Amazon prime è il male

Amazon Prime è il male?! Che esagerazione! Penserà qualcuno. Un titolo così brutto Amazon non se lo merita proprio, perché ci coccola, ci tratta bene e ci offre prodotti a buon prezzo e spedizioni velocissime!

Lasciate che vi racconti una storiella per capire il perché di un titolo così forte, provocatorio, ma reale, in quanto sintesi del dualismo opulenza/sfruttamento, che è uno dei cardini del consumismo. A sua volta una delle colonne portanti dei rapporti che si generano in una società che ha scelto – con più o meno consapevolezza – di erigere il profitto a bene primario, sacrificando la dignità umana e generando sofferenza negli uni per garantire il (finto) benessere degli altri.

Premetto che da anni cerco di evitare di fare acquisti su Amazon. Le ragioni più o meno le ho esposte in quest’articolo. Quando avevo bisogno di qualcosa, la cercavo nei negozi fisici. Se proprio non riuscivo a trovarla, mi rivolgevo alla rete, cercando di trovare piccoli e-commerce dove, mi auguravo, i rapporti di produzione fossero più equi.

Tuttavia non sempre riesci a trovare ciò che ti serve in piccoli negozi fisici o online, né – a volte – nei centri commerciali (luoghi che pure evito di frequentare) e dunque è necessario volgere lo sguardo ai colossi dell’e-commerce. Il pezzo che mi serviva, un componente elettrico di un pacco batterie che avevo deciso di riparare anziché buttare via e ricomprarlo nuovo, si trovava in due negozi on-line: Amazon e Aliexpress.

Una parentesi su Aliexpress

Apro una parentesi su Aliexpress, giusto per dire la mia su questo colosso cinese. E’ di proprietà di Alibabà group, che, al pari di Amazon, è un market place che racchiude molti piccoli, medi e grandi negozi o produttori e offre un numero elevatissimo di prodotti, a prezzi più o meno competitivi. Tempo addietro avevo fatto un ordine di 4 cose che mi servivano, ma senza urgenza, sapendo – come molti sanno – che i tempi d’attesa sarebbero stati biblici. Difatti 3 ordini mi sono arrivati, con 3 distinte spedizioni, dopo circa 2 mesi, mentre il quarto si è perso nel nulla.

A nulla è valso reclamare al venditore, il quale insisteva sul fatto che la spedizione fosse stata correttamente consegnata. Alla richiesta di esibire la ricevuta di consegna, ha smesso di rispondere.

Si sa come vanno queste cose. Il rischio di non vedersi recapitare l’ordine è reale, così come lo è il rischio che arrivi qualcosa di diverso da quello ordinato oppure che si rompa dopo poco tempo. E la garanzia, su questi prodotti, acquistati dalla Cina, è un po’ come un libro di Fabio Volo: non serve a niente.

Tornando ad Amazon

Dunque, non volendo rischiare con Aliexpress e considerando che per l’oggetto avrei anche aspettato di riceverlo, ma non troppo, mi sono visto costretto ad optare per Amazon. Al momento di scegliere il tipo di spedizione, Amazon mi ha messo davanti queste opzioni: spedizione gratuita, ma con consegna dopo circa 10-12 giorni; spedizione a pagamento (una cifra piuttosto alta) e consegna a 3-4 giorni; scegliere il periodo di prova di Amazon Prime e la consegna sarebbe avvenuta in un giorno.

Oggi è sabato, pensai, quindi se scelgo Amazon Prime, il pacco arriverà lunedì. Tanto, poi, Amazon Prime lo disattiverò molto prima del periodo di prova. Pensavo ciò mentre nel pensiero inconscio si smuoveva l’incazzatura, che lentamente emergeva sul piano conscio. Dopo aver effettuato l’ordine, l’inconscio divenuto conscio mi faceva notare come questa strategia di Amazon Prime obblighi gli utenti, di fatto, ad optare per questa modalità, che a meno di 40 euro all’anno ti offre la consegna gratuita, per giunta con tempi di consegna velocissimi e, come ciliegina sulla torta, la possibilità di guardare film e serie tv, gratis, sulla loro piattaforma.

