Un percorso di due giorni, nel cuore delle Dolomiti del Brenta, da ovest a est, da Madonna di Campiglio ad Andalo, dormendo al Rifugio Tuckett Sella e passando da numerosi punti di interesse: il Sentiero Sissi, monte Spinale, lago Spinale, Rifugio Graffer, Passo del Grostè, Rifugio Stoppani, Passo della Gaiarda, il Turion basso, Malga Spora, fontanafredda, Pegorar e Andalo.
Arrivare al Rifugio Tuckett Sella era una delle mie priorità nella todo list delle camminate in Trentino. E’ uno dei rifugi più antichi, posto in una delle zone più caratteristiche delle Dolomiti del Brenta. Ma nello studio della sentieristica ho visto che si poteva spaccare le Dolomiti del Brenta da Ovest a Est e così ho organizzato una due giorni, con l’intento di seguire la direttrice che da Madonna di Campiglio arriva fino ad Andalo.
Il racconto è suddiviso in due parti, che corrispondono a due giorni di cammino.
Primo giorno. Da Madonna di Campiglio al Rifugio Tuckett Sella
4 h A | |
13,18 km | |
Dislivello max 787 mt | |
EE | |
24.8.2024 | |
La mappa del percorso
E’ un caldo sabato d’agosto quando prendo il bus da Trento in direzione Madonna di Campiglio. Arrivo, dopo un paio d’ore, alla fermata del bus, vicino al laghetto.
Qui inizia il percorso, in un paese curatissimo e in cui è piacevole camminare.
Dopo un caffè, ci rechiamo verso la bella chiesa di Santa Maria antica, dove troviamo una fontanella.
Ma noi faremo rifornimento poco dopo.
Giusto il tempo di una breve visita alla chiesa
e ce la lasciamo sulla sinistra, salendo verso il sentiero Sissi Imperatrice, che fa parte del Giro di Campiglio.
Il Sentiero dedicato a Sissi
La celebre Principessa Sissi (Elisabetta Amalia Eugenia di Baviera, imperatrice d’Austria) amava trascorrere le sue vacanze a Madonna di Campiglio e questo la rese celebre sin dal 1889, anno della sua prima visita nella località montana.
Si racconta che amasse fare sempre lo stesso sentiero, che porta, in mezz’ora di cammino, su di un sasso, da cui si può ammirare il paese ed i monti circostanti.
Questo sentiero, infatti, oggi è dedicato a lei.
Noi lo faremo, immersi in un bel boschetto e, alla fine, arriveremo allo spiazzo oggi denominato Piazza imperatrice.
Qui troviamo l’unica fontana del nostro percorso d’andata. E’ bene riempire le borracce, perché non troveremo acqua, se non in rifugio, ma a caro prezzo (e in bottiglie di plastica, cosa che non sopporto).
Proseguiamo verso monte Spinale
Ora faremo un po’ di fatica in una zona priva di alberi, quindi sotto al sole. Seguiremo la direttrice della brutta cabinovia, che porta verso monte Spinale.
E’ sufficiente seguire le indicazioni del sentiero 331 e, in un’oretta, saremo al monte Spinale.
Da qui la vista è magnifica. Vediamo tutta Campiglio dall’alto e la cima di monte Pancugolo, con le sue piste sciistiche, per cui sono stati sacrificati migliaia di alberi.
Lasciatoci sulla sinistra il Rifugio Spinale, seguiremo la strada bianca fino alle prime indicazioni.
Qui seguiamo sempre il sentiero 331, che ci porterà verso il Rifugio Graffer.
Per arrivarci ci impiegheremo poco più di un’ora.
Nel frattempo però inizia a venire un po’ di fame. Sono partito tardi da Trento, alle 9.45 e, tra viaggio, caffè e un giretto per Campiglio, son partito a mezzogiorno.
E’ vero che mi son portato un po’ di frutta secca e ho sgranocchiato qualcosa durante il cammino, ma son quasi le tre del pomeriggio e non ho ancora pranzato.
Mentre mi chiedo dove fermarmi a mangiare il riso con verdure portato da casa, ecco palesarsi il posto perfetto per una sosta.
Il lago Spinale (2052 mt)
Il lago Spinale è un piccolissimo laghetto di montagna e intorno c’è ampia radura. Trovo un masso bello comodo dove appoggiarmi, con vista lago, e decido di sostare per un po’.
Qui c’è altra gente che mangia o prende il sole. E in effetti è davvero un bel posto dove riposarsi.
Dopo un’oretta di pausa, è tempo di ripartire.
