Perché è importante stare accanto ai curdi, perché bisogna chiedere di abbandonare la NATO e costringere le istituzioni italiane ed europee a mettere all’angolo Erdogan e prendere una posizione netta contro la vendita di armi in Turchia.
Chi sono i curdi
I curdi sono un’antichissima minoranza etnica (si ritiene esistente sin dal VII secolo d.C.) e sono uno dei più grandi gruppi etnici del Medio Oriente, con circa 35/40 milioni di persone, la cui maggioranza vive in una regione denominata Kurdistan, che ricade nei confini di Iran, Iraq, Turchia e Siria, ma di cui non è mai stata riconosciuta l’autonomia, nonostante tante promesse da parte dei paesi occidentali e numerosi conflitti finalizzati ad eliminarlo. La maggioranza è musulmana sunnita e sono legati da una medesima cultura e una lingua comune (curdo e zazaki).
Da quando, dopo la prima guerra mondiale, si sgretolò l’Impero Ottomano, il popolo curdo reclamò la propria indipendenza culturale e geografica e difatti il Trattato di Sèvres dell’agosto 1920 istituì lo Stato curdo ma il successivo Trattato di Losanna, a causa delle pressioni dei paesi imperialisti (Francia e Inghilterra in particolare), lo cancellò, per paura di ritrovarsi un vasto territorio non governabile con i metodi occidentali del colonialismo. E’ importante sapere, infatti, che alcuni stati-nazione mediorientali furono creati a tavolino dalle potenze occidentali e questa ripartizione politico-territoriale contribuì profondamente ai conflitti tra gruppi etnici che, nei secoli precedenti, avevano generalmente convissuto in pace.
Le violenze sui curdi e la creazione del Pkk
Da allora e fino ad oggi i curdi hanno subito violenze di ogni tipo da parte dell’Iran, dell’Iraq e della Turchia. Per spiegare le numerose violenze subite sin dal secondo dopoguerra, le deportazioni, l’uso di armi chimiche di massa (usate da Saddam contro le popolazioni curde), la tortura che in Turchia si pratica ancora oggi contro i curdi, per non parlare delle violenze sessuali contro donne curde, ammesse in Iran, va detto che ciò è dovuto al fatto che all’imperialismo occidentale non è mai andato a genio un popolo coeso, soprattutto da quando, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, nacque il Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), di ispirazione marxista-leninista, guidato da Abdullah “Apo” Öcalan, che iniziò una lotta armata contro le repressioni del governo Turco, per un nuovo modello economico, una democrazia partecipativa e dal basso e per la propria autodeterminazione.
Öcalan fu subito condannato dai paesi imperialisti della NATO come un dittatore terrorista e, nonostante i tentativi di cercare asilo politico (non concesso dall’Italia, sotto il governo D’Alema, su pressioni USA) fu arrestato e attualmente è ancora in un carcere di massima sicurezza in Turchia, dal 1990.
Nonostante il partito abbia deposto le armi nel 2001 e sia confluito nel Ypg (unità combattenti di protezione popolare curde), che, formando le Sfd (Forze democratiche siriane), abbiano contribuito fortemente alla disfatta dell’ISIS soprattutto nel kurdistan siriano, collaborando fattivamente con le forze armate statunitensi, oggi gli USA hanno abbandonato il fronte siriano e, di fatto, hanno permesso a Erdogan di attaccare le resistenze curde, permettendo, con ciò, il ritorno dell’ISIS e un possibile (e concreto) genocidio di massa.
Già, perché solo in questi giorni l’offensiva turca ha già prodotto più di 500 morti e più di 120.000 sfollati. E il folle piano di Erdogan non si ferma qui, perché da un lato minaccia l’Europa di aprire i confini e mandare in Europa circa 2 milioni di siriani che oggi sono ospitati in Turchia e dall’altro di spostare circa un milione di siriani in Kurdistan, secondo un folle modello di ingegneria sociale, al solo scopo di creare conflitti sociali e impedire ai curdi di autodeterminarsi nel proprio territorio.
