Hai deciso di andare a vivere a Trento per motivi di studio o per lavoro? O forse perché ne hai sentito parlare bene per via dell’alta qualità della vita? In questo articolo ti racconto la mia esperienza a Trento dopo averci vissuto per un po’. Un racconto alternato a riflessioni e analisi socio-economiche. Questa è la seconda parte di un miniracconto di tre. Dopo aver parlato di ricerca di una casa, ora parliamo di come muoverci, di sport, salute e se davvero vale il motto “respira, sei in Trentino”.

Segue dalla prima parte.

Vivere a Trento è il paradiso di pedoni e ciclisti

Una delle cose più belle di vivere a Trento è che non hai bisogno della macchina per spostarti in centro o per raggiungere i sentieri di montagna, che adoro.

La città si percorre agevolmente sia a piedi che in bici. Per capirci, dal parco di Melta (estremo nord dell’abitato) a Madonna Bianca (estremo sud dell’abitato) ci metti mezz’ora in bici.

Dal centro ai due estremi della città, a piedi, ci impieghi 40 minuti, a passo normale.

Inoltre la filosofia della città dei 15 minuti (che non è una sorta di galera, come qualcuno dice, ma una filosofia urbanistica legata all’accesso ai servizi) qui è piuttosto sviluppata, nel senso che ogni quartiere, più o meno, dispone del necessario per le attività quotidiane. Anzi, direi che Trento è la città dei 5 minuti.

E’ vero che le attività commerciali più grandi si sono sviluppate a Trento Nord e che i locali, ovviamente, si concentrano nel centro storico, ma ogni zona ha comunque la sua farmacia, il baretto, il localino, il piccolo o medio supermercato, l’ortofrutta, la pizzeria, ecc.

Anche le scuole primarie sono dislocate in modo abbastanza razionale. E infatti è sempre bello vedere i genitori che accompagnano i figli a scuola, a piedi o in bici.

Quindi per le attività quotidiane l’auto non serve e, anzi, rappresenta un fastidio.

L’auto a Trento è un impiccio (costoso)

Usare l’auto a Trento non conviene.

Il traffico è sempre immane e, in pratica, impieghi il doppio del tempo rispetto alla bici. Se per arrivare da casa al lavoro in bici ci impiegavo 10 minuti (e 35 a piedi), in macchina ce ne mettevo 20. Oltre ad un tempo indefinito per trovar parcheggio.

Nonostante ciò, solo il 4% dei trentini usa la bici e il 71% va al lavoro in auto. Un dato che stride con l’immaginario collettivo che vede il Trentino come una regione a mobilità green e lenta.

Per risolvere il problema del traffico cittadino, il Comune di Trento ha avuto un’idea che rasenta la genialità: bucare mezzo centro storico, per deviare il traffico dai punti più critici. La galleria sotterranea sarà lunga 1 km e passerà sotto il rione San Martino per sbucare a Piazza Venezia. Costo: 60 milioni di euro. Un rimedio costoso, incurante degli equilibri geofisici sotterranei, della (quasi) sicura presenza di falde sotterranee, delle pietre dolomitiche (carsiche) che connotano tutto il Trentino e dei delicati strati argillosi che tengono al riparo le falde dall’inquinamento.

Vedremo tra poco, parlando del bypass, che queste soluzioni non risolvono i problemi legati all’inquinamento, ma li accentuano e non scalfiscono nemmeno le cause. Le dinamiche che muovono queste soluzioni sono sempre le stesse: non intaccare il mito dello sviluppo, della velocità, del benessere legato ad una distopia: quello che coincide con un concetto di mobilità insostenibile. Un paradosso se si pensa che Trento si autodefinisce città sostenibile.

Sostenibilità significa trovare un equilibrio tra le attività antropiche e quelle naturali, senza intaccare gli ecosistemi in maniera irreversibile. Ovvio che bucare una montagna o modificare il sottosuolo non è segno di sostenibilità, perché intacca gli equilibri geofisici ed i delicati processi naturali (anche in materia di convogliamento delle acque piovane e rifornimento delle falde acquifere).

Parcheggiare a Trento

Sono molto pochi i parcheggi a strisce bianche in centro, e quasi tutti a tempo determinato (da 15 min a max 2 ore). Anche in periferia i parcheggi liberi scarseggiano, se non in sporadiche zone. Qualche area libera si trova a Trento sud, a Villazzano o a Gardolo, dove è facile trovare stalli liberi. Ma in città diventa quasi impossibile.

Le aree di parcheggio a strisce blu hanno costi che aumentano man mano che ti avvicini al centro. Se nella zona dell’ospedale costano 50 centesimi l’ora, in centro si arriva a 2,20 € l’ora e non sempre è facile trovare un posto libero.

Noterai, infatti, che i parcheggi più grandi sono sempre strapieni, soprattutto da quando l’area di parcheggio ex Sit è stata chiusa perché il Comune ha previsto lì la costruzione di una stazione intermodale, sul Lungadige Monte Grappa.

Ma anche il grande parcheggio dell’ex Italcementi, oggi uno dei parcheggi più affollati di Trento, è destinato a chiudere. Lì nei pressi, infatti, è prevista la costruzione di uno studentato (abbiamo visto il perché nel primo racconto).

L’ex Italcementi, che era l’unico parcheggio gratuito di Trento, diventato a pagamento a fine settembre 2024 (ma solo di notte) e che presto chiuderà

In centro c’è il comodo parcheggio San Severino (a due passi da piazza Duomo), ma anche questo è sempre affollato. Funziona col disco orario (max 2 ore) ed è libero dalle 17.30 alle 8.00 di mattina dei giorni feriali (gli altri parcheggi a strisce blu, generalmente, dalle 19.30 alle 8.00 dei giorni feriali).

Il parcheggio di San Severino

Detto ciò, guidare a Trento è meno stressante che guidare in Puglia. Si guida più rilassati e non esiste che tentino a tutti i costi di fare i furbi, mettersi in seconda fila o sorpassarti ad ogni costo. Persino quando s’incontra un ciclista, si preferisce rallentare e, alla prima occasione, sorpassarlo in sicurezza anziché sorpassarlo a pochi cm di distanza (cosa comunissima in Puglia).

Al semaforo, poi, se t’attardi di qualche secondo, nessuno ti suonerà con il clacson. Mentre a Lecce sono maestri nello strombazzare la frazione di secondo prima che scatti il verde (l’ho ribattezzato l’attimo fuggente). E se t’attardi di mezzo secondo, scatta l’ouverture di clacson e bestemmie fantasiose. Qui no. Qui si guida con più rilassatezza.

Andare in montagna partendo da Trento città

funivia_trento_sardagna

Arrivare in montagna, partendo dal centro della città, è una passeggiata, nel vero senso della parola.

Spesso mi divertivo, quando avevo qualche ritaglio di tempo, a salire a piedi a Sardagna, la piccola frazione ai piedi del Bondone.

In un’oretta si arriva dal centro di Trento all’abitato di Sardagna passando per un caratteristico sentiero. A scendere ci metti 40 minuti scarsi.

Da Sardagna partono diversi sentieri per salire sul Bondone. Ne parlo meglio nella sezione in giro di questo blog.

