La pagina del blog “in giro” nasce dalla voglia di condividere con i miei amati quattro lettori i trekking e le uscite in bici fatti in questi anni. Grazie alle esperienze fatte, di condividere anche qualche suggerimento utile per fare le nostre uscite in sicurezza.
Dei percorsi più lunghi o più caratteristici ho tenuto un piccolo diario di bordo, dove ho segnato questi dati: Durata, Km fatti, difficoltà, data, traccia GPX. Ogni post ha un piccolo pannello informativo, in cima, dove sono racchiusi questi dati, giusto per dare un pratico e veloce strumento informativo.
L’icona segna se il percorso è a piedi o in bici e qui indico la durata in ore. | |
Qui indico i km fatti | |
Qui indico la difficoltà in base alle classificazioni CAI (vedi sotto) | |
Qui indico la data in cui ho fatto quel percorso | |
Qui puoi scaricare la traccia GPX fatta con lo smartwatch |
Durata, Km e data dei trekking
La durata spesso è indicativa e a volte include le pause (che per me son tante, lunghette, dipende da quanto mi piace fermarmi in un posto!). Quindi non prendere alla lettera questo dato, ma consideralo come un’indicazione di massima.
A volte mi sono fermato e ho messo in pausa lo smartwatch con cui registravo la traccia, a volte non l’ho fatto (per ragioni tecniche: spesso sfiorandolo con il polsino, si chiudeva la registrazione e dovevo riprendere daccapo).
A volte avevo un passo spedito, altre volte no, a seconda delle condizioni fisiche, dell’altitudine, della pendenza, ecc. Quindi la durata è il dato più soggettivo che esista!
A proposito di pendenze, negli articoli dei trekking in montagna trovi anche l’informazione sul dislivello massimo che faremo. Il dislivello è la differenza tra il punto più basso e il punto più alto, quindi ci fa capire quanta salita e discesa accumuleremo.
Nel singolo post è specificato se il percorso è solo di andata (A) o andata e ritorno (A/R).
Nei singoli post è indicata la data in cui ho fatto quel percorso. Perché è importante? Perché magari, rispetto ad allora, qualcosa è cambiato. Ad esempio, ho fatto moltissime volte le vie del Sale in Salento e, tornando dopo alcune settimane dall’ultima, ho notato che alcuni segnali erano stati rimossi. Quindi non è detto che le indicazioni scritte nel post siano corrispondenti a quelle reali oggi (o domani).
La durata di un’uscita: la velocità media
La durata e il totale dei km, letti insieme, ci danno un’indicazione più precisa. Grossomodo ci danno la velocità media. Un dato indispensabile per calibrare meglio le nostre uscite, specie a piedi. Sappiamo che in pianura un soggetto abbastanza allenato può fare 5 km/h in media (con punte anche di 6,5/7 km/h). In montagna si scende anche a 3 km/h, a seconda delle pendenze (con punte in negativo di 2 km/h).
Come si calcola? Se ho fatto 10 km in 3 ore, significa che ho avuto una velocità media di 3,3 km/h. E’ sufficiente dividere lo spazio per il tempo. Quindi 10 (km) / 3 (ore) = 3,3 periodico.
Essere consapevoli del nostro passo e delle velocità medie che riusciamo a tenere ci farà fare uscite in sicurezza, perché sapremo – grossomodo – quanto tempo ci impiegheremo e se riusciremo ad arrivare alla meta entro un certo orario. Ed è un dato indispensabile anche per evitare di trovare il buio sulla via del ritorno.
La difficoltà di un trekking: le classificazioni CAI
Qui mi rifaccio alle classificazioni di difficoltà elaborate dal CAI, che si dividono in:
T Turistico
Itinerari su stradine, mulattiere o larghi sentieri, con percorsi non lunghi, ben evidenti e che non pongono incertezze o problemi di orientamento. Si svolgono di solito sotto i 2000 metri.
Richiedono una certa conoscenza dell’ambiente circostante e una preparazione fisica di base alla camminata.
E Escursionistico
Itinerari che si volgono su terreni di ogni genere, oppure su evidenti tracce di passaggio in terreno vario (pascoli, detriti, pietraie), di solito con segnalazioni; possono esservi brevi tratti pianeggianti o lievemente inclinati di neve residua dove, in caso di caduta, la scivolata si arresta in breve spazio e senza pericoli.
