Il Cloud è una nuvola leggera, rischia di cancellare la memoria

Cloud vuol dire nuvola. Qualcosa che con un soffio di vento si spazza via. Con quanta disinvoltura mettiamo la nostra vita sul web? Anche gli Stati digitalizzano tutto, eliminando la carta. L’efficienza è un bene, ma che succede se qualche evento imprevisto (o anche no) distrugge tutto? Vite individuali e collettive si perdono nell’oblio. E’ un argomento che merita riflessioni, ma che oggi è ancora soggiogato dall’ubriachezza della digitalizzazione selvaggia.

Qualche giorno fa è accaduto che un incendio nel data center di Strasburgo di Ovh, la società francese leader nel cloud con oltre 1,5 milioni di clienti nel mondo, ha distrutto decine di migliaia di pagine web. Non tutti i server disponevano di backup e, comunque, i backup, spesso, non permettono di recuperare tutto tutto.

Questa notizia, passata un po’ in sordina, merita invece larga attenzione e profonde riflessioni. Anzitutto su un aspetto banale. Con quanta disinvoltura noi tutti, per i motivi più disparati, affidiamo alla rete i nostri ricordi più preziosi? Si tratti di foto, video, lettere d’amore, pensieri, diari (come questo), interi database di clienti, fornitori, fatture, ecc. ecc., li inseriamo nel web, senza nemmeno pensarci tanto. Complice anche la facilità di uso dei mezzi con cui li produciamo. Ma se dovessero perdersi? E se un giorno la tecnologia che oggi usiamo diventasse obsoleta al punto da non riuscire più a recuperarli?

Del resto se ci pensiamo un attimo, oggi recuperare un documento da un vecchio floppy disk è, per molti, impossibile. Stessa sorte capiterà a breve ai Cd-Rom e ai DVD, che tra l’altro sono molto delicati e si usurano in fretta. Forse stesso destino sarà segnato per gli archivi USB, perché il cloud sta fagocitando tutto, sta rendendo obsoleti gli strumenti personali di archiviazione dei dati.

Non è più facile mettere tutto in cloud? Conservare i dati su Drive di Google o su Dropbox, per esempio? Sono facili da gestire, da recuperare da qualsiasi dispositivo, da condividere. Tra l’altro, pian piano il cloud passa da essere una scelta ad essere un obbligo, facilitato dalla comodità d’uso. Ma dietro ogni comoda via si nasconde sempre un viottolo oscuro e insidioso.

Tutto ciò, oltre a permettere ai gestori dei server cui affidiamo i nostri dati di farsi gli affari nostri, genera un problema spesso sottovalutato, anche quando capita un incidente come quello verificatosi a Strasburgo. Se un evento avverso dovesse distruggere tutto quanto? Server principali e server di backup compresi? Di colpo perderemmo tutto, un intero pezzo della nostra vita finirebbe nell’oblio.

Un problema che gli Stati non si pongono

Persino gli Stati nazionali, nell’ottica della semplificazione amministrativa, digitalizzano tutto. Da oltre un quindicennio le politiche europee impongono agli Stati membri misure di semplificazione e digitalizzazione amministrativa. E così una mole sterminata di documenti viene tutt’oggi digitalizzata. Poco male per i documenti il cui backup è in cartaceo. Anche se nel tempo si perderanno i saperi relativi alle tecniche di archiviazione di documenti cartacei e sarà sempre più difficile recuperarli.

Che succede invece per i documenti che vengono prodotti direttamente in digitale e affidati al cloud? E al sito web istituzionale? Spesso le amministrazioni sviluppano servizi, inseriscono dati, impostano procedure basate esclusivamente sulla rete. Un esempio tra tutti è la firma digitale, che ormai sostituisce quella autografa e si basa su sistemi di crittografia che viaggiano in rete. Inoltre la conservazione di un numero elevatissimo di documenti avviene in cloud e, come abbiamo visto, non è improbabile che una tecnologia del genere sia soggetta a rischi. La tendenza, oggi, è di eliminare la carta, ridurre la conservazione dei documenti in archivi informatici locali (perché costosi, insicuri, ecc.), e di affidare tutto al cloud, perché più sicuro.

