Walt Whitman e la libertà (anche del verso)

Il 31 maggio del 1819 nasceva Walt Whitman, il poeta della libertà e, immancabilmente, l’inventore del verso libero. Da tutti conosciuto come quello del oh capitano! mio capitano!

Anni fa ero un fermo sostenitore delle regole metriche nella poesia. Non ritenevo degne d’attenzione le poesie in versi liberi né consideravo poeti tutti quelli che li utilizzavano, secondo la limitante concezione per cui la poesia è una disciplina prima di essere un’arte.

Poi col tempo ho imparato ad apprezzare il verso libero e a scindere la differenza formale e sostanziale tra metrica e ritmo. In particolare che la musicalità nella poesia è indipendente da uno schema metrico. Anzi, il verso libero supera la rigidità della struttura metrica e consente un’espressività più dinamica, dando maggiore significato alle parole all’interno del verso, al loro significato intrinseco, metaforico, ideale.

E così, da allora, ho smesso di bestemmiare contro Walt Whitman, l’inventore del verso libero, la cui padronanza del linguaggio e della musicalità priva di regole formali ha fatto invaghire persino il D’Annunzio, che un poco lo ha scimmiottato.

E’ grazie a ciò che il verso libero si è diffuso rapidamente in Italia, sostituendo del tutto gli schemi tradizionali.

Se vogliamo proprio essere precisi, il verso libero fu utilizzato pure dai laudari del Duecento. Nonché dal Leopardi. Ma la sua poesia era ancora in larga parte ancorata ai versi classici, come l’endecasillabo e il settenario. Mentre quella dei laudari (Francesco d’Assisi, Jacopone da Todi…) era inserita in un ambito di nicchia e in un ristretto contesto geografico e temporale. Tant’è che successivamente s’impose nuovamente la metrica, cosiddetta, tradizionale. Anche se sul verso libero ci sarebbe tanto altro da dire (in particolare sull’influenza che ebbe la lingua volgare sulla metrica) possiamo dire, in sintesi, che la totale rottura con la metrica tradizionale, in Italia, avvenne tra Ottocento e Novecento, in particolare col D’Annunzio.

La vita di Whitman

Walt Whitman ha avuto quella che alcuni definiscono, una vita XXL. Nacque il 31 maggio del 1819 a Long Island (NY) ma ben presto la sua famiglia si trasferì a Brooklyn, una zona che allora offriva maggiori opportunità lavorative.

All’età di 11 anni fu costretto ad abbandonare la scuola per lavorare e contribuire al bilancio familiare. Iniziò così ad affacciarsi all’arte giornalistica, lavorando nella redazione di un giornale, il Patriot. Poi si appassionò al teatro e iniziò, da adolescente, a comporre le prime poesie. Si trasferì da Brooklyn al centro di New York in cerca di lavoro e di carriera, salvo poi tornarsene a casa, costretto dalla crisi economica.

Qui, fino ai 19 anni, s’arrabattò ad insegnare letteratura ai bambini, ma il suo sogno era tornare a lavorare in un giornale. Cosa che fece l’anno dopo, quando fondò, a New York, il Long Islander. L’esperienza durò poco e dovette nuovamente ripiegare nell’insegnamento. La stessa breve esperienza l’ebbe nel New World e, poi, nel Brooklyn Eagle.

Dopo una lunga serie di viaggi per tutto il continente, tornò a New York e fondò il Freeman, un giornale di stampo antischiavista. Ebbe però sfortuna e chiuse in breve tempo.

Fu così che Whitman si mise a fare il carpentiere, nell’azienda paterna. In questa fase ebbe modo di approfondire le sue letture e radicare il suo pensiero politico-letterario.

Foglie d’Erba

E così, nel 1855 autopubblicò la sua prima (e principale) raccolta, Leaves of Grass (Foglie d’Erba), in cui dominanti erano i temi della sessualità, della morte, della libertà, dello schiavismo, del materialismo, dell’edonismo e dell’individualismo. Non certo senza tracce di narcisismo. Il tutto accompagnato da una poetica incentrata sui richiami alla natura (foglie, paglia, erba, zolle di terra, ecc.), ma soprattutto fresca, rude, reale, cruda. Cosa che gli provocò una lunga serie di antipatie, ma contribuì a solcare lo sviluppo della ventura società americana, fondata (almeno idealmente) su libertà, democrazia e sviluppo dell’individuo.