Si sviluppano a volte su terreni aperti, senza sentieri ma non problematici, sempre con segnalazioni adeguate. Possono svolgersi su pendii ripidi, dove tuttavia i tratti esposti sono in genere protetti o assicurati (cavi).
Possono avere singoli passaggi, o tratti brevi su roccia, non esposti, non faticosi né impegnativi, grazie alla presenza di attrezzature (scalette, pioli, cavi) che però non necessitano l’uso di equipaggiamento specifico (imbragatura, moschettoni, ecc.).
Richiedono un certo senso di orientamento, come pure una certa esperienza e conoscenza dell’ambiente collinare o montano, allenamento alla camminata, oltre a calzature ed equipaggiamento adeguati.
Costituiscono la grande maggioranza dei percorsi escursionistici sulle montagne italiane.
EE per Escursionisti Esperti
Si tratta di itinerari generalmente segnalati ma che implicano una capacità di muoversi su terreni particolari, in particolare in montagna.
Sentieri o tracce su terreno impervio e infido (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, o misti di rocce ed erba, o di roccia e detriti). Terreno vario, a quote relativamente elevate (pietraie, brevi nevai non ripidi, pendii aperti senza punti di riferimento, ecc.).
Tratti rocciosi, con lievi difficoltà tecniche (percorsi attrezzati, vie ferrate fra quelle di minore impegno).
Rimangono invece esclusi i percorsi su ghiacciai, anche se pianeggianti e/o all’apparenza senza crepacci (perché il loro attraversamento richiederebbe l’uso della corda e della piccozza, nonché la conoscenza delle relative manovre di assicurazione.
Necessitano: esperienza di montagna in generale e buona conoscenza dell’ambiente montano; passo sicuro e assenza di vertigini; equipaggiamento, attrezzatura e preparazione fisica adeguate. Per i percorsi attrezzati è inoltre necessario conoscere l’uso dei dispositivi di autoassicurazione (moschettoni, dissipatore, imbragatura, cordini).
EEA per Escursionisti Esperti, con Attrezzature
Questa sigla si utilizza per certi percorsi attrezzati o vie ferrate, al fine di preavvertire l’escursionista che l’itinerario richiede l’uso dei dispositivi di autoassicurazione.
Non approfondisco i vari gradi di difficoltà dei percorsi attrezzati perché non ne troverete su questo blog. Preferisco i sentieri dove si cammina e basta.
Prendi il grado di difficoltà con le pinze
Dunque il grado di difficoltà di un percorso non può mai dirsi oggettivo. Dipende molto dallo stato di allenamento, di predisposizione mentale o, banalmente, di come ti senti quel giorno.
Ho fatto percorsi che, in certi giorni mi parevano facili e, a distanza magari di poche settimane, mi sembravano più tosti. Eppure erano sempre gli stessi e con le stesse condizioni metereologiche.
Quindi tutto è abbastanza soggettivo, anche perché se è vero che c’è un certo grado di oggettività, anche questa a volte viene meno.
Ad esempio, lo stato del terreno è una condizione oggettiva, ma muta se qualche giorno prima ha piovuto (terra più morbida o addirittura fangosa) o se non piove da mesi (terra arida e dura).
Anche il grado di umidità presente nell’aria influisce molto sulla difficoltà, come pure, ovviamente, il vento. Pertanto anche l’indicazione del grado di difficoltà va presa con le pinze.
La traccia GPX delle uscite che ho fatto
La traccia GPX l’ho ottenuta dallo smartwatch, da cui ho tratto anche le indicazioni sul kilometraggio e sulla durata del tracciato. A volte sono andato fuori traccia, a volte mi son perso e son tornato indietro. A volte il segnale GPS si perdeva e tornava dopo qualche decina di metri, lasciando dei “buchi” sul tracciamento del percorso.
I buchi li ho corretti, per fornire una traccia più precisa possibile. E quando non ero sicuro del percorso, mettevo il tracciamento in pausa, per evitare di creare tracciati confusi.
Ma si tratta comunque di tracce GPX piuttosto artigianali e non proprio perfette, tuttavia sono reali e tutto sommato affidabili. Quindi non si tratta di tracce GPX ideali, ossia fatte su app e spacciate per vere. Di queste ne ho trovate a bizzeffe in rete, tant’è che, affidandomi a questo tipo di tracce GPX mi son ritrovato a volte a fare percorsi che passano da proprietà private, quindi chiuse, oppure da sentieri che non sono tali, che si addentrano nel bosco o che si allontanano dal tracciato segnalato. Insomma, le tracce GPX che condivido con voi non saranno perfette, ma sono quantomeno testate sul campo!