Non solo il Bondone

Da Trento arrivi agevolmente anche sulla catena della Marzola, con le sue salite dolci verso una cima relativamente facile da raggiungere (a 1740 mt circa) oppure sul Calisio (1096 mt), attraverso il sentiero segnato o tramite la divertente e impegnativa Direttissima. Sulla Marzola e sul Calisio ci sono un sacco di punti di interesse relativi alla grande guerra (stoi, gallerie, fuciliere…).

stoi marzolacima Calisio

Altro caratteristico percorso è quello del Soprasasso, la montagna senza acqua, come la descrivono i pannelli informativi all’inizio del percorso. Questo monte è ancora più basso (850 metri), ma il dislivello è notevole. Scollinando, si arriva facilmente ai due laghi di Terlago.

Se poi non ti va di sfacchinare troppo, puoi sempre salire sul Doss Trento, una facile e piacevole salita, partendo da Piedicastello, su un dosso che conserva i reperti della Trento antica.

Doss Trento Doss Trento

Inoltre è emozionante visitare il mausoleo dedicato a Cesare Battisti 

mausoleo Cesare Battisti doss_Trento mausoleo Cesare Battisti doss_Trento

e il museo degli Alpini (a ingresso gratuito), dove conoscerai più a fondo la storia del Risorgimento e delle imprese degli Alpini.

Museo degli Alpini Doss Trento Museo degli Alpini Doss Trento Museo degli Alpini Doss Trento

Quando l’ho visitato, il simpatico alpino campano che mi ha accolto mi raccontava che pochi trentini sanno dell’esistenza di quel museo. Pensa te.

Conoscere i sentieri del Trentino

Un aiuto importante, per districarsi tra i millemila sentieri del Trentino, viene dalla SAT (Società Alpinisti Tridentini, la sottosezione trentina del CAI), che ha predisposto sul proprio sito web l’elenco dettagliato (e ben descritto) di tutti i sentieri della Provincia di Trento, con tanto di schede esplicative su dislivelli, difficoltà, altitudini, distanze, ecc. (SITO). Per me è stato un punto di riferimento imprescindibile per scoprire i tantissimi percorsi alpini che offre il Trentino.

Se vai oltre i confini cittadini l’auto serve

Se poi ti vuoi cimentare verso cime più impegnative, tipo quelle meravigliose delle Dolomiti del Brenta, o godere di paesaggi diversi, tipo quelli della val di Cembra o di Fassa, l’auto è imprescindibile.

I limiti del trasporto interurbano

Stazione_bus_Trento

Il sistema del trasporto pubblico interurbano, funziona piuttosto bene in Trentino. Collega la città a quasi tutti i paesi della Provincia. Però ovviamente è lento, per via delle numerose fermate e dei giri lunghi, per connettere più località possibile.

Se vuoi arrivare, per esempio, a Tione di Trento, ci metti un’ora e mezza. A Madonna di Campiglio ci arrivi in 2 ore e quarto. Se vuoi andare al lago di Molveno, devi districarti tra bus e treno. Giusto per capirci.

Dunque se hai tempo, ti piace la lentezza, il risparmio, l’etica della mobilità pubblica e non hai particolari esigenze di raggiungere cime impervie, l’auto in Trentino non è indispensabile, in caso contrario lo diventa.

Poi va calcolato che d’estate si può anche fare, ma d’inverno, con le ore di luce ridotte, muoversi in bus per raggiungere i percorsi in montagna è improponibile.

E poi bisogna tener conto che, durante i festivi, le corse sono dimezzate.

E non sempre si trova posto.

I bus sostitutivi

I giorni festivi il servizio di trasporto pubblico è garantito, su tutte le tratte, dai bus privati (oltre che da quelli di linea, ma con corse ridotte). Solitamente si tratta di noleggiatori privati che mettono a disposizione i mezzi che hanno. A volte si tratta di pulmini da pochi posti. Se si riempiono oltre il consentito, è capace che l’autista ti dirà che non c’è posto. E salti la corsa.

Se salti la corsa durante un festivo, è capace che non troverai altri bus per diverse ore.

O che non ne troverai proprio.

Vivere a Trento, una città verde…ma…

Trento dispone di molti luoghi dove passeggiare o rilassarsi immersi nel verde. Penso al parco di Gocciadoro o al caratteristico giardino Fratelli Bernardi, alle spalle del ponte Cavalleggeri, o ancora al parco del quartiere Le Albere (di 5 ettari!), dove, nelle giornate di sole, trovi sempre tanta gente che passa il tempo a leggere, pratica lo yoga di gruppo, gioca a pallavolo o prende il sole.

Ancora, c’è il giardino di Piazza Venezia o quello di Piazza Dante o, ancora, quello del centro culturale Santa Chiara. Ancora, il giardino di Piazza Centa o il giardino Massimiliano I d’Asburgo, molto multietnico, dove, durante la stagione estiva, incontri spesso gente che si esercita con la scherma. Di giardini o parchi del genere la città è piena e il verde pubblico è sempre ben curato.

parchi pubblici Trento

Giardino di Piazza Venezia

parchi pubblici Trento

Il giardino di Piazza Dante

parchi pubblici Trento

Il giardino di piazza di Centa, inaugurato a settembre 2024

parchi pubblici Trento

Giardino dietro al ponte Cavalleggeri

le Albere Trento

L’immenso parco delle Albere

Ma…

Tuttavia se il verde pubblico è curato, quello privato è in fase di trasformazione.

Una cosa che non tutti sanno è che una parte consistente dei boschi, in Trentino, sono proprietà private o regolate dagli usi civici.

Esattamente il 24% dei boschi, in Trentino, è proprietà privata.

Quindi il proprietario è libero di farci ciò che vuole: tagliare un albero per farci la legna, oppure farci l’orto o costruirci una casa. Ci sono dei limiti normativi, certo, ma quei boschi, in buona sostanza, sono privati.

Troppi vigneti

vigneti Trento vigneti Trento vigneti Trento

Ciò che noto è che c’è un lento e progressivo processo di disboscamento in atto, per far spazio ai vigneti.

Il Trentino è storicamente terra da vino bianco. Un ottimo bianco. Pinot nero, grigio, bianco, Gewürztraminer, Kerner, Sauvignon Blanc, Riesling, Moscato Giallo, sono solo alcuni dei vitigni più diffusi.

Il Teroldego e il Marzemino sono i vini rossi più noti, ma sono vini acerbi, aspri, dalle note acidognole. Lo noti subito e capisci il perché: non c’è tanto sole, non quanto basta per far maturare correttamente l’uva da vino rosso.

Per il bianco, si sa, basta poco sole e regge le temperature più fredde.

Storicamente questo problema del rosso veniva risolto in tutto il Nord Italia mischiando l’uva locale con quella comprata nel sud Italia, specie in Puglia.

Poi da quando le cantine del Sud si sono sviluppate, questo mercato è andato assottigliandosi.

Oggi, anche a causa dei cambiamenti climatici, la viticoltura ha avuto uno sprint inatteso, complice pure l’aumento delle temperature che, a quanto pare, presto porterà il Nord Italia ad un clima mediterraneo e il Sud Italia ad un clima desertico (leggi: come sarà il clima in montagna tra 60 anni?).

