Ricevo e pubblico la toccante testimonianza di Mariagrazia riguardo le condizioni in cui sono costrette a vivere le comunità Rom nel campo sosta Panareo di Lecce, soprattutto in questo periodo emergenziale. L’attenzione verso le minoranze e i soggetti più deboli è sempre la cartina al tornasole della maturità civile di una società.

La questione Rom è una questione transnazionale, che accomuna tutti i paesi europei, in particolare quelli dell’Europa Centrale, orientale e balcanica, all’interno dei quali abitano circa 9.000.000 di Rom.

Sulla base di questa premessa mi chiedo quanto si stia facendo per queste minoranze etniche in questo preciso momento storico. Provo a spiegare i miei interrogativi e le mie perplessità.

Nascere e vivere in un campo rom non è cosa semplice, vieni marchiato a fuoco come sporco, brutto, ladro, furbo e cattivo sin dalla nascita e, crescendo, vieni discriminato in ogni ambito della vita sociale.

Non è facile viverci in un campo perché tutti i campi rom, solitamente posizionati distanti dai centri urbani, vengono considerati, tra le tante altre cose, luoghi di ricettazione e di torbide compravendite.

Non è facile riuscire a condurre una vita normale in un campo, perché è faticoso trovare lavoro in quanto rom e in quanto abitante in un campo, e, laddove si riesca a trovare lavoro, non è facile essere continuativi, così come non è facile andare a scuola in orario e tutti i giorni, vista la totale assenza di trasporti pubblici che dovrebbero transitare dai campi verso i centri urbani.

Ciò accade, per fare un esempio locale, nel caso del campo sosta panareo a Lecce.

Il campo è stato volutamente posizionato a circa 10 km dalla città già 20 anni fa, da scelte politiche borghesi, a salvaguardia del finto decoro urbano caro alla piccola-borghesia ben pensante locale, che per nessun motivo deve essere turbato tanto a Lecce quanto in moltissime altre città d’Italia e d’Europa, dominate dalle medesime visioni sociali e politiche, determinando così per i soggetti più vulnerabili (donne, bambini, anziani e malati) quell’ulteriore difficoltà del vivere quotidiano che, oggi e in questo particolare momento storico è scandito dal covid-19 e da tutte quelle restrizioni decretizie che non hanno tenuto conto di rom e migranti disseminati nelle periferie di tutta italia, angosciati, come tutti, dallo spettro del virus da un lato e, dall’altro, dalla paura di uscire per procurarsi da mangiare senza incorrere in sanzioni penali che possono rendere ancora più criminogeno l’essere rom.

Nel campo vive Mira da circa 20 anni, quando l’ho conosciuta la prima volta era il dicembre del 1999, vicino casa mia, ricurva su se stessa, le offrii un te caldo, cominciammo a parlare e, di lì a poco, mi ritrovai a visitare il campo e a tornarci nel corso dei mesi e degli anni… a sentirmi ogni volta accolta e travolta da un sentimento di gioia e autentico affetto, sempre, da tutti.

Mira, è reclusa da 20 giorni nel campo in 40 metri quadri di casa, con la sua famiglia composta da sette adulti.

Mira lavora. E’ un’ambulante, detiene regolare partita IVA e la sua attività consiste nella vendita di piante ornamentali. Per questo, per lavorare, deve spostarsi di paese in paese. E’ evidente che oggi, a causa delle restrizioni normative, non può lavorare.

Probabilmente potrà accedere, come molti altri contribuenti a Partita IVA, all’indennità di 600,00 € prevista dal decreto cura Italia, ma, come gli altri, vive nel terrore della precarietà, perché non sa se questo (misero) contributo sarà dato anche ad aprile, se potrà tornare a lavorare, se riuscirà a sfamare i suoi figli. A ciò si somma il problema del permesso di soggiorno che non sempre arriva in tempo (a volte arriva anche scaduto), alla difficoltà a dover pagare i contributi che se il permesso non arriva non si possono pagare, all’incertezza se l’irregolarità contributiva bloccherà l’indennità, e così via…

È uno schifoso circolo vizioso da cui non si esce tranquilli e sereni, voluto anche da una burocrazia che non tiene conto delle mille sfaccettature delle reali condizioni di vita.

In questo periodo di stop forzato dal lavoro, lei cerca di fare il pane ogni giorno e di provvedere a sfamare cinque uomini e due donne, di cui la nuora in dolce attesa e con seri problemi di salute, con quello che sono riusciti ad approvvigionarsi 20 giorni fa.

Il marito in questi giorni è scivolato in bagno e si è fatto male alle costole e hanno paura ad andare in pronto soccorso, per le ragioni che tutti conosciamo.

Abbiamo tanta paura mi ripete Mira, ma per quanto tempo possiamo restare qua senza cibo, senza lavorare? Se noi non lavoriamo, giorno dopo giorno, non mangiamo, se non lavoriamo non possiamo pagare le bollette, i permessi di soggiorno, siamo 7 persone.

Pochi giorni fa Michi, il figlio più piccolo, ha compiuto 18 anni, la legge dice che al compimento del 18 anno di età, bisogna recarsi in comune ed adempiere a tutta la documentazione necessaria richiesta per ricevere la cittadinanza italiana, è un passaggio estremamente importante questo, che dà la possibilità a questo ragazzo di svincolarsi per sempre dal permesso di soggiorno e di sentirsi cittadino italiano attraverso l’acquisizione di tutti i diritti civili e politici di qualsiasi cittadino italiano.

Probabilmente dovrebbe partire in automatico un percorso del genere da parte delle autorità competenti, ma, adesso più che mai, è necessario che il Comune adempia a questa incombenza per permettere a Michi e a tutti i ragazzi che si trovano nelle sue stesse condizioni, di ricevere quella cittadinanza che dovrebbe essere naturale e scontata alla nascita, ma che ancora stenta a trovare la sua giusta collocazione nei meandri di un percorso legislativo quanto mai opaco e pieno zeppo di contraddizioni in materia di immigrazione e ancor più carente verso le minoranze etniche che riguardino i Rom in particolare, per i quali si è evidenziata più volte un’oggettiva difficoltà di trovare e adottare strumenti giuridici internazionali che li tutelino.

Al ché domando al primo Cittadino e all’assessore per le politiche sociali e il welfare del comune di Lecce se si sta provvedendo a mettere le famiglie del campo sosta Panareo e tutti i migranti che abitano nelle campagne e nelle periferie, in condizione di poter fare la spesa senza incorrere in sanzioni penali, tenendo conto che, sulla base di studi e ricerche sociologiche e sulla base di risposte giudiziarie erogate nei confronti di queste persone, a parità di reato, i rom e gli stranieri, rispetto agli italiani, hanno maggiori possibilità di finire in carcere?

Si potrebbero elencare tutta una serie di episodi e di luoghi comuni imbastiti intorno ai Rom per giustificare la mia preoccupazione, chiudo questa mia riflessione con l’auspicio che il sindaco e l’assessore alle politiche sociali e al welfare si adoperino per risolvere queste stringenti problematiche intorno alle popolazioni rom e migranti che non possono accedere agevolmente a nessun servizio e che sono in un evidente stato di abbandono.

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