Attrezzatura necessaria per fare trekking
Troppo spesso si legge, sulle cronache locali, specie tra Piemonte, Veneto, Trentino e Friuli, di escursionisti che affrontano i trekking in montagna senza un’adeguata preparazione e attrezzatura.
La vicenda del papà con in braccio il figlioletto, su una ferrata, senza casco né protezioni, ha fatto il giro del web e un livello così elevato di idiozia e indifferenza verso la sicurezza di creature fragili e indifese non merita commenti, se non di disprezzo assoluto.
Ma leggo spesso di gente che va in montagna con le scarpe da ginnastica, o in jeans o, addirittura, di uno che, a 4000 metri, girava in mocassini e con la giacca sotto braccio.
Ciò ha portato il Soccorso Alpino a pubblicare uno spot, molto simpatico, che mette in rilievo proprio questi comportamenti scorretti. Che mettono a repentaglio le vite di chi va in montagna, ma anche di chi li soccorre.
Ogni percorso necessita di un minimo di attrezzatura.
Anche per fare un sentiero semplice come quello delle Cipolliane (Salento) c’è bisogno di almeno un paio di scarpe da trekking e vestiti comodi e adeguati alle condizioni climatiche.
Cosa portarsi appresso durante le uscite?
Tutto dipende da dove vai, per quanto tempo, in quale stagione dell’anno e in quali condizioni climatiche.
Di base: un paio di scarpe da trekking, I bastoncini (non sempre, ma è meglio tenerli appresso), acqua a sufficienza (camel bag si o no? Lo vediamo tra poco), un ricambio (maglietta o maglioncino), cibo anch’esso a sufficienza, un poco di frutta secca (noci, mandorle e uva passa sono un toccasana), almeno un power bank (se usi il GPS la batteria va via come un lampo e se hai bisogno di chiamare i soccorsi, il cellulare scarico non ti serve a granché), un coltellino, ago e filo o fil di ferro (per riparazioni di fortuna), una torcia (mai dire mai, metti che ti attardi…) e, se sei in montagna, una cartina cartacea è sempre utile (desueta ormai, a torto).
Trekking d’estate
D’estate è bene portarsi intanto l’attrezzatura di base, poi almeno 2-3 ricambi, specie se fai cammini di più giorni. D’estate si suda tanto ed è bene cambiarsi regolarmente. Inoltre è bene portarsi molta acqua.
Io mi porto dietro due borracce in metallo, una da mezzo litro e una da 750 ml (che tiene fresca l’acqua per una giornata intera!) e un camel bag da 2 litri. Di solito lo riempio fino ad un massimo di 1,5 litri, sia perché mi rendo conto che in una giornata mi basta, sia perché non voglio appesantirmi troppo. Il camel bag lo trovo utile perché lo ripongo nello zaino e bevo dalla cannuccia senza dovermi fermare ogni volta per bere.
In montagna non è difficile trovare fontanelle d’acqua. Generalmente sono potabili e, se non lo sono, di solito c’è scritto. E’ bene fare rifornimento tutte le volte che si può.
Una giacca antivento e antipioggia. Mai dire mai. Specie in montagna, il clima può mutare da un momento all’altro. Se ora splende il sole, non è detto che dopo un po’ non arrivi una scrosciata d’acqua e che possa durare a lungo. Per sicurezza mi porto (quasi) sempre appresso il poncho.
Trekking d’inverno
D’inverno il peso dello zaino aumenta sensibilmente. E’ vero che si ha bisogno di meno acqua che in estate, ma è sempre bene portarsi appresso i ricambi (che sono un po’ più pesanti), nonché: guanti, cappello, una giacca extra (io mi porto un gilet o una maglia tecnica) e, soprattutto, i ramponcini. Se decidi di andare in montagna d’inverno, i ramponcini sono indispensabili, insieme ai bastoncini. Ci cammini agevolmente su ghiaccio e neve non troppo fresca ed eviti di scivolare.
Nelle mezze stagioni (che ormai, come diceva nonna, non esistono più) è bene regolarsi a seconda del clima. Comunque il poncho o una giacca antipioggia non devono mai mancare nello zaino.
