Il percorso di oggi è lungo 27 km, con un dislivello notevole, ma non troppo tosto. Toccheremo molti punti interessanti: la piana delle Viote, Cima Verde, il sentiero Taiadic, i boschi tra Vason e Sardagna, Vaneze e la direttissima verso Trento.
7 h 10 m A/R | |
27 km | |
Dislivello max 1784 mt | |
EE | |
3.8.2024 | |
La mappa del percorso
Si parte da Viote
Ammetto che questa camminata è stata tosta, tant’è che il giorno appresso, quando decido di andare sul monte Altissimo di Nago, il menisco inizia a mandarmi segnali che proprio non ne può più di tutte queste fatiche. Ma, al mio solito, non lo ascolto. Tanto che poi mi sfancula e, nei giorni appresso, dovrò restar fermo per un po’.
E’ stata tosta, ma piacevolissima
L’intenzione era di partire da Trento in bus, arrivare alla piana delle Viote (o Viotte, nel dialetto locale), salire su Cima Verde, una delle tre cime del Bondone e poi scendere a Trento passando da sentieri ormai noti, che costeggiano Vason, entrano a Vaneze per poi proseguire verso Sardagna (SAT O645) e, da qui, scendere a Trento Piedicastello.
E così è stato.
E’ un soleggiato sabato mattina e mi reco alla stazione degli autobus.
Qui prendo il bus che, in un’oretta, mi porterà, su strade tortuose e in costante salita, al Rifugio Viote (1533 mt).
Qui, dopo un buon caffè, sono pronto a salire.
Lo psicodramma
Durante la pausa caffè mi rendo conto di una cosa. Prima di partire ho riempito il camel bag con quasi 2 litri d’acqua ma, nella fretta (per non rischiare di perdere il bus), me lo sono dimenticato sulla credenza.
Con me ho solo una borraccia, tra l’altro mezza vuota.
Non l’ho riempita perché facevo affidamento sul camel bag.
Insomma, sto senz’acqua.
Anziché comprarla al rifugio (a caro prezzo e nelle odiose bottiglie di plastica), decido di rischiare.
Verso Cima Verde
A novembre avevo già fatto la salita verso il Cornetto del Bondone, sulla neve.
Oggi tocca ad un’altra delle tre cime del Bondone: Cima Verde.
La chiamano così perché, appunto, è una cima verde, a differenza delle altre due rocciose cime.
Il sentiero (SAT O607) è sempre ottimamente segnalato, sin dall’inizio. Ma dato che iniziamo da una grande piana (teatro di numerosi eventi estivi), non è facilissimo trovare a colpo d’occhio i primi segnali. La base di partenza è semplice, il rifugio Viote.
Da qui basta recarci in direzione dell’Osservatorio, che non passa certo inosservato. Sullo sfondo vediamo chiaramente Cima verde, l’ultima delle tre cime, partendo da destra.
Qui, dopo la foto di rito, si prosegue verso il boschetto.
E’ proprio un boschetto, molto piccolo e i cartelli informativi ci raccontano che quell’area è stata rimboschita negli anni Sessanta, dopo che i boschi della zona sono stati, a poco a poco, fatti fuori per ragioni edilizie e per i fabbisogni di legna delle comunità locali.
Entriamo nel boschetto e, da qui in poi, seguiremo sempre una direttrice molto facile, avendo di fronte a noi, come punto di riferimento, la cima del Cornetto del Bondone.
Gli spazi sono ampi e la visibilità pure.
Giunti ad un certo punto troveremo i primi segnali che ci dicono che, andando a sinistra, faremo il sentiero per Cima verde, mentre andando diritto, arriveremo a cima Cornetto.
Noi andremo diritti e quel sentiero lo faremo al ritorno.
Entrati nella proprietà della malga facciamo attenzione a richiudere la staccionata.
Attraversiamo infatti una proprietà privata e un’enorme distesa adibita ad allevamento di mucche.
Infatti le troviamo che se la scialano sul prato e che, come spesso accade, ci studiano attentamente per capire quali sono le nostre intenzioni. Appena capiscono che siamo innocui, tornano ad ignorarci e a brucare l’erba.
A parte la scalinata in pietra (su cui d’inverno son scivolato diverse volte per via del ghiaccio), non faremo grandi fatiche.
Il dislivello tra la Piana delle Viote e la base della cima Cornetto è di poco più di 500 metri e le salite non sono ostiche. Inoltre faremo un breve tratto all’ombra.
