Il carpe diem di Orazio, ossia realizzare il presente

Il carpe diem è forse la poesia più sputtanata che ci sia, che molti studenti del classico hanno dovuto imparare a memoria e di cui tutti conoscono almeno il titolo e il significato. Insomma, è una di quelle poesie nazional popolari, citate un po’ dappertutto e sempre utili per sfoggiare un po’ di cultura nozionistica.

La pubblico perché per me rappresenta, ora, un poco il mantra dell’esistenza e anche il consiglio che nessuno (incluso me, ovviamente) è in grado, oggi, di seguire.

Il carpe diem non è l’inno a godersi la vita (come qualcuno, ingenuamente, pensa) bensì a vivere il presente, il qui ed ora. Cosa abbastanza facile a dirsi, ma molto, molto difficile a farsi. Per vivere il presente bisogna avere consapevolezza, costanza, pazienza, maturità. Cose che chi, come me, ha una certa età, ha avuto modo di vedere negli anziani, negli sprazzi di civiltà contadina sopravvissuti fino a qualche decennio fa, ma non è stato in grado di replicare, perché nel frattempo si è radicata la società dei consumi.

Paradossalmente, la società in cui viviamo, quella dell’avere, del consumo, dell’edonismo, in ultimo della socialità virtuale, ci inculca quotidianamente l’esigenza di godere delle gioie (materiali) della vita, quindi di consumare, fare esperienze, condividerle, vivere dappertutto tranne che nel qui e ora.

Le attuali regole sociali sul godersi la vita appaiono un modo di vivere il presente, ma allora perché siamo continuamente immersi nei ricordi o nelle aspettative verso il futuro? Perché siamo costretti ad ammazzare il tempo anziché viverlo? Per quale ragione sentiamo l’esigenza di comunicare con chi è distante, trascurando chi ci sta vicino? E perché le esperienze, anche le più forti, spesso, non colmano quel vuoto che sentiamo dentro?

Non so rispondere a queste domande. Ovvero, potrei farlo, ma ci piazzerei un pippone di teorie antropologiche o sociologiche che farebbero annoiare chiunque, che non darebbero risposte esaustive e che non convincerebbero nemmeno me. So solo che cogliere l’attimo – spoglio di qualsiasi suggestione e condizionamento – è una cosa difficile da fare, ma è l’unico sforzo per cui potremmo davvero dire di aver vissuto davvero.

Come direbbe il compianto Luciano De Crescenzo, il saggio è colui che realizza il presente. Per farlo, però, bisogna viverlo. Per viverlo bisogna sentirlo. Per sentirlo bisogna concentrarsi. Per concentrarsi bisogna evitare gli stimoli esterni.

Non occorre stare in silenzio, da soli o mettere in pratica il digital detox (ossia un bisogno indotto, frutto del feticismo dei consumi) per concentrarsi. Possiamo semplicemente ignorare gli stimoli inutili e concentrarci sull’attività che stiamo svolgendo, sia essa parlare con qualcuno, fare un lavoretto, la spesa o una corsa al parco. Realizzare il presente non è altro che questo.

Oggi, aggiungerei, vivere il presente non è solo vivere il tempo attuale, ma anche lo spazio attuale, reale. Le due categorie, che internet ha avvicinato, non erano considerate dai filosofi, che non hanno potuto vivere la vicinanza, seppur virtuale, dello spazio. Ma oggi questa distinzione va fatta e quindi vivere il presente significa vivere il tempo e lo spazio attuale.

Il carpe diem, in fondo, è solo questo: vivere il presente, nel tempo e nello spazio e lasciar perdere il passato, che non c’è più, il futuro, che non c’è ancora e gli spazi virtuali, che sono fasulli.

E Orazio, saggiamente, consiglia pure di mandare affanculo gli oroscopi, robaccia che pure all’epoca andava di moda.

Carpe diem – Orazio (Odi 1, 11, 8)

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas:
carpe diem quam minimum credula postero.

Cogli l’attimo

Traduzione italiana

Non domandare, Leuconoe – non è dato sapere – che
destino gli dei hanno assegnato a me e a te, e non consultare
la cabala babilonese (gli oroscopi). Perché è meglio tollerare ciò che sarà,
sia che Giove ci abbia dato ancora tanti inverni sia che questo,
che sfianca il mar Tirreno con rocce di pomice,
sia l’ultimo: sii assennata, filtra il vino e limita la duratura speranza,
ché la vita è breve. Mentre parliamo, sarà fuggito, inesorabile, il tempo:
cogli l’attimo, e non fare nessun affidamento sul domani.

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