Trekking di più di 2 giorni
Generalmente i trekking di più giorni si fanno nella bella stagione. Si fanno anche d’inverno, certo, ma la maggior parte, stando alle statistiche, iniziano intorno ad aprile maggio, fino a ottobre. Per un trekking superiori ai 2 giorni, se non hai bisogno di portarti appresso fornelli, ciotole, moka del caffè, ecc. e quindi decidi di mangiare in qualche trattoria o rifornendoti ai supermercati, è sufficiente uno zaino di 40 litri.
Calcola che il peso dello zaino deve rappresentare il 10, massimo 15% del peso corporeo, sennò vai ad affaticarti troppo, nelle lunghe distanze e le articolazioni ne risentono, come anche la schiena.
Cosa ci metto nello zaino nei trekking oltre i 2 giorni?
Di solito lo zaino da 40 litri mi basta e ci metto: 2/3 ricambi (mutande, magliette, calzini), a seconda del numero di giorni che resto fuori, pantaloni di ricambio (non sempre), un cappello (necessario quando cammini sotto il sole), poncho e giacca a vento, ginocchiera e cavigliera (necessari per me, con problemi alle ginocchia e una caviglia storta da anni e anni), pomata per le articolazioni, torcia (se ti attardi diventa necessaria), coltellino (per sbucciare la frutta), sacco a pelo, cibo a sufficienza per un giorno, power bank, dentifricio e spazzolino, una tavoletta di sapone di marsiglia (buono per lavarsi e per lavare le robe), sandali, asciugamani (doccia e viso), borracce e camel bag (per un totale di più di 3 litri), ago e filo, spago, mollette per bucato, kit pronto soccorso. Per sicurezza anche una maglia termica a maniche lunghe o un gilet.
Capitolo magliette
Di solito uso le magliette in Poliestere e Elastan, quelle economiche della Decathlon e, a distanza di 2 anni, le uso ancora e son ancora buone.
Se ti è possibile, scegli anche delle mutande con questi materiali. In pratica è un tessuto molto leggero e, rispetto al cotone, asciugano molto molto prima. Utile se dovessi arrivare tardi alla meta e, il giorno dopo, partire presto. A volte, infatti, mi capitava che le magliette le trovassi asciutte al mattino, le mutande invece ancora umidicce.
Capitolo necessarie per le vesciche e per le robe
Ago e filo sono imprescindibili. Se ti vengono le veschiche, prendi l’ago e una ventina di cm di filo di cotone. Fai un buco alle quattro estremità della vescica e facci passare il filo, a forma di croce. Taglia il filo in eccesso. Attenzione a non far fuoriuscire il liquido. Camminandoci, durante il giorno, il liquido uscirà pian piano. E’ un rimedio che funziona e che ti permette di continuare a camminare con molto meno dolore.
Lo spago invece ti serve per stendere il bucato, sfruttando alberi o paletti appositamente messi nelle strutture ricettive.
Ti servirà anche per riparazioni di fortuna dello zaino o dei vestiti. Oppure per ripari di fortuna, sotto la pioggia, usando il poncho come telo.
Scarpe da trekking e calzini
Le scarpe sono, nell’attrezzatura di un alpinista, la cosa fondamentale. Lo sono anche se non pratichi alpinismo. Delle proprie scarpe da trekking ci si deve fidare, perché rappresentano il primo e più importante dispositivo di sicurezza nelle nostre camminate, a qualsiasi altitudine.
Quando cammini puoi trovare superfici di ogni tipo: dall’asfalto alla brecciolina alla terra battuta al fango. E, ancora, al lastricato, al sabbione, al terreno ciottoloso, sassoso, ai corsi d’acqua, fino a superfici lisce e scivolose.
In salita i problemi si pongono di meno. E’ in discesa che si vede la differenza tra una buona scarpa e una scarpa inadatta.
Il grip, cioè la capacità della scarpa di attaccarsi al terreno e non scivolare, è la cosa che ci farà avere un passo sicuro. E un passo sicuro è la cosa fondamentale per camminare ovunque.
Se la scarpa tende a scivolare spesso, su superfici diverse, di conseguenza avremo paura a dove mettere i piedi e, ad un certo punto, rischiamo di bloccarci e non riuscire più a proseguire. E’ successo tantissime volte e ciò rappresenta la percentuale maggiore degli interventi del Soccorso Alpino: recuperare gente che non riesce più ad andare né avanti né indietro. Per paura o incapacità di proseguire.
