La cima Cornetto del Bondone (2179 mt) è una delle tre cime dell’omonima catena montuosa, a due passi da Trento. Le altre due sono il Doss d’Abramo (2140 mt) e Cima Verde (2102 mt). Si raggiungono abbastanza facilmente dalla piana delle Viote. Oggi ci proveremo, sulla neve, in una fredda ma soleggiata giornata d’inverno.
4 h A/R | |
11 km | |
Dislivello max 535 mt | |
E | |
19.11.2023 | |
La mappa del percorso
Si parte per il cornetto del Bondone
E’ una soleggiata giornata di metà novembre. L’ideale per una bella camminata sulla neve.
Parto presto da Trento e, alle 9 di mattina, sono al Rifugio Viote, che però trovo chiuso.
C’è neve un po’ ovunque. Non tantissima però.
Del resto i cambiamenti climatici ci stanno abituando sempre più ad inverni meno rigidi, ghiacciai storici che si ritirano e neve solo ad altissime quote, che dura pochissimo.
Il sentiero verso il Bondone è sempre ben segnalato, ma all’inizio possiamo trovare qualche difficoltà ad individuare i primi segnali.
Basta aguzzare lo sguardo verso l’osservatorio (che non passa inosservato) ed il piccolo boschetto.
Foto fatta al ritorno, che all’andata c’era troppo sole e non mi uscivano mai bene.
Dall’osservatorio noteremo distintamente le tre cime del Bondone, tra cui la nostra cima Cornetto, la prima, partendo da destra. Cima Verde sembrerebbe la più alta, ma è tutta questione di prospettive. Una cosa che impari stando in montagna. Impari, per esempio, che il mondo, le dinamiche, gli eventi possono essere analizzati da diversi punti di vista, ognuno dei quali concorre a comprendere meglio la realtà nella sua complessità.
Qui incontriamo il sentiero SAT O607 e imbocchiamo il boschetto, che sui pannelli informativi si legge sia stato rimboschito negli anni Sessanta.
Lo percorreremo per pochissimi minuti per poi arrivare all’ingresso della malga.
Entriamo nella staccionata (e la richiudiamo) e proseguiamo sempre diritto.
Se guardiamo verso sinistra, quasi solitaria, vedremo cima Palon, che si riconosce dalle antenne.
Qui incontriamo la scalinata, resa più agevole da delle assi in legno, che ci conduce verso il sentiero.
Occhio a farla con cautela, perché troveremo neve diventata ghiaccio, a causa delle impronte lasciate dagli altri camminatori.
Su questi percorsi, in queste stagioni, i ramponcini sono un ottimo aiuto. Certo, il percorso si fa agevolmente anche con gli scarponi da montagna, senza ramponi.
Ma, ovviamente, non si può fare con scarpe da trekking.
Siamo alla Costa dei Cavai
Dopo un’oretta in salita arriviamo alla Costa dei Cavai, da cui si gode di una vista imponente sulle Dolomiti del Brenta, sulla catena della Marzola e, in lontananza, sulle Alpi orientali.
In questo punto incontro i primi alpinisti che si calano i ramponcini sulle scarpe, per sicurezza. Dato che ancora non li ho presi, procedo senza, con passo sicuro, ma su quei tratti innevati effettivamente servirebbero.
Salendo ancora di più troveremo il primo punto ostico.
Dovremmo fare qualche metro sul crinale, reso più complesso dalla presenza di neve.
Quando lo fai la prima volta ti pare impossibile, ma ci si fa.
Qui percorriamo la scalinata e, con lo sperone roccioso sulla sinistra, procediamo diritti.
Per chi è devoto, qui c’è un’effigie della Madonna, ricavata in una rientranza della parete rocciosa.
Ora siamo ai piedi del Cornetto del Bondone
Qui le altre due cime si vedono benissimo.
Giunti ai piedi del Cornetto del Bondone la situazione si fa più difficile, per via dell’abbondante presenza di neve che nasconde l’ultima segnaletica.
Ci ho girato a lungo attorno, ma ho trovato solo neve.
Girandoci attorno ho anche rinvenuto una galleria, che sicuramente venne scavata durante il primo conflitto mondiale, così come tante altre che si rinvengono in zona (sul Calisio, sulla Marzola, sul Pasubio, ecc.).
In realtà, appena giunti ai piedi del Cornetto del Bondone bisogna aguzzare lo sguardo e trovare la bandierina bianco/rossa della SAT presente sulla roccia.
Il percorso che ho fatto intorno al monte non si rinviene nella traccia GPX, perché ho messo in pausa il tracciamento. Quindi trovate le indicazioni corrette per arrivare direttamente sulla cima.
Si scala per raggiungere la cima del Cornetto
Quindi non c’è un sentiero per arrivare in cima. Bisogna scalare un po’.
Non si tratta di una vera e propria scalata, ma bisogna aggrapparsi alle rocce più sporgenti e farsi aiutare dalle mani.
Sono solo 10 metri di leggera ma purtuttavia impegnativa scalata, per arrivare in cima.
Ne vale la pena
Giunti in cima troviamo la grande croce in ferro che, dice il cartello, è stata devastata nel dopoguerra, poi ripristinata ed ulteriormente riedificata dal SAT di Sopramonte nel 2016.
Il cartello recita anche
La via verso la cima è come il cammino verso sé stessi.
Ed è un po’ la mia filosofia di vita, quando mi approccio alla montagna. Qui si gode di una vista magnifica.
Fa freddo e sono sudato. Ma non lo sento, il freddo.
Accanto a me ci sono degli escursionisti che si cambiano la maglia e mi fa specie vederli mezzi nudi con quel freddo.
Ma pare che sia più corretto così che tenersi i vestiti sudati addosso.
Resto in cima ancora un po’ e qui scopro che il monte si chiama anche Cronicello. In dialetto lo chiamano semplicemente Cornet.
Il sole è ancora alto nel cielo, ma calerà presto la sera. Del resto è inverno. Sono le due del pomeriggio e alle 4 inizia a far buio.
Così si scende, facendo a ritroso il percorso dell’andata. E’ un po’ più agevole, anche se in discesa i tracciati innevati sono più insidiosi che in salita. Si rischia facilmente di scivolare, senza ramponi. Quindi occorre passo lento, fermo e sicuro.
I camosci
A scendere ci possiamo imbattere in numerosi camosci, che popolano un po’ tutte le montagne del Trentino. Ne ho visti tanti, ma approfondendo si scopre che è una specie non in pericolo di estinzione, ma a rischio.
Per due fattori, uno certo, l’altro ipotetico.
Il fattore certo sono i cambiamenti climatici, che portano i camosci verso quote più alte, posto che sono abituati alle temperature più fredde.
Nel breve periodo, infatti, le specie possono rispondere al cambio climatico in diversi modi. Per esempio, possono concentrare il tempo speso per il foraggiamento nel momento più freddo della giornata, o possono spostarsi in zone dal clima più favorevole, ad altitudini più elevate. Queste strategie non sono però prive di rischi. Gli animali potrebbero perdere le opportunità di foraggiamento, sia a causa della riduzione del tempo che delle aree alimentari disponibili, portando all’eventuale declino nelle popolazioni, come osservato nel camoscio.
Quello ipotetico è la competizione interspecifica con il cervo, un animale che inizia a popolare sempre più queste montagne e che, forse, sta contribuendo allo spopolamento dei camosci.
Per approfondire meglio, rinvio a questo contributo scientifico.
In un paio d’ore si torna al rifugio Viote e, con mio stupore, lo trovo aperto.
Giusto il tempo di una birra e si torna a Trento, con il bus.