Il revisionismo è l’arte di dire e poi ritrattare, fare e disfare, modificare – più che interpretare – i fatti a proprio vantaggio. Ma a vantaggio di chi? E cosa c’entra il revisionismo con l’attuale conflitto russo-ucraino?
Leggendo la Treccani, al termine revisionismo, si ritrova questa definizione:
Nella politica internazionale, qualsiasi atteggiamento o attività di Stati, gruppi o partiti tendente a ‘rivedere’, cioè a modificare l’assetto stabilito dai trattati.
Inoltre, in ambito storiografico, si ritrova quest’altra definizione:
tendenza a modificare interpretazioni storiche ormai consolidate, soprattutto sulla base di ricerche dirette a riconsiderare particolari aspetti dei fenomeni che ne costituiscono l’oggetto.
Due distinte definizioni che, però, calzano a pennello sugli attuali fenomeni bellici.
La prima definizione
Come già scritto nel precedente articolo, il ruolo revisionista, in ambito internazionale, spetta ai morenti capi del mondo, gli Stati Uniti, che nella fase calante della propria egemonia globale hanno voluto affrontare a muso duro Russia e Cina (quest’ultima di riflesso e, in base agli esiti del conflitto, sarà la prossima), violando ormai assodati obblighi internazionali di non ingerenza della NATO ai confini con la Russia.
Questi accordi erano volti, appunto, ad evitare l’accerchiamento della Russia e possibili attacchi americani nei suoi confronti, dato che dall’Ucraina un missile USA ci metterebbe 5 minuti per arrivare a Mosca.
Rispettati per decenni, quando gli USA erano convinti che la Russia – perdendo pezzi di territorio dell’ex URSS – non si sarebbe mai più ripresa economicamente e geopoliticamente, sono stati poi violati proprio nel momento in cui l’asse asiatico pareva minacciare l’egemonia statunitense.
E così, dopo un colpo di stato in Ucraina e servendosi di un governo fantoccio, appoggiato dai nazisti, hanno aperto le porte all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
La Russia non è rimasta certo a guardare ed è dal 2014 ad oggi che ha attivato canali di comunicazione per impedire agli USA di superare quella “linea rossa” che il diritto internazionale aveva sancito.
Parole a vuoto.
L’intervento in Crimea, che ha interessato in pochi e non ha smosso gli animi che oggi si sentono puri dinanzi alle atrocità in Ucraina, fu necessario per evitare alle popolazioni russofone ulteriori atrocità perpetrate dagli squadroni nazisti in quelle aree.
Ricordo che la guerra in Ucraina non è scoppiata oggi, ma nel 2014, provocando più di 15.000 morti. Evidentemente questo numero fa meno clamore dei presunti 2.000 civili uccisi in questi giorni dai militari russi. Lo fa perché è passato sotto il silenzio dei media occidentali.
La seconda definizione
La tendenza a modificare la storia, facendo passare per “buoni” i criminali di guerra (e non solo) è una pratica ormai assodata da parte di una certa borghesia nazionalista e, ovviamente, anche riformista e moderata. La tendenza è tutta volta a generare fenomeni di nazionalismo spinto, dove – per funzionare – occorre individuare di volta in volta un nemico comune. L’altro ieri erano i migranti che ci rubano il lavoro, ieri era il Covid-19, oggi è Putin. Domani, chissà, i cinesi.
Da anni ci occupiamo in vari modi dello “scacco” che ha subito storicamente l’antimilitarismo. Lo ha subito in occidente e in particolare in Italia, dove uno schieramento politico-culturale trasversale ha lavorato alacremente per spargere ovunque tossine nazional-patriottiche, autoritarie, militar-feticiste (quanto sono belle le Frecce Tricolori!), guerrafondaie.
Un’offensiva culturale “sdoganante” i cui promotori, vedendo che c’erano ben poche resistenze, hanno osato sempre di più. Non si sono fermati di fronte a nulla, tra falsi storici, narrazioni tossiche sugli «Italiani brava gente» mai colpevoli di niente – si veda la propaganda revanscista incentrata sulle foibe – e celebrazioni istituzionali di presunti momenti «gloriosi» della patria: la battaglia di El Alamein (ricordiamolo: al fianco dei nazisti), la guerra marinara della X MAS (anche qui al fianco dei nazisti, e ancora nel 2007 la nostra Marina ha battezzato un sommergibile «Scirè» in onore alla X Mas), i bombardamenti illegali sulla Spagna, le bombe sull’Inghilterra (ovviamente al fianco dei nazisti) ecc.
