, ma conoscendo i miei ritmi, so che è meglio non strafare.
Infatti, siccome mi conosco, con non molto stupore, arriverò al rifugio a buio già inoltrato, dove troverò due ragazzi in tenda, a festeggiare halloween. Ma procediamo con ordine.
Scendo dal rifugio verso il sentiero fatto il giorno prima e attraverso il ponticello.
Qui trovo i primi segnali che indicano il sentiero 360, che porta ai Laghi val dell’Inferno, la mia prossima destinazione.
Si sale su un sentiero ostico ma piacevole e in breve si arriva ai laghetti, che trovo ghiacciati.
Con una lunga e a tratti faticosa salita, arrivo al primo dei numerosi piccoli bivacchi che troverò lungo il cammino.
Qui mi riposo giusto un po’. Il sole inizia a scaldare parecchio e mi ritrovo a camminare a maniche corte.
Presto trovo dei segnali che mi dicono che manca un’ora e mezza per la Forcella delle Buse Todesche.
Come dicevo, la toponomastica lascia alla memoria i ricordi della grande guerra. In realtà non erano tedeschi, ma austriaci, ma alla gente del posto poco importava, per loro parlavano tutti la stessa lingua.
Arrivo a breve a Baito dei Scagni a 2139 mt e qui percorro un’ampia radura che passa vicino ad un laghetto. Manca ormai mezz’ora alla forcella.
Il percorso per adesso è piacevole, passo dal bosco alla radura, attraversando qualche piccolo laghetto e numerosi rivoli d’acqua.
Arrivo alla Forcella delle Buse Todesche, a 2309 mt e qui mi riposo giusto un po’, in compagnia di un escursionista, conosciuto poco prima, che sa tutto della prima guerra mondiale qui in zona.
Ci salutiamo e imbocco il bivio 373 per Forcella Magna, che sta a giusto un’ora e quaranta di cammino.
Qui incontro una mulattiera opera degli austriaci durante la grande guerra.
Pochi minuti dopo aver imboccato il bivio incontro una fontanella d’acqua freschissima.
Il giorno prima l’ho centellinata e ora sono quasi in riserva, anche perché con il caldo si beve di più. Ho con me i consueti tre litri d’acqua, ma non basteranno. Quindi la fontanella è una manna dal cielo. Bevo tanto e riempio tutte le borracce e il camel bag.
Con piacevole cammino in quota incontro qualche casamatta, altro simbolo della grande guerra.
proseguo sul sentiero e incrocio l’ennesimo bivacco: Baita Lasteati.
Il sentiero sarà a lungo in falsopiano su una mulattiera che costeggia il fianco est del Cengello e di Cima Lasteati.
Dopo una lunga e sfiancante traversata, intervallata da numerose pause, arrivo nel primo pomeriggio al laghetto di Forcella Magna, segno che sono quasi arrivato ad una meta importante.
Forcella Magna era un importante avamposto in quanto collegava la Val Sorgazza all’Alta Val Cia. Durante la grande guerra era servita da una carrozzabile in cui il regio esercito italiano riuscì ad assestare grossi cannoni durante la grande offensiva austriaca del 1916, che resistì fino alla ritirata di Caporetto nel 1917.
Qui ci sono essenzialmente due vie per arrivare in rifugio, il sentiero 380, ossia il percorso “ufficiale”, oppure la direttissima, che taglia punta Socede e arriva direttamente a Passo Socede. Solo è un po’ più impervia e molto faticosa. Quindi meglio prendere il sentiero 380, in modo da fare il percorso “canonico”, anche se pure quello è bello tosto.
All’inizio non è così tosto. Da qui mancherebbero poco meno di 2 ore per il rifugio.
In un’ora e un quarto arrivo al sasso spaccato.
Da qui la vista è magnifica.
Mi riposo un po’, ma poi inizio a rendermi conto che si sta facendo tardi e che il sole inizia a calare.
Da questo punto in poi la via sarà tutta in salita. Tanta. Tosta. Faticosissima.
Cioè, sarà una di quelle salite spaccagambe che ti fa passare la voglia di fare trekking.
Finché non arrivi a Passo Socede.
Qui mancano giusto 20 minuti per il rifugio. Ci arrivo ormai a buio inoltrato, ma la traversata sarà piacevole e distensiva, nonostante il buio. Non vedrò ancora il lago, a causa del buio, ma, mentre mi dirigo verso il rifugio, noto delle luci. Penso che ci sarà qualcuno in rifugio e che dovrò condividere la stanza con altre persone.
Invece arrivo e scopro che ci sono due ragazzi padovani che hanno deciso di passare la notte di halloween in modo alternativo, in tenda, ai piedi del rifugio. Mi intrattengo a chiacchierare con loro prima di salire al bivacco invernale e vedo che hanno portato di tutto per una cena top.