Ma l’innalzamento delle temperature, se favorisce l’uva da vino rosso, influisce negativamente sulla qualità del bianco. E quindi?

Quindi sempre più terreni sono liberati per far spazio ai vigneti, sempre più in quota, tra i 600 e gli 800 metri (e tentativi anche sopra i 1000 metri), con conseguente abbattimento di alberi. Quindi se la valle è ormai prevalentemente trasformata in vigneti, le colline o la mezza montagna stanno progressivamente arrivando alla stessa sorte.

A ciò si aggiunge la coltivazione intensiva di mele

impianti ultraintensivi di mele in Trentinoimpianti ultraintensivi di mele in Trentino  impianti ultraintensivi di mele in Trentino

 

Generalmente il Trentino è associato alla produzione di mele. E si sa che queste vengono dalla Val di Non.

Si sa meno che qui la produzione di mele è caratterizzata da campi ultra intensivi, gestiti con metodi industriali. Il ché comporta un uso massiccio di diserbanti, antiparassitari e fitofarmaci per il controllo della produzione.

Ma non è solo la val di Non ad essere interessata dai campi ultra intensivi di meli. Anche le campagne intorno a Trento, a Lavis, Zambana, Rovereto, sono ricche di coltivazioni, quasi tutte ultra intensive.

impianti ultraintensivi di mele in Trentino

E spesso, girando in bici, noti la presenza di macchine agricole che spruzzano diserbanti o antiparassitari sugli alberi. Chi guida il trattore indossa (spesso) le maschere protettive, tipo quelle militari antigas.

Ma per chi ci cammina o pedala intorno son veleni nei polmoni.

Son veleni anche per le acque, visto che secondo un recente rapporto ISPRA, in sei torrenti trentini la concentrazione di pesticidi è più alta delle soglie normative.

Da quando ho visto queste scene, mi rifiuto di comprare mele di una nota cooperativa del posto e preferisco spendere qualcosa in più e comprare dai piccoli produttori della Val di Gresta, nota per le produzioni biologiche e naturali, anche se i prezzi sono piuttosto alti. Quindi è un lusso che non ci si può concedere sempre.

Una città a cui piace lo sport

Ciclabili_Trento

Vivere a Trento ti invoglia a far sport. Del resto, abbiamo visto dalle statistiche, che è la prima città d’Italia per indice di sportività.

Il Comune di Trento e la Provincia, attraverso i loro enti strumentali, infatti, gestiscono una mole impressionante di strutture sportive, tra palazzetti dello sport, campi da calcio, da rugby, pallavolo, palestre di roccia…c’è davvero l’imbarazzo della scelta.

Ma non sono solo le strutture ad essere frequentate. La città è una sorta di campo di allenamento a cielo aperto. Durante tutto l’anno, anche nelle giornate di pioggia, trovi sempre qualcuno che corre nei parchi, in città o che va in bici, lungo le svariate ciclabili, soprattutto lung’Adige.

Il ciclismo è sicuramente lo sport più diffuso. Durante i fine settimana le piste ciclabili sono letteralmente prese d’assalto da ciclisti di vario genere: dai cicloamatori e cicloturisti alle squadre ciclistiche amatoriali e professionistiche.

Anche il running è ampiamente diffuso. Ma non è infrequente imbattersi anche in pattinatori. Visto che quella del pattinaggio è praticamente la stessa tecnica dello sci, gli sciatori usano allenarsi con i pattini d’estate.

Poi sul Garda, sulla piana delle Viote o nei pressi di Rovereto è facile imbattersi in numerosi atleti di parapendio, uno sport ampiamente diffuso in zona.

parapendio

C’è anche chi si diletta nel trekking, con lo zaino da parapendio in spalla e poi, giunti in cima, tornano a valle volando!

Lo sci, uno sport per pochi

Se decidi di andare a vivere a Trento sappi che d’inverno lo sci è lo sport prediletto dai trentini. Tutti quelli che conosco, lo praticano. Come sono in tanti a praticare lo sci alpinismo.

Certo è un po’ grottesca l’immagine di frotte di sciatori lungo isolate lingue bianche su montagne prive di neve, incuranti del fatto che lo sci è uno sport in via di estinzione.

Uno sport che sopravvive solo grazie ai cannoni spara neve.

cannoni_sparaneve

Ormai i cambiamenti climatici ci hanno abituati a vedere montagne prive di neve, ghiacciai che fondono e il permafrost che si degrada inesorabilmente.

Il ghiacciaio della Marmolada, per esempio, fonde a ritmi impressionanti e sparirà del tutto entro una ventina d’anni. Eppure si continua come se nulla fosse.

Anzi, non esattamente. Si continua ad investire sugli impianti sciistici con la stessa dinamica per cui è stato introdotto il pass a pagamento a Venezia.

Mantenere i cannoni sparaneve ha un costo, che diventa via via più elevato al ridursi progressivo delle nevicate naturali.

Quindi se decidi di andare a sciare, oltre al costo dell’attrezzatura, calcola anche un costo elevato per lo skipass. Costi destinati a salire negli anni.

Se per fare fondo, sul Bondone, bastano una decina di euro al giorno, per fare discesa, i costi si decuplicano.

Sulla Paganella, per esempio, uno skipass per adulto può arrivare a 70 euro al giorno. In alta stagione costa 61, se fai il biglietto online. Gli adolescenti pagano 41 euro e i bambini 30 (sempre online).

Quindi una famiglia con due figli adolescenti arriva a pagare 416 euro per un weekend sulla neve (artificiale).

Se non hai mai sciato, devi mettere in conto anche il costo dell’istruttore. Le lezioni individuali variano dalle 50 alle 70 euro al giorno, per un paio d’ore. Le lezioni collettive hanno costi più accessibili, ma calcola che così si impara di meno.

Un buon modo per capire se lo sci è uno sport che fa per te, è andare all’open ski day (maggiori info qui), che di solito coincide con l’apertura della stagione sciistica. In questa giornata vengono organizzati corsi collettivi gratuiti e anche il noleggio dell’attrezzatura lo è (sci, bastoni e scarponi).

A me non dispiace sciare, ma per una questione etica ho preferito non proseguire con questo sport.

La montagna d’estate

cima Calisio

Se d’inverno lo sci la fa da padrone in montagna, con l’inizio delle belle giornate, più lunghe, la montagna cambia volto.

Diverse strutture ricettive, che gestiscono gli impianti di risalita, si sono reinventate per tenere aperti gli impianti anche d’estate.

E’ il caso della Paganella bike, che propone diversi bike trial per diverse discipline. In pratica si usano gli impianti di risalita per arrivare in cima e, da lì, si scende in bici lungo i percorsi tracciati.

Ma anche sul monte Baldo la funivia è aperta tutto l’anno. D’inverno per lo sci e d’estate per i tantissimi turisti che, da qui, possono godere di un’incantevole vista, dall’alto, sul lago di Garda. Idem per le seggiovie di Madonna di Campiglio.

Sul Latemar la seggiovia è attiva tutto l’anno e se d’inverno lo è per lo sci, d’estate è attiva per far salire frotte di turisti in parchi giochi per bambini appositamente realizzati a 2000 metri d’altezza.