Ora si segue sempre il sentiero 331 che ci porterà al Rifugio Graffer. Il sentiero si fa un po’ più difficile e in leggera salita, ma la vista è imponente.
Rifugio Graffer
Dopo un’oretta e venti minuti arrivo al Rifugio Graffer. Un bel rifugio con una bellissima vista sull’Adamello.
Infatti ora siamo nel cuore del Parco Adamello-Brenta, geoparco.
Qui incontro diversi escursionisti già a riposo dopo le fatiche della salita.
Poco più sopra s’intravede il Rifugio Stoppani, da cui passerò il giorno appresso.
Sarei tentato di fermarmi di nuovo, ma mancano poco meno di due ore per arrivare alla meta di oggi: il Rifugio Tuckett Sella.
Le indicazioni portano 1,40 h di cammino, ma sta calando la nebbia e temo di rallentare il passo.
Ora non ci resta che fare la scalinata in legno
e scendiamo sempre dal sentiero 331, che faremo per un breve tratto.
Presto lasceremo il sentiero 331 per imboccare il sentiero 316, perché il primo porta verso la bocca di Tuckett, mentre il secondo ci conduce verso il Rifugio.
Qui il sentiero diventa EE, cioè per escursionisti esperti. Ma ci metterei un EE+, cioè un po’ più ostico e difficile rispetto ai soliti sentieri sassosi di montagna.
C’è nebbia e fa freddino, ma il sentiero è visibile. La nebbia, infatti si mantiene alta per adesso e ci impedisce di vedere il rifugio.
Nelle giornate terse, infatti, i due rifugi si vedono distintamente tra loro.
Il sentiero diventa sempre più impegnativo, tra grandi gradoni che fanno sollecitare le ginocchia, terreno sabbioso e ciottoloso, che ci fa andare cauti e un saliscendi che ci farà cambiare continuamente di ritmo.
Al momento il sentiero mi pare molto difficile, ma il giorno dopo, rifacendolo al contrario, mi sembrerà più bello. E’ tutta questione di condizioni meteo e soggettive. Ora sono le 18 inoltrate, fa freddino, c’è nebbia, sono stanco e ho in testa solo due cose: una doccia e una birra.
La prima non la farò (per far risparmiare acqua al rifugio), la seconda la berrò in abbondanza.
Quindi non vedo l’ora di arrivare al rifugio.
Il Rifugio Tuckett Sella
Sono le 19.30 quando intravedo il rifugio e, poco prima, la bella cappella Tuckett, ancora oggi utilizzata per le funzioni liturgiche.
E’ una semplice struttura in legno, incastonata su di una roccia. L’altare è composto da piccoli tronchi di legno, incastrati tra loro. Sulla roccia antistante ci sono piccole lapidi di alpini devoti.
Mi fermo ad ammirarla, ma per poco. La nebbia ti fa sentire di più il freddo quando ti fermi e il rifugio è lì, a due passi.
Ci arrivo dopo pochi minuti e il simpatico gestore mi dice che sono arrivato in tempo per l’ora di cena.
Si cena presto qui, al massimo entro le 19.40. Dopo diventa difficile trovare qualcosa.
Del resto siamo in montagna.
Faccio giusto in tempo a cambiarmi la maglietta, lasciare lo zaino nel deposito bagagli e mi fiondo in sala da pranzo.
Il piatto che scelgo è quello tipico della montagna: gulasch e canederli, annaffiati da una buona birrozza.
Dopo cena sistemo le mie cose nel giaciglio della grande camerata e mi appresto ad assaggiare un’altra birra, mentre inizia a calare il buio.
Infatti la nebbia si è diradata. Siamo solo a 2272 mt, ma le stelle ora sembrano vicine vicine.
Da lontano intravedo delle torce che scendono dalla direzione della bocca di Tuckett. Il gestore, infatti, diceva che attendono un gruppo di escursionisti che arriveranno in tarda serata.
Mentre sorseggio la birra e leggo qualcosa, vedo che scendono lentamente.
Mi chiedo come facciano a camminare al buio su sentieri così complessi e insidiosi.
Faccio ora più attenzione sulle strutture del rifugio. Ce ne sono due. La prima è adibita a ristorante, con bagni, sala da pranzo, sala asciugatoio, deposito bagagli. La seconda è la zona notte, con diverse camerate disposte su due piani, grandi e piccole, ed i bagni con docce.
Chissà perché hanno realizzato due edifici, vicini, ma separati.
La stanchezza si fa sentire e finalmente m’infilo nel sacco a pelo. Domani mi aspetta la sveglia presto, intorno alle 6.30.