Amazon Prime è il male

Finora credevo che Amazon facesse la furbata come fanno anche molti altri ecommerce: offrire due velocità di consegna. La più lenta per chi spende poco e la più veloce per chi spende di più o, come nel loro caso, per chi si abbona.

Il meccanismo è semplice: hai la merce pronta? Non la spedisci subito, ma aspetti qualche giorno prima di affidare il collo al corriere, oppure fai un contratto con un corriere per cui paghi meno le consegne e la merce viene lavorata più lentamente. Insomma, sono modalità commerciali, che molti usano, per favorire i clienti che pagano di più, a cui, quindi, va offerto un servizio migliore.

E’ un modo di concepire il rapporto venditore-acquirente che proprio mal digerisco, ma funziona così e molte persone, nel tempo, si sono adeguate a queste forme di disuguaglianza basate sul censo o sulla capacità di spesa. Non è questo, però, il punto del discorso. Amazon fa di peggio.

La consegna di domenica

Sono rimasto basito quando una domenica, poco prima di pranzo, ho sentito suonare il campanello e, aperta la porta, mi sono trovato di fronte il corriere.

E tu che ci fai qua? Gli ho chiesto, dato che lo conoscevo.

Devo consegnarti un pacco da parte di Amazon.

Di domenica?

Eh, purtroppo sono costretto, ha detto con un nodo alla gola.

L’attimo in cui ricevevo il pacco in mano lo ricordo vivamente: mi sono sentito una merda. Detto in termini meno scurrili, i sensi di colpa hanno schioppettato nella mia coscienza pallettoni di piombo intrisi di veleno. Immaginavo che ‘sto ragazzo, dopo una settimana d’inferno al lavoro, anziché stare a pranzo con la famiglia, farsi un giro al mare o rilassarsi, era costretto ad indossare la divisa, salire sul camion e fare il suo maledetto giro a consegnare pacchi a chi ha la (finta) necessità di avere il prodotto subito in mano.

Piccole perle di sfruttamento

Per quanto mi riguarda ero inconsapevole che Amazon fa consegnare i pacchi anche di domenica. Se l’avessi saputo, avrei scelto un’altra modalità di consegna.

Nonostante ciò i sensi di colpa non si sono attenuati, perché nella realtà ho contribuito anch’io – con ignoranza – a perpetrare un modello di sfruttamento inumano, basato sul rapporto profitto/opulenza/sfruttamento.

L’opulenza di chi vuole il pacco subito, magari di un bene perfettamente superfluo e inutile. Il profitto di Amazon, che con Amazon Prime ottiene flussi finanziari enormi. Lo sfruttamento del povero driver che, perché il suo datore di lavoro mantenga il rapporto contrattuale con Amazon, deve lavorare di più, anche nei giorni di riposo.

Sì, magari lo pagheranno un po’ di più, magari gli daranno una mezza giornata di riposo infrasettimanale. Magari, se è una Partita IVA (cosa probabile), gli farà comodo lavorare di più e avere qualche soldo in più in tasca. Ma, anche se fosse, è proprio la volontà, indotta dal bisogno, a far cadere pian piano il palazzo dei diritti e farlo diventare macerie di sfruttamento sempre più violento.

Il mondo della logistica

Il mondo della logistica è l’emblema dello sfruttamento. Un po’ come nell’Ottocento lo era la catena di montaggio o il lavoro agricolo salariato. Rispetto ad allora sono cambiate le esigenze, i mercati, ma i rapporti di produzione sono rimasti immutati. Non vediamo più l’operaio della catena di montaggio che si fa il culo per 15 ore al giorno, o il contadino con la schiena ricurva per l’intera giornata e guadagnano una miseria (magari non in sé, ma di sicuro in confronto al lavoro svolto).

Oddio, esiste ancora, ma non più e non tanto nel ricco Occidente. Qui esiste nel sottobosco di una civiltà distratta e, nei suoi strati umili, soggiogata dal ricatto occupazionale. Ma basta spostarsi un po’ e si palesa agli occhi del visitatore con tutta la sua dura evidenza.

Oggi, nel nostro ricco Occidente, l’operaio simbolo della catena di montaggio, l’elemento distintivo del rapporto sfruttati/sfruttatori è il driver. Insomma, il corriere che consegna gli ordini. Quello che rappresenta l’anello di congiunzione tra il profittevole mercato dell’ecommerce e la sempre crescente richiesta di servizi a domicilio di una borghesia, piccola e grande, abituata a livelli sempre maggiori di comodità ed alienazione.