Su sentieri esposti, magari sassosi o sabbiosi e con avallamenti da superare, senza un buon paio di scarpe quello che rischiamo è ancora peggio della possibilità di bloccarci. Rischiamo pure la vita.
Oltre ad un buon grip è necessario che il piede stia comodo nella scarpa. Non deve muoversi, ma nemmeno starci troppo stretto. Calcola che durante la camminata si gonfia, per via della circolazione. Inoltre potremmo voler indossare dei calzini più spessi. Quindi mai scegliere una scarpa che ci sta “perfetta” quando la proviamo.
Il consiglio è di provare più modelli di scarpa prima di sceglierne uno. E non è detto che quelle più costose siano le migliori. Ho avuto scarpe comodissime e molto affidabili di 50 euro e problemi ai piedi con scarpe da 160 euro di marchi blasonati. Non è il prezzo che fa la qualità. E’ un indicatore, ma non rappresenta la certezza assoluta.
Calzini
Spesso sono una componente trascurata. In realtà vanno scelti con oculatezza. Delle buone calze ci permettono di camminare senza il rischio di provocare le vesciche ai piedi, che sono una delle cause più comuni di blocco forzato lungo il percorso, per via del forte dolore che ci impedisce di camminare.
Quindi è bene evitare che si formino. E molto dipende dal tipo di calzino. Quelli normali, in cotone, tendono a sfregarsi contro la pelle, formando dunque le vesciche.
Oggigiorno ci sono dei materiali che limitano la possibilità di formarsi delle vesciche. Costano più di un paio di calzini normali, ma son soldi ben spesi.
Quindi sui calzini non fare sconti. Altrimenti le vesciche ti vengono quasi sicuramente. Ora, a distanza di anni, non ho più il problema delle vesciche, anche dopo giorni di cammino, da quando ho iniziato ad usare i calzini della Mico o di Cisalfa o quelli artigianali della Oxeego.
Bastoncini da trekking sì o no?
I bastoncini da trekking li ho sempre snobbati. Preferivo trovare un bastone bello solido nei boschi e usarlo per tutta la durata dell’escursione. Poi però mi son reso conto che ciò non era sufficiente, soprattutto sulla neve oppure su tratti esposti.
I bastoncini sono a volte inutili, a volte utili ma tante volte indispensabili.
Quando sono inutili? Quando si cammina in piano, su sentieri turistici, dove al massimo possono servire per alleviare le sollecitazioni sulle gambe ed allenare le braccia. Perché quando si cammina le braccia restano in massima parte ferme e la circolazione ne risente. Ma in questi casi possiamo farne a meno.
Sono utili quando? Su sentieri escursionistici, dove non si fanno tratti particolarmente esposti o tecnici. In questo caso ci aiutano molto nelle discese, per tenerci stabili e nelle salite, per alleviare la fatica.
Quando sono indispensabili? Nei sentieri per escursionisti esperti, dove i tratti sono ostici, talvolta esposti (anche molto!) e occorre stabilità mentre si cammina. In molti casi mi hanno aiutato a superare tratti molto complessi e, in un paio di occasioni, mi hanno salvato la vita, mentre perdevo l’equilibrio. Se perdi l’equilibrio su un tratto esposto, è la fine. Rischi di cadere giù e chissà come finisce. I bastoncini sono due piedi supplementari e si aggrappano al terreno, mantenendoti stabile.
Come si usano?
E’ molto semplice. Ti basta seguire con la mano l’andamento del piede corrispondente. Quindi mano sinistra in avanti mentre vai avanti col piede sinistro. Idem col destro. Se sei in salita, metti la punta del bastoncino all’altezza del tallone del piede corrispondente. Se sei in discesa, porti i bastoncini in avanti, dopo la punta del piede, per reggere il peso. Sono anche un ottimo modo per dare ritmo alla camminata. Che, non smetterò mai di dirlo, dev’essere lenta e costante, specie in montagna. Occhio a tenerli sempre allacciati tramite gli appositi lacci, altrimenti ci scivolano di mano facilmente.
Camel bag sì o no?
A lungo snobbato, da qualche anno ho iniziato ad apprezzarne l’utilità, specie durante i cammini di più giorni.
Il camel bag altro non è che una sacca in gomma, abbastanza resistente, di capacità che vanno da 1 a 3 litri, con un tubo in gomma che ci permette di bere senza fermarci ogni volta.