La storia del Rifugio Tuckett Sella
Prima di addormentarmi leggo l’interessante storia del rifugio, che risponde al mio quesito di prima.
La SAT (società degli Alpinisti Tridentini) costruì uno dei due edifici tra il 1904 e il 1905 e lo inaugurò nell’agosto del 1906, dedicandolo al primo presidente del Club Alpino Italiano, Quintino Sella (1827-1884) che, oltre ad essere un grande alpinista, fu anche uno scienziato, un politico e fondatore della banca biellese.
Contemporaneamente, però, in competizione con la SAT, anche gli alpinisti tedeschi della sezione di Berlino DAV iniziarono la costruzione di un loro rifugio, vicinissimo a quello della SAT, e lo inaugurarono la settimana dopo l’inaugurazione di quello dedicato a Q. Sella, denominandolo Tuckettpasshütte, ossia il rifugio dedicato a Francis Fox Tuckett (1834-1913), un alpinista, pioniere ed esploratore inglese, particolarmente attivo sulle montagne trentine.
Tuckett fu il primo a documentare, nel 1871, il passaggio del valico sopra la Vedretta di Vallesinella, che oggi si chiama, appunto, Bocca di Tuckett.
Leslie Stephen dirà di lui
Nel ciclo eroico delle avventure alpine l’irriducibile Tuckett occuperà un posto simile a quello dell’errabondo Ulisse nella leggenda greca, o dell’invulnerabile Sigfrido nella saga dei Nibelunghi
Nel 1920 la Società Alpinistica Tedesca cedette la struttura (gravemente danneggiata durante la prima guerra mondiale) alla SAT, che si occupò del ripristino, ma mantenendo l’originaria conformazione.
Fonte: https://www.rifugio-tuckett.it/it/
Secondo giorno. Dal Rifugio Tuckett al Rifugio Stoppani, passo della Gaiarda e Andalo
5 h 45 m A | |
18 km | |
Dislivello max 1103 mt | |
EE | |
25.8.2024 | |
La mappa del percorso
Sveglia presto!
Quando cammino mi scopro particolarmente mattutino.
Sono le 5.30 quando sento i primi camminatori che si alzano e preparano gli zaini.
Sono già sveglio, ma resto nel sacco a pelo ancora un po’.
Alle 6.20 mi tiro su dal letto e inizio, lentamente, le operazioni mattutine.
Scendo a fare colazione e trovo la fila.
La colazione è abbondante, a buffet, e trovo un po’ di tutto: biscotti, marmellata, cioccolata spalmabile, fette biscottate, yogurt, tè, caffè (americano, però), latte, succo di frutta, pane, formaggio e prosciutto cotto.
Mangio a sufficienza per incamerare le energie. Oggi mi aspetta un percorso tosto. Ancora non so quanto lo sarà, ma so, dai racconti di altri camminatori, che quello della Gaiarda è un bel sentiero difficile.
Esco ad ammirare la vista delle Dolomiti del Brenta al mattino. Ne approfitto per qualche foto.
Da lì a due ore, le nuvole s’impossesseranno delle cime e sarà così per tutto il giorno.
Alle 7 e qualcosa sono pronto a partire.
Mentre scendo vedo la teleferica in funzione. Anche qui, come al Rifugio Torre di Pisa, sul Latemar, i rifornimenti avvengono così.
Rifaccio il sentiero del giorno prima, il 316. Ora mi sembra più piacevole, al fresco della rugiada mattutina ed il passo si fa più sicuro e spedito, tra quelle rocce.
La direzione, questa volta, non è verso il Rifugio Graffer, bensì verso il Rifugio Stoppani.
Difatti, ad un certo punto, prima di arrivare al Graffer, ci sta un sentiero sulla destra che ci conduce direttamente al rifugio Stoppani. Se lo perdiamo, la pena è di scendere di parecchio, arrivare al Graffer e poi risalire su di uno stradone sassoso, con salite impegnative.
Impegnativo è anche il percorso. Ma questo già lo sappiamo.
Ora è molto più piacevole che all’andata. E’ mattino, fa fresco, ma si sta bene. La luce del mattino e l’assenza di nebbia rendono questo sentiero molto più affascinante, seppur sempre impegnativo.
Qui mi rendo conto che ogni tanto le scarpe non attaccano perfettamente al terreno. Ogni tanto, infatti, troveremo un po’ di sabbione e brecciolina, che rendono la camminata meno stabile.
I bastoncini fanno il loro sporco lavoro e mi impediscono di perdere l’equilibrio quando la scarpa cederà, di tanto in tanto, su quel tipo di terreno.
