L’analfabetismo funzionale e il conseguente analfabetismo di ritorno, come sappiamo, è la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità. Questa definizione venne coniata dall’UNESCO addirittura nel 1984, proprio perché, sin già dagli anni Settanta, emergevano i rischi, soprattutto (guardacaso) nei paesi a capitalismo avanzato (USA, Giappone, diversi paesi d’Europa), di un’incapacità collettiva a comprendere le nozioni basilari del vivere civile, di analizzare la realtà e di generare una conseguente critica necessaria sia per lo sviluppo personale che per quello sociale.

Nel corso del tempo, poi, questo rischio, sollevato dall’UNESCO, è stato largamente trascurato dalle varie classi politiche che si sono succedute, anzi, ancor peggio, si è portato avanti – per decenni – un vero e proprio stillicidio del sistema scolastico, attraverso tagli al finanziamento ordinario e a causa di riforme tendenti a trasformare la scuola in un nozionificio utile a creare solo classi di futuri operai incapaci di elaborare critiche allo status quo e di agire consapevoli del proprio sfruttamento.

Dalle riforme in senso efficientista degli anni Novanta, per poi passare alle riforme Moratti e Gelmini fino alla buona scuola di Renzi, il sottile filo rosso che accomuna le varie riforme è stato quello di rendere la scuola sempre più nozionista e separare nettamente le scuole di serie A (incluse le scuole private, sempre finanziate dai fondi pubblici) e quelle di serie B.

Tempo fa Michele Serra aprì il dibattito dopo un caso di bullismo in un istituto tecnico di Lucca, ponendo l’accento sulla netta differenziazione di ceti sociali che popolano le scuole, ma venne talmente subissato di critiche da smorzare un dibattito che, invece, avrebbe dovuto essere sciorinato e approfondito e che sarebbe giunto all’epilogo naturale: la destrutturazione dell’istruzione pubblica (accanto all’inconsistenza dell’educazione familiare, oggi) unitamente all’abbandono a se stessi del corpo docenti è una delle cause principali della scarsa educazione dei ragazzi, dell’inadeguata formazione di un senso critico e, ovviamente, della propensione a far germogliare i semi dell’analfabetismo di ritorno.

Già, perché questo fenomeno trova origine nella struttura della società contemporanea, ovvero nell’incapacità della scuola di sviluppare il senso della ragione, il senso critico e gli anticorpi all’edonismo di massa; nell’ormai palese incapacità familiare di educare i propri figli allo sviluppo della propria personalità, in quanto i genitori di oggi sono prede essi stessi dell’edonismo e dei valori del consumo; negli stimoli pressanti dati dalla società dell’informazione, che anziché riempire di contenuti lo spirito umano, toccano la superficie, bombardano di informazioni più o meno valide (e molto spesso false e pretestuose) per poi dissolversi nel nulla dell’intelletto.

Chi, come me, ha avuto la fortuna di ottenere una buona educazione familiare e di prendere l’istruzione scolastica come un’opportunità di crescita, però, non è esente dal rischio dell’analfabetismo di ritorno. Perché anche un muro ottimamente costruito, se soggetto a un continuo stillicidio, può crollare. E allora mi sono chiesto: quali sono i motivi per cui si possono perdere, nel tempo, i lumi della ragione, le fondamenta del raziocinio e le basi del linguaggio?

I Social come centro della propria giornata

economia digitale

Passare tanto tempo davanti ad un Social è la prima, preoccupante, causa di analfabetismo di ritorno. Il motivo non sta solo nel fatto che scorrere la timeline rimbambisce la mente. Il motivo più preoccupante è essere incessantemente sotto attacco da contenuti degradanti. E’ vero, sarà anche divertente leggere i post di quelli che sfottono gli analfabeti funzionali, i seguaci di Salvini, le pancine, i terrapiattisti o tutti gli altri idioti che popolano l’ecosistema dei social, ma è anche vero che più si leggono quei generi di post e più il nostro cervello assimila le brutture grammaticali e le elementari e, peggio, denigranti forme di espressione del pensiero. Tutti noi abbiamo o abbiamo avuto contatti sui social che rispecchiano questo modello. Leggerli o interagire con loro significa scendere gradualmente di qualche gradino sulla scala dello sviluppo della propria personalità e del proprio intelletto. Lo stesso vale per i post o i tweet che inneggiano, anche involontariamente, all’odio, al razzismo e fomentano le paure, perché parlano alla pancia e non all’intelletto e abituano gradualmente la gente a ragionare di pancia, bypassando la testa.