Quella raccolta fu così significativa per Whitman da portarlo a rimaneggiarla per tutta la vita. Arrivò a dieci edizioni e l’ultima, che lui stesso definì deathbed edition, giunse a contenere circa 300 poesie, rispetto alle 12 iniziali.

Il Whitman progressista

walt whitman anziano

Whitman era un progressista e liberale, in una società americana – quella pre-capitalistica – ancorata alle tradizioni, al conservatorismo, al tradizionalismo (di stampo europeista pre-illuministico) e allo schiavismo. Ecco perché, in quella fase, non venne granché considerato. Oppure, peggio, deriso e osteggiato.

Whitman disprezzava lo schiavismo, ambiva all’emancipazione femminile e auspicava l’emersione e la pari dignità di tutte le espressioni sessuali.

Questo suo atteggiamento così avanzato in una società prettamente patriarcale e semi-feudale, così lontana dagli aneliti illuministici europei, gli provocò le antipatie della classe dirigente. Inoltre fu tacciato d’essere omosessuale o bisessuale. Aspetto di poco conto, ma che all’epoca era determinante nella credibilità di un artista. Ad ogni modo gli aspetti sulla sua sessualità sono rimasti privi di prove, ma fornirono ampi materiali di pettegolezzo.

Il suo pensiero, così lontano dalla società cui apparteneva, ma così vicino al pensiero illuminista europeo, gli diede un’incredibile fama in Europa. Divenne famoso negli USA solo in seguito al primo sviluppo del capitalismo, quando s’iniziarono ad abbattere i vecchi retaggi culturali, oramai incompatibili col nuovo modello economico.

Paradossalmente, mentre la cultura americana, all’epoca, era fortemente influenzata dal romanticismo europeo, in Europa il romanticismo s’era esaurito e lo stile fresco nonché i contenuti delle opere di Whitman, fecero breccia. Tant’è che, come detto poc’anzi, il D’Annunzio ne prese parecchi spunti stilistici (ai limiti del plagio) per costruire la sua poetica.

Sul fronte politico, Whitman era favorevole alla politica unionista, in quanto riteneva che solo attraverso l’unione territoriale si potessero apportare quelle leggi di stampo sociale necessarie per il progresso individuale e collettivo. Whitman fu infatti il cantore della libertà individuale e sociale. Questo lo dico a vantaggio di quelli che credono che Whitman fosse il precursore dell’americanismo, con tutti i suoi eccessi. Nelle sue opere è ben consapevole che il progresso individuale s’accompagna a quello collettivo. E che la democrazia, all’epoca, era la fase evolutiva della realtà in cui viveva.

Io canto l’individuo, la singola persona
al tempo stesso canto la Democrazia, la massa

Insomma, Whitman era, all’epoca, l’avanguardia. Come tutti gli innovatori, visse tra eccessi e miseria, tra problemi economici ed insuccessi. Cosa che però influenzerà poco il prosieguo della sua arte poetica, il filo di ironia ed ottimismo che pervade tutte le sue opere, nonché, cosa più importante, il suo senso d’umanità.

I problemi economici e il senso d’umanità di Whitman

La famiglia di Whitman era di ceto umile e la presenza di un padre e due fratelli alcolizzati, oltre ad un altro che soffriva di disturbi mentali, resero più problematiche le condizioni umane e materiali in seno alla famiglia.

Nel 1861 scoppiò la guerra civile americana e suo fratello George s’arruolò tra gli unionisti del Nord. Quando Walt seppe che suo fratello forse era morto, corse verso sud, dove però scoprì che in realtà era stato gravemente ferito, ma in vita.

Insieme si trasferirono a Washington, dove Walt trovò lavoro in un ufficio e, nel tempo libero, assisteva i feriti di guerra. Le sfortune, però, proseguirono. George fu catturato dai sudisti, mentre l’altro fratello, Andrew, morì di tubercolosi. Nel frattempo Walt trovò lavoro in un ufficio pubblico, ben pagato. George fu rilasciato dopo un anno di prigionia, perché fortemente ammalato e Walt fu licenziato dal lavoro dopo che il capo lesse la sua opera Foglie d’erba, ritenendola scandalosa.

Se quel periodo fu sfortunato sul piano umano ed economico, la stessa sorte non toccò al piano letterario. Nel 1865 Walt scrisse la famosa ode O capitano! Mio capitano!, poco dopo la morte di Abramo Lincoln. Opera che gli diede un inaspettato successo.

Oltre ai continui rimaneggiamenti di Foglie d’Erba, in quegli anni Walt pubblicò anche Poems of Walt Whitman, Democratic Vistas, Passage to India, Taccuini della Guerra di Secessione, Nel west e altri viaggi e Un sillabario americano.