Le mosse di Trump
Se nel conflitto siriano Trump ha appoggiato le milizie curde, che combattevano non solo contro l’ISIS ma contro la controffensiva turca (approfondisci qui sulla guerra in Siria), oggi Trump ha fatto un grosso favore ad Erdogan, anzitutto convincendo – nello scorso agosto – le Ypg a rimuovere le loro fortificazioni lungo il confine con la Turchia e oggi richiamando i propri soldati, di fatto liberando la strada a Erdogan che, in questo modo, avrà campo libero per conquistare pezzi di territorio ed eliminare le popolazioni curde.
A molti l’atteggiamento di Trump sembra una contraddizione, dato che prima appoggia i nemici di Erdogan e dopo li tradisce, dicendo che vuole abbandonare il campo mediorientale, ma in realtà il finto disinteresse di Trump verso la questione mediorientale è una mossa strategica per indebolire l’Europa e per rafforzare il suo rapporto con Erdogan e Putin.
Del resto non si spiegherebbe altrimenti il lassismo in sede NATO con cui si dice di voler sanzionare la Turchia che, va ricordato, ha il secondo più imponente esercito dei paesi membri della NATO.
Vero è che le milizie curde hanno da poco fatto un accordo con l’Iran (appoggiato dalla Russia), ma questa (disperata) mossa da parte dei curdi non deve trarre in inganno: solo formalmente la Russia è un avversario degli USA e in questa fase storica i due paesi hanno molto in comune, anche considerando l’aiuto dato dalla Russia alla campagna elettorale di Trump.
Il trilaterale Trump-Erdogan-Putin, anche se indirettamente costituendo, è una mossa per costringere l’Europa a seguire la politica statunitense, con la minaccia che sennò Erdogan sguinzaglierà i migranti (uno degli spauracchi dei tecnocrati europei, alle prese con feroci nazionalismi anti-migranti e l’incapacità di una politica d’accoglienza comune) e, nel caso in cui dovessero costituire un embargo sulle armi (cosa che Francia, Germania, Norvegia, Paesi Bassi e Finlandia sembrano aver fatto, mentre l’Italia? Aspettiamo Di Maio…), con l’ulteriore spauracchio di un’intesa tra Erdogan e Putin per la fornitura di armi. Quindi la mossa di Trump è di mettere l’Europa all’angolo e di costituire un accordo temporaneo e (forse solo) di scopo tra USA e Russia.
Il punto, però, è che in queste tattiche geo-politiche a pagare il maggior tributo in termini di sangue saranno le popolazioni curde.
Cosa dovrebbe fare l’Italia
Urge una presa di posizione netta da parte dell’Europa e in particolare dell’Italia. Uscire dalla NATO, una combriccola di criminali, è la primissima cosa da fare, altrimenti è inutile dare solidarietà a parole al popolo curdo e poi restare nella stessa organizzazione in cui coabita un traditore folle e un dittatore genocida.
Tra l’altro in caso di aggressioni, anche paventate, contro la Turchia, i paesi membri della NATO avrebbero l’obbligo di intervenire in soccorso. E come si porrebbe l’Italia?
Inoltre non bisogna cedere alle minacce di Erdogan, che sfrutta la paura dei fenomeni migratori proprio a causa dei sovranismi da quattro soldi che impestano ormai i paesi europei.
Questo è il momento di dimostrare nei fatti la nostra vicinanza al popolo curdo ed opporre una controffensiva diplomatica nei confronti della Turchia, che va assolutamente isolata sul piano internazionale e un’uscita dell’Italia dalla NATO sarebbe un colpo durissimo contro le pretese di USA e Turchia. Tanto si sa che le intese internazionali funzionano solo fino a quando fa comodo, esattamente com’è accaduto ora tra americani e curdi. Davvero un accordo tra Turchia e Russia farebbe paura all’Europa?
Infine urge vietare (non sospendere) la vendita di armi alla Turchia che, come sappiamo, è stato il terzo maggior importatore di armi italiane nel 2018.
