Elezioni Europee: nessuno stravolgimento, ma la Lega esulta

I risultati delle ultime elezioni europee ci restituiscono due dati tra loro contrastanti, ma che devono essere analizzati unitariamente.

Il primo: Nessun stravolgimento

Non sembrano stravolti gli equilibri politici nel nuovo parlamento europeo, dato che Popolari, Socialisti e Liberali hanno ottenuto un’ampia maggioranza, come si vede nel prospetto sottostante:

Ppe 23,83% – 179 seggi;

S&D 19,97% – 150 seggi;

Alde 14,25% – 107 seggi;

Verdi 9,32% – 70 seggi;

Ecr 7,72% – 58 seggi;

Enf 7,72% – 58 seggi;

Efdd 7,46% – 56 seggi;

Gue/Ngl 5,06% – 38 seggi;

Ni 0,93% – 7 seggi;

Altri 3,73% – 28 seggi.

Rispetto al 2014 i partiti conservatori, euroscettici e nazionalisti hanno ottenuto più consensi e dunque più seggi. Ecr ed Efdd hanno infatti ottenuto, dalle recenti elezioni europee, complessivamente 114 seggi, ma questi numeri non bastano, anche qualora si pensasse ad un’alleanza con il Ppe, per ottenere la maggioranza in Parlamento (376 seggi). Dunque i risultati delle elezioni europee sembrano rassicurare gli attuali equilibri politici e, soprattutto, la Commissione europea, che potrà contare ancora sull’appoggio politico del nuovo Parlamento fino alla sua scadenza.

L’ininfluenza del Parlamento europeo

Qui si apre un altro tema che merita di essere commentato. Si è fatto tanto, soprattutto da parte delle forze politiche italiane (Lega in primis), per portare a casa un buon risultato per le elezioni europee, ma non perché le forze politiche considerino il Parlamento europeo un organismo capace di influenzare le politiche europee. Tutt’altro. Chi bazzica anche solo esternamente gli ambienti politici sa benissimo quanto quest’organismo sia ininfluente nel dettare la linea politica. Questa è saldamente nelle mani della Commissione.

Ma il risultato è servito per ottenere un dato tutto interno ai singoli paesi. In Francia, per esempio, con la vittoria (di misura) di Le Pen (23,3% contro il 22,4% della lista di Macron) si aprirà un nuovo scenario, in cui la leader del fronte nazionale avrà la forza di spingere ancora di più le sue politiche sovraniste e di cavalcare con più forza l’ondata di malcontento che si è concretizzata con il movimento dei gilet gialli. Dal canto suo Macron ha ancora tre anni per ricostruire un consenso popolare che finora è stato saldato solo nell’alta borghesia francese.

In Inghilterra Nigel Farage stravince le elezioni europee (con oltre il 32%) sulla confusa politica di stallo della May, dimostrando che si è consolidata in un terzo dell’elettorato la volontà di uscire dall’UE. In Germania vincono i verdi (20,8%), ma la coalizione dei partiti che appoggiano la Merkel regge (con il 28%) a dimostrazione del fatto che buona parte dell’elettorato tedesco ha beneficiato delle politiche europee pro-Germania, ma ha a cuore la tematica ambientale, a differenza dell’Italia, dove i verdi raggiungono il 2,29%.

Lungi dal voler commentare i singoli risultati dei paesi membri, con ciò voglio solo ribadire che queste elezioni non porteranno alcun sconvolgimento nelle politiche europee, ma servono solo a misurare lo stato di salute di ogni partito/coalizione al proprio interno.

La commissione in scadenza a ottobre

Nell’ultimo trimestre del 2019, precisamente il 31 ottobre, scadranno i mandati di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione e, soprattutto, di Mario Draghi alla guida della BCE.

Sarà quella la fase più importante di trasformazione politica dell’UE. Sarà in quel momento che si scioglieranno i nodi sulla visione del governo dell’Europa: continuità o rottura? E’ ovvio che soggetti come Le Pen, Orban e Salvini faranno pressioni per far ottenere ai propri soggetti politici un ruolo chiave nella Commissione, ma soprattutto nella BCE, ma ci sono i numeri? C’è la forza politica?

Con molta probabilità l’establishment europeo in questo momento si stringe attorno a Macron, Merkel, Moscovici e tutti commissari (la Mogherini no, vista la sua ininfluenza politica) per elaborare una strategia volta a rafforzare il ruolo politico di liberisti e moderati nei paesi chiave dell’UE, in modo da dare continuità al proprio operato. E non è da escludersi una continuità di mandato dell’attuale vertice europeo.

Il secondo: Il dato politico in Italia

risultati elezioni europee italia

Salvini sa benissimo che in Europa non avrà alcun peso. E difatti il suo tasso di assenteismo (che gli ha fatto meritare l’appellativo di fannullone) è direttamente proporzionale alla sua visione del Parlamento europeo come organo totalmente inutile.

Difatti questa visione – storicamente corretta – va però a braccetto con il suo tentativo (mutuato dal berlusconismo e, prima ancora, dall’ultima stagione della Prima Repubblica) di delegittimare il Parlamento interno, secondo una visione oligarchica delle strutture democratiche.

Di fatto la riforma costituzionale voluta dal M5S per la riduzione del numero dei parlamentari lo favorirà enormemente e, non appena il suo potere elettorale crescerà, con un parlamento sostanzialmente monocolore (complice anche la prossima legge elettorale che sarà fortemente maggioritaria) sarà in grado di apportare tutte quelle modifiche costituzionali che Renzi non è stato capace di fare. Chiaramente ciò sarà fatto solo in caso di ostacoli da parte del Presidente della Repubblica o della Corte Costituzionale (nel caso qualcuno dovesse proporre ricorsi di legittimità costituzionale dei provvedimenti targati Lega), ma fino a quando avrà la strada spianata, potrà operare di fatto in spregio alla Costituzione.