Pratiche, quelle di facilitare la salita in montagna, che portano in cima gente d’ogni tipo. Anche gli zozzoni. E contribuiscono al fenomeno dell’overtourism in montagna, oggetto di accesi dibattiti e di radicali prese di posizione.

parco_giochi_Latemar

Tra tutte le prese di posizione più radicali questa è quella che preferisco, sia per la lucidità di analisi che per la verve usata dall’autore, Andrea Castelli. Già dal titolo si intuisce la critica a ciò che la montagna è (e non dovrebbe essere), che sposo completamente: Quelli che..”il turismo sostenibile”: tra bici strazzaboschi e lancio in parapendio a Land Rover, sci con petardi e ”c’è il wi-fi” in vetta. O loro o l’ambiente.

Trekking e hiking di massa

La montagna d’estate coincide con le attività di hiking, trekking, nordic walking, arrampicata, scalata, ferrata.

In questo periodo viene letteralmente presa d’assalto dal popolo degli escursionisti.

Quello del trekking di massa in montagna è forse il fenomeno che più di tutti contribuisce al mutamento del rapporto tra essere umano e montagna e al degrado della sacralità della montagna.

Sono, infatti, sempre più frequenti gli incidenti in montagna. Vuoi per pura sfiga, vuoi per una sempre crescente presenza di gente impreparata ad affrontare le insidie della montagna.

Sin da piccolo seguivo con entusiasmo le imprese di Reinhold Messner e, grazie a lui, ho interiorizzato un aspetto che, secondo me, è fondamentale nell’approcciarsi alla montagna: il senso misto di sfida e rispetto.

Reinhold_Messner

Reinhold Messner e Peter Habeler. Fonte.

Sfidare la montagna è un rischio. Rispettarla è un dovere morale. Perché la montagna sa essere generosa e crudele allo stesso tempo. Ti regala viste magnifiche, sensazioni di appagamento uniche, ma ti toglie tanto – a volte anche la vita – se ti ci approcci con superficialità, arroganza e disattenzione.

Il mio primo paio di scarponi da montagna

La prima cosa che ho fatto, pochi giorni dopo essere arrivato a Trento, è stato di comprare un paio di scarponi da montagna. Non li avevo mai indossati. Di solito usavo scarpe da trekking per salire su cime piuttosto basse (tra i 1000 e i 1500 metri) e su sentieri praticabili. Qui a Trento avevo intenzione di salire su cime più elevate (dai 2000 ai 3000 metri) percorrendo sentieri più ostici. Quindi mi servivano dei buoni scarponi.

Sono pesanti, rigidi, ma in pratica lo scarpone da montagna, a differenza di una comune scarpa da trekking, ti assicura il piede anche su terreni instabili. La suola è come una sorta di tavola rigida e ti permette di avere un passo più sicuro e un aggrappamento al terreno che nessun altro tipo di scarpa ti consente di avere.

Oltre a ciò, ho preso un paio di bastoncini da trekking che, come ho detto in altre occasioni, spesso si rivelano indispensabili. In molti casi mi hanno salvato la salute (e, in un paio di occasioni anche la vita), perché sono come due piedi aggiuntivi, che ti permettono di mantenere o ritrovare l’equilibrio, specie in discesa. In salita, poi, ti alleviano di molto la fatica.

Questi sono elementi per me imprescindibili a cui ho aggiunto, durante l’inverno, un paio di ramponcini.

ramponcini

I ramponi sono indispensabili per camminare in sicurezza su tracciati innevati o ghiacciati. Ma non sono la sicurezza assoluta, perché sulla neve fresca o in fase di scioglimento possono essere inefficaci.

Mai strafare in montagna

ultima salita monte Altissimo

La regola fondamentale in montagna è di seguire il proprio intuito.

Mi è capitato spesso di tornare indietro quando la “vocina interiore” mi diceva di farlo. Anche quando ero quasi ad un passo dalla meta.

Se un certo sentiero non ti convince, perché magari quel giorno non sei al massimo delle energie oppure non ti senti in grado di proseguire, la cosa più saggia è di fermarsi e tornare indietro. Idem se trovi un sentiero chiuso. Se c’è scritto che è chiuso, un motivo ci sarà: frane, manutenzione straordinaria, smottamenti, ecc.

Le sfighe possono capitare, certo. Ma la cronaca locale ci restituisce una realtà per cui buona parte degli interventi del soccorso alpino avvengono non per incidenti dovuti alla casualità, ma per impreparazione, inadeguatezza dell’attrezzatura e, in generale, mancanza di buon senso. Tipo, per esempio, percorrere sentieri chiusi o non seguire i sentieri.

Tante sono le persone che salgono in montagna con le scarpe da tennis. Tantissime con abbigliamento inadeguato.

C’è persino chi si avventura di sera pensando di farcela a raggiungere un rifugio o un bivacco ma non calcola bene i tempi e, arrivata la notte (e il freddo), non riesce a trovare un riparo. Oppure è senza frontalino e magari usa la torcia del cellulare (che non serve a una cippa).

Gente che parte senza consultare il meteo, capirci di zero termico in inverno o gente che si trova avvolta nella nebbia in cima, decidendo di proseguire alla cieca anziché tornare indietro. Peggio ancora, gente che non si porta dietro l’acqua e viene rirovata disidratata e a rischio vita.

Questi fenomeni hanno generato un interessante dibattito, sempre più sviluppato, che ha messo in luce anche un j’accuse nei confronti dei promotori della montagna.

E hanno anche prodotto una simpatica reazione da parte del Soccorso Alpino.

La montagna intesa come un parco giochi anziché per quella che è: un territorio aspro, difficile, complesso, per cui avere rispetto ed in cui avventurarsi con l’attrezzatura necessaria e la consapevolezza che in montagna tutto può accadere e bisogna prevedere ogni evenienza.

Il problema dei grandi carnivori

Poi c’è, in Trentino, l’annosa questione del rapporto tra gente e grandi carnivori.

Una questione che, negli ultimi due anni, ha toccato l’apice, specie dopo la morte del giovane Andrea Papi, il ragazzo ucciso dall’orsa JJ4 mentre correva in montagna.

Per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un passo indietro.

Life Ursus

orso Trentino

Foto di Alberto Rech

Correvano gli anni Novanta. L’orso in Trentino si era estinto da ormai mezzo secolo, a causa della caccia selvaggia che non risparmiava nemmeno i cuccioli di orso (per approfondire, qui trovi un preciso resoconto sulla progressiva estinzione dell’orso trentino nel secolo 1850-1950).

Fu così che la provincia Autonoma di Trento, supportata da movimenti animalisti e dalle istituzioni europee, decise di riportare l’orso in trentino, non quello autoctono (ormai estinto), ma quello sloveno.

C’è chi dice che la scelta fu di carattere turistico, chi invece attribuiva un profilo naturalistico alla sperimentazione, chi, infine, metteva l’accento sul dato storico (ripristinare una fauna estinta) anche se, va ribadito, con una specie diversa da quella autoctona.

Come si legge sul sito istituzionale del Parco Adamello Brenta:

Nel 1996 è partito il Progetto Life Ursus per la tutela della popolazione di orso bruno del Brenta finanziato dall’Unione Europea.

Promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (ISPRA).

Lo Studio di fattibilità ha deciso di reintrodurre gli orsi sul Brenta. 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età tra 3 e 6 anni) sono stati scelti per ricreare in 20-40 anni una popolazione di orsi di 40-50 individui. Le aree idonee (il Trentino occidentale e le province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona) coprivano oltre 1700 km2.

Numerosi i partner che hanno collaborato all’iniziativa. Accordi operativi, oltre che con le quattro province confinanti con Trento, sono stati fatti anche con l’Associazione Cacciatori Trentini, che collabora tuttora anche al monitoraggio degli orsi, con il WWF – Trento e con numerosi altri enti, organizzazioni ed associazioni di categoria.

In riferimento al parere della popolazione locale sul rilascio di orsi in Trentino, continua:

La fase preparatoria del progetto ha previsto anche un sondaggio di opinione (affidato all’Istituto DOXA di Milano) che ha coinvolto più di 1500 abitanti dell’area. I risultati sono stati sorprendenti: più del 70% ha dichiarato di essere a favore del rilascio di orsi nell’area. La percentuale ha raggiunto addirittura l’80% con l’assicurazione di adottare misure di prevenzione dei danni e gestione delle situazioni di emergenza. ll Parco ha pianificato questi provvedimenti nelle Linee Guida.

Oggi la gente la pensa all’opposto

Oggi, a distanza di 24 anni, la popolazione ha cambiato completamente idea. Nel luglio 2024, in poco meno di 24 ore, sono state raccolte più di 6000 firme per chiedere un referendum per sbarazzarsi degli orsi in Trentino.

Secondo un sondaggio Doxa, commissionato da Trentino Sviluppo, più del 70% dei trentini è contrario alla presenza dell’orso.

Per capire come siamo arrivati ad oggi, occorrono giusto un paio di considerazioni.

Intanto l’orso sloveno è ben diverso dall’orso autoctono trentino. Quest’ultimo, sotto certi versi, poteva essere associato all’orso marsicano, presente in centro Italia, molto più piccolo e meno aggressivo.

Dal punto di vista iconografico facciamo riferimento al quadro che ritrae San Romedio che doma un orso. E’ certamente un’iconografia, quindi non reale, ma ci dà l’ordine di grandezza di com’era l’orso autoctono.

Eremo di San Romedio

L’orso è un animale schivo, che evita il contatto umano e, quando è avvenuto, è stato pressappoco per questi motivi:

  • né l’uno né l’altro si sono accorti della rispettiva presenza;
  • si trattava di mamma orsa che, notoriamente, per istinto materno, aggredisce per proteggere i cuccioli. Ma sempre se te la ritrovi a poca distanza;
  • l’orso è diventato più confidente a causa dei comportamenti scorretti della gente.

La Provincia di Trento ha predisposto, negli anni passati, numerosi segnali che indicavano, con linguaggio semplice, le basilari norme di sicurezza in caso di incontro ravvicinato con l’orso. Segnali che si trovavano facilmente in ogni imbocco di sentiero di montagna dove è presente l’orso.

Norme che, se seguite, come nel caso del turista francese, possono salvare la vita. Qui trovi un approfondimento. Anche se, va detto, s’è poi scoperto, tramite la LAV (Lega Anti Vivisezione) che il turista stava correndo nel bosco e, quindi, pare non abbia seguito tutte le regole di prevenzione (ma solo quelle in caso di incontro ravvicinato), aspetto tenuto nascosto dalla Provincia, secondo la LAV, e che poi ha portato all’abbattimento dell’orsa Kj1 (e all’abbandono dei cuccioli alla loro sorte).

segnali vecchi presenza orso Trentino agosto 2024

Tuttavia nell’agosto del 2024 questi segnali sono stati sostituiti con altri.

segnali nuovi presenza orso Trentino agosto 2024

Questa è una regressione rispetto al passato, perché presuppone un passaggio in più per l’escursionista: inquadrare il QR code e leggere le norme di comportamento sul web, anziché direttamente sul cartello. E se in quell’area non c’è connessione? E se ha la batteria scarica?

La sostituzione dei cartelli la vedo come una provocazione da parte della Provincia che – come sappiamo – ha preso una posizione netta: sbarazzarsi degli orsi problematici. Ma, a causa degli atteggiamenti scorretti di molta gente, gli orsi problematici, presto, diventeranno tutti gli orsi. E sbarazzarsi di tutti gli orsi temo sia la reale politica della Provincia che, nel bilanciamento degli interessi tra quello naturalistico e quello elettorale, sembra sbilanciarsi verso quest’ultimo.

Quante aggressioni ci sono state finora?

Stando al sito ufficiale della Provincia di Trento,

Negli ultimi 150 anni, ad oggi in Italia sono documentate 9 aggressioni da orso nei confronti dell’uomo, di cui una fatale. Esse sono avvenute in Trentino, tutte in seguito ad incontri ravvicinati involontari.

Specifica inoltre che

Anche a livello europeo, così come riscontrato finora in contesto provinciale, lo scenario di attacco prevalente è quello a seguito dell’incontro di un’orsa con piccoli dell’anno.

Casi rari e piuttosto isolati, se parametrati alla massiccia presenza di gente in montagna, in ogni stagione dell’anno. Difatti conosco alpinisti che hanno passato una vita in montagna e hanno solcato sentieri sul Bondone o sull’Adamello o sul Brenta (zone di massiccia presenza dell’orso), senza mai vederlo, manco col binocolo.

Quanti orsi ci sono in Trentino?

Stando ai dati ufficiali, il numero minimo certo di animali giovani e adulti (cuccioli esclusi) identificati geneticamente nel 2021 è stato pari a 69.

Ma si stima che ci siano circa 100 esemplari di orso. Almeno queste sono le stime ufficiali, dato che la Provincia di Trento non monitora tutti gli orsi presenti. Potrebbero anche essere di più o di meno.

Un numero non elevatissimo. Come non elevato è stato il numero di aggressioni.

Ma la morte di Andrea Papi e gli avvistamenti dell’orso che, seppur infrequenti, sono amplificati dai media, hanno esasperato gli animi dei residenti.

Dove si trovano gli orsi?

Gli orsi non si trovano ovunque in Trentino, ma solo in determinate zone. Grossomodo, l’area di maggiore presenza dell’orso è quella del Trentino occidentale.

Quindi si trovano sul Bondone, nel parco Ademello-Brenta, sulla Paganella, sul Soprasasso, in val di Non, val di Sole e, in genere, sul lato ovest del Trentino.

Questo perché la scelta iniziale è stata quella di popolare l’area delle Dolomiti del Brenta (e le aree limitrofe).

La presenza del fiume Adige e dell’autostrada del Brennero hanno impedito all’orso di sconfinare sui monti del versante orientale (Marzola, Calisio, Vigolana, Pasubio, ecc.). Anche se c’è da dire che l’orso sloveno è stato avvistato sulle prealpi venete e non è da escludersi che prima o poi inizi a popolare anche queste zone finora libere.

Il problema non sono gli orsi. I problemi sono altri

La montagna trentina è eccessivamente antropizzata e sorgono case, malghe e rifugi ovunque.