Ma occorre prudenza, perché giunti subito dopo la Costa dei Cavai (1796 mt), e la sua panoramica vista, troviamo un sentiero un po’ più ostico, dovendo farlo tutto su crinale che, ad una prima occhiata, pare molto molto stretto, ma percorrendolo ci renderemo conto che è fattibile.
Ma non proprio indicato a chi soffre di vertigini.
Avremo sempre visibile il cornetto, che pare indicarci la strada. Incontreremo una effigie dedicata alla Vergine, subito dopo la scalinata.
Ora teniamoci accostati alla parete rocciosa sulla nostra sinistra e, poco dopo, saremo ai piedi del monte Cornetto.
Qui iniziano le indicazioni per Cima Verde.
Se vogliamo salire sul Cornetto (V. l’articolo apposito), dovremo fare una breve scalata, di una decina di minuti.
Non si tratta di una vera e propria scalata, ma dovremo aiutarci con le mani per tenerci alle rocce e salire quei benedetti 10 metri che ci separano dalla vetta.
Acqua acqua!
Noi proseguiremo verso Cima Verde.
Qui inizio ad avere sete. Ho centellinato l’acqua nella borraccia ed è rimasto giusto un sorso quando, d’improvviso, appare una visione.
Non è un miraggio. E’ una fonte d’acqua fatta voluta dalla SAT di Sardagna e costruita nel 2003. La SAT di Sardagna è molto attiva e premurosa, difatti i sentieri curati da questa sezione sono sempre tutti ben segnalati e ben tenuti.
Mi disseto con quell’acqua talmente fredda che nemmeno il frigorifero, alla temperatura minima possibile, riesce a produrre. Mi rimpinzo, riempio la borraccia e, felice come una Pasqua, torno a camminare.
Ora il sentiero si fa più difficile, per via di un terreno ciottoloso e sabbioso, ma saremo immersi da uno scenario rosso, tipico delle pietre dolomitiche, che ci farà catapultare in un micromondo che, dalla valle, mai ti aspetteresti di trovare.
Il Doss d’Abramo
Dopo pochi minuti dalla fonte ci imbatteremo nel Doss d’Abramo, che si può raggiungere in due modi: o a piedi, salendo dapprima su un sentiero attrezzato (scale e cordino) e poi su sentiero normale
oppure, sul versante opposto, tramite una via ferrata.
Il curioso nome della seconda cima del Bondone nasce da una leggenda. Si dice che, ai tempi del diluvio universale, l’Arca di Noè si fosse incagliata su questa cima così piatta e, sempre secondo la leggenda, era molto simile al monte Moriah, famoso per il tentato sacrificio di Isacco da parte di Abramo. Lo stesso monte in cui Noè compì dei sacrifici a Dio dopo il diluvio. Quindi il nome pare legato alle figure dei patriarchi della dinastia di Adamo.
Un po’ mi dispiace non salirci, ma l’itinerario programmato non mi consente molte deviazioni.
Con un breve saliscendi arriviamo su di una sella e incontriamo la parete rocciosa, sul cui sentiero torniamo a camminare agevolmente.
Finalmente un poco d’ombra.
Il sentiero ora si fa un po’ più facile e si intravede già la cima. Si torna a camminare più velocemente, salvo qualche piccola traversata un po’ più ostica.
Tipo questa
Qui ampi prati verdi ci consentono di riposare un po’ e di godere del paesaggio.
Se vogliamo strafare, c’è un altro piccolo pizzo da raggiungere. Si trova alle spalle del prato e si raggiunge in 5 minuti attraverso un minuscolo sentiero, sempre sul crinale.
Qui il paesaggio è ancora più suggestivo. Siamo a 2100 metri. Da qui ammiriamo le vallate circostanti. Vediamo chiaramente la valle dell’Adige, la Valsugana, la valle del vento, la catena della Marzola, il monte Stivo in lontananza, oltre ad una pregevole vista sulle Dolomiti del Brenta. Da qui vediamo anche chiaramente la conformazione a strati che caratterizza la pietra dolomitica.
Ora si scende
Dopo una sosta rigeneratrice è il momento di scendere.
Ora faremo l’altro sentiero (SAT O636), ben indicato, che inizia alla nostra destra, tenendo il prato di Cima verde alle spalle.
La discesa è più tosta della salita, come sempre. Qui il percorso è più boschivo che all’andata, ma si fatica a scendere lungo quei gradoni e le ginocchia subiscono un po’ i contraccolpi di un percorso ripido e sassoso.