Ma ne siamo così certi? Il rischio, in caso di danni alle infrastrutture cloud, è di vedere sparire una mole enorme di documenti amministrativi, le prove della firma di un documento, dati, informazioni, procedure informatizzate, e via discorrendo. Tutto ciò provocherebbe un vero e proprio terremoto non solo al settore pubblico in sé, ma anche alle relazioni tra Pubblica Amministrazione e cittadino.

Sia chiaro, è un bene che l’elefantiaca burocrazia italiana si semplifichi, ma occorre una profonda riflessione sull’eccesso di fiducia degli Stati nei confronti del web che – va sottolineato – è in larga parte in mano a soggetti privati (con le ovvie conseguenze che si possono immaginare) e non garantisce durabilità nel tempo.

E’ un problema a catena

La politica di paperless non coinvolge solo gli Stati, ma le nostre vite. Facciamo l’esempio più noto e semplice: le foto. Siamo passati negli anni e quasi senza accorgercene, dal portare il rullino al fotografo per sviluppare le foto, al salvarle sul PC, trasferendole dalla macchinetta digitale con il cavetto USB o la scheda di memoria. Poi, con l’avvento delle evolute fotocamere sugli Smartphone, ci siamo resi conto di quanto sia macchinoso passarle sul PC. O, meglio, il PC nemmeno lo usiamo più. E così siamo passati a conservarle in cloud, nel nostro archivio su Facebook o Instagram, oppure salvate nello spazio offerto dall’azienda che produce lo Smartphone che abbiamo in tasca. Già, perché le memorie degli Smartphones, anche se sempre più capienti, non sono sufficienti a contenere anni e anni di foto e video.

Dunque, al pari degli Stati, abbiamo intrapreso un percorso a catena: dalla carta all’archivio interno al cloud. Senza soluzione di continuità e senza nemmeno fermarci a riflettere se questo percorso sia privo di rischi.

Ecco che il caso di Strasburgo ci allerta: i rischi ci sono. Il cloud non è perfetto e le possibilità di perdere tutto sono concrete e reali.

Il problema si pone, come accennato nell’articolo, su più fronti. Non si tratta solo di eventuali problemi legati ad eventi accidentali, come può essere un incendio. Si tratta di una somma di rischi, che oggi non consideriamo tali: se l’azienda chiude? Se un giorno un certo formato proprietario non fosse più disponibile? Se il cloud, nella sua attuale infrastruttura, non dovesse reggere? Sono semplici interrogativi che si riconducono al medesimo problema di fondo: la fragilità del web.

Vinton Cerf dice: Mettete i ricordi su carta

Uno dei padri fondatori di internet, Vinton Cerf, qualche anno fa lanciò l’avvertimento, che però finì nel dimenticatoio. Durante un convegno della American Association for the Advancement of Science, Cern disse che i milioni di file, documenti, blog, foto, video, tweet e post che ogni giorno affidiamo alla rete scompariranno, per incompatibilità di formati. E aggiunse:

“Stiamo gettando tutti i nostri dati in quello che potrebbe diventare un buco nero dell’informazione senza nemmeno accorgercene. Digitalizziamo le cose perché pensiamo di preservarle, ma quello che non capiamo è che, a meno che non vengano intraprese altre azioni, queste versioni digitali non sono meglio degli artefatti reali. Forse sono anche peggio”.

Concluse con un

“Se avete foto a cui tenete, stampatele”

Bontà sua. Il punto, però, non è di tornare alla carta tout court, anche se è un mezzo che per millenni ha funzionato. Il punto è di aprire un necessario e ampio dibattito per capire quali sono i potenziali rischi della rete, oggi e in futuro, nonché per renderci consapevoli che internet non è il posto sicuro e perfetto che viene prospettato, dove mettere senza pensieri i nostri dati. Non è detto, come in molti sostengono, che diventerà nel tempo un immenso archivio storico dell’epoca contemporanea. Anzi, il problema sarà opposto: molto probabilmente produrrà un buco nero e il ricordo del nostro passaggio, nel bene o nel male, finirà nell’oblio.

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