Oggi militarismo e bellicismo sono totalmente sdoganati, non li mette in questione quasi nessuno.
Abbiamo visto due marò accusati di omicidio trasformati in eroi della patria.
Abbiamo visto l’esercito schierato nelle strade con compiti di ordine pubblico.
Lo abbiamo visto fare propaganda nelle scuole elementari.
Revisionismo e narrazione dominante
In questi giorni il revisionismo viene sottratto allo storicismo per divenire appannaggio dei media e pratica di scultura dei fatti ad immagine e somiglianza ordoliberista. Non si tratta solo di inventare taluni fatti o tacerne altri. Non è solo quello che si legge qui
Servirebbe un quadro veritiero della situazione a Kiev e non immagini dei bombardamenti in Siria o nella ex Jugoslavia spacciati per bombe russe in Ucraina. Tra i paradossi cialtroneschi spicca la manifestazione di israeliani nei territori occupati della Palestina che protestano contro l’occupazione russa dell’Ucraina!!
Tra le migliaia di fake news brilla la storiella inventata degli eroi dell’isola dei serpenti che sarebbero morti insultando i russi: niente di più falso, gli 82 militari si sono arresi senza sparare un colpo e la Russia ha già diffuso il relativo video. Ma è rimarchevole anche la scena del padre che saluta il figlio che scappa dalle bombe: non erano di Kiev, era una famiglia del Donbass e scappava verso la Russia.
E così diverse altre immondizie spacciate dai giornali, radio e tv affiliati alla NATO. Tutto già visto. La propaganda di Zelensky si copre di ridicolo. Sul ponte di comando delle fake news c’è il M-I6 inglese, come già fece per la Siria.
C’è molto di più. E’ in atto una fiction, una prova generale di metaverso in cui il nazionalismo viene pompato al massimo e si estende all’intera Europa, arroccata nella difesa contro un nemico comune. Con cui però si continua a fare affari, come acutamente osserva Gianpiero Laurenzano di PaP.
Una narrazione corale
Qui si tratta di una narrazione corale e unisona che fa della guerra contro lo sporco invasore il motivo fondante del proprio essere occidentali. In altre parole tenta di rianimare l’Occidente, con le finte democrazie liberali atte solo a perpetrare le disuguaglianze e lo sfruttamento capitalistico, servendosi di un nemico comune.
Inneggia alla guerra – pur formalmente parlando di pace – perché è l’unico modo, oggi, per sentirci europei, occidentali, razza superiore.
Lo fa con le provocazioni, come quella del Parlamento europeo che, in piena guerra, chiede di far entrare l’Ucraina in UE. Pur consapevole delle conseguenze nefaste sul piano della via della pace.
Ancora, lo fa con la corsa agli armamenti dei maggiori paesi europei e l’invio di armi in Ucraina, che finiranno nelle mani di gruppi nazisti, definiti dai media dei “partigiani”. Lo fa con l’arma delle sanzioni, che servono solo a mettere in ginocchio le fasce deboli della popolazione, non solo russa, ma anche europea. E anche questo, i nostri leader, lo sanno.
Lo fa con negoziati in cui si chiede solo ad una parte di fare un passo indietro. Quando, poi, di regola, i negoziati servono a darsi reciproche concessioni e fare reciproci passi indietro.
Ma soprattutto lo fa con la filosofia del chi figlio e chi figliastro.
L’etica dell’accoglienza: a chi figlio a chi figliastro
Un’ondata di generosità e uno spirito di accoglienza senza precedenti negli ultimi anni stanno attraversando in questi giorni l’Unione Europea in concomitanza con l’avanzata delle operazioni militari russe e il moltiplicarsi dei profughi ucraini diretti verso Occidente. Sono in particolare i paesi dell’Europa dell’est a mostrare un’incredibile inversione di rotta delle loro politiche migratorie che, fino a letteralmente poche settimane fa davanti evidentemente a un’altra categoria di disperati, consistevano principalmente in respingimenti, espulsioni e costruzione di barriere invalicabili.