L’orso, animale predatore, spesso è stato protagonista di uccisioni di animali da allevamento. Emblematico è il caso dell’asinello Olmo, mascotte di Sopramonte, trucidato dall’orso, che se n’è nutrito. Approfondendo la questione, si scopre che il recinto dove era custodito Olmo era al limitare del bosco e la rete metallica non ha retto allo sfondamento.

Poi va detto che alcuni esemplari di orso sono divenuti via via più confidenti anche a causa delle abitudini scorrette di alcune persone che vivono a ridosso dei boschi, che li hanno abituati a trovare cibo facile, attirando gli orsi sempre più vicino ai centri abitati (solo ora si inizia a discutere di installare bidoni anti orso).

Infine l’overtourism porta in montagna gente impreparata e incosciente. Tra questi anche chi si addentra nei boschi e non segue i sentieri, invadendo le zone selvatiche e aumentando così il rischio di imbattersi negli orsi.

Lo sappiamo. L’orso è un animale intelligente. Fiuta i percorsi battuti dagli esseri umani e se ne sta alla larga.

Ma se è l’uomo ad avvicinarsi ai suoi, di ambienti? E se lascia in giro rifiuti organici? Ciò induce l’orso a modificare le sue abitudini e diventare sempre più confidente.

Gli ordini di abbattimento

Ecco che la politica ha risposto prontamente, con ordini di abbattimento per ogni orso che si è mostrato problematico (ergo: ha aggredito qualcuno, anche solo per difesa oppure s’è semplicemente sfamato).

Da qui è nata una querelle politico-giudiziaria che ha portato ad ordini di abbattimento, ricorsi degli animalisti, sospensive da parte dei giudici amministrativi, querele e, persino, richieste di archiviazione di procedimenti penali da cui è emerso che un paio di orsi trovati morti, sono stati uccisi da armi da fuoco anziché, come inizialmente sosteneva la Provincia, per altre cause.

Insomma, il rapporto tra orsi ed esseri umani, qui in Trentino, è tutt’altro che equilibrato, come invece dovrebbe essere secondo i principi che regolano l’attività politico-amministrativa.

Come si risolve?

Non è facile trovare una soluzione. In Abruzzo hanno adottato una linea ben precisa: limitare l’accesso a determinati sentieri. Ma lì, dicevo, hanno l’orso marsicano, che è di tutt’altra pasta rispetto a quello sloveno. E soprattutto la montagna non è così antropizzata come in Provincia di Trento.

Comunque una cosa è certa: ammazzare un essere vivente, perché si è difeso per istinto o perché diseducato o attratto dall’essere umano, non è la soluzione. E’, semmai, l’ennesima dimostrazione dell’antropocentrismo estremo, per cui l’essere umano decide delle sorti della Natura e di chi la abita, anziché tentare di conviverci, ma soprattutto che la politica preferisce la propaganda e le risposte di pancia invece di individuare soluzioni complesse, che bilancino i diritti di tutti: dei residenti, ma anche dell’orso, perché pure l’orso ha diritto di vivere.

Manifesti affissi a Trento a difesa dell’orso

Vivere a Trento tra piste ciclabili non sempre chiare

ciclabili Trento

Chi, come me, adora usare la bici tutti i giorni, non solo come forma di allenamento ma come mezzo di trasporto principale, adorerà il fatto che Trento è ricca di piste ciclabili.

Ma attenzione, non è tutto oro quello che luccica.

Intanto va detto che le ciclabili ci sono, ma sono molto, molto meno razionali rispetto alla vicina Bolzano.

A Bolzano le ciclabili sono intuitive e riesci a percorrere tutta la città in bici senza perderti.

A Trento le ciclabili spesso si interrompono e non è così intuitivo capire se, nelle vicinanze, ce ne sta un’altra o se si interrompe e basta.

Per capirci, basta consultare la mappa delle ciclabili a Trento e nelle principali frazioni (download).

L’irrazionalità delle ciclabili a Trento non si ferma qui

Premesso che non è facile creare una ciclabile in una città, perché bisogna tener conto dello stato dei luoghi, degli spazi minimi previsti dalla legge per strade e marciapiedi, degli incroci, della presenza di ostacoli, ecc., va però detto che il sistema delle ciclabili a Trento non è intuitivo.

A volte trovi l’area pedonale ben delimitata, come in questo caso.

ciclabili Trento

Altre volte trovi la ciclabile promiscua (cioè non delimitata), come in questo caso.

 ciclabili Trento

In altri casi ancora, l’uso è promiscuo e non regolamentato. Nel senso che non ci sono strisce di delimitazione tra area pedonale e ciclabile.

ciclabili Trento

Inoltre spesso trovi (come regola vuole) la corsia pedonale sul lato più lontano della strada e la ciclabile su quello bordo strada. Altre volte è il contrario, come, per esempio, sulla ciclabile di corso 3 novembre.

Ciò genera confusione tra i pedoni. Non è infrequente che un pedone “invada” la ciclabile, costringendo i ciclisti a scampanellare oppure evitare il pedone sconfinando nella pista pedonale, con conseguenze immaginabili.

La destra a Trento non piace (e meno male… ma non per strada)

Poi c’è un’altra cosa che mi ha stupito di molti ciclisti trentini. Non hanno ben chiara la regola del tenere la destra.

Sovente mi capita, quando incrocio un ciclista che viene dalla direzione opposta, che non sa bene dove buttarsi. I più si buttano a sinistra.

Tu, ovviamente sai che – almeno che non stiamo nel Regno Unito – la regola generale vuole che tieni la destra. Quindi tu ti butti a destra e il ciclista di fronte si butta a sinistra. E sistematicamente si evita l’impatto all’ultimo secondo.

Non ho mai capito il perché. Forse questa confusione dipende, appunto, dal fatto che le piste non seguono una regola comune (come a Bolzano), o forse perché i trentini, sentendosi autonomi, si rifiutano inconsciamente di accettare la regola del tenere la destra. Vallo a sapè.

Di buono c’è, però, che nella totalità dei casi ti chiedono scusa, anche quando magari è colpa tua. Questo, come dicevo nell’articolo precedente, dipende dalla cultura dei trentini, che evitano qualsiasi forma di conflitto e si mostrano sempre cordiali ed educati.

Il trasporto pubblico urbano

Se non ti è possibile muoverti a piedi o usare la bici, il trasporto pubblico urbano è un’ottima soluzione.

Il trasporto urbano, composto da bus e treni locali, collega bene tutta la città e le frazioni più vicine (Povo, Gardolo, Cognola, Civezzano, Villazzano, Ravina, ecc.) e le corse sono piuttosto frequenti.

Il treno è una soluzione veloce e collega diversi paesi (la ferrovia locale collega Malè a Trento e Trento a Bassano del Grappa, con alcune comode fermate cittadine).

Il bus è la soluzione più versatile, che copre tutta la città e le frazioni.

Certo, anche qui ci sono diversi disagi, tra ritardi e scioperi sempre più frequenti (legittimi, tra mancati rinnovi e condizioni di lavoro insicure), ma il servizio funziona bene.

A differenza di altre città qui i costi non sono proibitivi, anzi. A condizione, però, che ti fai l’abbonamento o la tessera a scalare, sennò paghi un po’ di più.