Dopo una bella sudata e una piacevolissima camminata, arrivo all’imbocco del sentiero che mi porterà verso lo Stoppani.
Rifugio Stoppani
Arrivo al Rifugio Stoppani e immortalo il segnale che ci dice che qui siamo al passo del Grostè, a 2442 metri.
Un po’ più in sù, seguendo la direttrice della cabinovia, ci sta la cima Grostè, a 2857 metri.
Mi son fermato per una ragione. Il caffè americano mi ha scaldato lo stomaco, sì, ma non mi ha svegliato del tutto.
Ci vuole un caffè vero. E qui lo trovo. Buono.
Quindi faccio la pausa caffè e mi studio il percorso. Dovrò trovare l’imbocco per il sentiero 301, che mi accompagnerà per tutte le ore a venire, fino a Pegorar e Andalo. Dalle panche dell’enorme spiazzo antistante il rifugio mi guardo attorno.
Lo scenario è da cartolina e la giornata tersa rende quelle cime ancora più affascinanti.
Mi faccio forza. Mi piacerebbe restare qui ancora un po’ a godere del sole, del relax e, magari, di qualcosa da mangiare. Ma, stoicamente, mi carico lo zaino in spalla e riprendo a camminare.
Qui occorre prestare attenzione. Il sentiero non è segnalato. Dobbiamo lasciarci il rifugio sulla sinistra e andare verso destra.
Di lì a poco, incontreremo un segnale consunto, ma con su riportato il numero del nostro sentiero.
Presto incontreremo due piccole croci, di cui ignoro il significato, non avendo trovato informazioni in merito.
Da qui il sentiero diventa abbastanza difficile e molto in pendenza. Bisogna attraversare terreno sassoso e scendere su ripidi gradoni, facendo un dislivello di circa 200 metri.
Vedo i camminatori che salgono abbastanza affaticati. La salita, infatti, è ripida, come la discesa.
Anzi, la discesa lo è sempre di più, specie per le ginocchia.
In montagna impari che le salite possono essere dure, ma le fai. Sudi, arranchi, ma le fai.
Le discese invece mettono a dura prova i menischi. Tutti. Interni ed esterni. Ed il rischio di infiammarli è dietro l’angolo. La ginocchiera, poverina, fa quel che può. Ma quando c’hai il menisco consumato, non c’è rimedio che tenga.
Il sentiero è abbastanza ben segnalato e, lungo il percorso, incontreremo diversi bivi, a cui corrispondono sempre le giuste indicazioni.
Seguiamo sempre, sempre, il sentiero 301, che si sviluppa prevalentemente in piano, e non rischiamo di perderci. Spesso troveremo i segnali non proprio in ottimo stato. Ma ci sono.
Dopo un’ora e mezza di un sentiero pianeggiante e, talvolta, in falsopiano, quindi tutto sommato semplice, arriviamo al Passo della Gaiarda (2242 mt) e qui le cose si complicano.
Superiamo il passo e, per una mezz’ora buona, dovremmo fare un sentiero molto molto tecnico, su terreno sassoso, sul massiccio sperone roccioso del Turion Basso, con sassi e ciottoli piuttosto grandi, su una montagna del tutto ciottolosa ed a strapiombo sulla valle.
Ed è meglio non guardare in basso.
Per un po’ di tempo, ovunque gettiamo lo sguardo vedremo solo sassi e ciottoli.
Anzi, a volte, guardando in lontananza, il sentiero non lo vedremo nemmeno. Ci si paleserà davanti cammin facendo.
Un paio di attraversamenti sono pericolosi. Incrociamo degli smottamenti dove non troviamo sassi, ma un terreno sabbioso, su cui si rischia di scivolare in zone abbastanza esposte.
Qui occorre passo sicuro e, soprattutto, una gran fiducia nelle scarpe e nei bastoncini. Superato questo difficile tratto di mezz’ora, il sentiero diventerà più dolce e, in poco tempo, arriviamo a Malga Spora. Qui c’è gente che mangia e ampi prati usati per i pascoli di mucche che se la scialano.
Una pausa ci vuole. La Malga fa da mangiare e, se abbiamo finito l’acqua, dispone di un piccolo spaccio.
L’acqua, però, l’ho centellinata. Mi sono portato appresso più di 3 litri e ho ancora una buona riserva. Mangio qualcosa e, subito, riprendo a camminare.
Mancano 2 ore per Pegorar e Andalo e il sentiero ora è tutto in discesa e tutto sommato piacevole.