Profondamente toccato dalla morte della madre e in seguito ad una paralisi, Walt si ritirò a vita privata, ormai privo di forze. La passione per i viaggi, nonostante le sofferenze fisiche, non si spense. A 60 anni si recò a St Louis, a trovare il fratello Jefferson e l’anno successivo si recò in Canada.

Nonostante la debolezza, riuscì a redigere l’ultima edizione di Foglie d’erba, la decima, che il poeta stesso definì la deathbed edition.

Whitman si spense il 26 marzo 1892, a 73 anni, ed è sepolto al cimitero di Harleigh, a Camden, nel New Jersey.

oh capitano! mio capitano!

La poesia che ispirò il film L’Attimo fuggente, simbolo di una generazione di giovani negli anni Novanta, è la più celebre opera di Whitman. Scritta in onore di Lincoln, va letta sia contestualizzata che nella sua accezione ideale.

La poesia richiama simbolicamente la nave (ossia gli USA), il viaggio (l’unione degli Stati) e il capitano, morto (Abramo Lincoln). Ma, letta fuori dal contesto, richiama l’attivismo, la ricerca incessante del cambiamento, dell’evoluzione, dello sviluppo. Insomma, per molti è stato il canto della libera espressione della creatività e dell’intelletto.

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
là sul ponte dove giace il Capitano,
caduto, gelido, morto.

O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
risorgo – per te è issata la bandiera – per te squillano le trombe,
per te fiori e ghirlande ornate di nastri – per te le coste affollate,
te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
ecco Capitano! O amato padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
E’ solo un sogno che sul ponte
sei caduto, gelido, morto.

Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili,
non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
la nave è all’ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
la nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
caduto, gelido, morto.

Altre belle poesie di Whitman

Sarebbe davvero difficile fare una selezione delle poesie di Whitman, perché vanno lette in modo unitario. Ciò perché il filo conduttore, durato tutta una vita, è la costruzione politico-poetica di ciò che farà la fortuna degli USA: libertà, democrazia, sviluppo dell’individuo, critica di ogni tabù, etico e morale.

Tuttavia ne ho selezionate alcune, che considero – prese singolarmente – molto significative sul piano ideale, pregne di poetica e belle esteticamente.

A una semplice prostituta

Non scomporti – sii a tuo agio con me
sono Walt Whitman, liberale e forte come la Natura,
e finché il sole non ti eviterà, non sarò io ad evitarti,
finché le acque non si rifiuteranno di brillare per te,
né le foglie di frusciare per te,
le mie parole non si rifiuteranno di brillare e stormire per te.
Piccola mia, fisso con te un appuntamento,
e ti chiedo di prepararti per essere degna
di questo incontro,
ti chiedo anche di essere paziente e pura finché io giunga.
Per ora ti saluto con uno sguardo eloquente
affinché tu non possa dimenticarmi.

Sei tu la nuova persona attirata da me?

Sei tu la nuova persona attirata da me?
Tanto per cominciare Sta’ attento, chè sono molto diverso
da quello che credi;
Credi che in me troverai il tuo ideale?
Credi che sia così facile fare di me il tuo amante?
Credi che la mia amicizia sarebbe gaudio perfetto?
Credi che io sia fidato e fedele?
Non riesci a vedere oltre questa facciata, questi miei modi
tolleranti e benevoli?
Credi di poter procedere per un sentiero reale verso un uomo
realmente eroico?
Non t’assale mai il dubbio, o sognatore, che tutto può essere
velo di maya, illusione?

Poeti estinti, filosofi, preti

Poeti estinti, filosofi, preti,
martiri, artisti, inventori, governi d’un tempo,
forgiatori di lingue su altre rive,
nazioni un tempo potenti e ora indebolite, contratte o desolate,
io non oso procedere finché non v’abbia rispettosamente dato credito
di quanto avete lasciato sparso quaggiù,
io l’ho esaminato, riconosco che è ammirevole,
(essendovi passato in mezzo,)
penso che mai nulla potrà essere più grande,
nulla potrà mai meritare più di quanto
esso meriti, mentre lo contemplo con attenzione,
a lungo, e poi lo congedo,
io sto al mio posto coi miei giorni qui.

Qui terre femminili e maschie,
qui eredi e ereditiere del mondo, qui la fiamma della materia,
qui la spiritualità mediatrice, apertamente riconosciuta,
sempre protesa, il risultato delle forme visibili,
colei che soddisfa ed ora avanza dopo la debita attesa,
sì, ecco avanzare la mia signora, l’anima.

