Il Santuario di San Romedio è un eremo costruito tra le rocce ed è così perfettamente integrato nella geometria della montagna da sembrare quasi naturale. Come se fosse sempre esistito. Ed esiste dall’anno 1000. In questo trekking vedremo il Santuario, i due laghi di Tavon e Coredo ed i rispettivi paesi.
3 h A/R | |
14 km | |
Dislivello max 163 mt | |
T+E | |
26.11.2023 | |
La mappa del percorso
Si parte per il Santuario di San Romedio
La partenza è dall’Agriturismo Agostini, dove si trova abbastanza posto per l’auto (non troppi, circa una ventina). Il parcheggio, per gentile concessione dei proprietari, è libero.
Qui c’è un buon ristorante e, annesso, un grande maneggio.
Se non si trova posto suggerisco di tornare al centro abitato di Tavon e cercare posto lì. Dista poco meno di 500 metri.
Dopo la grande catasta di tronchi, si imbocca subito il sentiero, ben segnalato, verso il Santuario di San Romedio, che da qui dista pochissimo, circa 2 km.
Qui faremo un piccolo saliscendi con un dislivello massimo di 163 metri, ma lungo il percorso ci manterremo quasi in piano, ad una quota massima di 920 metri.
Il sentiero è piacevolissimo, tutto immerso nel bosco, all’ombra e attraverseremo corsi d’acqua e torrenti, che ci faranno da sottofondo, tra il cinguettio degli uccelli e il suono dell’acqua che si rifrange sulle rocce.
Bisogna prestare attenzione perché, poco prima di arrivare al Santuario incroceremo la strada bianca usata dalle auto per arrivare direttamente al parcheggio del Santuario. Cosa concessa dai monaci ai devoti non autosufficienti.
Il Santuario di San Romedio
Il Santuario di San Romedio è un incantevole eremo costruito su una rupe calcarea alta oltre 70 metri e ti sembrerà quasi un tutt’uno con la montagna, per quanto è armonicamente integrato nelle geometrie naturali della zona.
L’atrio è sobrio e austero e quelle mura invitano alla meditazione.
All’ingresso, subito dopo il bar, ci troveremo di fronte l’ampia scalinata, anch’essa ricavata nella roccia, composta da ben 130 scalini.
Mentre si sale ci si perde tra i millemila ex voto di numerosissimi devoti che hanno lasciato un segno della grazia invocata e ricevuta dal Santo. E si tratta di ex voto che spaziano dal 1500 al 2024.
Giunti alla fine della scalinata apriamo la piccola porta in legno e qui arriviamo al punto più alto del Santuario, dove la vista è magnifica.
Il Santuario è ancora abitato dai francescani, quindi non è infrequente imbattersi in qualche monaco.
Presenta, all’interno, cinque cappelle, di cui due grandi, una vecchia e una nuova.
La vecchia risale all’epoca medievale, costruita tra la seconda metà del 1400 e la prima del 1500, mentre la nuova venne costruita intorno ai primi del Novecento. Tutte ricavate all’interno di anfratti naturali delle rocce.
Il Santuario risale all’anno 1000, ma è stato più volte rimaneggiato.
Anticamente era spoglio, in quanto San Romedio ed i suoi seguaci vivevano nella povertà più assoluta.
San Romedio, tra storia e leggenda
Romedio, difatti, era un ricco possidente, ma, dopo un pellegrinaggio a Roma, si convertì al pauperismo del primo cristianesimo, allora praticato da diversi monaci, tra cui i basiliani, donò tutti i suoi beni alla chiesa e decise di andarsene da eremita nei boschi della val di Non.
Con lui c’erano gli amici e monaci Davide e Abramo.
Qui non gli mancava lo stretto necessario per vivere. I vicini corsi d’acqua gli fornivano acqua fresca e il bosco la legna per scaldarsi, le castagne, le mele, insomma, l’indispensabile.
Visse in grotte naturali, tra le rocce che ora ospitano il Santuario.
La leggenda dell’orso…
Una delle tante leggende su San Romedio, forse la più famosa, narra che un giorno decise di recarsi a Trento per far visita all’amico Vigilio, allora vescovo della città (e oggi santo protettore). Chiese così a Davide di sellargli il cavallo.
Davide si recò dal cavallo ma tornò con una brutta notizia: un orso lo aveva sbranato.
Romedio mantenne la calma e chiese a Davide di trovare e sellare l’orso.
Questi, ancora incredulo, obbedì e scoprì che l’orso era diventato docile e mansueto e si fece sellare.