L’abbonamento annuale al bus e al treno urbano costa davvero poco (ad oggi, 259 euri), ma non l’ho mai fatto perché preferivo muovermi in bici. Quindi il trasporto pubblico l’ho usato sporadicamente.

Poi c’è il capitolo funivia

Mi è capitato, infatti, di pagare 10,00 € due biglietti andata e ritorno per Sardagna, con la funivia.

Una bellissima esperienza, ma piuttosto costosa.

funivia_trento_sardagna funivia_trento_sardagna

Solo dopo ho scoperto che con la tessera a scalare mi sarebbe costato 4,40 €, perché Sardagna è frazione e salirci con la funivia è considerata una corsa urbana. Quando ci sono risalito, con la tessera a scalare, ho scoperto il reale costo.

A quanto pare la politica di Trentino trasporti è di far pagare di più (molto di più) i turisti o chi usa sporadicamente questo servizio.

Come li faccio i biglietti?

funivia_trento_sardagna

Come dicevo, esiste la tessera a scalare, che è una tessera magnetica che ricarichi come fosse una sim card. La puoi acquistare ovunque (tabacchi, stazione del bus, ecc.) e non è nominale.

La trovavo molto scomoda, sia perché non sai esattamente a quanto ammonta il credito residuo, sia perché ti devi ricordare di timbrare all’entrata e all’uscita, sennò rischi di pagare la corsa più costosa, perché ti applicano il tragitto più lungo (un po’ come accade se perdi il biglietto d’ingresso in autostrada).

E infatti l’ho usata giusto il tempo di finire il credito e poi son passato all’app Openmove.

E’ stata sviluppata da una società di Rovereto e ti dà la possibilità di visualizzare le corse, con i tempi di percorrenza precisi (calcola anche quanto ci metti a piedi da dove ti trovi alla fermata più vicina) e di acquistare il biglietto con un tap. Per convalidare basta scansionare il Qr code che si trova su ogni bus (urbano e interurbano).

Se la usi per salire sul treno ricorda che il Qr code si trova in stazione, accanto a (quasi) ogni obliteratrice.

Tuttavia l’app Openmove non sempre funziona bene. A volte si blocca. Ma ci sono altre app (che non ho usato) che trovi elencate qui.

Conviene sempre usare le app oppure la tessera a scalare (o l’abbonamento, se decidi di restare qui a lungo), perché fare i biglietti direttamente sul bus costa molto di più (2 euro anziché 1,10 per il trasporto urbano).

Vivere a Trento con l’inquinamento

Muoversi in bus o in treno è la migliore soluzione anche per attenuare un problema che attanaglia Trento ma che non ti aspetteresti da una città di montagna, che promuove la propria immagine come città green, dove si respira aria sana.

Parlo dell’inquinamento atmosferico.

I bollettini ufficiali dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente (APPA) rilevano come la qualità dell’aria sia moderata, ossia abbia alte concentrazioni di PM 2.5 e di O3, cioè di polveri sottili e di ozono. Ciò dipende da svariati fattori, in primis dall’inquinamento dovuto ai mezzi a motore.

Non è che il traffico veicolare in città sia poi così superiore rispetto alla media delle altre città. Il fatto è che al traffico veicolare intenso in città si somma un’autostrada, quella del Brennero, che rasenta il centro abitato e che, spesso (molto spesso) è intasata, per i motivi più vari.

L’autostrada del Brennero è molto frequentata dai mezzi pesanti, in quanto arteria principale che connette l’Italia all’Austria e alla Germania, dunque il traffico di merci passa praticamente solo da qui.

Così si esprime Il Dolomiti (il quotidiano più serio che ho trovato finora), a proposito del rapporto Mal’Aria di Legambiente (2023):

Ci sono anche Trento e Bolzano nel blocco delle peggiori 12 d’Italia, per quanto riguarda l’inquinamento da biossido di azoto, che ”devono lavorare di più per ridurre le loro concentrazioni e adeguarsi ai nuovi target” entro 7 anni. Addirittura ”impiegherebbero più di 15 anni a risanare l’aria mantenendo le attuali tendenze di diminuzione” mentre l’obiettivo target va raggiunto entro 7 anni (nel 2030 dovrebbero entrare in vigore i nuovi parametri per una maggiore tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini).

A ciò si sommano i lavori per l’alta velocità. Il cosiddetto Bypass. Si chiama così perché il tratto ferroviario dell’alta velocità bypasserà il centro urbano passando sotto la collina est.

Questo, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbe ridurre il traffico merci su gomma, per ovviare all’inquinamento dell’aria prodotto dai mezzi pesanti.

Ma non è detto che avverrà. Alla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) non interessa se lo spostamento di merci inquina. Interessa solo il costo, diretto e indiretto. Se, nell’analisi dei costi, il trasporto su gomma sarà più conveniente del treno, continueranno ad usarlo.

E comunque il rimedio è peggiore del male.

Si è infatti scoperto che i terreni dell’ex scalo Filzi, dove si stanno svolgendo i lavori per l’alta velocità, hanno indici di inquinamento ben superiori alle norme e di gran lunga più in superficie rispetto a quanto dichiarato da RFI (Rete ferroviaria italiana, uno dei proponenti del progetto).

Dunque gli scavi per il bypass fanno emergere ulteriori sostanze inquinanti, in una zona densamente abitata e frequentata. Sostanze, come il piombo tetraetile che, immesso nell’atmosfera, finisce per depositarsi ovunque, specie nei polmoni di chi frequenta quella (densissima) zona.

Difatti, leggendo qui, s’è scoperto che l’area di Trento Nord

cioè l’ex zona industriale Carbochimica e Sloi – società che produceva miscele antidetonanti per benzine, costituite da piombo tetraetile, dibromoetano e dicloroetano e che dal 1947 iniziò anche la lavorazione di ipoclorito di sodio

presenta

180 tonnellate di piombo tetraetile (…) finite per essere assorbite dal terreno, arrivando ad una profondità di 15 metri. Solo un sottile strato di argilla di 20 centimetri terrebbe momentaneamente al sicuro la falda acquifera dell’Adige sottostante.

Tuttavia ho riscontrato scarsa attenzione, dai trentini che ho conosciuto finora, rispetto a queste problematiche ambientali. Anzi, quando ne parlavo, al lavoro, mi sentivo rispondere che Trento ha molti meno problemi rispetto a tante altre città d’Italia e che “comunque sei del Sud, voi avete un sacco di problemi di spazzatura”.

Un po’ come quando ad un cretino fascio gli dici che è un cretino fascio e lui ti risponde “e allora Bibbiano?!?!”.

Ossia: azzo c’entra la spazzatura? Ogni territorio ha i suoi problemi ambientali, ma qui si parla di livelli di inquinamento preoccupanti e di un’opera pubblica che sta massacrando una città e tirando fuori terra piena zeppa di idrocarburi, che non si sa come sarà bonificata e quali impatti avrà sulla salute pubblica e sull’ambiente.

Gli unici soggetti che sembrano avere a cuore questa problematica sono il gruppetto degli anarchici, che hanno predisposto una campagna informativa molto particolareggiata che, però, ha avuto pochissimo seguito.