Le conquiste sindacali in questo settore hanno permesso agli operai di fare sì un lavoro massacrante, ma almeno di fare la settimana corta. Il sabato e la domenica, come sappiamo, i corrieri non lavorano. Ciò finché non è arrivato Amazon Prime, che ha palesato il ricatto contrattuale, facendo cadere il debole palazzo dei diritti: lo vuoi il contratto con noi? Fai lavorare i tuoi operai ogni giorno, più velocemente possibile.

Ecco. E’ inutile parlare di diritti se poi non mettiamo in discussione il modello economico basato sul profitto. E’ inutile farlo in una nazione, se non si amplia il dibattito a livello globale. Ma soprattutto è inutile illuderci che questo sia compito della politica. Essa stessa è un mezzo di chi detiene il potere economico.

Il problema non è l’e-commerce in sé

Nel tempo ho appreso che, alla lunga e considerando tutti gli aspetti, anche marginali, del vivere quotidiano, è più conveniente fare acquisti fisici anziché ordinare on-line. Anzitutto sarebbe meglio ridurre i consumi, liberarci dalle catene dei falsi bisogni e abbracciare la logica del riuso. Ne beneficiamo noi, spiritualmente, come l’ambiente, liberato da tonnellate di rifiuti. Ma questo è un altro discorso.

Sarebbe meglio relazionarsi personalmente col venditore invece di scegliere da un catalogo virtuale. Ne giova il rapporto, la mobilità fisica, il traffico cittadino, l’economia locale, l’indotto e tanti aspetti che noi trascuriamo quando magari vediamo che su internet quello stesso prodotto costa, chessò, un 5% in meno. E così crediamo di guadagnare, invece ci stiamo rimettendo, tutti.

Sia chiaro, il problema non sta nel mezzo. Internet è uno strumento magnifico se usato bene. E’ un simbolo dello sviluppo tecnologico e, preso con cautela e sapienza, uno strumento essenziale per il progresso sociale.

Il problema è la polarizzazione del mezzo in mano a poche realtà globali che ragionano in termini di profitto, che detengono, manipolano e spostano capitali, contribuendo all’impoverimento di larghe fette di economie locali, aprendo così la strada a fenomeni di disuguaglianze sociali e, dunque, di sfruttamento. Il driver che fa le consegne di domenica è il simbolo dello strapotere di aziende transnazionali che impongono la propria volontà sui diritti acquisiti, sulla dignità umana. La volontà di fare profitti e, per farlo, bisogna essere più veloci ed economici degli altri.

Ma la velocità chi la garantisce? L’algoritmo efficiente e ipertecnologico oppure il driver, persona fisica? L’economicità del prodotto chi la garantisce? L’algoritmo oppure un esercito di operai, all’altro capo del mondo, che lavora non sappiamo in che condizioni?

Con ciò non voglio dire che dobbiamo rinunciare alle comodità, ma quantomeno essere consapevoli che la nostra opulenza, il ricevere il pacco di domenica, corrisponde alla sofferenza di un’altra persona. E io, personalmente, non voglio contribuire a ciò.

8 commenti su “Amazon prime è il male”

  1. Il tuo mi sembra un atteggiamento luddistico e anche moralistico. Non vuoi usare Amazon perché sfrutta i lavoratori, preferendo i negozi fisici. Ma pensi che i lavoratori nei negozi sotto casa invece non siano sfruttati?
    Lo sfruttamento esiste dappertutto nel mondo del lavoro, non solo nel commercio online, ma anche per dire al supermercato. Quindi allora che facciamo? Smettiamo di andare a comprare la pasta e torniamo a coltivare il campo per mangiare perché altrimenti qualcuno sarà sfruttato? O più sensatamente lottiamo perché tutti abbiano gli stessi diritti senza rinunciare ai benefici che il progresso e la tecnologia ci consentono?