E’ per questi e altri motivi che ho sempre suggerito di abbandonare i social e, personalmente, l’ho fatto.

Senza accorgercene, un giorno ci troveremo a chiederci se “qual è” si scrive con l’apostrofo o senza, ci troveremo in difficoltà ad esprimere agli altri un concetto un po’ più complesso o non saremo in grado di raccontare la trama di un libro o di un film. Questo perché, unitamente al punto che tratterò tra poco, i Social sono diventati ormai il giardino in cui l’erba gramigna soffoca piano piano tutte le altre erbe benefiche.

Non ho tempo per leggere

leggere evita l'analfabetismo di ritorno

Secondo l’ISTAT il 40% degli italiani dichiarano di leggere almeno un libro all’anno, mentre solo il 13% legge almeno un libro al mese (dati relativi al 2017). Anche se rispetto al 2016, il tasso è leggermente in crescita, questo dato è sconfortante, poiché stiamo parlando di un numero esiguo di persone che legge regolarmente e di un numero bassissimo di italiani che leggono uno-due o al massimo tre libri all’anno, il ché equivale a non leggere. E il resto della popolazione? Non legge alcunché.

La lettura, si sa, è il primo grande anticorpo contro i mali dell’analfabetismo di ritorno, perché rinvigorisce la mente, genera nuove e diverse chiavi di lettura, contribuisce ad allenare la grammatica, la sintassi, la logica o la comprensione dei concetti. Inoltre favorisce il senso critico e regala strumenti per difendersi dal proliferare di concetti degradanti, fake news e, persino, truffe. Poi tutto ciò che si legge prima o poi riemerge sotto forma di dialoghi, discussioni, persino produzioni artistiche.

Molti hanno smesso di leggere a causa della diffusione di internet e, in particolare, dell’avvento dei social. Qualcuno dirà che ha smesso di leggere libri in carta, ma legge regolarmente i post del suo intellettuale preferito sui social o sui blog o siti di notizie su internet. Ma non è esattamente la stessa cosa. Un libro, che sia un romanzo, un saggio o qualsiasi altro testo letterario, è, per sua natura, lungo e articolato, ha un filo logico o narrativo, elementi da ricordare per la comprensione della trama e, quindi, a differenza di un testo breve quale può essere un articolo di un blog o di un giornale on-line, favorisce l’immaginazione, la memoria, la logica, la costruzione di concetti articolati.

Smettere di leggere è, per la mente, come smettere di mangiare per il corpo. La mente si atrofizza, perde energia, nutrienti, e diventa il campo ideale per la proliferazione di patogeni sotto forma di fake news, populismi e raggiri. Riaprire un libro, anche dopo anni, può essere difficoltoso, ma, dopo qualche piccolo sforzo iniziale, si scoprirà di aver ripristinato la soglia di attenzione, il senso critico e la logica.

I modelli sociali che inducono al degrado

analfabetismo di ritorno e influencer

Anni addietro è stato coniato il termine influencer per indicare un soggetto divenuto famoso sul web che influenza i gusti, le tendenze, le mode e orienta gli acquisti della gente nei campi artistici o, più in genere, commerciali.

Dunque l’influencer genera una tendenza, sugli individui, i quali conformano le proprie opinioni e i propri comportamenti al modo di agire e di pensare di quella specifica persona. Ecco che un soggetto del genere acquisisce un potere sulle scelte e sugli orientamenti di masse di gente ed è per questo che ha la responsabilità su molte persone.