Infatti si colloca nello zaino da trekking, in una tasca apposita e il tubo si fa passare da una fessura su cui di sovente troviamo il simbolino della goccia d’acqua.
Poi si fissa su un occhiello posizionato su uno degli spallacci, in modo che non balli durante la camminata.
La trovo utile perché offre una buona riserva d’acqua e non genera molto volume. Essendo morbida, si adatta facilmente ad ogni spazio. In questo modo ho evitato spesso di dover comprare l’acqua nei rifugi (a caro prezzo, e nelle maledette bottiglie in plastica monouso) e l’ho riempita alle fontanelle ogni volta che potevo.
Insieme alle due fedeli borracce metalliche, una da 750 ml e l’altra da mezzo litro, mi consente di avere un’autonomia di 3 litri abbondanti che, per un paio di giorni di cammino, sono sufficienti.
In montagna si saluta
Una delle regole non scritte ma radicate nella cultura della montagna è che quando incontri qualcuno lungo il sentiero, lo saluti.
E’ una regola d’oro, sempre rispettata da tutti i montanari, nel corso della storia.
Oggi che la montagna è frequentata dal turismo di massa, questa regola inizia a venir meno.
Ciò è dovuto al fatto che la gente borghese di città, che si dedica alle camminate in montagna per pura moda o per ottenere materiale altamente instagrammabile, mutua in montagna gli atteggiamenti tipici delle città.
Quindi ti può capitare, di frequente, di incontrare gente che manco ti guarda in faccia quando tenti di salutarla o che, al tuo saluto, non ricambia e continua a parlare con i suoi compagni, ignorandoti del tutto.
Si tratta, quindi, di piccolo borghesi zotici e ignoranti. Per fortuna c’è tanta altra gente che, questa regola, la segue e, anzi, a volte ti troverai a condividere i tuoi racconti con altri camminatori, facendo belle conoscenze.
Segui sempre i sentieri
Sembra banale dirlo, ma seguire i sentieri è la prima regola per camminare serenamente, limitare di gran lunga i rischi ed evitare gran parte dei problemi, specie in montagna.
Esempio di segnale che ci indica la presenza di una curva a gomito o di una svolta, specie in zone dove è presente un altro sentiero che può trarci in inganno.
Questo per una ragione molto semplice. Se facciamo percorsi in habitat popolati da animali selvatici, non ci disturberemo a vicenda.
Gli animali selvatici sono molto intelligenti. Sanno bene quali sono gli spazi percorsi dall’uomo e se ne stanno alla larga.
Questo vale sia per gli orsi che per le linci e, in misura un po’ diversa, anche per i lupi.
Altro vantaggio nel camminare sui sentieri è che limitiamo fortemente il rischio di essere morsi dalle zecche.
Queste si adagiano spesso sull’erba alta e sono in grado di attendere anche lungo tempo, prima di gettarsi sulla preda. Lungo i sentieri ne possiamo trovare, ma in misura minore, per diverse ragioni. O perché l’erba alta viene tagliata dai volontari che gestiscono i sentieri, o per il flusso di altri camminatori, che riducono la presenza di questi spiacevoli animali.
Lo stesso vale per le serpi o per i ragni. Mi è capitato più volte di incontrare dei serpenti in montagna, in estate, anche velenosi, ma di rado su sentieri, specie quelli più battuti dai camminatori.
Un altro rischio che si evita seguendo i sentieri è quello di perdersi. In montagna è facilissimo perdere l’orientamento. Non abbiamo punti di riferimento. Basta perdere il sentiero per rischiare di vagare anche per ore o, peggio, finire in qualche gola o in qualche zona impervia, da cui è difficile tornare indietro. E lo dico per esperienza. In alcuni casi ho voluto fare di testa mia e poco c’è mancato di finire in qualche crepaccio o di volare nel vuoto. I sentieri sono sempre segnalati e li troviamo spesso, specie nei punti più critici (svolte, bivi, ecc.).
Se ad un certo punto non ne vediamo più, vuol dire che abbiamo sbagliato sentiero. Quindi occorre tornare indietro fino all’ultimo segnale visto. Qui ci renderemo conto che il segnale successivo sta da tutt’altra parte.
Inoltre i sentieri tracciati ci offrono delle informazioni che spesso risultano vitali. Per esempio i cartelli ci indicano quanto tempo manca per una certa meta. Così riusciamo a regolarci e capire, per esempio, se arriveremo con la luce o al buio, se l’acqua ci basterà, ecc.