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    • Mi pare di aver detto espressamente che evito i centri commerciali. Mi pare pure di aver detto che nella scelta di acquistare un prodotto seguo una scala, partendo, di base, dal piccolo negozio. Il piccolo commercio di vicinato spesso è composto dal solo titolare o, al limite, è a conduzione familiare. Sì, può capitare (ed è capitato anche a me, personalmente) che il titolare si autosfrutti per sbarcare il lunario o che sfrutti la moglie, che sta dietro la cassa 8 ore al giorno. Ci sta. Ma se paragoni ciò alle condizioni in cui operano gli operai di Amazon (o di altri colossi dell’ecommerce) o in cui lavorano i corrieri, che quotidianamente, nella sola Milano, movimentano 150.000 pacchi, beh, allora c’è qualcosa che non va nel tuo discorso.
      Inoltre tu confondi il mezzo con il fine. Confondi il web con l’uso che se ne fa, l’ecommerce con i colossi dell’ecommerce. Anche sul web ci stanno i piccoli e i grandi, sai?
      Parli di progresso, ma c’è progresso nel far consegnare le merci di domenica? E’ progresso imporre al driver di fare 2000 consegne in 8 ore, sotto il sole, la pioggia, il traffico, lo sbattimento del parcheggio, semafori, autovelox, e se non finisce il giro gli applicano delle penali? Se per te questo è progresso, per me no. Tu, dal tuo punto di vista, pensi che questi siano benefici, ma se poco poco sposti il tuo punto di vista e ti immedesimi in quello che si sbatte e viene sfruttato per garantire i tuoi benefici, allora magari forse ti cali un poco nella realtà.
      Ah, sta cosa del “lottiamo tutti” in bocca ad un disfattista suona come una frase retorica.

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  2. Io non ho scritto che sono a favore delle aperture domenicali. Da sempre sono contro i negozi aperti la domenica, così come non ho mai utilizzato quei servizi che usano i riders per portarti il cibo a casa o uber per spostarsi. So bene che queste realtà nascondono condizioni di lavoro spesso schiavistiche, ma questo riguarda anche molti altri settori più tradizionali: ristorazione, abbigliamento, alimentari, ecc..

    Comprare cose sul web, cosa che per altro fai anche tu, è molto comodo e spesso è l’unico modo per comprare merci che comunque non troveresti nei negozi fisici. Ci sono catene che addirittura fanno solo sconti per chi acquista online e non non nel negozio fisico. Il commercio elettronico ormai è una realtà ed è inutile lamentarsi perché rimpiazza il negozietto sotto casa. È sempre stato così, il progresso e le innovazioni hanno sempre cancellato professioni e posti di lavoro, creando nuove opportunità.

    Leggevo tempo fa che il commercio online viene utilizzato in Cina sempre di più nelle comunità rurali per la vendita di prodotti agricoli e che questo ha consentito di migliorare di molto le condizioni di vita delle zone più povere.

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    • Hai visto che non hai capito il senso del discorso? Lo confermi tu stesso. Chi ha mai detto di essere contrari all’ecommerce? Nell’articolo ci sta addirittura un paragrafo che lo spiega…

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  3. Ciao, ti ringrazio davvero tanto per l’articolo e per le sacrosante verità che hai elencato. È tutto maledettamente così naturale al giorno d’oggi vedere un corriere che consegna anche la domenica che nemmeno ci diamo peso… Però hai ragione, dobbiamo smetterla di far finta che tutto ciò vada bene, dobbiamo tornare ad essere umani. Ho chiuso qualche giorno fa il mio account Amazon e finalmente ho visto la luce, basta dare soldi a questi pazzi per acquistare cose perlopiù inutili. Il modello eBay funziona molto meglio in quanto il singolo commerciante paga una quota al sito ma prezzi, logistica e rapporti con i clienti sono gestiti direttamente

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    • ciao Massimiliano, grazie a te per il contributo. In rete ci sono tanti modelli di vendita più equi e sostenibili di Amazon, Ebay è uno di questi, anche se storco il naso davanti a commissioni così elevate e, in passato, davanti al ricatto Paypal.
      Da quando, come te, ho chiuso l’account Amazon, mi sono accorto che esistono alternative migliori e, spesso, anche più economiche! Acquistare su Amazon è diventato talmente un automatismo che spesso non ci si accorge che la stessa merce, su altri ecommerce, costa meno e i modelli di business sono più sostenibili, in quanto piccoli ecommerce che rafforzano l’economia locale.

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