Non è facilissimo individuare il bivacco invernale. Giro un po’ il perimetro del rifugio per capire da dove si entra. Poi adocchio una scaletta e capisco che è lì l’ingresso.
Anche questo lo trovo pulito e in ordine. Ceno con le ultime cose rimaste e mi butto nel sacco a pelo, divorato come sono dal sonno.
Terzo giorno: dal Rifugio Cima d’Asta a Malga Sorgazza
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6 h solo A |
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12 km |
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Dislivello max 400 mt |
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01.11.2024 |
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Mi sveglio alle 7 e sono pronto, dopo una frugale colazione (non è che sia rimasto granché) a salire per Cima d’Asta.
Saluto, almeno per ora, il rifugio.
Inizio a consultare l’ampia e variegata segnaletica, segno che qui, di sentieri, ce ne sono a bizzeffe.
Il percorso, all’inizio, è abbastanza semplice. Mi fermo spesso a fotografare il lago che, dall’alto, appare magnifico.
In appena un’ora conquisto la Forzaleta, una forcella a 2680 metri.
Da qui ci vorrà un’oretta per arrivare alla cima. Ma qui inizia il percorso tosto.
Già, perché ora inizia un sentiero attrezzato in più punti e i bastoncini sono di impiccio. Andremo in ripida discesa, su grossi lastroni di granito, per poi salire di tanto fino ai segnali.
Da qui ci vorranno ancora 40 minuti di salita molto impegnativa dove a tratti occorre aiutarsi con le mani.
Il sentiero procede a zig zag dove il percorso è meno impegnativo, ma grosso modo anche se il tracciato si perde, si vede bene la croce in cima e si possono seguire diversi percorsi alternativi.
Salgo finalmente in cima, dopo una faticaccia. Da qui la vista è imponente.
Visito il bivacco e mi chiedo come diavolo abbiano fatto a costruirlo lì, in quel punto e, soprattutto, quanto freddo si sentirà dentro, esposto ai quattro venti e privo di stufa.
Nelle vicinanze trovo l’osservatorio della prima guerra mondiale che sembra essere stato realizzato nel 1917, stando alla scritta incisa sulla pietra.
Infatti scopro che il bivacco è stato ricavato dai ruderi dell’ex osservatorio militare costruito, negli anni della prima guerra mondiale, dagli Alpini del Battaglione Valbrenta, è dedicato a Giuseppe Cavinato, socio fondatore della Sezione di Padova, ed è di proprietà del CAI di Padova.
Per evitare di portarmi del peso inutile e perché il percorso del ritorno passa giocoforza dal rifugio, ho lasciato lì le cose inutili.
E così scendo dallo stesso percorso fino al rifugio.
Recupero la roba e scendo dal sentiero 327 che farò tutto in ripida discesa, su sassi granitici, seguendo la direttrice del torrente, fino a Bualon di cima d’Asta.
Qui, tra i mille rivoli del torrente, ne scelgo uno per riempire le borracce. Sono abbastanza in basso per assicurarmi che l’acqua sia stata filtrata a dovere dalle rocce e che sia potabile.
Incrocio, verso la fine del sentiero, diverse simpatiche marmotte in legno, dato che qui c’è un parco didattico per bambini.
Il percorso è piacevole e ormai in piano. Attraverso un ponticello e mi immetto nel bosco.
Cammino nel bosco fino alla base della teleferica Brusà (1647 mt).
Da qui, in circa 20 minuti, arrivo alla Malga Sorgazza, dove finisce il nostro lungo cammino.
Impressioni
La Via del Granito non è complessa. E’ lunga, a tratti faticosa, ma ho visto di peggio.
Diciamo che, grosso modo, non è impegnativa, salvo alcuni tratti faticosi, perché in ripida salita, oppure particolarmente ostici, perché scivolosi o attraversati da torrenti d’acqua. Quindi, diciamo che una piccola parte è complessa, ma per il resto è un percorso assolutamente fattibile con un minimo di esperienza alpinistica e una discreta attrezzatura.
Il periodo migliore per farla va da maggio a ottobre, ma occorre calcolare bene i tempi, perché se a maggio ci stanno diverse ore di luce, a ottobre già son molte meno e si rischia, se ci si attarda, di camminare al buio. Cosa che mi è capitata spesso e non sempre è piacevole. Comunque è un’esperienza da fare. Non troveremo i paesaggi da favola di mete dolomitiche più blasonate, ma un ambiente aspro, solitario, talvolta ostile. Ed è stato l’aspetto che me l’ha reso amabile.