La leggenda vuole che l’orso portò San Romedio fino a Trento (45 km!) e che i cittadini erano stupiti nel vedere un uomo in spalla ad un orso.
Non si sa se l’avesse parcheggiato di fronte al Duomo, durante la visita a Vigilio o se, al ritorno, se la sia fatta a piedi e l’orso se n’è andato, con la sella, tra i boschi.
…e l’orso Bruno
Forse grazie alla leggenda i monaci francescani sono diventati particolarmente sensibili nei confronti degli orsi problematici e ciò ha permesso di salvare la vita a numerosi orsi nel corso della storia, tra cui Bruno, il mansueto orso oggi ospite della riserva naturale che costeggia il Santuario.
Vive qui dal 2013 ed era un orso nato in cattività, che fu liberato dai forestali nella villa privata di un uomo che lo teneva in uno stretto recinto nei pressi di Roma.
Dato che era nato in cattività e non poteva essere lasciato libero nei boschi, altrimenti non sarebbe sopravvissuto, il Santuario si fece avanti per tenerlo nella sua riserva.
Non era la prima volta. Già in passato il Santuario aveva ospitato altri orsi liberati e non autosufficienti.
Qui Bruno ha ampio spazio, un habitat naturale boschivo, ma protetto e sicuro.
L’Amaro San Romedio
Prima di lasciare il Santuario e proseguire il cammino, ci vuole una sosta al bar.
Il bar è sempre molto affollato (del resto il Santuario conta 200.000 pellegrini l’anno), ma ne vale la pena.
Qui, oltre a buone birre (e qualcosa da mangiare) troviamo anche l’amaro di San Romedio, che si dice sia prodotto da un’antica ricetta inventata dai monaci sin dal Medioevo, con erbe raccolte nei dintorni del Santuario.
Oggi è prodotto in quantità più elevate, ma la ricetta è rimasta la stessa. E, soprattutto, è un prodotto talmente di nicchia da trovarlo commercializzato in rare zone. E non è venduto online.
Finalmente un prodotto che non s’è venduto alla globalizzazione, penso. Devi venire apposta qua se vuoi berlo. Penso ancora.
Prendiamo una bottiglia, per assaggiarlo stasera, a cammino concluso, e ci lasciamo il Santuario alle spalle.
Spoiler: l’amaro è dolce. Sotto certi versi ricorda l’amaro del capo, ma ti lascia un retrogusto diverso. Difficile da descrivere. Si sente il sapore delle erbe di montagna e non puoi paragonarlo ad altri amari in commercio. E’ qualcosa a sé.
Si prosegue verso i due laghi
Qui torniamo indietro, stavolta seguendo lo stradone bianco e le indicazioni per i due laghi di Tavon e Coredo. Faremo esattamente 2 km prima di arrivare sulla stradina panoramica che costeggia i due laghi.
Come immaginavo, la zona è sempre molto affollata, anche d’inverno. Giusto il tempo di fare una passeggiata sui camminamenti lungo lago e si torna indietro.
I paesi di Tavon e Coredo
Giacché siamo qui e per non finire prematuramente il cammino, ci immergiamo di nuovo nei boschi, tornando indietro verso l’agriturismo.
Qui, poco prima di arrivare, svoltiamo a sinistra e torniamo nel bosco, alla volta di Coredo, grazioso paesino, frazione del Comune di Predaia.
Non sono entrato in paese, ma ne ho approfittato giusto per una foto dall’alto, che però mi è uscita sfocata.
Torno indietro e, rientrato nel bosco, seguo il sentiero che mi condurrà verso l’altra frazione di Predaia, che dà il nome all’altro lago, ossia Tavon.
Anche qui l’intenzione era di non entrare in paese, ma di osservarlo dall’alto. Solo che finisco l’acqua nella borraccia e decido di entrare in paese per cercare una fontanella.
Ne approfitto, così, per una passeggiata lungo le quiete vie di un paesino che conta appena 260 abitanti.
Mi imbatto infatti in un anziano, che sta caricando la legna su d’una carriola. Lo saluto e continuo la ricerca della fontanella.
La trovo. L’acqua non è freschissima, ma mi ci accontento.
E così risalgo verso il bosco.
Decido di riscendere di nuovo ai due laghi. Non ricordo più perché, forse perché avevo ancora voglia di camminare e mi piaceva farlo in quella quiete. E così torno ai laghi e riprendo il sentiero che mi farà salire verso il maneggio.