Ma non durerà molto, perché presto ci troveremo a percorrere un lungo sentiero in terra battuta, molto più comodo.
Siamo alla piana delle Viote
Qui costeggiamo la riserva demaniale sulla nostra destra e seguiamo il sentiero, che un po’ si perde, ma abbiamo come riferimento il rifugio Viote, che si vede in relativa lontananza.
Rientriamo quindi nell’ampio prato della malga, dove incontreremo di nuovo le mucche al pascolo.
Arriviamo al rifugio e un po’ di pausa ora ci vuole, perché ci aspetta un cammino non particolarmente tosto, ma molto lungo.
Dobbiamo scendere a Trento
Dopo il meritato riposo, lasciamo il rifugio alle spalle e andiamo verso la provinciale. Qui la segnaletica non è precisissima. Ma, ad intuito, seguiamo questa, che ci indica il collegamento Viote – Vason.
Ci porterà sul marciapiede e poi verso la pedemontana, che costeggia la provinciale 85.
Qui attraversiamo e ci inoltriamo nel bosco. Bisogna seguire il sentiero Taiadic.
Ma i segnali, dopo un po’, iniziano a scarseggiare e bisogna andare ad intuito.
Non faremo molto bosco, perché ora ci tocca percorrere ampie aree erbose, usate d’inverno come piste sciistiche. Infatti siamo nel cuore delle piste da sci del Bondone.
Arrivati nei pressi dello Chalet Rocce rosse (che vediamo dal basso), abbiamo due opzioni: o scendere lungo la pista, che costeggia gli impianti di risalita, oppure seguire le indicazioni del giro delle viote che ci farà allungare di un po’, ma almeno passerà da un fresco boschetto.
In entrambi i casi arriveremo ai magazzini degli impianti.
Qui il sentiero torna visibile. Ci lasciamo i magazzini sulla destra e torniamo di nuovo a camminare nel bosco.
Ma le indicazioni sono fuorvianti.
Infatti troveremo subito due cartelli, uno che indica la direzione per la Malga di Baselga e un altro che ci riporta indietro.
Sarei tentato di andare sulla stradina non segnalata, ma decido di seguire le indicazioni per la Malga di Baselga e presto mi trovo ad un bivio dove tornano le indicazioni per Vaneze.
Poco dopo accadrà di nuovo. Ad un certo punto ci troviamo ad un altro bivio, senza indicazioni.
Noi, ad intuito, andremo dritti, anche se non ci sono segnali. Poco dopo ci rassicurerà il fatto che c’è un segnale che ci indica Vaneze nella direzione che stiamo seguendo. Sarà una piacevole camminata nel bosco.
Alla fine del sentiero troveremo le prime case ed una sbarra. Si tratta della frazione di Norge.
Qui facciamo attenzione, perché non troveremo ad occhio i segnali.
Prima della sbarra buttiamo lo sguardo a sinistra, dove troveremo una curva a gomito e lì è l’imbocco del sentiero per Vaneze. Anch’esso, purtroppo, non segnalato.
Siamo a Vaneze
Arrivati a Vaneze abbiamo due scelte.
O saliamo verso l’Osservatorio, oppure attraversiamo la strada asfaltata, scendiamo lungo le ultime case del centro abitato, con un negozio proprio sull’incrocio, seguiamo la curva a destra, facciamo giusto 200 metri su asfalto e, nello spiazzo di fronte, alla curva, troviamo le indicazioni per Sardagna.
Se saliamo verso l’osservatorio, faremo mezz’ora in più, ma qui troveremo una fonte d’acqua freschissima e l’imbocco del sentiero per Sardagna.
Se abbiamo tempo, forze o siamo senz’acqua, è una buona soluzione.
Ma in questo caso ho optato per il percorso più breve. L’acqua ci sta ancora e mi basterà fino a Sardagna, dove ce n’è in abbondanza.
Quindi scendo sulla strada asfaltata e mi ricongiungo al sentiero Vaneze-Sardagna (SAT O645, detta direttissima o Trento nostra).
Ora sarà tutto bosco lungo un sentiero ottimamente segnalato, che un po’ s’allarga e un po’ si restringe. Quando si restringe, l’erba alta mi dà da pensare. Qui c’è il problema delle zecche, presenti in abbondanza nei boschi. E una volta una m’ha morso. Tacci sua.