Sta prevalendo, infatti, l’idea che il bypass sia un’opera strategica, essenziale per lo sviluppo economico. Uno sviluppo che rafforza la differenza tra luoghi di produzione e luoghi di consumo e si preoccupa di farlo in modo rapido (spostare merci, senza curarsi magari di investire per produrle in loco) senza tener conto delle fragilità geologiche e della salute pubblica.

L’alta velocità passerà sotto la catena della Marzola e la collina che ospita le frazioni di Martignano, Povo, ecc. Colline carsiche, dove gli equilibri geologici sono delicatissimi e favoriscono una caratteristica fondamentale del Trentino: l’abbondante presenza d’acqua.

Come disse un amico montanaro a proposito di discussioni sull’alta velocità, io le montagne preferisco scalarle, a passo lento, non correrci dentro. La logica del bypass, invece, è l’opposto: bucare la montagna, come fosse un inerte, senza curarsi delle conseguenze.

Gli equilibri geologici, qui, saranno compromessi ed i corsi d’acqua saranno ineluttabilmente inquinati.

E già alcuni, in Trentino, lo sono. A proposito. Com’è l’acqua a Trento?

Tanta acqua, ma…

Vivere a Trento significa non avere necessità di comprare l’acqua. Il Trentino è una regione ricchissima di acqua. Ovunque andrai troverai corsi d’acqua, torrenti, fiumi, ruscelli.

Le fontanelle d’acqua pubblica, sia in città che nei paesi, sono quasi sempre a getto continuo e l’acqua, di conseguenza, è sempre bella fresca, anche d’estate.

Le fontanelle sono sparse un po’ ovunque in città (meno che a Trento Sud), ma quella migliore si trova (per ora) sul versante della Marzola, quindi sul lato orientale della città.

Almeno finché non sarà interessata dalle trivellazioni per l’alta velocità.

L’acqua del Bondone è sì buona, ma è decisamente migliore quella della Marzola.

Non sono io a dirlo, ma le analisi della qualità dell’acqua che Dolomiti Energia fa periodicamente, analizzando non solo le forniture private, ma anche tutte le fontanelle pubbliche.

Dopo settimane di confronti tra le varie analisi, sono giunto a questa conclusione. Ma storcevo il naso nel vedere alte concentrazioni di sostanze inquinanti, tra cui l’arsenico.

Scavando più a fondo è emerso che la qualità dell’acqua, in Trentino, non è così alta come ci si aspetterebbe da una città di montagna.

Ciò è consacrato in uno studio condotto nel triennio 2020-2022 dal Centro Nazionale per la Sicurezza delle Acque (CeNSiA) in coordinamento con il Ministero della Salute per cui nelle acque trentine sono stati ritrovati  elementi come arsenico, escherichia coli, nitrato, piombo, enterococchi e floruro.

Per quanto riguarda invece gli indicatori relativi al colore e odore dell’acqua, i parametri sanitari hanno riguardato la presenza di alluminio, ammonio, batteri, ferro, sodio. I risultati del Trentino sono, quindi, i peggiori a livello nazionale. L’Emilia Romagna e il Piemonte, invece, risultano le regioni con la miglior qualità dell’acqua, collocandosi al primo posto della classifica.

Che la scarsa qualità dell’acqua derivi da un’eccessiva antropizzazione della montagna? O da sversamenti illeciti? Oppure dall’uso smodato di fitofarmaci, come abbiamo visto, per gestire gli impianti ultraintensivi di meli e uva? Non lo sappiamo. Forse la causa è una di queste, forse è la somma di queste.

La sanità pubblica

Mi auguro che tu non abbia mai bisogno di andare al pronto soccorso dell’ospedale Santa Chiara, perché potresti dover aspettare per ore e ore prima di ricevere assistenza, in quanto generalmente il pronto soccorso è sempre molto affollato.

All’atto dell’accettazione ti visiterà un infermiere, che valuterà il tipo di problema che hai, lo stato di salute generale e ti assegnerà un codice (i soliti: bianco, verde, arancione, ecc. a seconda della gravità).

Se ti hanno dato un codice bianco o verde, sappi che dovrai pagare il ticket, per un importo massimo di 50 euro.

Il problema non è tanto il pagamento del ticket (anche se, a onor del vero, in molti ospedali del Sud Italia ho trovato più rapidità, professionalità e non ti chiedono di pagare nulla, questo giusto per sottolineare che l’efficienza non dipende dal contesto geografico), quanto il fatto che se non sei residente, sei discriminato. Lo abbiamo visto anche con la questione del contributo affitto.

Se in ospedale ti prescrivono degli accertamenti ulteriori, puoi optare per farli presso le strutture pubbliche o presso strutture private convenzionate.

Giusto, no?

Qui no, se non sei residente.

Se non sei residente non hai accesso alle strutture convenzionate e sei obbligato a optare per quelle pubbliche.

Quando prenoti la prestazione, l’APSS (l’Azienda provinciale per i servizi sanitari) ti darà le date libere e, anche per un esame banale, non se ne parla prima di 3 o 4 mesi. E non è detto che la prestazione sarà resa presso il Santa Chiara. Potrebbero indicarti altri ospedali, come quello di Tione o di Rovereto o di Malé.

Siccome il ticket non è poi così basso e ci devi aggiungere pure il tempo e il costo per arrivare in un ospedale periferico, fai prima ad andare dal privato (ma questa dinamica ormai è comune in tutta Italia, grazie al fenomeno delle privatizzazioni).

Dimenticavo! Se non sei residente è anche difficile prenotare le prestazioni tramite l’apposito portale. E’ necessario prenotare per telefono (lo sportello fisico del CUP non esiste più).

Non parliamo poi della guardia medica. Potresti aspettare per ore, anche al freddo.

E’ questione di scelte politiche

Fino a qualche anno fa la sanità trentina era considerata al top per qualità delle prestazioni, puntualità e velocità del servizio. La scarsa attenzione verso le strutture periferiche, da parte delle politiche provinciali, ha portato ad un surplus di domanda verso l’ospedale del capoluogo (o di quello di Rovereto), con ovvie conseguenze.

Quindi anche il Trentino soffre delle stesse dinamiche che vediamo in giro per l’Italia: i piccoli presidi ospedalieri che soffrono e gli ospedali del capoluogo, in pesante sottorganico, costretti ad aumentare il carico di lavoro. E le conseguenze sono evidenti: infermieri che abbandonano il pubblico per lavorare nel privato, flop delle iscrizioni alla facoltà di infermieristica, fino ad arrivare a testimonianze che fanno rabbrividire, in riferimento alla triste vicenda di Sara Pedri.

Poi la Provincia pensa ad un nuovo ospedale anziché a rafforzare l’organico o mettere in discussione la dirigenza. Nuovo ospedale significa tanti appalti, tante gare, affidamenti diretti, che favorisce il settore edile, quello delle forniture di mobili, macchinari, ecc. Ma un nuovo ospedale (quello attuale è degli anni Settanta, frequentemente ristrutturato) senza personale è l’ennesima cattedrale nel deserto, buona per la propaganda politica, per favorire gli operatori economici, ma incapace di soddisfare i bisogni della collettività.

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