Ma cosa succede se gli influencer trasmettono – anche involontariamente – messaggi degradanti? E’ il caso di Fedez, Rovazzi, Sfera Ebbasta e tanti altri, che non hanno mai preso la maturità. Magari potranno anche suggerire, verbalmente, ai ragazzi di studiare e di costruirsi un futuro, ma nei fatti, nella realtà, i ragazzi seguiranno le parole oppure i comportamenti di questa gente? E i genitori, quando si sentiranno dire ne vale la pena studiare se questi hanno fatto carriera senza manco un diploma? cosa risponderanno?

E poi quali esempi danno, a grandi e piccini, se festeggiare un compleanno in un ipermercato significa sprecare, saccheggiare e distruggere merci alimentari, frutta, verdura, prodotti che molti dei loro seguaci magari faticano a comprare? Quale esempio danno se non che con il denaro si può comprare anche il diritto al degrado?

E poi ci sono gli influencer della sfera politica che, difatti, suggeriscono ai bambini che il denaro è l’unico strumento di libertà, i soldi servono a essere liberi. E’ il caso di Daniela Santanché, la quale, in un incontro con dei bambini, si è lanciata nell’elogio al consumismo e al denaro come valore fondante. Guardando nel complesso questi esempi (ma ce ne sono tantissimi altri), quale modello passa?

E’ ovvio che se tali modelli sociali inculcano nella gente – grande o piccola che sia – simili valori, la conseguenza diretta che si avrà sarà la decrescita culturale a vantaggio dell’inseguimento di sogni edonistici e degradanti. Si diventa analfabeti di ritorno anche quando un personaggio famoso ti suggerisce di evitare – con i fatti o a parole – la crescita personale e puntare solo sul materialismo più becero.

Il calo dell’attenzione

Giochini, app, social, chat, flash news, notifiche continue e ininterrotte, tutto è destinato a contribuire al calo dell’attenzione. Concentrarsi sul lavoro, su una lettura o semplicemente su un hobby è ormai pressoché impossibile se si ha lo smartphone o il tablet sempre a portata di mano, perché ogni nuova notifica genera curiosità e distoglie l’attenzione da ciò che si sta facendo. Il calo dell’attenzione è direttamente proporzionale all’indebolimento delle capacità cognitive, soprattutto nel fare attività complesse, in cui occorre particolare concentrazione, memoria o capacità manuali che dipendono da ampie capacità intellettive.

Il calo dell’attenzione, generato principalmente dalle distrazioni del mondo virtuale, si dipana conseguentemente in ogni aspetto della nostra giornata e, spesso, crea anche situazioni pericolose, come incidenti alla guida, ma anche situazioni da paperissima che fanno ridere, sì, ma fanno anche riflettere.

Avere una vita inattiva

analfabetismo di ritorno e inattività

L’analfabetismo di ritorno non è favorito solo dalla mancanza di lettura o dal ciondolarsi quotidianamente sui social, ma anche da una vita tendenzialmente asfittica e priva di esperienze. La mancanza di hobby, di esperienze all’aria aperta, di viaggi alla scoperta di paesi e culture diverse (anche in Italia o in Europa, spesso non occorre fare viaggi intercontinentali…), di interlocuzione con gente conosciuta per caso, di attivismo politico o sociale…tutte queste mancanze favoriscono la regressione culturale e inducono i pigri e i passivi ad annichilire la propria capacità di comprensione delle cose.

Trascorrere le giornate tra il lavoro (per chi ce l’ha) e il divano, tra smartphone e serie tv, non fa altro che favorire l’antintellettualismo e la pigrizia mentale, due stati che aprono le porte alle influenze negative di modelli sociali sbagliati.

In fondo basta poco per evitare l’analfabetismo di ritorno, è sufficiente qualche buon libro, un po’ di attivismo, ritornare a parlare di persona con la gente, un buon hobby e, soprattutto, usare internet con parsimonia e solo quando è davvero necessario.

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2 Commenti

  1. Fabio

    Un testo semplice ma illuminante che tutti gli educatori dovrebbero fare proprio…

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