Ecco perché uso sempre i pantaloni lunghi e, soprattutto, uso i bastoncini per spostare l’erba prima di passarci. In questo modo limito (ma non azzero) la possibilità che s’attacchino addosso.
Seguendo la segnaletica non ci perdiamo.
L’unico punto critico è quando dovremo scendere verso la provinciale dove, sul tornante, imboccheremo di nuovo il sentiero. I segnali ora si perdono. Qui dobbiamo tenere d’occhio la grande croce dedicata a Giulio Segatta, un giovane morto in quei pressi nel 1926 (a cui è dedicata sia la croce che la via ferrata del Doss d’Abramo).
Nei pressi della croce imbocchiamo di nuovo il sentiero che scende a Sardagna.
Il segnale dice che siamo a 1 ora e 10 minuti da Sardagna e 2 ore da Trento. Giusto. Anche se da Sardagna a Trento ci metti pure un po’ meno.
La discesa è a tratti ripida, anche perché faremo un discreto dislivello. Siamo partiti da 2100 metri e dobbiamo scendere a Sardagna, che sta a 500 e qualcosa. Ora siamo a circa 1300 metri. Abbiamo accumulato 800 metri di dislivello sulle gambe e ne mancano ancora altri 800.
Quindi è tanto il dislivello, ma lo senti appena, perché è tutto su terra battuta e al fresco del bosco. Non ti sembra nemmeno di sentirla, la fatica.
Siamo a Sardagna
Finito il sentiero, iniziano la strada asfaltata e le prime abitazioni. Non ci vorrà molto prima di incrociare la piazza e la sua bella fontana. Qui ci vuole una sosta, per riempire la borraccia e far pausa sulla panchina.
Ora possiamo optare per due scelte. Se siamo stanchi, saliamo verso la funivia. Basta seguire la strada verso la chiesetta e, da lì, salire, seguendo le indicazioni. Qui prendiamo la funivia e, in 5 minuti, saremo alla rotonda del ponte di San Lorenzo, a due passi da Piazza Dante.
Ma siccome siamo stakanovisti, proseguiremo a piedi. Abbiam fatto trenta… facciamola fino a Trento!
E così scendiamo alla chiesetta.
Qui, di recente, è stata riattivata la fontanella ed è un luogo più ameno per far pausa. Dalla sinistra della chiesetta s’imbocca il largo sentiero verso Trento. Sarà un tragitto breve, su terra battuta e sassosa. Giunti alla croce faremo strada asfaltata, fino a Trento.
L’unico aspetto negativo di questo percorso è che dovremmo fare circa 200 metri sulla provinciale, appena finito il sentiero, per immetterci in via delle Mandolare. La strada è sempre molto trafficata, ma gli automobilisti sono abituati alla presenza di pedoni, anche perché qui vicino c’è pure la fermata del bus.
Da via delle Mandolare faremo una lunghissima discesa su strada asfaltata e usata anche dalle auto (non ne circolano moltissime, per fortuna) e iniziamo a vedere Trento più da vicino.
Le case son tante e anche i terreni coltivati ad orto.
Teniamoci sempre strettamente a sinistra, così avremo di fronte le auto che sopraggiungono. Se inizia a far buio, teniamo sempre acceso il frontalino o una torcia, anche quella del cellulare, per farci vedere.
Siamo a Trento
Siamo ora in città. Finita via delle Mandolare prendiamo via della Ca dei Gai, sennò rischiamo di finire sulla provinciale, dove non c’è il marciapiede. Entriamo nell’agglomerato di case, superiamo l’ultima fontanella e scendiamo verso Piedicastello.
Qui incontreremo la mastodontica scritta incisa sulla roccia dagli Alpini vicino all’omonima Piazza delle divisioni Alpine.
Per gli Alpini non esiste l’impossibile
In effetti il ruolo degli Alpini fu decisivo dopo i tragici fatti dell’armistizio in cui moltissimi di loro, dopo gli orrori delle campagne di Russia, Grecia, Jugoslavia, si rifiutarono di tornare sotto le armi al comando della repubblica sociale di Salò e si diedero alla resistenza, contribuendo con le loro conoscenze militari alla liberazione d’Italia.
Superata la scritta ci basta andare verso il fiume e ci troveremo il ponte San Lorenzo. Lo facciamo, arriviamo alla stazione e, di fronte, abbiamo Piazza Dante, dove finisce il nostro cammino.
Abbiam fatto un’impresa! Dalla montagna alla città, a piedi. Ora ci sta una birrozza. Cin!