Zecche, come regolarci
Seguire il sentiero è la prima regola utile per evitare di essere morsi dalle zecche.
Le zecche preferiscono stazionare nell’erba alta e nei cespugli, specie in ambienti umidi ed ombreggiati.
Le zecche sono ormai endemiche in molte zone montane del Trentino, Veneto, Friuli, Lombardia e sono diffuse, in misura minore, anche nelle altre regioni d’Italia. Il rischio d’imbatterci, quindi, è alto.
A me è capitato di essere stato morso da una zecca, per la prima volta in vita mia, ad inizi marzo 2024, mentre mi riposavo sotto un albero e di non averla riconosciuta inizialmente. Anche perché sapevo che iniziano a comparire solo verso aprile. Solo dopo alcuni giorni mi sono reso conto che fosse una zecca. All’inizio pensavo ad una comune eruzione cutanea.
Con i cambiamenti climatici, quindi, le zecche iniziano molto prima la loro attività di ricerca dell’ospite per effettuare il pasto di sangue necessario per completare il loro ciclo di sviluppo (che prevede tre stadi nell’arco di tre anni). Quindi, rispetto al passato, iniziano la loro attività già a marzo, fino a novembre inoltrato.
I cambiamenti climatici influiscono anche sulla diffusione alle quote più alte. Finora si trovavano sotto ai 1200 metri. Ora non è infrequente trovarle anche a quote superiori. Le punture di zecca non sono dolorose e non si sentono, ma possono avere conseguenze gravi, se la zecca è infetta. Lo diventa quando morde un altro ospite, infetto. Quindi la zecca fa da tramite.
Le principali malattie trasmesse dalle zecche sono la malattia di Lyme e la TBE (o encefalite da zecca). La prima è causata da un batterio e necessita di una cura antibiotica se viene contratta, mentre la seconda viene trasmessa da un virus, per cui l’unico rimedio consiste nella vaccinazione.
E’ sempre consigliabile indossare pantaloni lunghi e, possibilmente, vestirci di chiaro, in modo da vedere facilmente eventuali zecche che ci si sono posizionate addosso. Regola vuole, comunque, di controllarci regolarmente durante il cammino, per verificare la presenza di zecche aggrappate sugli indumenti. E’ anche cosa buona portarci sempre appresso una pinzetta. In caso di morso occorre collocare la pinzetta sulla base del morso, fare una trazione verso destra o sinistra ed estrarre l’animale con lentezza ma con presa sicura. Vanno assolutamente evitati i liquidi (olio, alcool, ecc.), perché la zecca potrebbe ingerirli e rigurgitare tutto all’interno della ferita, inclusi eventuali virus o batteri. Per approfondimenti, rinvio a questa pagina.
Orsi, come regolarci
Come dicevo, seguire i sentieri è la prima forma di prevenzione.
L’orso è un animale intelligente, che si affida molto all’intuito e all’olfatto. E soprattutto è un animale schivo. Quando si rende conto che una certa area è trafficata dall’essere umano, tende ad evitarla.
L’orso diventa confidente a causa dell’essere umano, che gli procura (volontariamente o meno) cibo facile e ciò crea problemi, perché lo avvicina sempre più ai centri antropizzati e si moltiplicano i casi di attacchi.
Leggendo le fonti ufficiali scopriamo infatti che:
Gli orsi sono animali schivi, per cui è difficile incontrarne uno. Quando gli incontri con l’uomo avvengono, nella grande maggioranza dei casi gli orsi si allontanano rapidamente. Gli esemplari manifestano generalmente una sostanziale indifferenza per l’uomo.
Consigli di base
farti percepire per tempo. Se cammini in compagnia, parla ad alta voce. Se cammini da solo, portati appresso un campanellino. La regola di base è di farsi sentire.
Evita di camminare alle prime ore dell’alba ed al crepuscolo, periodo in cui l’orso è più attivo alla ricerca di cibo e perché sa che c’è meno attività antropica.
Se sei con il cane, tienilo sempre al guinzaglio. Entrambi gli animali, istintivamente, cercano di proteggersi aggredendo.
Mai lasciare rifiuti organici in giro. Rendono l’orso più confidente e lo avvicinano alle zone frequentate dall’essere umano.
Stando ai dati storici in Europa si registrano in media 10 attacchi l’anno (18 se si considera la Romania che, da sola, conta il 45% degli attacchi di orso a livello europeo).