Canto di me stesso

Che cos’è l’erba?
Mi chiese un bambino portandomene a piene mani;
come potevo rispondergli?
Non so meglio di lui che cosa sia.
Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione,
fatto col verde tessuto della speranza.
O forse è il fazzoletto del Signore,
un ricordo profumato lasciato cadere di proposito,
con la cifra del proprietario in un angolo
sicchè possiamo vederla e domandarci di chi può essere?
O forse l’erba stessa è un bambino,
il bimbo generato dalla vegetazione.
O un geroglifico uniforme che voglia dire,
crescendo tanto in ampi spazi che in strette fasce di terra,
fra bianchi e gente di colore, Canachi, Virginiani,
Membri del Congresso, gente comune,
io do loro la stessa cosa e li accolgo nello stesso modo.

Credo in te anima mia

Credo in te, anima mia,
l’altro che io sono non deve umiliarsi di fronte a te,
e tu non devi umiliarti di fronte a lui.
Ozia con me sull’erba,
libera la tua gola da ogni impedimento,
né parole, né musica o rima voglio,
né consuetudini né discorsi,
neppure i migliori, soltanto la tua calma voce bivalve,
il suo mormorio mi piace.

Penso a come una volta giacemmo,
un trasparente mattino d’estate,
come tu posasti la tua testa
di per traverso sul mio fianco
ti voltasti dolcemente verso di me,
e apristi la camicia sul mio petto,
e tuffasti la tua lingua sino al mio cuore snudato,
e ti stendesti sino a sentire la mia barba,
ti stendesti sino a prendere i miei piedi.

Veloce si alzò in me
e si diffuse intorno a me la pace e la conoscenza
che va oltre ogni argomento terreno,
io conosco che la mano di Dio è la promessa della mia,
e io conosco che lo spirito di Dio
è il fratello del mio,
e che tutti gli uomini mai venuti alla luce
sono miei fratelli e le donne sorelle ed amanti,
e che il fasciame della creazione è amore,
e che infinite sono le foglie rigide o languenti nei campi,
e le formiche brune nelle piccole tane sotto di loro,
e le incrostazioni muschiose del corroso recinto,
pietre ammucchiate, sambuco, verbasco ed elleboro.

Io canto l’individuo

Io canto l’individuo, la singola persona,
Al tempo stesso canto la Democrazia, la massa.
L’organismo, da capo a piedi, canto,
La semplice fisionomia, il cervello da soli non sono degni
della Musa: la Forma integrale ne è ben più degna,
E la Femmina canto parimenti che il Maschio.
Canto la vita immensa in passione, pulsazioni e forza,
Lieto, per le più libere azioni che sotto leggi divine si attuano,
Canto l’Uomo Moderno.

Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo

Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo,
mai che l’uno lasci l’altro,
sempre su e giù lungo le strade, compiendo escursioni a Nord e a Sud,
godiamo della nostra forza, gomiti in fuori, pugni serrati,
armati e senza paura, mangiamo, beviamo, dormiamo, amiamo,
non riconoscendo altra legge all’infuori di noi,
marinai, soldati, ladri, pronti alle minacce,
impauriamo avari, servi e preti, respirando aria,
bevendo acqua, danzando sui prati o sulle spiagge,
depredando città, disprezzando ogni agio, ci beffiamo delle leggi,
cacciando ogni debolezza, compiendo le nostre scorrerie.

Ad uno sconosciuto

Sconosciuto che passi! tu non sai con che desiderio ti guardo,
Devi essere colui che cercavo, o colei che cercavo (mi arriva come un sogno),
Sicuramente ho vissuto con te in qualche luogo una vita di gioia,
Tutto ritorna, fluido, affettuoso, casto, maturo, mentre
passiamo veloci uno vicino all’altro,
Sei cresciuto con me, con me sei stato ragazzo o giovanetta,
Ho mangiato e dormito con te, il tuo corpo non è più
solo tuo né ha lasciato il mio corpo solo mio,
Mi dai il piacere dei tuoi occhi, del tuo viso, della tua
carne, passando, in cambio prendi la mia barba, il
mio petto, le mie mani,
Non devo parlarti, devo pensare a te quando siedo in
disparte o mi sveglio di notte, tutto solo,
Devo aspettare, perché t’incontrerò di nuovo, non ho dubbi,
Devo vedere come non perderti più.

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