E’ ovvio che l’industria bellica farà pressioni per impedire ciò, ma da qui si vedrà se l’attuale classe politica italiana è libera dalle decisioni del capitale. Molto probabilmente il governo sospenderà la vendita e sbandiererà tale decisione ai quattro venti, per ripulirsi la faccia davanti all’opinione pubblica, salvo poi scoprire che nei meandri del provvedimento si nasconderanno tante scappatoie per favorire la prosecuzione dei rapporti tra l’industria bellica nostrana e il regime turco. Ma staremo a vedere.
Il vero problema è il modello politico-economico curdo, basato sull’assenza di Stato, sulla democrazia dal basso e ispirato ai valori del socialismo marxista
A proposito di capitale. Non va sottaciuto come la questione curda sia sempre stata al centro dell’interesse dei paesi imperialisti (dunque capitalisti), perché avrebbe minacciato fortemente la tenuta stessa del sistema.
Non sto qui a dire come in Egitto, in Siria, in Palestina, nel Sudan, in Iraq, in Iran ed in Sud-Yemen, soprattutto dagli anni Settanta, si sia sviluppato un modello sociale basato sulla dottrina marxista e quante volte sia stato rovesciato il potere di gruppi anti-capitalisti, anche con l’uso della violenza. Non mi dilungherò a parlare della Primavera araba e di come quel movimento, nato dal basso e connotato da elementi anti-imperialisti e democratici, sia stato prima minimizzato mediaticamente, poi beffeggiato e infine represso nel sangue. Mi basterà citare questo interessante articolo, che fa riferimento ad un libro curato da Antonella De Biasi (si trova qui), di cui prelevo giusto una parte:
È il caso, ad esempio, della questione femminile e della democrazia dal basso. Il leader curdo più famoso al mondo, Öcalan, dopo aver conosciuto in carcere il pensiero dell’ecologista radicale americano, Murray Bookchin ha promosso tra la sua gente i principi del confederalismo democratico. Andando oltre il macigno dello Stato-nazione il leader del Pkk indica la strada dell’autonomia amministrativa delle aree curde senza modificare i confini degli Stati in cui i curdi vivono. Nell’ambito delle frontiere attualmente definite bisogna pensare «a come far avanzare la democrazia in Medio Oriente: strumento ideale è il confederalismo democratico, definito come amministrazione politica non statuale, o democrazia senza Stato, fondata non sulla detenzione del potere, bensì sul consenso collettivo delle popolazioni che vivono nell’area interessata». Un cambio di paradigma davvero rivoluzionario quello del Pkk, che va perfino oltre alle vicende mediorientali e che potrebbe rappresentare un modello – quantomeno ideale – anche per il Vecchio Continente, attraversato da feroci nazionalismi che avvelenano il dibattito politico.
Il confederalismo democratico, con tutte le difficoltà del caso, racconta De Biasi, ha una sua concreta esperienza nel nord della Siria. Il territorio della Federazione democratica della Siria del Nord, denominato anche Rojava, è abitato da circa due milioni di persone, delle quali il 60 per cento è di etnia curda. Nel 2014 la Federazione si è dotata del suo testo giuridico fondamentale, il “Contratto sociale della federazione democratica della Siria del Nord” che rigetta il nazionalismo e perora una società egualitaria e rispettosa dei diritti delle minoranze.
Un modello del genere, adottato in un territorio autodeterminato e con una popolazione di 35/40 milioni di persone, se dovesse svilupparsi, farebbe tremare sin dalle fondamenta il (malconcio e tenuto in vita artificialmente) modello consumista-individualista-edonista tipico dell’imperialismo dei paesi a capitalismo avanzato e putrescente. Ecco che i curdi vanno eliminati, non solo per le ragioni storico-identitarie della Turchia, ma perché ciò è indispensabile per mantenere vivo un modello in cui gli USA (ancora per poco) dominano e in cui gli altri paesi a capitalismo emergente vogliono primeggiare. Un modello socio-economico alternativo, marxista e cooperativista fa paura, soprattutto se è umanamente sostenibile e rispettoso delle minoranze e delle diversità. Ed ecco perché oggi più che mai dobbiamo sostenere la causa curda, perché loro rappresentano per davvero il sol dell’avvenire.