Pochi, se consideriamo l’elevato traffico umano nei sentieri di montagna.
Se incontriamo l’orso da lontano
Tuttavia, nella remota ipotesi di un incontro da lontano con l’orso, vanno seguiti questi suggerimenti:
Non avvicinarti e non restare nei paraggi, nemmeno per osservarlo o fotografarlo. Procedi lentamente e in silenzio indietro, senza perderlo di vista e senza dargli le spalle. Assolutamente, non correre. E’ probabile che si allontani da solo.
Se l’orso ti segue, cammina lentamente da dove sei venuto, senza dargli le spalle.
Calcola che l’orso può percorrere anche lunghi tratti in brevissimo tempo, ecco perché non è consigliabile correre, nemmeno indietro, anche se lo vediamo da lontano. Ci raggiungerebbe con facilità e percepirebbe la corsa come un segno di aggressività o di timore. Invece dobbiamo mostrarci fermi, quieti e tranquilli.
Se ci imbattiamo nell’orso da vicino
Nel caso di un incontro ravvicinato manteniamo la calma e osserviamo le reazioni dell’orso. Nel frattempo indietreggiamo lentamente evitando di correre e di dargli le spalle.
Se l’orso si alza sulle zampe posteriori, significa che vuole minacciarti (il ché non significa aggredirti) e che sta valutando la situazione.
In questo caso rimani fermo e parla con tono calmo e fermo, senza urlare.
Se l’orso inizia a grugnire, soffiare o dare zampate a terra, vuol dire che si sta innervosendo ed è pronto ad attaccare. Anche in questo caso è necessario mostrarsi calmi e allontanarsi lentamente senza dargli le spalle e senza perderlo di vista.
Se l’orso ti corre incontro con atteggiamento aggressivo, resta calmo. Non urlare e muoviti lentamente.
Se ti attacca, buttati faccia a terra e copriti la nuca con le mani. Non reagire. Tieni lo zaino addosso, può proteggerti dalle zampate alla schiena. Il più delle volte l’orso si allontana, ma in alcuni casi può essere necessario attendere che allenti la presa e approfittarne per fuggire via.
A proposito di Trentino. Qui, fino ad agosto 2024, c’erano dei segnali che indicavano, con estrema chiarezza, le regole da seguire nelle aree di presenza dell’orso.
Poi sono stati sostituiti con questo, che però richiede un comportamento attivo da parte dell’escursionista e il fatto che lo smartphone abbia la connessione, per poter inquadrare il QR code e accedere alla pagina delle regole di comportamento. Una regressione che, forse, dipende dal dibattito in corso in cui parte della popolazione e la classe politica dirigente maltollerano la presenza dell’orso. Ne parlerò meglio in altri articoli.
No ferrate, no arrampicate
Se cerchi suggerimenti per affrontare vie ferrate o per arrampicate, sei nel posto sbagliato. Non mi piacciono, non le ho mai fatte e non ho intenzione di farle.
Qui trovi solo suggerimenti e percorsi per trekking dove occorre solo l’uso delle gambe! Al massimo avrò fatto una piccola sfacchinata su roccia per salire in una cima, ma è cosa ben diversa dell’arrampicata.
Altre avvertenze
Mai fidarsi dei diari di viaggio altrui! Questa è una regola che mi son posto da sempre. Mi piace leggere le esperienze di chi ha fatto lo stesso percorso che mi appresto a fare, ma tendo a testare direttamente sul campo quello che leggo. Quindi se leggo che un certo sentiero è facile, non mi cullo, ma lo affronto senza pormi alcun pregiudizio.
Fai lo stesso con me. Non ti fidare di quello che ti dico. Testa sempre il percorso con le tue gambe e non prendere mai sottogamba qualsiasi percorso, anche quelli apparentemente semplici.
Porta sempre l’attrezzatura necessaria con te. Anche quando ti pare inutile. Tante volte mi è capitato di portarmi appresso il poncho, che non mi è mai servito. Poi una volta l’ho lasciato a casa, pensando fosse inutile come le altre volte, e mi ha beccato un acquazzone torrenziale.
Lo stesso è valso per il power bank. Mai usato. Quando l’ho lasciato a casa, mi si è scaricato il telefono e sono rimasto per ore senza poterlo usare. Dalle mie parti si dice: meju cu te resta ca cu te manca. Meglio, insomma, il superfluo che restarne senza.