Se fino a ieri l’Europa restava inerme davanti all’Ungheria che erigeva muri e li adornava con filo spinato per respingere la povera gente in fuga da guerre e farle tornare “a casa loro”, oggi tutto è cambiato. Se restava immobile davanti alle navi ferme nei porti, alla gente che moriva in mare, al rimpallo di “quote” da dividere tra i vari paesi, oggi c’è la competizione a chi ne accoglie di più.
Una nuova e diversa ventata di ospitalità? Una nuova visione delle cose? Forse la guerra in casa propria ne fa toccare con mano i dolori e gli orrori?
O forse è solo questione di razzismo, non più così tanto velato?
E’ questione di razzismo, certo. Lo si respira nell’aria, si percepisce dalle parole dei politici, dai talk show, dai tiggì, dagli inviati al fronte, dalle tante storie che arrivano dalla gente in fuga.
Gente in fuga. Orrori della guerra. Gli stessi, però, che arrivavano (e arrivano) dalla Siria, dall’Afghanistan, dallo Yemen, dall’Iran, dalla Libia, dalla Palestina. Ancora, dal Mali, Congo, Nigeria, Niger, Ciad, Camerun, Somalia.
Loro, però, sono in gran parte negri, al più di un marroncino sgradevole, mussulmani, poveracci, vestiti con le pezze. E chi se la prende gente così?
Gli ucraini sono bianchi, cattolici, biondi e con gli occhi azzurri. Sono belli, vestiti all’occidentale, molti di loro provenienti dalla middle-upper class.
Non sono io a dire ste cose. Tra i tanti – e non troppo velatamente – l’ha detto Kelly Cobiella di NBC News. E’ un suo parere personale? Forse, ma molto più probabilmente è l’esternazione di un sentire comune, che vuole che l’empatia si attivi solo nei confronti di chi è simile a noi occidentali, mentre si spenga dinanzi al diverso. A chi ha una pelle o un vestito differente. Non siamo tutti umani. Ci sono gli occidentali – e chi ne ha abbracciato la filosofia – e poi tutti gli altri.
Ma è solo razzismo? O c’è altro?
E’ solo il razzismo ad aver convinto i paesi membri dell’Est a prendere quanti più rifugiati possibile? E’ questo che spinge l’Ungheria e la Polonia (giusto per citarne un paio) ad azzerare la burocrazia e concedere status di rifugiati senza controlli né scadenze? (quando, si sa, per ottenere lo status, a tempo determinato, occorrono mesi e documenti che spesso non si riesce ad ottenere).
Cito ancora lo stesso articolo
Se siamo noi a causare le guerre e a distruggere interi paesi e società, preferibilmente musulmani, i civili che ne subiscono le conseguenze fanno meglio a restare dove sono. La propaganda mediatica aiuta poi a offuscare le ragioni dei movimenti migratori che ne scaturiscono in modo inevitabile e, ancor più, delle guerre stesse. Se il conflitto è provocato invece da un dittatore, o presunto tale, che noi avversiamo o, meglio, che i nostri padroni di Washington non gradiscono, allora siamo immediatamente nell’ambito dei crimini di guerra e le vittime innocenti, ovvero i civili che fuggono dalle bombe, diventano un onere di cui l’Europa deve farsi carico senza indugiare un solo secondo.
E’ una questione geopolitica.
Torniamo sempre allo stesso punto. E’ una questione di egemonia globale. Di difendere un modello – quello occidentale – in cui gli USA hanno fatto i padroni per quasi un secolo e che ora non vogliono cedere ad altri o vedersi distruggere. Non è questione di difendere delle libertà o di far fuori un dittatore (con i dittatori, storicamente, ci fanno affari, finché fa comodo), ma di continuare un dominio che la storia gli sta togliendo.
Secondo questa logica, l’accoglienza dei rifugiati è strumentale alla formazione di un’ideologia ordoliberista e filoamericana, in modo da ottenere il sostegno di ampi strati di masse popolari. E’ questione di strumentalizzare una popolazione in fuga dalla guerra. Una guerra che gli USA hanno voluto e l’intera Europa sta legittimando.
Gli orrori della guerra, la gente che fugge, che perde tutto, casa, affetti, lavoro, dignità, sono e rappresentano semplicemente un affare. Sia qui, oggi, che altrove, ieri e domani.
Non per noi, però, che la guerra non la vogliamo né in Ucraina né in ogni altra parte del mondo. E siamo stufi dei guerrafondai che accusano gli altri di esserlo.