Si svolge tutto nei boschi e, superata la malga, incontriamo i primi cartelli che ci segnalano la presenza dell’orso.
L’unica cosa complicata è che ora siamo a 1900 metri e dobbiamo arrivare a 1000, l’altitudine di Andalo. Abbiamo già fatto più di 500 metri di dislivello e ora ce ne tocca farne altri 900.
Novecento metri in appena 6 km.
Quindi la discesa si preannuncia tosta.
Acqua acqua!
Il primo tratto, da Malga Spora a scendere, non è complesso, anzi. Mi sento ancora di camminare per un bel po’ prima di far pausa. Il ginocchio mi duole, ma è sopportabile.
Tuttavia, dopo appena mezz’ora di cammino, mi imbatto in una fontana. Fontanafredda, dice il cartello. E’ nel territorio del comune di Cavedago.
E il nome non disattende le aspettative.
L’acqua è fresca e ti invita a sostare, per bere a più non posso.
Riempio le borracce e il camel bag e ne approfitto per studiare di nuovo il percorso. Devo arrivare ad Andalo in tempo a prendere il bus e oggi è domenica, giorno in cui le corse sono ridotte e finiscono presto.
Si riparte
Riprendo il cammino e godo del silenzio del bosco. Intorno non sento nulla se non il cinguettio degli uccelli e, in lontananza, ma molto in lontananza, i rumori del traffico cittadino.
E’ segno che stiamo andando nella giusta direzione.
Qui incontreremo solo un piccolo tratto attrezzato, sulla cengia della Sega Alta, perché si trova a picco sopra l’alta valle che sale da Spormaggiore.
Ma, visto quello che abbiamo fatto in precedenza, si tratta di una passeggiata.
Ad un certo punto incontriamo una sbarra verde. Qui il sentiero pare finire e troviamo una strada bianca, che presto diviene asfaltata, che procede in forte discesa.
Siamo naturalmente tentati di seguirla, perché pare vada in direzione di Andalo e non ci sono più segnali. In realtà, dopo la sbarra, sulla destra, troviamo un segnale SAT rimosso. E quindi non ci accorgiamo della direzione da prendere. Dopo pochi metri, imboccato il bosco, ne troviamo un altro.
Quindi avremmo rischiato, seguendo lo stradone, di andare verso Cavedago, ossia verso l’interno.
Imbocchiamo il sentiero e faremo tutto bosco, fino a Pegorar.
Siamo a Pegorar. Il borgo di Andalo che lambisce il bosco. Qui è sufficiente svoltare a sinistra e trovare una strada lastricata in discesa, subito a destra, che ci conduce immediatamente nel centro abitato di Andalo, che ci si palesa davanti.
Seguiamo la via di alberghi e parchi giochi per bambini, per arrivare all’incrocio con via Trento, dove finisce il nostro percorso.
A sinistra troveremo la fermata del bus.
Se decidiamo di rientrare col bus, andiamo alla fermata sulla nostra destra, sotto all’albergo. Da lì arriviamo a Mezzocorona, dove troviamo il treno regionale per Trento o Mezzolombardo, dove possiamo prendere il trenino Trento-Malè.
Impressioni
Questo percorso ci farà spaccare il cuore delle Dolomiti del Brenta, da Ovest ad Est. Cioè da Madonna di Campiglio ad Andalo.
Sono, in totale, 31 km, ma solo perché ho deciso di andare a dormire al rifugio Tuckett. Se decidiamo di fermarci agli altri rifugi menzionati nell’articolo, faremo meno di 25 km.
In questo percorso abbiamo toccato molti punti di interesse e vediamo, dall’interno, la particolare conformazione delle Dolomiti e delle sue pietre stratificate, che passano dal grigio chiaro ad un rosso sabbia, quasi senza soluzione di continuità.
Nonostante sia una zona molto frequentata, da escursionisti di tutto il mondo, è piuttosto quieta. Durante la camminata tra il Rifugio Graffer e il rifugio Tuckett Sella, non ho incontrato nessuno.
Anche sul sentiero 301, per il tratto del Turion Basso, ho incrociato solo un escursionista.
Le uniche zone popolate dal turismo di massa sono quelle facilmente raggiungibili con la cabinovia e, infatti, qui i sentieri sono più sporchi. Troviamo, di sovente, fazzoletti di carta abbandonati a terra e altre zozzerie. Segno che la massa va in montagna giusto per moda, senza alcun rispetto.
Noi, invece, che la montagna la rispettiamo, cerchiamo di passare meno tempo possibile in questi posti e andare nel cuore della Montagna, dove possiamo godere della sua aspra bellezza.