Il dato delle elezioni europee, che lo vede al 34,33% (più del doppio rispetto alle politiche del 4 marzo 2018), con risultati notevoli anche al Sud, gli consente non solo di controllare di fatto le istituzioni interne, anche a causa dell’enorme debolezza e incapacità politica del partner di governo, ma anche di rafforzare il suo ruolo in due direzioni: nella direzione politica attraverso il rafforzamento capillare su tutto il territorio della sua classe dirigente e delle sedi di partito; nella direzione istituzionale grazie al suo peso politico che lo vedrà come leader agli occhi di prefetti, questori e forze dell’ordine. Come dicevano gli antichi senatori romani, il generale che controlla l’esercito controlla Roma.

Il crollo del M5S, passato dal 35% al 17,07% in poco più di un anno, invece, non dimostra – come qualcuno dice – la volatilità dell’elettorato, quanto la risposta elettorale al processo di stritolamento effettuato dal loro partner di governo, forte di una trentennale esperienza politica al cospetto di un’inesperienza contornata dalla cupidigia di voler governare a tutti i costi.

Certo il tonfo del M5S ha retto un po’ al Sud, dove ha guadagnato il 29,16%, ma questo sì che è un dato volatile, poiché basterà rimodulare il reddito di cittadinanza (cosa che Salvini farà per alimentare la flat tax) per veder ridurre il sostegno del M5S anche al Sud.

Ora Salvini governa da solo

E’ evidente che, nonostante le parole di conforto di Salvini nei confronti degli alleati, proferite in conferenza stampa durante lo spoglio, ieri notte, gli equilibri di governo cambiano, e di molto anche. Quel 17% in più di preferenze alla Lega e quel 18% in meno di preferenze al M5S peseranno come un macigno sia su Luigi Di Maio che su Giuseppe Conte, il quale ultimamente si è sbilanciato per equilibrare il peso politico del governo nei confronti del M5S.

Ora gli equilibri cambiano e non passerà molto prima che Salvini chiederà a gran voce il decreto sicurezza bis, la flat tax e una rapida definizione dell’autonomia differenziata di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Ci vorranno circa 10 anni per far capire all’elettorato leghista del Sud che questi ultimi due temi favoriranno il Nord e in particolare l’alta borghesia. Ma quando il danno sarà stato fatto, a pagarne le conseguenze saranno le prossime classi politiche, non certo la Lega.

E allora il piddì??

L’ottimo risultato raggiunto dal PD con Siamo Europei di Carlo Calenda (22,69%) non lo riporterà certo fuori dal buco nero in cui si è cacciato. Ora Calenda, forte del risultato, si sentirà legittimato a fare la voce grossa all’interno del PD e di ripristinare quell’alleanza con i renziani tenuta congelata finora. Ma al contempo Zingaretti, forte anch’esso del risultato e soprattutto del risultato ottenuto alle primarie, non sarà disposto a cedere lo scettro ai renziani e chiederà fiducia al partito, anche in considerazione del fatto che è un segretario fresco di nomina e non è ancora stato messo alla prova. Dalle opposte visioni dei due soggetti si genererà un conflitto che porterà o al ridimensionamento di una delle due aree o ad una ulteriore spaccatura interna.

Perché oggi prevale la Lega sul M5S e sul PD

A parte le tematiche portate avanti dalla Lega, che oggi risultano vincenti in buona parte dell’elettorato, quello che Salvini ha saputo fare è mutuare un modello comunicativo approntato proprio dal M5S (ma che è stato incapace di dominare) e rafforzarlo, strutturarlo e utilizzarlo meticolosamente su tutti i social e su ogni canale di comunicazione.

Salvini sa benissimo che la rappresentazione della realtà può anche discostarsi da quest’ultima e che le narrazioni sono più potenti del racconto dei fatti. E’ con queste armi che ha saputo disinnescare magistralmente i problemi scottanti della Lega (caso Siri, i 49 milioni rubati, gli aiuti alle banche, ecc.), mutuare in consenso gli attacchi personali e operare un racconto comprensibile dalle masse, seppur diverso dalla realtà dei fatti (sbarchi dei migranti, rimpatri, pressione fiscale, ecc.).

Ma la cosa più importante sta nella struttura verticistica della Lega, che crea la raffigurazione dell’eroe intorno al quale la dirigenza si sostanzia e trova il suo stesso riconoscimento. Arroccarsi presso il leader è il mantra dei leghisti (modalità mutuata dal berlusconismo), al contrario di un M5S pieno di leaderucci che solo visivamente appaiono coesi, ma le cui lotte intestine ledono l’unità del gruppo. Tra l’altro il M5S – al contrario della Lega – è organizzato in una struttura virtuale, confusa e che fa capo ad un soggetto economico e non politico.

Infine il PD è da sempre soggetto a lotte interne da parte di numerosi leader che vogliono emergere, problema ereditato da una sinistra storica che ha commesso l’imperdonabile errore di fondersi con anime diverse durante la stagione del bipolarismo.

In questo quadro vince l’unità, la rappresentazione della realtà, la struttura partitica classica (fatta di sedi fisiche e una classe dirigente coesa) nonché una serie di parole d’ordine chiare e che si rifanno a dei valori di fondo chiari (falsi, certo, persino antidemocratici, ma intanto ci sono). Se non si considerano i punti di forza della Lega non si potrà mai avere l’ambizione di affrontarla e sconfiggerla.

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