Il 17 febbraio di 420 anni fa (nel 1600), il filosofo ed ex frate domenicano Giordano Bruno, a causa delle sue idee rivoluzionarie su Dio, l’universo, i pianeti e la Natura, venne bruciato vivo dall’inquisizione in Campo dei Fiori a Roma e le sue ceneri gettate nel Tevere.
Ma cos’aveva detto di così pericoloso da fargli meritare il rogo?
Beh, all’epoca non ci voleva molto per essere tacciati di eresia dalla Chiesa cattolica ed essere condannati a morte, bastava solo andare in giro a dire che Dio è dappertutto, che è in ogni luogo, nella Natura e nell’essere umano, che la terra non sta al centro dell’Universo o che quest’ultimo è infinito, oppure che l’Uomo è artefice del suo destino, insomma, bastava esprimere liberamente il proprio pensiero per essere sbrigativamente processati e condannati a morte.
Difatti dal rinascimento in poi Giordano Bruno è stato assurto a simbolo del libero pensiero ed una delle massime a lui attribuite è: La libertà di pensiero è più forte della tracotanza del potere. Bruno ha sempre combattuto contro la hybris, l’espressione grottesca del potere gestito da asini, come usava chiamare gli esponenti della chiesa cattolica che – attraverso dottrine e racconti mitologici e fantasiosi – teneva soggiogato il popolo impedendogli di accedere alla verità e quindi bloccando il processo di evoluzione dello Spirito della comunità.
Allora perché Giordano Bruno era frate?
Dalle mie parti c’è un detto: jata a ddhra casa ca tene na chirica rasa, ossia beata quella famiglia che ha un figlio prete. A quei tempi entrare in un ordine monastico significava avere l’agio economico e la sicurezza di poter fare ciò che si voleva senza i primari problemi di sopravvivenza: lavorare per mangiare, insomma. Ecco che Giordano Bruno prese i voti solo per poter accedere alla cultura, leggere, studiare e soddisfare quello che lui chiamava l’eroico furore, ossia il desiderio irrefrenabile di conoscere, di entrare in contatto con l’infinito, con Dio, attraverso il percorso della conoscenza.
Dio e Universo per Giordano Bruno
Due cose sono importanti per capire questo concetto: anzitutto Bruno non disdegnava i bassi furori (gli istinti della carne), si dice infatti che amasse molto la compagnia femminile, ma li riteneva insufficienti per comprendere l’Essere, così come riteneva insufficiente la sola contemplazione mistica, che impediva il diretto contatto con la realtà. Insomma, Giordano Bruno amava sia l’attività pratica sia la speculazione filosofica, non poteva ammettere l’una senza l’altra. In secondo luogo Bruno credeva in Dio (a differenza di qualcuno che lo considerava un ateo), solo non lo riteneva in senso monistico e trascendente. Per Giordano Bruno Dio è, nello stesso tempo:
- Mens super omnia (mente al di sopra di tutto), ossia un Ente trascendente e impossibile da definire con la ragione, ma solo da venerare con la fede;
- Mens insita omnibus (mente insita in tutte le cose), dunque principio immanente nella Natura e nell’universo infinito, anima del mondo, che crea al suo interno la Natura e tutto ciò che esiste.
Essendo Dio concetto infinito, anche l’Universo lo è. Da questa semplice considerazione partì la sua concezione dell’infinità dell’Universo. Bruno non era matematico o scienziato, ma col semplice ragionamento deduttivo anticipò le teorie sull’infinità dell’Universo e sul relativismo.
L’Arte della memoria
Quello che più lo ha contraddistinto, però, è l’Ars memoriae, ossia l’arte di imparare a memoria qualsiasi cosa, dai concetti astratti alle figure della Natura, alla musica, ai simboli, alle forme, perché la memoria è una sorta di scrittura interiore di parti dell’infinito rappresentato dalla Natura e da Dio e più cose s’imparano più si può decodificare l’infinito; dato che l’Uomo è una semplice parte di un tutto, attraverso la memoria può conoscere e quindi ricreare il mondo.
Fu proprio questa sua grandiosa opera sull’arte di ricordare la sfiga che portò Giordano Bruno alla morte. Perché dopo aver girato l’Europa e insegnato filosofia in diversi paesi (Francia, Inghilterra, Germania) decise di ritornare in Italia, a Venezia, che all’epoca era più tollerante con i liberi pensatori, ospite del nobile Giovanni Mocenigo, il quale, dopo aver conosciuto il pensiero di Bruno, lo denunciò all’inquisizione e, dopo il trasferimento a Roma e diversi anni di processo, fu condannato a morte, il 17 febbraio del 1600.
Si dice che quando gli lessero la condanna lui esclamò, con la solita ironia che lo contraddistingueva: tremate forse più voi nel pronunciar la sentenza che io nel riceverla!
Al di là delle sue idee, che comunque erano innovative a quei tempi, Giordano Bruno oggi ci ricorda che solo la continua ricerca della conoscenza ci porta ad essere liberi e la ragione è l’unico strumento che abbiamo contro il misticismo teocratico delle pseudoverità.
Una poesia di Trilussa per Giordano Bruno
Vi lascio con una poesia di Trilussa dedicata a Giordano Bruno e su quanto il libero pensiero terrorizzi, sempre, il potere:
Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perché credeva ar libbero pensiero,
perché si un prete je diceva: — È vero —
lui risponneva: — Nun è vero un corno! —
Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.
Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pô fa’ più quer che je pare.
In oggi, co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi cór Governo.